E veramente donna Eufrosina era maravigliosa, nel suo vestito di velluto color di viola, che dava un tono pallido d’avorio al suo colorito, e un fulgore più saettante agli occhi neri. Ella era ornata di perle; ne aveva al collo, alle orecchie, nelle mani, ne aveva tra’ capelli, ne aveva lungo i ricami d’oro che le ornavano il giustacuore e la gonna, e le fermavano i rigonfi delle maniche. Anche l’ampio colletto arricciato, e i manichini, avevano un sottil freggio d’oro punteggiato di perline.
Se il signor Marcantonio avesse dovuto applicare qualcuna delle prammatiche dei suoi predecessori contro il lusso, da lui confermate, avrebbe avuto bene che sequestrare! Ma egli era così abbagliato dalla bellezza della dama, che gli parve conveniente e di buon diritto quella ricchezza di ornamento; e si compiacque anche lui che donna Eufrosina sovrastasse a tutte le altre dame.
Il signor Segisnero che stava dietro il sipario, e scostandolo un po’, guardava la sala, provò un morso di gelosia e di collera, vedendo il Vicerè avvicinarsi a donna Eufrosina, e dirle qualche parola, di che la baronessa parve arrossire di piacere. Probabilmente era stata una lode.
Il signor Marcantonio giunse dinanzi a donna Eufrosina; Pasquino non diceva nulla di lei; perchè essendo stata fino allora quasi appartata, non aveva offerto nessun rilievo alla satira o al complimento.
Egli s’inchinò, con un aspetto ridiventato quasi grave e pensoso; prese dal bacile una confettura che aveva la forma di un cuore trafitto da un dardo, e la porse alla baronessa dicendo con voce dolce e commossa:
- Signora, vorrei che quel cuore fosse il mio! perchè sarei felice se potessi svellermelo dal petto, per donarvelo: che già ne siete padrona.
Donna Eufrosina arrossì, non seppe rispondere, s’inchinò per nascondere il suo turbamento, e prese la confettura con la mano tremante. Quelle parole, il tono con cui furono dette, il personaggio che le diceva, la turbavano, ma nello stesso tempo le davano un senso di piacere, come se fossero state un segno di distinzione, una proclamazione della sua bellezza, della sua sovranità.
E vagò in quel dolce turbamento, con così profonda gioia, che non levò gli occhi neppure quando il Vicerè si fu allontanato; e forse non se ne avvide.
L’attenzione di tutti era così intensa alla novità di quella invenzione, che nessuno poteva udire e accorgersi di quanto avveniva accanto a sè. Soltanto donna Eufrosina guardava senza vedere; perchè il suo spirito era preso, trascinato altrove, senza che ella sapesse o potesse dominarlo.
Il signor Marcantonio, chinatosi verso di lei, a bassa voce, ma con un fremito di passione, le mormorava:
- Signora donna Eufrosina, non vi ho qui condotta a caso, ma per potervi aprire l’animo mio... Avete dovuto bene accorgervi che io sono pienamente vinto, affascinato dalla vostra bellezza, e che nulla mi sarebbe più caro, che di essere il vostro schiavo...
- Eccellenza! – balbettò donna Eufrosina che si sentiva battere il cuore violentemente.
- Non dite «eccellenza» – pregò il signor Marcantonio; – io sono il Vicerè per gli altri, ma per voi sono un uomo che vi prega, vi supplica di tenerlo per vostro...
Ella non sapeva che fare. Avrebbe voluto rientrare, ma le pareva di commettere una mancanza di riguardo; quelle parole la turbavano; provava una sensazione penosa, nella quale entravano il pudore, il sentimento del dovere, le convenienze, ma sentiva anche un gran piacere, e un gran desiderio di udire quel linguaggio appassionato in bocca di un uomo di cui tutti avevano soggezione.
Pure, pensando al suo stato, pensando alla sua riputazione ancora immacolata, cercò di prendere un contegno freddo e riserbato, e rispose:
- Vostra Eccellenza, perdoni, ma non sta bene che…
Se il signor Marcantonio avesse dovuto applicare qualcuna delle prammatiche dei suoi predecessori contro il lusso, da lui confermate, avrebbe avuto bene che sequestrare! Ma egli era così abbagliato dalla bellezza della dama, che gli parve conveniente e di buon diritto quella ricchezza di ornamento; e si compiacque anche lui che donna Eufrosina sovrastasse a tutte le altre dame.
Il signor Segisnero che stava dietro il sipario, e scostandolo un po’, guardava la sala, provò un morso di gelosia e di collera, vedendo il Vicerè avvicinarsi a donna Eufrosina, e dirle qualche parola, di che la baronessa parve arrossire di piacere. Probabilmente era stata una lode.
Il signor Marcantonio giunse dinanzi a donna Eufrosina; Pasquino non diceva nulla di lei; perchè essendo stata fino allora quasi appartata, non aveva offerto nessun rilievo alla satira o al complimento.
Egli s’inchinò, con un aspetto ridiventato quasi grave e pensoso; prese dal bacile una confettura che aveva la forma di un cuore trafitto da un dardo, e la porse alla baronessa dicendo con voce dolce e commossa:
- Signora, vorrei che quel cuore fosse il mio! perchè sarei felice se potessi svellermelo dal petto, per donarvelo: che già ne siete padrona.
Donna Eufrosina arrossì, non seppe rispondere, s’inchinò per nascondere il suo turbamento, e prese la confettura con la mano tremante. Quelle parole, il tono con cui furono dette, il personaggio che le diceva, la turbavano, ma nello stesso tempo le davano un senso di piacere, come se fossero state un segno di distinzione, una proclamazione della sua bellezza, della sua sovranità.
E vagò in quel dolce turbamento, con così profonda gioia, che non levò gli occhi neppure quando il Vicerè si fu allontanato; e forse non se ne avvide.
L’attenzione di tutti era così intensa alla novità di quella invenzione, che nessuno poteva udire e accorgersi di quanto avveniva accanto a sè. Soltanto donna Eufrosina guardava senza vedere; perchè il suo spirito era preso, trascinato altrove, senza che ella sapesse o potesse dominarlo.
Il signor Marcantonio, chinatosi verso di lei, a bassa voce, ma con un fremito di passione, le mormorava:
- Signora donna Eufrosina, non vi ho qui condotta a caso, ma per potervi aprire l’animo mio... Avete dovuto bene accorgervi che io sono pienamente vinto, affascinato dalla vostra bellezza, e che nulla mi sarebbe più caro, che di essere il vostro schiavo...
- Eccellenza! – balbettò donna Eufrosina che si sentiva battere il cuore violentemente.
- Non dite «eccellenza» – pregò il signor Marcantonio; – io sono il Vicerè per gli altri, ma per voi sono un uomo che vi prega, vi supplica di tenerlo per vostro...
Ella non sapeva che fare. Avrebbe voluto rientrare, ma le pareva di commettere una mancanza di riguardo; quelle parole la turbavano; provava una sensazione penosa, nella quale entravano il pudore, il sentimento del dovere, le convenienze, ma sentiva anche un gran piacere, e un gran desiderio di udire quel linguaggio appassionato in bocca di un uomo di cui tutti avevano soggezione.
Pure, pensando al suo stato, pensando alla sua riputazione ancora immacolata, cercò di prendere un contegno freddo e riserbato, e rispose:
- Vostra Eccellenza, perdoni, ma non sta bene che…
Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1563, al tempo del vicerè Marco Antonio Colonna.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930.
Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
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