mercoledì 31 ottobre 2018

Luigi Natoli: I morti

Novembre comincia con una mesta cerimonia: il 2 si commemorano i defunti. I cimiteri sono affollati di gente che va a deporre fiori, ad accendere candele e lampade, e a pregare sulle tombe dei propri cari. 
Quanti dolori sopiti non si ridestano? Quali rimpianti non ci amareggiano? Quanti affetti non si rinnovano? Beato chi morendo lascia di sé una buona memoria! 
Ma non tutte le tombe hanno questo tributo di affetto: molte sono abbandonate; e quelle dei poveri sono senza fiori. E lassù, dove si è combattuta la grande guerra, migliaia e migliaia di sepolture sparse per le Alpi non hanno le lagrime dei parenti. 
Volgiamo un pensiero a loro, che la vita offersero per riscattare le terre oppresse dallo straniero, e onoriamone la memoria, consacrando le opere nostre alla grandezza della Patria. E diamo fiori alle povere sepolture abbandonate. Chi sa che le anime di quelli che vi giacciono, non provino gioia di questo pietoso ricordo?

Luigi Natoli 

Luigi Natoli: I cosi d'i morti

Un'usanza, specialmente palermitana, è quella di far trovare ai bambini e ai fanciulli giocattoli e chicche la mattina del 2 novembre: giocattoli e chicche, che si dicono portati misteriosamente dai morti durante la notte. 
E' quello che si fa altrove per la Befana o per la "strina"... Quando e come sia nata quest'usanza non si sa; ma dura da secoli. I fanciulli si mandano presto a letto, perchè altrimenti "i morti" verrebbero a grattar loro i piedi; e si addormentano nella speranza di trovare la mattina tante belle cose. Essi sanno che i morti entrano di sotto le fessure delle porte, dicendo: "Omu sugnu e furmicula diventu" ma non si domandano mai come potrebbero far passare, di sotto le fessure, giocattoli grandi e grossi. 
All'alba si svegliano e cominciano la ricerca. Ma i morti qualche volta son burloni; e invece di far trovare carrettini, altarini, sciabole, bambole e che so io, nascondono sotto un letto o dentro un armadio un vassoio pieno di pezzi di carbone, bucce di castagne, stracci. Ah! la delusione e le lagrime!... Ma poi i doni si trovano in altro sito. Per le bimbe ci son bambole, vestitini, mobilucci per la casa della bambola, cofanetti con l'occorrente pei lavori d'ago; pei maschietti altarini, schioppetti, sciabole, cavallucci, carrettini; per tutti, poi, dolciumi. E che festa allora! e che benedizioni ai morti!
E in ogni casa, per povera che sia, i cosi d'i morti non mancano; perchè i morti son buoni e pensano sempre ai figli e ai nipotini vivi, e vogliono essere ricordati. 

Luigi Natoli
Nella foto: Giocattoli d'epoca, esposti al Museo Pitrè di Palermo. 

venerdì 26 ottobre 2018

Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano

Un nuovo volume si aggiunge ai ventidue della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli: LA DAMA TRAGICA.
Uno dei più appassionanti romanzi del grande scrittore e storiografo palermitano, che ci riporta nella Palermo del 1580, alla corte del vicerè Marco Antonio Colonna, corte ricca di intrighi e di amori, dove protagonista è la bellissima donna Eufrosina Corbera...
Nella versione originale, pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930. 
Pagine 604 - Prezzo di copertina € 24,00
A breve, disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online, oltre che dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

mercoledì 10 ottobre 2018

Luigi Natoli: Un matrimonio al Castello di Calattubo. Tratto da: Squarcialupo.

Calattubo, castello e borgo, era in festa: i terrazzani avevano saccheggiato il bosco per ornare di festoni i muri del castello e delle case; erigere archi trionfali, parare la chiesetta.
Da tutte le finestre del castello pendevano tappeti, coperte,  drappi di vivaci colori; da quelle dei miseri tuguri di pietre e fango, poveri cenci, che nella loro stessa povertà rendevano gaio il villaggio, e manifestavano la gioia di quelle anime semplici e selvagge per la festa nuziale. Sul mastio del castello, il signor Giovan Paolo aveva fatto inalberare il suo bianco stendardo, con l’arme in mezzo: tre sbarre d’oro in campo azzurro, e un leone camminante sulla prima sbarra. Raramente lo stendardo aveva ondeggiato sull’alta torre, per cui i terrazzani guardavano con maraviglia e piacere; e il bianco del drappo e l’oro dello scudo e della lancia, in quello sventolio al sole, nel limpido azzurro del cielo di maggio pareva sfolgorassero anch’essi di gioia.
 Era andato lui in persona ad Alcamo, per comperare gioielli nuovi, e invitare i personaggi più cospicui: i giurati, il capitano, i principali signori perché venissero ad assistere alla scrittura dei capitoli, alla stima del corredo e allo scambio degli anelli, che era la prima funzione delle nozze, e che si diceva giurare, iurari, perché i due sposi si davano solennemente promessa. E questo bastava per legarli l’uno all’altro.
Il giorno destinato, cominciarono ad arrivare gli invitati, a cavallo, cavalieri e dame, in ricche vesti, con gran seguito di paggi e palafrenieri e serventi: e ogni arrivo era salutato dalla folla dei villani, con grandi grida di gioia. Il signor Giovan Paolo li accoglieva con soddisfazione: i suoi occhi, il suo volto, i suoi gesti rivelavano la gioia che inondava il cuore, e che invano cercava di dissimulare sotto le cerimonie d’uso.
Il corredo era esposto in una sala al pianterreno. Era nella maggior parte quello portato in dote dalla buona memoria della signora Laura, la madre di Aldonza; che il signor Giovan Paolo aveva conservato religiosamente: ogni capo del corredo era stato valutato e registrato dal notaro venuto da Alcamo. C’erano quattro materassi di lana, alla siracusana, col traversino, di bella stoffa damascata; lenzuoli a tre teli e a due teli, alcuni di tela tessuta nei telai domestici, altri di tela d’Olanda, o, come scrivevano i notari, tela de landa, con frange di seta, o con nodi all’imperatrice, o con frange d’oro e seta bianca e nera alla rimboccatura; guanciali di tela d’Olanda, con nastrini di seta o di damaschino verde con ornamenti di bottoni e intrecciature di filo di seta a tre capi; coperte a rete, o damascate, o lavorate coi fuselli. Poi v’era il padiglione del letto, di seta, e la lettiera di ferro battuto; e l’icona rappresentante la Vergine col bambino fra sant’Agata e santa Cristina protettrici di Palermo. Venivano dopo le casse di noce intagliata, coperte dei bancali, specie di tappezzeria che veniva di Francia o di Catalogna; l’inginocchiatoio, due seggioloni di cuoio, imbellettati con chiodi di bronzo dorato; e poi le vesti di seta, di velluto, di ciambellotto, di damasco; veli, cuffie di tela d’oro e d’argento, berrettelli di velluto, casòle, ossia cordoncini e catenelle da intrecciare fra’ capelli; collane, coralli e pendagli con perle e smeraldi; anelli, vasetti d’argento per le pomate, anforette per gli odori, un piccolo lampadare; e poi confettiere, cioè vassoi per servire confetture, e vasellame di bronzo, e perfino una sella da donna, di quelle che si dicevano sambuodu, imbottite e ricamate di seta e di filo d’oro. Tutto ciò oltre la biancheria personale che aveva capi ricchissimi di trine coi fuselli e col filo tirato, che le dame ammiravano non senza invidia.
Era insomma un vero corredo principesco; e le lodi che se ne facevano gonfiavano di gioia il cuore del signor Giovan Paolo.
Venne l’ora dello scambio degli anelli. Nella grande sala del castello era stato posto un tavolino, al quale sedette il notaro. Allora soltanto comparve Aldonza la cui apparizione suscitò un fremito di ammirazione. Essa era adorabilmente bella, in un vestito color roseo che le serrava il busto, e le scendeva in grandi pieghe e con in capo una cuffietta di tela d’oro, trattenuta da fili di perle. L’accompagnava il signor Giovan Paolo, e dietro venivano i due paggetti. Un minuto dopo entrò Tristano, accompagnato da Giovan Luca Squarcialupo. Egli destò la curiosità delle donne, che lo giudicarono un bel giovane. Il notaro lesse i capitoli: i due giovani si scambiarono l’anello, fra gli evviva degli invitati. Aldonza era rossa di pudore e di piacere; il signor Giovan Paolo si sentiva soffocare: aveva gli occhi umidi di lagrime e balbettava parole incoerenti. Tristano era raggiante e non credeva ancora ai suoi occhi. Sorrideva ad Aldonza, e stringeva la mano a Giovan Luca, al quale attribuiva l’aver persuaso il barone, e di dovere la sua felicità. 
Il matrimonio, che era il secondo atto degli sponsali e si diceva ‘nguaggiu, si celebrò nella chiesetta del borgo il domani mattina. Tre colpi di archibugio diedero il segno che la cavalcata nuziale usciva dal castello. Precedevano due arcieri armati per far largo, ai quali seguivano i musici con viole d’amore, guideme, violini, flauti; e cantori che si alternavano; e dietro a essi alcuni paggi; indi la sposa su un cavallo bianco bardato, fra il padre e il castellano di Alcamo... 


Luigi Natoli: Squarcialupo.
Nella versione originale pubblicata a puntate per la prima ed unica volta in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Raccolto e pubblicato in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: Sogno d'amore al Castello di Calattubo. Tratto da: Squarcialupo

O come scorrevano dolci i giorni nel castello di Calattubo, che pareva remoto ed estraneo a quanto accadeva nel regno! Tristano e Aldonza vivevano come in un sogno; la felicità che era sembrata loro così lontana, della quale anzi disperavano, era venuta improvvisamente inaspettata, e li aveva abbagliati e inebriati. Il mondo che pur viveva intorno a loro, pareva avvolto in una nube impenetrabile che lo nascondeva ai loro occhi. Non ne avevano nessuna sensazione.
Il signor Giovan Paolo pareva che un incantesimo l’avesse mutato; era diventato ciarliero e irrequieto come un fanciullo: andava, veniva, si prendeva cura di ogni cosa, faceva ripulire il castello, diceva che bisognava abbellirlo, disegnava con la parola e col gesto i mutamenti che voleva introdurvi; avrebbe chiamato l’architetto di Roma, quello stesso che aveva curato la fabbrica della chiesa dell’Annunziata; pensava di andare a Messina e a Catania per acquistare certa seta, da rinnovare padiglioni e tappezzerie. Anche il borgo voleva migliorare. Quelle povere case dei villani, di rozza pietra e di fango, voleva che fossero migliorate, intonacate di dentro e coi soffitti di tavole; e voleva dotare il borgo di una fontana. La chiesa, poi! dal momento che Aldonza vi aveva celebrate le nozze, la chiesa erasi nobilitata, e bisognava che portasse il segno della sua nobiltà: ordinerebbe a mastro Antonio di Domenico Gagini una statua della Madonna, da ornarne l’altare. E non si arrestava a questo ma voleva dotarla di altri paramenti. Quanto ai suoi figli, parlava di acquistar altre terre, per lasciare un patrimonio più vistoso al nipote che egli ora aspettava.
Il nipote! Ecco il pensiero fisso che dominava e guidava ora la vita del già testardo e intrattabile barone; e gli inteneriva il cuore: il nipote, una nuova generazione, sangue di sua figlia, che era sangue suo. Lo aspettava con impazienza; e doveva essere un maschio, che doveva chiamarsi Giovan Paolo, come lui. E l’avrebbe educato lui: cavallo, spada, balestra, anche l’archibugio, un giovane forte, valente, coraggioso. Precorreva i tempi; e in questa aspettazione puerile, colmava di tenere premure la figlia, ed abbondava di manifestazioni di simpatia Tristano, del quale non era più geloso. Non poteva però dire di amarlo. Ancora no, non lo amava; ma ne aveva cura, lo trattava con riguardo, lo carezzava, perché era proprio lui che doveva fargli avere il piccolo erede. Era necessario. Il signor Giovan Paolo aspettava che gli annunciasse il grande evento; e ogni mattina lo guardava negli occhi per leggergli la notizia.
Aldonza era felice; e quel che aumentava la sua felicità era il mutamento radicale avvenuto nel padre. Abituata a vederlo sempre burbero, nero, ostinato nelle sue idee, geloso di tutto e di tutti, ora a quella trasformazione si stupiva; ma nel tempo stesso si sentiva l’animo pieno di gioia. Tra l’amore del padre e quello di Tristano, che cosa poteva desiderare di più?
Chi però qualche volta vedeva una nube offuscargli la felicità era Tristano.
Gli rincresceva quella vita a carico del suocero, che non gli permetteva nessuna spesa; gli pareva come un viver da parassita, e gli toglieva una certa libertà di disporre secondo la sua volontà. Egli occupava parte delle sue giornate alla caccia, che allora in quei boschi abbondava: e vi conduceva talvolta Aldonza, che a errare pei boschi, a cavallo, armata anch’essa, provava una grande gioia. Una volta li accompagnò anche il signor Giovan Paolo.
Erano, oltre i servi, i soli compagni. Giovan Luca era partito, e aveva condotto con sé mastro Piededipapera. Giovan Luca non poteva relegarsi in quel castello; aveva la mente piena di idee, alcune delle quali confidate a Tristano. Egli non poteva acquetarsi all’idea che quel movimento da lui immaginato come l’inizio della liberazione dell’isola, fosse finito con la cacciata del vicerè Moncada; e che nobili e plebei si fossero così pacificamente sottomessi al luogotenente duca di Monteleone, più temibile di quello perché il Moncada era violento e non celava i suoi atti; il duca invece mostrava un viso benigno e modi concilianti, che celavano l’insidia. E avrebbe stretto più solidamente le catene della servitù. Non era venuto per governare con giustizia, e sanare le piaghe aperte dal vicerè Moncada, ma per fare le vendette del re, e opprimere il regno. No; egli, Giovan Luca, non poteva restarsene inoperoso.
Quanto a Piededipapera aveva dichiarato che non si poteva vedere fra quei villani, che non avevano scarpe da rattoppare, perché portavano “zampitti”. Egli era nato cittadino, avvezzo a camminare nelle vie lastricate o acciottolate di Palermo, tra i bei palazzi, le belle chiese, i mercati; tra le processioni e gli spettacoli. Dov’era a Calattubo il Senato coi suoi contestabili, i mazzieri, i musici? Dov’era l’arcivescovo con la sua corte? E il vicerè col consiglio, con la Magna Curia, il Patrimonio? E le cavalcate dei cavalieri, e la fiera di Santa Cristina, che sarebbe caduta fra mesi o poco meno? E il mare? Dov’era il mare? No, no; egli fuori della sua città era un pesce fuor d’acqua!...
E così, Giovan Luca e mastro Iacopo se n’erano andati: e la loro partenza aveva lasciato più solo e più silenzioso il castello. Ma quando Tristano sentendo questa solitudine, diventava malinconico, le braccia di Aldonza lo cingevano ed egli allora dimenticava tutto, e riviveva nel suo sogno d’amore. 


Luigi Natoli: Squarcialupo. 
Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
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Luigi Natoli: l'amore di Tristano e Aldonza e il castello di Calattubo. Tratto da: Squarcialupo

Il signor Giovan Paolo, non stimandosi sicuro, aveva pensato di partire per le sue terre, e nascondere Aldonza nel castello di Calattubo; lì, difeso dai suoi vassalli, avrebbe sfidato la collera del vicerè, e intanto avrebbe interessato il Pretore a supplicare il re in favore di lui. Ma la sommossa e la cacciata del vicerè gli fecero mutare avviso; non era necessario affrettarsi: stava a vedere; in ogni caso sarebbe stato sempre in tempo a partire. Ma per ogni buon fine, diede ordini rigorosi perché non si aprisse la porta a nessuno, senza suo ordine; e si munì di tutti i mezzi di difesa, come temesse un assalto o un assedio. Ad Aldonza proibì di affacciarsi o di farsi vedere dalle finestre della strada.
La povera fanciulla passò in tal modo da una prigione all’altra; e questa più grigia della prima: che se nel monastero aveva la compagnia di Anna, sua coetanea, alla quale confidava i suoi piccoli e grandi dolori, ed anche i suoi dolci sogni; qui, nella casa paterna, non vedeva che una vecchia serva paurosa del padrone, e suo padre, muto, fosco, sospettoso, aspro. Ella si chiuse in sé, e cercò la solitudine, per non vedersi intorno quei volti, che le ricordavano quello ostile della badessa di santa Caterina; e le pareva che mozzassero le ali ai suoi sogni.
Perché Aldonza sognava. E che cosa è la vita nel primo fiorire della giovinezza, se non un sogno? Il sogno di Aldonza era Tristano. 
Ella si vedeva in un tempo e in un paese indefiniti, trasformata in una di quelle eroine delle fiabe, armata, cavalcare in groppa a Tristano; soli, per boschi folti, che somigliavano a quelli che coprivano i colli intorno ad Alcamo, da lei attraversati una volta, da bambina, recandosi nel castello di Calattubo: come quelli, più di quelli, anzi, pieni di sussurri, di ombre, di misteri. E non finivano mai. Poi guadavano fiumi color d’argento, che serpeggiavano attraverso i boschi, senza far rumore. E di nuovo riprendevano la via attraverso il bosco. Incontravano un vecchio, con la barba lunga fino ai ginocchi, che indicava loro il cammino; e li avvertiva che più in là avrebbero trovato un altro più vecchio di lui, e cammina cammina giungevano a quest’altro vecchio, la barba del quale giungeva ai polpacci: e questo li avviava a un terzo vecchio, ancor più vecchio, che diceva: – “Andate più innanzi, troverete un castello, dove vorrete riposare: ma ve lo impediranno ostacoli grandissimi: voi li supererete, se avrete coraggio. Eccovi questo anello: quando uscirete dal bosco, contate sette lucertole: alla settima fregatelo sul pomo della spada e attendete”. E così fecero. Ed ecco, appena fregato l’anello apparire una fata, bella e bionda; e istruirli. E cammina cammina: vedono il castello. C’è un ponte per entrarvi, ma la testa del ponte è difesa da un drago che vomita fiamme e atterrisce il cavallo. Tristano, seguendo le istruzioni, uccide il drago, gli recide la testa e la getta nel fossato; poi intride i piedi nel sangue del drago; e fa intridere anche quelli di Aldonza. Maraviglia! Le suole diventano di ferro, e così possono attraversare il ponte che è coperto di chiodi irti e acuti. Passato il ponte, sulla porta del castello ci sono schierati sette cavalieri armati, e bisogna combattere e vincerli a uno a uno, colpendoli nella gorgiera. E Tristano li vince: e ognuno che è toccato nella gorgiera, manda un grande urlo e si precipita nel fossato. Dopo abbattuto il settimo cavaliere, la seconda porta del castello si apre; e si vedono paggi e valletti, vestiti di seta, render loro omaggio, aiutarli a scendere di cavallo, accompagnarli allo scalone. Che scalone! Tutto di pietre preziose che scintillavano da accecarne! E le stanze? Marmi preziosi, oro, argento, smeraldi e rubini, una maraviglia! Poi entrano nella camera, dove c’è un letto grande, tutto d’oro massiccio, con cortine di seta e tela d’oro. Vi sono delle ancelle graziosissime, alcune delle quali si avvicinano con grandi inchini, per spogliarla e metterla a letto. Allora essa si schermisce. Spogliarsi dinanzi agli occhi di Tristano? Una vampa di pudore le sale al volto... E si svegliò agitata e commossa.
Il castello di Calattubo si trovava nel territorio di Alcamo. Ma quel viaggio non era stato fortunato, come Tristano sperava. Egli non potè penetrare nel castello, perché l’ingresso gli fu vietato. Il ponte levatoio si mantenne sempre levato; e quell’orso del barone scambiò poche parole affacciandosi fra’ merli della torre, con Tristano che stava di qua dal fosso. E non fu possibile neppure di veder da lontano Aldonza: perché probabilmente il barone la custodiva in stanze che davano nella corte. Viaggio vano e triste! 


Luigi Natoli: Squarcialupo.
Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Edito in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti vendita online.
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lunedì 1 ottobre 2018

Luigi Natoli e la chiesa di San Ciro. Tratto da: Calvello il bastardo.

Le grotte di Santo Ciro, così dette da una piccola chiesetta, si aprono sulle falde del monte Grifone; più oltre degli avanzi dell’antico castello di Favara, comunemente detto, dall’ampiezza del laghetto (l’antica peschiera), Maredolce. Ossa di fossili antidiluviani, scambiati dai facili eruditi del cinquecento per ossa di giganti, fecero ritenere le grotte abitazioni di una gente favolosa e questa gente, primi fondatori di Palermo. Grifone anzi sarebbe stato uno di questi giganti leggendari.
Una volta all’anno, il 15 di agosto, per la festa dell’Assunta, quelle contrade si popolavano; una processione, alla quale partecipava dapprima anche il vicerè e l’alto clero, si recava per antica consuetudine a Maredolce; e naturalmente vi chiamava tutti i cittadini, assai amanti, per altro, di svaghi e di scampagnate. Ma fuori di quel giorno, la contrada, come tutte le campagne in quell’epoca, era deserta e abbandonata, e la stessa festa andava a poco a poco spegnendosi.
Pietro percorse la distanza, di poche miglia, in mezz’ora forse, ma non trovò alcuno alle grotte. Sedette sopra un sasso e aspettò.
La mattinata era grigia; nebbiosa; giù verso il mare il sole, celato fra le nebbie, rompeva in strisce bianche e ineguali, che facevano apparire le onde di un colore biancastro. Lontano, fra gli alberi nereggiavano i tetti dei villaggi, distesi fra il mare e il monte; e da destra si prolungava sul golfo il capo Zafferano, simile a un berretto scozzese, alle cui falde biancheggiavano altri villaggi pescherecci.
Una scena ampia, della quale Pietro non intendeva la bellezza; ma sentiva l’oppressione della silenziosa e squallida solitudine, in quell’attesa così grave di pensieri e di tristezze. Udì un calpestìo pel terreno sassoso. Levò il capo e mandò un gridò di gioia.
Corrado veniva, traendosi il cavallo per la briglia, con la carabina ad armacollo; lo seguiva un uomo: Angelo Sicco…



Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano. 
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913. 
Pagine 855 - Prezzo di copertina € 25,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.

Luigi Natoli: la Chiesa di Casa Professa. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891

Casa Professa - interno
Chiesa di Casa Professa, (P.5, E.3) dei padri Gesuiti. Questa chiesa veramente magnifica, per quanto barocca, fu cominciata a costruire nel 1554 e compiuta nel 1630, occupando l’area di una chiesetta dedicata a S. Filippo d’Argirò, di cui si ha notizia fin dall’884, di una chiesa fondata nel 1072 da Roberto Guiscardo in onore della Madonna della Grotta e di una Cappella ai SS. Cosmo e Damiano, che i Gesuiti aggregaronsi nel 1604. La chiesa è ricca di marmi e di pietre dure, di stucchi e di rilievi, che rivestono tutte le pareti e i pilastri in modo da sorprendere il visitatore. È a croce latina ed a tre grandi navate su pilastri. Gli affreschi della volta sono di Filippo Randazzo, quelli della cupola del cav. Senario, quelli della cupoletta dell’altare di S.Anna del Novelli; gli stucchi in parte di Giacomo Serpotta. Nella terza cappella della nave di destra vi sono due tele di Pietro Novelli: San Filippo d’Argirò che esorcizza un energumeno, di grande valore, e San Paolo Eremita. Nella quarta cappella i quadri dell’Annunziata e della circoncisione si vogliono dipinti da Rosalia Novelli, figlia del grande pittore. Nelle due cappelle del T i quattro quadri di storia sacra sono di Giacomo Lo Verde, trapanese. Nella cappella di sinistra, sono notevoli una Santa Rosalia e una Santa Agata del Lo Verde, e un San Francesco Saverio di Pietro d’Asaro. I gruppi marmorei, dentro nicchie, che fiancheggiano la Sagrestia sono del Vitaliano; del quale sono pure i leoni e i putti laterali alla porta maggiore; i due angeli sono però del Marabitti. Sotto la chiesa è una cripta, che la leggenda dice essere stata abitata da S. Calogero. Il campanile della Chiesa è posto sopra una torre di bello stile del secolo XV, addossate a un piccolo chiostro della stessa epoca, i quali sono visibili dalla prossima piazza dei SS. Quaranta Martiri.
Nella via S. Michele Arcangelo a sinistra della chiesa si trova la….


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891. Nell'unica versione originale pubblicata dall'editore Clausen nel 1891 in occasione dell'Esposizione Nazionale. 
Prezzo di copertina € 19,00. Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891

In occasione dell'Esposizione Nazionale tenutasi a Palermo nel 1891, Luigi Natoli scriveva per l'editore Carlo Clausen una guida della città capoluogo di Sicilia. Il libretto era stato concepito in funzione dei tanti visitatori che l'evento avrebbe portato, con l'intenzione di accogliere i viaggiatori fin dal loro arrivo in città, fornendo tutte le "indicazioni utili" per il soggiorno. Ma il grande Luigi Natoli non poteva far a meno di guidare i visitatori nella sua amata Palermo, con l'immenso amore da sempre riservato a questa città...

In questa ristampa, noi editori, abbiamo fedelmente rispettato il testo e inserito le stesse immagini che corredavano il libretto originale, riportando anche tutti gli inserti pubblicitari in appendice, che danno al lettore di oggi l'idea di un secolo glorioso tramontato con tante aspettative di progresso sull'imminente 1900, ed inserendo, così come nella edizione Clausen, la cartina della città di Palermo nel 1891 in formato B4.   Ma sempre su tutto, e in ogni caso, si potrà apprezzare la grande sapienza narrativa dell'Autore, con le sue innumerevoli spiegazioni: Luigi Natoli, una Guida di gran lusso, che ci siamo permessi di raffigurare in copertina. 
Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891. Nell'unica versione originale pubblicata dall'editore Carlo Clausen nel 1891 in occasione dell'Esposizione Nazionale. 
Disegno in copertina di Niccolò Pizzorno.
Prezzo di copertina € 19,00. Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it