lunedì 27 settembre 2021

Si aggiunge il trentaduesimo volume alla Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli: Viva l'Imperatore!

Ed ecco il trentaduesimo volume della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli edita I Buoni Cugini editori, nonchè ventitreesimo romanzo storico... Viva L'Imperatore! 
Ben 129 puntate pubblicate in appendice al Giornale di Sicilia, dal 29 gennaio 1925 al 13 luglio dello stesso anno, fedelmente trascritte, danno vita al volume di 527 pagine, impreziosito dalla bellissima copertina di Niccolò Pizzorno. 
Luigi Natoli, conosciuto anche con lo pseudonimo di William Galt, nonostante sia stato un fecondo letterato, storico, drammaturgo, brillante conferenziere e altro ancora è celebre al grande pubblico grazie al suo romanzo I Beati Paoli. L'opera, apparsa a puntate giornaliere in appendice al Giornale di Sicilia tra il 1909 e il 1910, creò nei lettori una sorta di aspettazione e dipendenza che accrebbe, soprattutto a Palermo, la fama dello scrittore. Conscio di questo e ubbidendo anche a delle necessità economiche, Natoli pubblicò quasi tutti i suoi romanzi in appendice al quotidiano della città, divenendo per molti anni il beniamino dei lettori. Appare chiaro che, quando il grande letterato all'età di settantadue anni si apprestò a pubblicare un nuovo attesissimo romanzo, il Giornale di Sicilia diede ampio risalto all'evento accrescendo così il desiderio della comunità. Infatti, a partire dall'11 gennaio 1925 e fino al 29 dello stesso mese, per ogni giorno, il Giornale reclamizzava "la pubblicazione in appendice dell'interessantissimo romanzo storico di William Galt: VIVA L'IMPERATORE!" e lo faceva con queste parole ridondanti che si riportano per intero

VIVA L'IMPERATORE!


è fra' romanzi di William Galt il più ricco di avventure. Con Federico II si chiude il tempo della cavalleria: i suoi poeti si possono considerare come gli ultimi trovatori: e, però il romanzo ha un suo non so che, che lo avvicina ai romanzi cavallereschi. Amori, audaci imprese, cortesie e crudeltà si intrecciano con una varietà mirabile e attraente, aumentando l'interesse del lettore. 

VIVA L'IMPERATORE!

con questo nuovo romanzo William Galt viene illustrando un altro periodo della nostra storia, seguendo un suo disegno. VIVA L'IMPERATORE! si inserisce fra GLI ULTIMI SARACENI IL VESPRO SICILIANO: è l'epoca di Federico II. Quando, come ha in animo, avrà illustrato la conquista araba e poi la normanna; e, risalendo più in su; la Sicilia Greca, la romana e la bisantina; e infine, per chiudere il ciclo, la Sicilia del primo ventennio del XIX secolo; egli potrà dire di avere illustrato tutta la storia di Sicilia; e allora, vista nel suo complesso e ordinata cronologicamente, apparirà quest'opera sua veramente monumentale e prodigiosa. 

VIVA L'IMPERATORE!

Rinaldo del Landro, Vanna, madonna Elena, madonna Eufemia, messer Paganello, Gualtiero di Urziliana, prete Matteo, prete Demetrio, l'Imperatore Federico, papa Gregorio IX, frati, suore, ed altri ed altri... Quanti personaggi in questo nuovo romanzo di William Galt! 

VIVA L'IMPERATORE!

è destinato a un grande successo! 

Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

sabato 25 settembre 2021

Luigi Natoli nella parte del professore destituito Mauro Valdipena ne L'ironia della gloria: una commedia dal sapore autobiografico.

Ma sai tu perché questa inchiesta? Perché un professore farabutto che avevo smascherato, denunciò al Ministero che io durante l’anno scolastico non avevo fatto nulla a scuola… E quell’ispettore, che probabilmente aveva ricevuto l’imbeccata, si scandolezzò perché io avevo assegnato soltanto sedici temi di componimento invece di diciotto, quanti avrebbero dovuto essere; e mostrò un grande orrore nel constatare che non usavo segnar gli errori con la matita azzurra!... Una cosa che gli avrebbe fatto drizzare i capelli, se li avesse avuti!... Io gli dissi che non davo alcun valore a quei segni inutili, e che non trovavo alcuna relazione fra i segni azzurri e la mia capacità intellettuale e professionale. Egli mi diede dell’ignorante; e io, naturalmente, gli detti del cretino… E non mentivo!... Al vedersi riconosciuto, l’ispettore montò in bestia: mi intimò di uscire: io persi la pazienza, e gli tirai il calamaio in faccia… Ma me ne son doluto, poi… 
Mi son doluto di avere sciupato sopra un imbecille tanto inchiostro, col quale si sarebbero potuto scrivere bellissime cose. 
Lavorerò: vivrò del mio lavoro; del lavoro che amo, e pel quale son noto. Ho dati troppi anni al Ministero; i più belli, i più vigorosi; gli ho dato probabilmente il mio avvenire; perché sballottato di qua e di là, per paesetti dove non trovi neppur un libro, son diventato un vero ignorante; e perché nell’insegnamento mi sono incanaglito e ho spenta la mia fantasia. Ora voglio un po’ rifarmi; voglio rivivere i miei sogni… 
La lontananza dai centri di cultura, e la scuola mi han costretto a un lungo silenzio, nel quale sono stato dimenticato… Ora sono apparso come un uomo nuovo, a quarantasei anni, in mezzo ai giovani che han fretta di farsi innanzi, e che ti guardano con diffidenza o con compassione. Scrivo perché ho bisogno di dare una espressione ai fantasmi che mi si affollano nel cervello. E non sono io che li chiamo, vengon da sé, e picchian forte per uscire rivestiti di forme… E poi son quelli i momenti in cui godo: perchè vivo la vita delle mie creature, mi caccio nelle loro avventure, piango, rido, amo, odio con loro… e dimentico la realtà che mi circonda con tutte le sue miserie. Parlo con te, che intendi questi misteri dello spirito…


L'ironia della gloria (commedia in tre atti) fa parte di Cappa di PiomboOpera inedita che raccoglie tutte le opere teatrali in italiano, mai pubblicate prima ad esclusione de “Il conte di Geraci”. Un’ampia premessa dell’editore spiega il lavoro di ricostruzione dell’opera, costruita e fedelmente copiata dai manoscritti dell’autore.
Il volume comprende:
Il conte di Geraci - scene medievali in due atti
Cappa di Piombo - commedia in tre atti
L’ironia della Gloria - commedia in tre atti
Quannu curri la sditta! - sceni di vita paisana, commedia in quattro atti
Il numero 570 - scene drammatiche in due atti
Pagine 312 – Prezzo di copertina € 21,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti gli store online.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15)

 


giovedì 23 settembre 2021

Luigi Natoli: Re Martino e il cavaliere dal cuore sanguinante. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca

 
Allora squillarono più alto le trombe, e improvvisamente, fra gli applausi della moltitudine, entrò nell’arena il re, sfolgorante nelle armi, con la visiera alzata, la sciarpa tricolore alla cintura, la lancia sulla coscia. Il suo cavallo veniva col passo largo, battendo le zampe con superbo fragore, facendo ondeggiare la gualdrappa purpurea, guarnita di ricami d’oro, e squassando la criniera arricciata, e ornata di nappe di seta.
Il re era bello. La giovinezza e la maestà si fondevano sul suo volto; l’ardire e il desiderio di gloria brillavano nei suoi occhi.
Entrando nell’arena, i suoi occhi corsero alla loggia reale, dove la regina lo seguiva trepidando e commossa di piacere, di gioia, di orgoglio, di amore.
Preceduto dagli araldi, seguito da scudieri, Martino cavalcò di trotto per l’arena, percotendo l’arma di messer Sancho de Lihori, che s’era mostrato il migliore cavaliere, e pareva dovesse essere il trionfatore del torneo.
Era una distinzione onorifica che il re concedeva al prode catalano, da lui elevato alla dignità di grande almirante, e riserbato ad altri e più lucrosi benefizi.
Per tutto il teatro corse un palpito di trepidazione, quando i due cavalieri, abbassate le lance, corsero l’uno contro l’altro. L’incontro parve terribile; le lance, arrestatesi violentemente alla goletta, si spezzarono, senza che nessuno dei due cavalieri avesse dato segno di vacillare. Essi parvero fusi in un pezzo coi loro cavalli.
Spezzarono così tre lance per uno; ma alla terza, messer Sancho de Lihori si piegò alquanto indietro sull’arcione, senza per questo uscire dagli arcioni. Bastava.
Da abile cortigiano, egli smontò dal cavallo, e inginocchiatosi dinanzi al re, gli porse la sua spada.
Allora da tutta quella folla si levò una vera tempesta di applausi e di evviva al re.
Quello spettacolo empiva di maraviglia il paggio Esteban; e la sua attenzione in quel momento era attirata da quello stendardo nero e da quel palvese lugubre, che finora erano rimasti soli, intatti, tristi, come fossero stati un segno di morte. Egli e mastro Cecco di Naro, nell’entusiasmo generale, erano i soli che guardavano quello stendardo, sebbene l’uno con una intenzione diversa dall’altro. Mastro Cecco era accigliato, e sotto l’aspetto torbido, nascondeva la sua inquietitudine; Esteban era soltanto stupito, non sapendo spiegarsi che cosa significasse; ma ecco a un tratto balzar fuori sull’arena un nuovo cavaliere, e portando alla bocca un corno, soffiandovi forte, alla maniera antica.
Tutti si voltarono.
Il cavaliere lasciato cadere il corno al suo fianco, abbassò rapidamente la visiera, e alzò in aria la lancia.
Nere le piume ondeggiavano sul cimiero; nera la veste, nera una grande sciarpa che gli cingeva i fianchi: la bordatura e la gualdrappa del suo cavallo erano anch’esse nere. Soltanto sullo scudo aveva il cuor sanguinante attraversato dalla banda nera.
Lo scudiero che gli portava dietro le lance di ricambio, era anch’esso vestito di nero.
Un fremito di stupore e quasi di terrore percorse le logge e le gradinate. Quell’apparizione aveva qualcosa di fantastico, di misterioso, di superumano.
Esteban rabbrividì: Giaimo aggrottò le sopracciglia e non trovò la facezia; Tarsia sentì il cuore batterle con violenza; la Regina Bianca impallidì.
Solo mastro Cecco di Naro mandò un sospiro di soddisfazione:
- Finalmente!
A quel primo senso di stupore, tenne dietro quasi subito un movimento di curiosità:
- Chi è? chi è?
Ma non trovarono altra risposta che quella dipinta sotto il palvese: il cavaliere dal cuor sanguinante...


Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.
È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
Per qualsiasi informazione: ibuonicugini@libero.it – Cell. 3457416697 – Whatsapp 3894697296
Le librerie possono acquistare contattandoci alla mail oppure possono rivolgersi al nostro distributore Centro Libri (Brescia)

martedì 21 settembre 2021

Luigi Natoli: Le teorie sulla medicina del Conte di Cagliostro. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure.

 
Le malattie son dentro; s’annidano nelle viscere, nel sangue, nei nervi, in tutto quello che è celato ai nostri occhi, e di cui non possiamo avere la visione precisa. Ma l’anima di chi è ammalato vede e sa dove il corpo è ammalato e di che; bisogna dunque, più che l’invisibile del corpo, leggere nell’anima, domandare all’anima la sede delle sofferenze, ricercare nel suo muto linguaggio la rivelazione di ciò che è celato ai nostri sensi limitati. 
Questo io facevo. Mi bastava guardare fisso negli occhi l’ammalato perché una luce si facesse nella mia mente, e io vedessi il suo male, e acquistassi la sicurezza di vincerlo. Questa sicurezza passava dal mio spirito in quello dell’ammalato: egli se ne andava con la medicina da me somministrata, pienamente certo di guarire. 
Ho detto che io somministravo le medicine; di fatto io non davo le ricette scritte; poiché queste costituivano già un segreto, non era conveniente né utile metterle in mano di uno speziale, che avrebbe potuto servirsene per fabbricare specifici a suo benefizio: i quali, oltre al danno materiale, me ne avrebbero recato uno morale molto maggiore, giacchè somministrati a caso, senza conoscer veramente la natura del male, cui io adottavo la medicina, avrebbero con l’insuccesso e anche, forse, con la morte, messo in discredito i miei rimedi e me. Io mi provvedevo delle erbe, degli estratti, delle polveri, di tutto ciò che era necessario; fabbrica­vo da me, coi processi alchimici l’olio di zucchero; componevo le me­dicine, in forma di beveraggi o di pillole, la cui formula, per ciò, rimaneva un mio segreto. Il che per altro ne aumentava il valore. Se la gente avesse saputo che, per esempio, in quelle pillole mira­colose c’entrava della polvere di radici di cicoria, di indivia, di calcitropia,  o anice o aloe, o altre cose così semplici e di niun costo, avrebbe perduto la fede nella mia medicina, e l’avrebbe disprezzata. Il mistero del segreto invece le dava maggior credito e mi permetteva di farla pagare ai ricchi un prezzo veramente favoloso. I ricchi pagavano pei veramente poveri, ai quali som­ministravo gratuitamente i medicinali. 
A nessuno domandavo un compen­so per le mie visite. Naturalmente i veri poveri rimuneravano la mia gene­rosità con benedizioni sincere; i bor­ghesi, per la natural albagia spagnola, non volendo parere ingrati o pitocchi, mi ricambiavano con regali  di polli, salsicce, formaggi, vini, stoffe, sicchè non spendevo più nulla per il mio vitto quotidiano; i ricchi, i signori, si di­sobbligavano magnificamente con regali di gioielli e di argenteria. Nella preparazione dei medicinali non mi facevo aiutare da nessuno, sal­vo che un po’ da Lorenza. Io li preparavo di notte. 
Io non avevo bisogno di interrogare gli ammalati per capire qual fosse la loro malattia; se rivolgevo qualche domanda era per seguir l’usanza dei medici, e per dare una soddisfazione agli ammalati stessi: ma in verità mi bastava guardarli fissi, perché la natura delle loro sofferenze mi si rivelava come in un libro. Era una specie di divinazione, che stupiva anche me stesso. Così non sentivo il bisogno di ricorrere a medicine: invocavo l’ispirazione del cielo, imponevo le mani sul capo dell’ammalato, gli dicevo: 
- Va tu sei guarito. 
Come avvenisse non so; il fatto è che se ne andavano veramente guariti. Ciò aveva del miracoloso; il popolo diceva che io ero un santo o un mago. Ma un mago non invoca Dio, e non compie opere di carità. Io oltre a guarire i poveri, davo loro dei soccorsi di danaro; dunque ero un santo!... 
Voi non potete immaginare la folla che assediava la mia casa; empiva l’ingresso, la corte, il vestibolo, il salone. Centinaia di sventurati privi d’ogni soccorso. Io li ascoltavo a uno a uno, senza perdere una parola; entravo nel laboratorio per un istante e ne ritornavo con una quantità di medicine, che dispensavo, dando a ciascuno la sua e ripetendogli quel che egli aveva riferito del suo male. La mia memoria era veramente prodigiosa. 
Donde e come nascesse non so, ma ero animato da uno spirito di carità straordinario. A una povera donna, venuta a implorare il mio soccorso, perché aveva il marito in prigione per debiti, diedi il denaro per liberarlo. Questo e altri fatti simili e la mia generosità verso gli ammalati poveri, rialzarono la mia figura e davano un prestigio d’evangelo alle mie parole; cosicchè il mio apostolato per diffondere la massoneria egiziana, ed essere riconosciuto come il Gran Cofto, trovava un terreno favorevole.



Luigi Natoli:  Cagliostro e le sue avventure – Romanzo storico siciliano ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, narrata dal protagonista come la lettura di un Diario. L’opera, in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 881 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi) 

Luigi Natoli: Le origini del conte di Cagliostro. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure

 
Per restringere la mia parentela, e perchè sappiate che il titolo di Caglio­stro non è meno mio di qualunque al­tro, voglio farvi un breve albero ge­nealogico della mia famiglia.
Anche nella Bibbia e nei Vangeli si comincia con l’albero genealogico. Io non risalgo ad Abramo e Noè, la pa­rentela dei quali per altro non respin­go; ma scendo a tempi assai più vicini.
Carlo Matteo Martello ebbe due fi­glie, una, Maria andò sposa di don Giu­seppe Bracconieri, morto nel 1754; l’altra, Vincenza, si maritò in don Giuseppe Cagliostro di Novara Sicula, e fu la mia buona madrina.
Dal matrimonio di Maria col Brac­conieri nacquero quattro figli, due ma­schi Antonino e Matteo, miei zii, e due femine; Felicia Bracconieri, mia madre, che andò in moglie a don Pie­tro Balsamo, e Maria che fu sposata al signor Filippo Abate di Termini.
Dicono che il mio nonno paterno Antonino Balsamo fosse un libraio molto noto in Palermo. Non so, e non mi importa saperlo. Mio padre era un mercante.
Le nozze di Felicia Bracconieri e di Pietro Balsamo furono feconde di due figliuoli: Giovanna Giuseppa Maria, mia sorella, che poi – a quanto ne ho saputo – si è sposata con un Giovan Battista Capotummino, ed io.
Io nacqui a Palermo, il 2 giugno 1743 nella casa paterna, in un vicolo che allora prendeva il nome da una ce­lebre taverna detta della Perciata, nelle vicinanze dell’ospedale dei frati Benfratelli. Fui battezzato sei giorni dopo alla Cattedrale dal parroco don Diego Mezzopane e fui tenuto a battesimo da don Giovan Battista Barone e dalla zia Vincenza Cagliostro che, non potendo venire personalmente, si fece rappre­sentare per procura.
Nel battesimo ebbi imposti i nomi di Giuseppe, Giovan Battista, Vincen­zo, Pietro, Antonino e Matteo.
Troppi nomi per un uomo solo. I miei mi chiamarono sempre col primo.
Se nel corso della mia vita io assun­si cognomi diversi non c’è dunque da stupirsi. Dal momento che era piaciuto ai miei parenti di caricarmi di tutti quei nomi che io non domandavo, per­chè mai non potevo io concedermi di mia volontà quelli che mi piacevano?
Questi particolari sulla mia nascita risulterebbero dalla fede di battesimo, che fu domandata in occasione del mio matrimonio; ma io ho sempre dato uno scarsissimo valore a questo docu­mento insignificante per la vita di un uomo.
Per un pezzo io stesso credetti di essere nato a Termini o a Messina o a Malta; ma poi mi son persuaso che, per quanto la fede di battesimo assicuri il luogo e la data della mia nascita, è da sciocchi cercare quando o dove la mia personalità abbia avuto origine. Io l’ignoro. Io sono stato sempre e la mia patria è il mondo.



Luigi Natoli:  Cagliostro e le sue avventure – Romanzo storico siciliano ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, narrata dal protagonista come la lettura di un Diario. L’opera, in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 881 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi) 


mercoledì 1 settembre 2021

Luigi Natoli: La morte del prigioniero. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure.

Era morto alle tre del mattino del 26 agosto; e nel pomeriggio lo manda­vano a seppellire. Come eretico e sco­municato, non gli toccava sepoltura cristiana, tanto meno accompagna­mento di prete o lume acceso. E nep­pure una bara.
- Bara? – aveva esclamato con fiero sdegno il governatore Semproni; – un cane di quella specie volete tra­sportarlo in una bara? Se mai, ficcatelo in una cesta, in un sacco e andate a buttarlo dove sia!... È anche trop­po, questo.
Giammaria, sebbene anche lui so­praffatto dall’orrore superstizioso per quella morte fuor del grembo della Chiesa, ebbe nondimeno un senso di pietà. Pregò i quattro inservienti di adagiare il cadavere su quella mezza imposta; cosa che essi fecero perchè tornava loro più comodo.
Così vestito come era, e, per dileg­gio, come aveva ordinato il governato­re, con la barba posticcia in volto, lo portavan dunque a seppellire fuori del castel­lo, fuori della città, sul pendio a occi­dente, fra le due torri di vedetta che sorgevano quasi sul ciglio della collina.
Non un cencio lo copriva. Era uso portare i cadaveri scoperti; ma quello del prigioniero faceva orrore.
La gente, al passaggio del triste corteo, si allontanava con un senso di terrore o di ribrezzo. Qualcuno si se­gnava come per cacciare il demonio: qualcuno più audace, per curiosità, si pose a seguire i seppellitori.
Il caldo era grande, per essere la strada saettata dal sole; e il cammino faticoso, per essere in pendìo, fra le macchie, sasso­so, e con un peso indosso. I seppellitori sudavano.
Giù, presso una delle torri, v’era una osteria, che prendeva nome da un pozzetto lì accanto. I seppellitori si die­dero la voce; deposero la mezza impo­sta col morto sul parapetto del pozzo, ed entrarono nell'osteria a bere, ce­liando.
I curiosi si fermarono a guardare il cadavere di quel prigioniero che era stato oggetto di terrore, e sul cui volto giallo, disfatto, mostruoso con quella barba posticcia, ronzavano e vi posava­no le mosche: guardavano con una va­ga paura, ma soprattutto con curiosità, e con un senso di stupore, non veden­do nulla di straordinario e di terribile in quella miserabile parvenza d’uomo.
I seppellitori, ristoratisi, uscirono, e risollevarono il morto su le spalle, con moto uniforme, ripresero il cammino.
Dovevan seppellirlo sul ciglione, fra le due torri, che si chiamavano il Palazzetto e il Casino, a eguale distanza dall’una e dall’altra. Il punto preciso era stato già segnato.
Ivi giunti, posta per terra l’imposta, due portatori, con zappe e vanghe che avevan portato, scavarono una fossa non molto profonda; indi sollevata la mezza imposta pei quattro angoli, e piantatisi alle estremità della fossa, ve la calarono giù.
Uno dei seppellitori prese un sasso e l’adagiò come un guanciale sotto il capo del prigioniero; e gli distese sul volto un vecchio fazzoletto.
Queste le ultime pie onoranze: poi le vanghe buttarono terra e terra e copersero il corpo, e colmarono la fossa.
Tutti e quattro calcarono coi piè quella terra perché diventasse più compatta; poi se ne andarono zufolando, e dietro a loro i pochi curiosi che li avevano seguiti.
Quello stesso giorno con un corriere straordinario al legato pontificio d’Urbino e al cardinal vicario in Roma monsignor Francesco Saverio Zelada, fu dato annuncio della morte del prigioniero.
Giammaria domandò il favore di essere scelto per andare a Roma; ma il governatore Semproni, per un capriccio, si oppose. Il giovane guardaciurma se ne dolse vivamente, e sembrando il suo, atto di ribellione, ne ebbe la prigionia. Fu peggio. Gli parve che il governatore gli impedisse di far fortuna: gli parve che l’odio che aveva perseguitato il prigioniero, perché voleva arricchire i poveri, ora perseguitasse lui che era sul punto di arricchire: e il suo animo si rivoltò.
Non avendo potuto ottenere l’incarico di andare a Roma, né potendo ottenere una licenza, appena uscito di prigione, Giammaria, col pretesto di far una passeggiata, uscì da San Leo, discese giù nella valle, e a piedi, col manoscritto del prigioniero legato al cinto, prese la strada di Roma.



Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure – Romanzo storico siciliano ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, narrata dal protagonista come la lettura di un Diario.
L’opera, in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
Pagine 881 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: La prigione di San Leo. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure. Romanzo storico

S
an Leo s’adagiava sulla cresta di Montefeltro, colle staccato dalle giogaie dell’Appennino, cinto di valli, arduo a salire, e da una parte tagliato a picco. Sulla vetta più alta, a oriente del borgo, da cui è separata da un pendìo sparso di macchie e di cespugli, si alza la fortezza, che dal lato opposto domina la rupe a picco. Da questo lato, che non ha salita, e dove bisognerebbe aver ali per giungere, la fortezza appare come un insieme di fabbricati massicci, addossati gli uni sugli altri; ma dalla parte del borgo, essa si presenta in un aspetto guerresco, con due grandi torri circolari di qua e di là dalla cortina merlata, e il mastio massiccio in mezzo, difeso da torricelle quadrangolari.
La fortezza o castello era come l’acropoli del vecchio borgo, che, più a valle, era difeso anche da muraglia e da altri fortilizi a tramontana e a occidente, prime sentinelle in difesa dell’inespugnabile castello.
La prigione dell’ “eretico” era nel mastio; era una cella larga tre passi, o poco più, con la volta alta una statura d’uomo e mezza; e una finestretta a quattro palmi dal suolo. Il prigioniero poteva quindi affacciarvisi comodamente e guardare lo spazio libero ed ampio. L’occhio scendeva giù fra le macchie, errava sui tetti e per le strade del borgo sottostante, si fermava a guardare il duomo e l’alta torre; poi scorreva oltre, guardava i due fortilizi, dei quali sapeva già il nome: il Palazzetto e il Casino; e vedeva indi come un taglio, come una grande fenditura, che isolava il monte. Indovinava che in fondo vi correva il fiume: più oltre ne vedeva fra poggi e boscaglie luccicare l’argento delle acque.
E più lontano ancora poggi e colli si succedevano come in uno scenario, degradando in tinte più azzurrine e più sfumate; e sull’orizzonte si disegnava di qua la Carpegna, di là, più in fondo la linea degli Appennini. L’occhio non poteva scorgere che meno della metà dell’orizzonte; ma quanti desideri tormentosi! Fra quei colli, sopra un monte era S. Marino, la piccola repubblica; più oltre, a occidente, lo stato di Toscana; alle sue spalle l’Adriatico. Erano la libertà e la salvezza!...
Il prigioniero era un uomo di una cinquantina d’anni, dai lineamenti energici, ma d’aspetto logoro ed emaciato; la fronte ampia e piana, il naso leggermente curvo all’apice e largo alla base, gli occhi neri, profondi, con un lampeggiare strano fra le ciglia nere e spesse; la mascella quadrata, parevano gli avanzi di una bellezza maschia e dominatrice; simili ai ruderi di un antico nobile edificio, rovinato dalle ingiurie degli uomini e del tempo. A giudicarne dallo spazio occupato nel letto, doveva essere di statura piuttosto bassa; ma aveva l’ossatura delle spalle larga e il petto ampio sebbene scarno. Nell’insieme rivelava una costituzione forte e vigorosa, resistente ancora ai patimenti che ne consumavano la carne e ne scoloravano il sangue. Da quando era entrato nel forte, ed eran quattro anni, dopo un processo laborioso, Giammaria era la prima persona con la quale discorreva; per quattro anni era stato relegato nel silenzio della segreta, guardato con disprezzo e terrore; oggetto di scherni e di crudeltà, contro le quali non poteva reagire. Nessuno doveva parlare con lui; neppure il barbiere, che una volta al mese radeva i prigionieri, non già per igiene o per decenza, ma perché la barba era segno di giacobinismo.
Aveva dovuto infingere una rassegnazione che non sentiva; ma era forse effetto della debolezza fisica, questa che gli pareva forza di rassegnazione.
La condanna era crudele; oltre alla segregazione in quella piccola, fetida, umida segreta, senza altro mobile che un banco di pietra sul quale era disteso uno schifoso pagliericcio; era obbligatorio il digiuno rigoroso per tre giorni della settimana: pane e acqua negli altri, una minestra di legumi nauseabonda le domeniche. La sua salute ne aveva sofferto; i suoi muscoli, la sua carne se ne erano logorati. Egli non poteva sorreggersi con la speranza di una liberazione prossima o lontana che fosse...



Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Romanzo storico ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, narrata dal protagonista in prima persona. L'autore si "immerge" in modo tale nel personaggio da rendere il romanzo un'autobiografia. L’opera, in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. 
Pagine 881 – Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
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