mercoledì 30 novembre 2022

Luigi Natoli: Donna Eufrosina Corbera. Tratto da: La dama tragica. Romanzo storico siciliano.

Era bellissima. Sebbene la moda di quei tempi, con le maniche a sbuffi, col busto serrato, con la gonna larga, togliesse sveltezza e libertà alle forme del corpo ella aveva qualcosa di molle e sottile, come di un candido giglio. I bei capelli castani ondulati e raccolti indietro in trecce, e fermati da un cerchietto d’argento, incorniciavano un volto di pure forme classiche, dolcemente pallido, nel quale gli occhi grandi, neri profondi lucevano in una specie di umidore languido e pieno di mistero e la bocca tumida e corallina pareva aspettasse dolcezze ignote.
La prima cura di donna Eufrosina era di veder se aveva buona cera, indizio di buona salute; la seconda era di farsi bella.
Intanto che ella si guardava nel piccolo specchio, girando il volto da una parte e dall’altra, esaminando le labbra, la lingua, gli occhi; le due schiave preparavano in uno stanzino accanto una ampia tinozza, e la riempivano d’acqua tiepida e di latte e preparavano la pasta di mandorle amare, per ammorbidire la pelle, e l’acqua d’arancio per profumarla, mentre la cameriera disponeva la tavoletta, con gli alberelli per tingere le ciglia, e le cerusse per darsi il bianco; il cinabro per le labbra e per le gote; metteva in ordine i pettini, la cuffietta quadrangolare di velluto, contornata di perle e i cerchietti d’argento per fermare le trecce, le boccole a pendagli di filigrana e perle, e la collana col grosso smeraldo nel mezzo.
Ella parve soddisfatta del primo esame. Una sirena fra le bianche spume delle onde agitate, o Venere seduta nella conchiglia; tale appariva, col busto nudo fuor dell’acqua, con le belle braccia raccolte sui seni perfetti, simili a rosei fiori ancor chiusi. Le due schiave le bagnavan le spalle e petto, e con finissime spugne la stropicciavano, ed ella volgeva ora una spalla, or un fianco, or le braccia; poi si levò in piedi perché le schiave stropicciassero tutte quante le membra; e le due donne, già esperte in quell’ufficio, si affaticarono, con movimenti rapidi e lievi, che producevano in donna Eufrosina dei fremiti lunghi e piacevoli.
E mentre menavan le spugne tutt’intorno, le schiave la adulavano, vantando bellezza di ogni membro, con l’immaginoso linguaggio del loro lontano oriente: il che aggiungeva un altro piacere al primo.
Quel bagno durò più di mezz’ora; ella ne uscì tutta odorosa; e ravvolta in un mantello tiepido. Sedette dinanzi la tavoletta, per lasciarsi pettinare, porgendo intanto ora un piede ora l’altro alle schiave perchè la calzassero, mentre la cameriera le discioglieva i lunghi capelli di un color caldo castano, che la coprivano come un manto.
Durante l’abbigliamento, la cameriera la informava di tutti i pettegolezzi, raccolti nel giorno innanzi e nella serata. Era quella appunto l’ora della cronaca, la quale si occupava di tutto e di tutti.
L’operazione durò quasi un’ora, in capo alla quale la bella dama fu bella e vestita, col busto serrato nella fascetta, il giustacuore di velluto azzurro aperto davanti e allacciato sopra una camicetta bianchissima e finemente ricamata, il cui ampio colletto, ornato di un bel pizzo di Venezia, le cadeva su le spalle e un po’ su le grandi maniche a sbuffi, con risvolti di raso color d’arancio e passamani d’argento; la gonna anch’essa di velluto azzurro, aperta sul davanti, così da lasciar scoperto un largo telo della sottogonna dello stesso raso arancio, ornata di passamani e ricami d’argento.
Ella infatti aveva un sorriso e una parola per tutti e per tutto; accettava le lodi e le volate poetiche di giovani cavalieri non meno esperti a far sonetti petrarcheschi, che a usare le armi; parlava di mode e di spettacoli; stuzzicava, la maldicenza sui piccoli scandali mondani.


Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500 che pone al centro la storia d'amore del vicerè Marco Antonio Colonna con donna Eufrosina Corbera. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale, pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1930. 
Pagine 604 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano (ibuonicuginieditori.it)
Disponibile su tutti gli store di vendita online (Amazon Prime, Feltrinelli, Ibs) e nelle migliori librerie. 


Luigi Natoli: Il signor Galcerano e la nobile famiglia dei Corbera. Tratto da: La dama tragica. Romanzo storico siciliano


Il signor Galcerano era della nobile famiglia dei Corbera; signori di una vasta baronia, che prendeva nome dall’antico castello arabo di Mensil-Sindi, trasmutato sulla bocca popolare in Misilindino o Miserandino. Poteva avere venti anni, ma pareva ne avesse di più; alto di statura, largo e squadrato di spalle e di torace, muscoloso di braccia e di gambe; ma svelto a un tempo ed elegante. Un bel corpo vigoroso di giovane eroe. Era bruno di volto con capelli neri e ricciuti. Nella linea forte della bocca, nella energia della mascella, nella vivacità dello sguardo aveva qualcosa di ardito e di pertinace, che però spesso sparivano sotto una espressione di dolcezza e di ingenuità fanciullesca.
Il signor Galcerano infilò la strada di S. Onofrio, e piegò per un vicolo buio e angusto dove non era possibile scorgerlo. Egli abitava nella strada della Bandiera, nel vecchio palazzo della sua famiglia; un palazzo non molto vasto che conservava la sua architettura quattrocentesca solida ed elegante, coi merli in cima, le finestre rettangolari geminate da una sottile colonnina, simile allo stelo d’un fiore, e il portone ornato d’una cornice intagliata, forma d’un grande angolo col vertice in alto, dentro il quale si apriva la porta.
I Corbera eran venuti di Spagna fin dal Trecento; ed avevano acquistato in Palermo reputazione e dignità, e nell’isola, vasti possedimenti. In breve si erano naturalizzati; erano stati inscritti nell’ordine senatorio e avevano occupato uffici eminenti. Un Galcerano nel 1449, era stato presidente del regno, cioè aveva tenuto luogo del vicerè assente; un Giuliano, che aveva combattuto valorosamente contro il maresciallo de Lautree era stato Pretore della Città, e vuol dire presso a poco quel che oggi chiamiamo sindaco, ma con maggior dignità, un Pietro, suo figlio aveva militato sotto Carlo V, e n’aveva avuto fama di prode. Non vi mancarono uomini di lettere; fra i quali un Bartolomeno di cui rimane qualche poesia. Facevano per armi cinque corvi neri in campo bianco.
Capo della casa era adesso don Antonio nelle cui mani era passato il vasto feudo del Misilindino.
Munifico e di grandi idee, Antonio fondava in quei tempi intorno al vecchio castello un paese, quello stesso che poi si chiamò Santa Margherita; il che lo aveva costretto a contrarre molti e gravi debiti, che lo tenevano in liti continue, e ingoiavano gran parte delle entrate.
Il giovane Galcerano, al quale quella notte era toccata la strana avventura, era l’erede del vasto patrimonio, e delle virtù guerresche dei suoi maggiori. Troppo giovane quando don Giovanni d’Austria s’era mosso con l’armata contro il Turco, – aveva appena quindici anni, – non aveva potuto imbarcarsi sulle galere col fiore della gioventù palermitana andata volontaria all’impresa: ma i racconti delle prodezze compiute da Cola d’Odio, che impadronitosi da solo d’una galera turca, vi morì da archibugiata in fronte; di Cola dei Bologna, che ne riportò il soprannome di Valente; dal capitan Giorgio Montisoro, dal suo amico don Geronimo di Giovanni, da cento altri nobili, accorsi come lance spezzate o venturieri sulle galere della città di Palermo, gli accendevano una gran voglia di prender parte a qualche spedizione. Ma in quegli anni il Turco, per la disfatta avuta a Lepanto, stancato dalle due spedizioni di Navarino e di Tunisi, che lo costringevano alla difesa, non osava; guerre in Italia non ce n’erano; anche nelle Fiandre v’era un po’ di tregua; e eran guerricciole e insignificanti. Il signor Galcerano perciò non poteva mostrare il suo valore che nella sua bella sala d’armi o nell’Accademia dei Cavalieri (specie di accademia militare) o nelle giostre; nelle quali, sebbene molto giovane, faceva begli incontri e sfoggiava ricche armature, spade di gran pregio, bardature e gualdrappe di finissimo lavoro.


Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500 che pone al centro la storia d'amore del vicerè Marco Antonio Colonna con donna Eufrosina Corbera. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale, pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1930. 
Pagine 604 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online (Amazon Prime, Feltrinelli, Ibs) e nelle migliori librerie. 

venerdì 11 novembre 2022

Luigi Natoli: Col genio non si vive... Tratto da: L'abate Meli. Romanzo storico siciliano.

- Questa acciuga è ottima, e ac­compagnata dal pane è squisita, non c'è che dire. Però, mi piacerebbe di più se avessi una credenza o un riposti­glio, dal quale potrei prendere un bel pezzo di caccia. La quistione è che io sono un poeta, e perciò vivo quasi nella miseria: “Pictores, sculptores et cantores” con quel che segue. Vero è che mi danno del genio, ma preferirei che me lo mutassero in danari. Col genio non si vive. Per esempio, ho una sorella pazza che mi lascia senza desinare. Bene. Apro il ripostiglio e prendo un altro desinare, dai maccheroni alla frutta, senza tralasciare gli intingoli e i “piattini”... Quei domenicani hanno festeggiato il loro nuovo provinciale con un banchetto di ventiquattro piatti, settanta piattini, oltre i gelati e la frutta... Non dico che questo mi sarebbe piaciuto e toccato, ma... Il genio!... Se mi dessero l’equivalente, io non patirei tanto...

Beatu iddu chi campa sfacinnatu
Comu l’antichi, e cu li propri soi
Si cultiva lu campu ereditatu...

“Io non ebbi nemmeno questo: la casa che acquistò mio padre, buon’anima!

E passa in libertà li jorna soi
tranquillu, senza debiti, né pisi,
senza suggizioni e senza noi!...

“Ah! un vivere sì beato! Che ci vorrebbe? Una bella e buona abazia, che mi fornisca tanto da vivere come gli antichi. Invece, ho da fare il medico! E debbo insegnare la chimica ai giovani! La medicina e la chimica non sono amiche delle Muse...


Luigi Natoli: L'abate Meli. Romanzo storico siciliano. 
Il volume comprende:
il romanzo storico L’ Abate Meli, costruito e trascritto dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 settembre 1929;
la trascrizione dell'opera "Giovanni Meli. Studio critico" pubblicato dalla tipografia del giornale "Il tempo" diretta da Pietro Montaina del 1883;
una raccolta di poesie di Giovanni Meli tratte da Musa Siciliana pubblicata dalla casa editrice Caddeo nel 1922; tutte le poesie sono corredate di traduzione in italiano a fronte a cura del prof. Francesco Zaffuto.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 727 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e nelle migliori librerie.

Luigi Natoli: Era già il celebre poeta che le dame si disputavano... Tratto da : L'Abate Meli. Romanzo storico siciliano.

Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio mode­stamente arredato scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare. Era medico.
In quel tempo abitava una casa die­tro il coro della Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre, due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fra­telli, Stefano e Tommaso che si era fat­to frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della fami­glia, e il suo nome era famoso in tut­ta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di volto, coi ca­pelli quasi neri, con parecchi fili d'ar­gento tirati indietro e legati con un na­stro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano «l'abate Me­li». Ma non lo era, anzi non era nep­pure chierico, nè aveva i quattro ordi­ni e la tonsura, che prese l'ultimo an­no di sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, do­ve non si entrava, se non si appartene­va alla Chiesa, in un modo qualunque.
Di tanto in tanto in quella che scar­tabellava, guardava, pensando, nella parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di medicina e molti di letteratura.
In quegli sguardi forse c'era un pen­siero medico, per la consulta che dove­va farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?
Era già il celebre poeta che le dame si disputavano; ed egli non solo frequentava volentieri le riunioni, dove il gusto, la finezza, la si­gnorilità, davano esca alle sue odicine, che lo avevano fatto battezzare «il nuo­vo Anacreonte», ma accoglieva, forse in armonia col passato, gl'inviti della baro­nessa, più per abito che per curiosità. Ora attraversava le sale, osservando, aguzzando l'ingegno, sorridendo, con quella faccia serena, che le sventure del­la vita non osavano intaccare. Egli era conosciutissimo, passando, udiva parla­re di sè: – Abate Meli! – di qua e di là; la voce pubblica lo teneva per abate, ed egli non se ne faceva.
Vestito di nero, con l'aria di Abate, faceva un forte contrasto con la varie­tà dei colori vaghissimi. Pareva un ca­labrone in mezzo ai fiori; ma se parla­va, la giocondità che spandeva, riman­giava il paragone. Quella sera, in veri­tà non era di buon umore, la confiden­za di fra Francesco e la ricerca di quel nipote a cui doveva dare il plico del frate; e poi la morte di questo, l'aveva­no occupato per mezza giornata. La se­ra la preoccupazione era cessata, ma era rimasta quella tale melanconia in­definita, lasciatagli come retaggio.
Era innocuo, viveva astraendosi dal commercio degli affa­ri, contando solo su quelli che gli pro­curava la professione di medico, che per lui era veramente umanitaria, non aveva che ammiratori e pochi amici, be­neficava quando poteva, aveva il cuore sensibilissimo.
Nella foto: La scrivania dell'abate Meli, conservata al Museo Storia Patria di Palermo. 


Luigi Natoli: L'Abate Meli. 
Il volume comprende: 
il romanzo storico L’ Abate Meli, costruito e trascritto dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 settembre 1929;
la trascrizione dell'opera "Giovanni Meli. Studio critico" pubblicato dalla tipografia del giornale "Il tempo" diretta da Pietro Montaina del 1883;
una raccolta di poesie di Giovanni Meli tratte da Musa Siciliana pubblicata dalla casa editrice Caddeo nel 1922; tutte le poesie sono corredate di traduzione in italiano a fronte a cura del prof. Francesco Zaffuto.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 727 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e nelle migliori librerie. 

giovedì 10 novembre 2022

Luigi Natoli: tutto l’argento, tutto l’oro doveva portarsi alla zecca... Tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba.

Cielo piovigginoso quel pomeriggio del 25 dicembre 1798. 
Era piovuto il giorno innanzi e la notte annacquando la massa di mezzanotte. Ora pareva che le nubi si fossero stancate, ed erravano pel cielo, sospinte da un venticello frizzante. Ma nella strada c’era una folla straordinaria, che si recava alla Marina: da porta Felice, da porta dei Greci, da porta Carbone erano tre fiumane che dilagavano lungo la banchina; altre fiumane uscivano da porta S. Giorgio e andavano verso il Borgo. Vi era nei volti, nei gesti, una letizia insolita, una aspettazione quasi impaziente. Quelli che giungevano domandando a quelli che erano giunti:
- Dov’è?... è arrivato?
Il mare formicolava di barchette piene di gente, e come già l’aria si annerava, si accendevano fiaccole, che punteggiavano di stelle rosse l’oscurità, e coi lunghi tremolanti riflessi frugavano dentro la cupa profondità dell’acqua.
Aspettavano.
Le torri di guardia avevano nella mattinata segnalato una flotta che inalberava vessillo reale, segno che v’era persona regia a bordo; il Vicerè, il Pretore, avevano subito mandato l’Aurora comandata dal capitano Giovanni Bausan, a vedere di che si trattava, e l’Aurora aveva portato la gran notizia; viene il re con tutta la famiglia reale! 
La notizia si sparse in un lampo per la città: il re! Viene il re!... Da sessantaquattro anni i Palermitani non avevano visto un re: i vecchi ricordavano Carlo III e le feste della incoronazione: di questo Ferdinando, non sapevano che faccia avesse, se non attraverso le monete. Non era mai venuto a conoscere i suoi sudditi siciliani.
- Eh! – dicevano i saputi con sufficienza: – si è persuaso finalmente a venire; soltanto con la sua presenza può avere il denaro che gli bisogna!
- Sì ma ci son voluti più di due anni per persuadersene.
- E non è una cosa confortante che egli venga per spremerci nuovo sangue!
- Infine viene! È il re!... il nostro re!... e viene!
Le allusioni erano al parlamento, tenuto nel settembre che aveva votato due milioni di scudi, per spese di guerra; milioni che al re eran parsi insufficienti, sì che l’aveva rifiutati e aveva ordinato alla Deputazione del Regno (la quale eseguiva le leggi e sostituiva il Parlamento, quando le sessioni erano chiuse) di elevare la somma; ma la Deputazione aveva nettamente dichiarato che non avrebbe fatto cosa contraria ai deliberati del Parlamento. Fra le condizioni sotto forma di preghiere, che accompagnavano il milione c’era anche quella che il Re venisse in Sicilia.
Ma le altre allusioni più amare si riferivano agli ultimi editti di Monsignor Lopez y Rojo arcivescovo di Palermo e luogotenente del regno, nell’aprile scorso, coi quali imponeva la requisizione di tutti gli ori e gli argenti dei privati, delle chiese, dei conventi di tutte le case pie o religiose, salvo i vasi strettamente necessari al culto, le posate e i gioielli personali, delle donne e degli uomini.
Tutto l’argento, tutto l’oro doveva portarsi alla zecca: pena a coloro che non ubbidissero agli ordini sovrani, che occultassero quel che possedevano: premi ai delatori. Naturalmente questi editti colpivano i ricchi: non osando ribellarsi apertamente, s’erano sfogati con una pasquinata, che odorava di giacobinismo. Fecero infatti trovare il 16 aprile, alla colonna del Palazzo di città, e alle porte dei Ministri un cartello con questi quattro versi:

O v’aggiustati, tiranni la testa
O di li morti faremu la festa.
E chi vuliti ‘mpuviriri a tutti?
Chi oru? Chi argentu?! Un .... 

E dove son puntini, una frase sconcia. Ma i malumori, le minacce, la povertà, le tasse gravose, tutto spariva all’annunzio che veniva il re. Avere il re in Palermo, era un’altra cosa; gli si poteva parlare, gli si potevan mostrare le condizioni del paese, i bisogni, i mali. Era un fiorire di speranze, nelle quali si mescolava la soddisfazione di avere finalmente il re; di vedere da vicino questo personaggio, che fino allora era stato un mito. Purtroppo, in quel primo diffondersi della notizia, nessuno sapeva o pensò che quel re fuggiva vilmente dalla sua reggia, dalla sua città, prima ancora che vi giungessero le baionette francesi; che abbandonava Napoli nell’anarchia, in potere della plebaglia dei lazzari. Ma poi nel corso della giornata qualche cosa cominciò a buccinarsi; le mezze parole portate dal Bausan, diventarono a furia di commenti, di supposizioni, di deduzioni, racconti esagerati; la notizia che a bordo c’era un figlio del re morto, per cui questi ordinava che non si sparassero cannonate a salve, né si facessero feste, fece galoppare le fantasie; Napoli apparve come un covo di giacobini, nemici del re; la pietà per questo re che veniva a cercare la salvezza in Sicilia, toccò le corde della istintiva generosità; nessuno pensò alle gravezze, alla povertà, ai bisogni; tutti i cuori furono pervasi da un sentimento cavalleresco di offrirsi per la difesa del Re. E per questo la gente accorreva, empiva da porta dei Greci al Molo, si gettava sulle barche, aspettava da lunghe ore.
Finalmente di dietro il faro, si videro scorrere nell’aria nera i fanali issati negli alberi dei vascelli reali; questi svoltarono un po’ al largo; poi entrarono in porto lentamente e maestosamente; l’Aurora, rimorchiava un grosso vascello su cui, nell’oscurità, si vedeva sventolare il vessillo reale. Era il Vanguardia. Da tutte le barchette si levò un applauso e grida di Viva il Re, a cui risposero dal lido altre grida di giubilo.
La folla supponeva che i sovrani e la famiglia reale sarebbero sbarcati subito, e aspettava; ma da bordo fu detto che il Re era stanco e non sbarcava. La Regina sì. C’erano sul Molo i ministri del Governo di Sicilia, il Pretore, molti Signori. La Regina con la famiglia, il cavaliere Acton, sir e lady Hamilton, e poca servitù, scese di bordo a mezzanotte. Appena pose piedi a terra, disse: – Son venuta fra voi; se non mi volete torno a Napoli!
- No! no! viva la Regina! Viva il Re! – gridarono i signori agitando i cappelli, e ripetè la folla con un frenetico sventolìo di fazzoletti, cappelli e berretti.
Maria Carolina sorrise mestamente; salì nella carrozza del Vicerè, e senza apparati, senza solennità ufficiali ma accompagnata dalla folla con le torce, si recò alla reggia per riposarsi degli strapazzi dell’orribile viaggio e dar tregua al dolore materno.
La folla stette ancora un poco, curiosando, poi cominciò a rientrare in città; ma gran parte invece di andarsene a dormire, rimase per le strade, improvvisando dimostrazioni e luminarie, applaudendo al Re, e battendo le mani anche alle carrozze dei signori che tornavano ai loro palazzi, preceduti dai volanti con le torce accese.

Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine settecento.
Pubblicato unicamente a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia dal febbraio 1926, ricostruito e raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.
Pagine 456 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e nelle migliori librerie. 

martedì 8 novembre 2022

Luigi Natoli e i suoi 26 romanzi storici editi I Buoni Cugini editori.

Nella sua immensa produzione letteraria, Luigi Natoli scrisse 26 romanzi storici, tutti ambientati nella sua amata Sicilia. Tutti tranne uno: Alla guerra!, ambientato nel Belgio e nella Francia mutilati dall'invasione tedesca del 1914. Tutti pubblicati a puntate in appendice al Giornale di Sicilia, con pseudonimo di William Galt a partire dal 1907 con "Calvello il bastardo", alcuni furono poi riveduti e corretti dall'autore per una nuova pubblicazione in dispense con la casa editrice La Gutemberg o con lo stesso Giornale di Sicilia. Elenchiamo di seguito, in ordine di pubblicazione dell'autore, i 26 romanzi: collezionarli tutti, significa avere la storia di Sicilia completa, negli intrecci fra storia e fantasia in cui l'illustre autore eccelle. 
1907 - 
Calvello il bastardo - grande romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine Settecento, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1907 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1913 riveduto e corretto dall'autore. Quest'ultima è l'edizione pubblicata da I Buoni Cugini editori.

1908 - I Cavalieri della Stella
 - romanzo storico siciliano, ambientato nella tormentata Messina del 1672, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1908. Da queste ricostruito e pubblicato in unico volume da I Buoni Cugini editori.
1909 - I Beati Paoli - grande romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1909/1910 e in diverse uscite con la casa Editrice La Gutemberg, l'ultima nel 1931. Questa è l'edizione pubblicata da I Buoni Cugini editori.
1910 - Il Paggio della regina Bianca - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1401, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1910 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1921. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.
1911 - Il Vespro Siciliano - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1911 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1915, rifatto, aggiunto e ampliato dall'autore. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.
1911 - Gli ultimi saraceni
 - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1100 al tempo di Guglielmo I e Matteo Bonello, pubblicato unicamente in appendice al Giornale di Sicilia nel 1911/1912. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori.
1913 - La principessa ladra - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1913 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Di prossima pubblicazione da I Buoni Cugini editori.
1914 - Cagliostro e le sue avventure - romanzo storico, dove protagonista è il famoso taumaturgo palermitano Giuseppe Balsamo, in arte Conte di Cagliostro, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 
1914 - Coriolano della Floresta - seguito ai Beati Paoli, pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg. Di prossima pubblicazione da I Buoni Cugini editori.
1914 - Alla guerra! - romanzo storico ambientato nella Francia e nel Belgio del 1914, all'inizio della prima guerra mondiale, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914/1915. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori 
1920 - La dama tragica 
- romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1530, al tempo di Marco Antonio Colonna, dove protagonista è la bellissima donna Eufrosina Corbera. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1920/1921 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori
1921 - Latini e Catalani volume 1 (Mastro Bertuchello) - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1300, al tempo della sanguinosa guerra tra Latini e Catalani, dei Palizzi, dei Ventimiglia, dei Chiaramonte e del regno di Aragona. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1921 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 
1922 - Latini e Catalani volume 2 (Il tesoro dei Ventimiglia) - romanzo storico siciliano, seguito a Mastro Bertuchello,  pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1922 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 
1923 - Fra Diego La Matina - romanzo storico siciliano, pubblicato in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1923 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1924. Di prossima pubblicazione da I Buoni Cugini editori.
1924 - Squarcialupo
 - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1517, dove protagonista è il patriota Giovan Luca Squarcialupo. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.
1925 - Viva l'Imperatore - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori nel 2021. 
1926 - I mille e un duelli del bel Torralba - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine '700, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori 
1927 - La vecchia dell'aceto - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine '700. La storia di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come La vecchia dell'aceto. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia da luglio a dicembre del 1927. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 
1929 - L' Abate Meli - romanzo storico siciliano, dove protagonista è il poeta Giovanni Meli detto l'abate, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1929. Pubblicato da I Buoni Cugini editori in un volume che comprende:  Giovanni Meli: studio critico (1883) e Musa siciliana (1922) nella parte relativa alle poesie del Meli, con traduzione in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 
1930 - Braccio di Ferro avventure di un carbonaro - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1820, pubblicato con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.
1931 - I morti tornano... - romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 devastata dal Cholera, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1931. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione di Massimo Maugeri 
1932 - Gli Schiavi
 - romanzo storico siciliano, ambientato in Sicilia sotto la dominazione romana, nel 120 a.C. al tempo della seconda guerra servile. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1932 e con la casa Editrice Sonzogno nel 1936. Pubblicato da I Buoni Cugini editori
1932 - Ferrazzano - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1700, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1932/1933. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione di Rosario Palazzolo. 
1936 - Fioravante e Rizzeri - romanzo ambientato nella Palermo del 1920, dove protagonista è un "oprante" e la sua "opera dei pupi"; pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936/1937. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione dello stesso autore (articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia nel 1936) 

1938 - Il Capitan Terrore - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1560, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1938. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

Chi l'uccise? - Breve romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1848, di cui al momento non abbiamo trovato traccia sul Giornale di Sicilia o presso altri editori. Pubblicato dopo la morte dello scrittore dalla casa editrice La Madonnina nel 1951. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 
Le nostre pubblicazioni nascono dalla ricostruzione dell'ultimo editing curato dall'autore. Tutte le copertine e per alcuni romanzi anche le illustrazioni interne, sono opera di Niccolò Pizzorno. I volumi sono disponibili:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
In tutti gli store di vendita online e nelle migliori librerie.  

lunedì 7 novembre 2022

Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico siciliano.


Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico ambientato nella Messina sconvolta dalla rivoluzione che andò dal 1672 al 1679. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in 152 puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 25 febbraio 1908, con pseudonimo di William Galt. 
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno​
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e nelle migliori librerie. 

Luigi Natoli: La Cavalcata dei Cavalieri. Tratto da: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico siciliano.

Per antica consuetudine, il 25 di lu­glio, festa di S. Giacomo Apostolo, si apriva in Messina una gran fiera, che durava fino al 15 agosto, giorno dell'Assunta, e fe­sta solenne della città. La franchigia, che per privilegi reali, godeva Messina in quei giorni, faceva ac­correre mercadanti, industriali, artefici da ogni parte, allettati dalla esenzione di do­gane e di dazi, e di una folla straordinaria di compratori adescati dall'idea del ri­sparmio e della bontà delle compere. La franchigia si estendeva anche alla espor­tazione dei drappi di seta, fiorentissima e rinomata industria in Messina; onde i mercatanti d'Italia venivano a farvi lar­ghe provviste, per l'eccellenza dei tessuti e il vantaggio dell'acquisto. Per questo la fiera di Messina era di­ventata famosa e aveva acquistata im­portanza di grande avvenimento cittadi­no, al quale la città partecipava in forma ufficiale e con
la massima pompa.
La mattina del 25 luglio si apriva so­lennemente la fiera, con una grande ca­valcata, in testa alla quale procedeva un giovinetto di famiglia nobilissima, regal­mente vestito, montato sul più bel caval­lo che si trovasse riccamente bardato. Agitava egli nelle mani uno stendardo, segno della conceduta franchigia. Dietro a lui seguivano i Cavalieri della Stella, nella loro più ricca divisa, accompagnati dai valletti, poi i senatori, nelle loro ric­che toghe, gli ufficiali della città, le milizie.
Era uno spettacolo magnifico per la ricchezza d'ori e di sete, per numero di in­tervenuti, per grandiosità d’insieme, che per le vie principali, donde sarebbe pas­sata la cavalcata, traeva il popolo avido di svaghi e di divertimenti, e orgoglioso della sua ricchezza e dei suoi privilegi. A questo, che era lo spettacolo ini­ziale seguivan poi altri pubblici diverti­menti, fino a che non giungevano i memorabili giorni delle feste dell'Assun­ta, le più grandiose che si celebrassero nell'isola, rivali, per singolarità e dovizia del famoso “festino” di S. Rosalia in Palermo. E feste pubbliche, alternandosi con le private, e i ricevimenti nei palazzi si­gnorili con le serenate a mare, in quelle notti estive bellissime del Bosforo d'Ita­lia, tenevan la città in una febbrile agi­tazione, eccitavan desideri, la gittavano nel mare dei piaceri, tra i quali pareva annegassero i travagli della vita e le asprezze della povertà del regno.  
La cavalcata di S. Giacomo scendeva dall'alto della strada dei Mer­canti. Uscendo dalla chiesa di S. Maria della Scala, posta nell'angolo formato dalla strada del Duomo e di S. Agostino col torrente della Boccetta, l'Accademia dei Cavalieri per via di traverso entrava nella strada dei Mercanti, e la percorreva fino al Palazzo reale; e niuno spettacolo era più grandioso e magnifico, per nume­ro di cavalieri, ricchezza di vesti e di li­vree, splendore di armature.
Dinanzi, ca­valcava Antonello da alfiere, con una ric­ca assisa di terzanello d'oro, un ampio feltro sul capo, sul quale ondeggiava un gruppo di piume. Il suo cavallo, bianco come neve, dalle froge rosse, dalle gambe svelte e nervose, coperto di una gual­drappa rossa, ricamata d'oro di una ric­chezza e d’una bellezza straordinaria, era condotto a mano da due valletti con la livrea di casa de Gotho. Egli portava in mano lo stendardo della franchigia, con le armi di Messina, croce d'oro in campo rosso. Seguivano i cavalieri, a due a due, ciascuno seguito dai suoi scudieri, essi vestivano la ricca divisa dell'Accademia; corazza e gorgiera di acciaio brunito, maniche di maglia d'acciaio; sul petto grande stella d'oro, immagine della co­meta apparsa ai tre Magi; in capo feltro cinerino con piume bianche e rosse, fer­mate da un cordone d'oro annodato da una piccola stella di diamanti e rubini; lunghi stivali di cuoio color naturale alle gambe, sproni d'oro. Erano tutti armati, oltre alla spada, di zagaglia, pistole, schioppetto e pugnale. I quattro armigeri che accompagnavano i Cavalieri, vestiva­no coi colori della casa, in pieno assetto di guerra. Se non fosse stato pel lusso del­le bardature, per la nitidezza delle armi, e soprattutto pel colore festivo che ogni cosa prendeva intorno a loro, si sarebbe detto che quello era un reggimento che andava alla guerra.
Cassandra Abate guardava con uno stupore pieno di ammirazione e di gioia; non aveva mai veduto nulla di più ma­gnifico. Riconobbe Antonello, che, giun­to sotto il palazzo, levò il capo in alto, ma non ne scorse il pallore, né la commozio­ne; gli sorrise come per fargli sapere che lo aveva riconosciuto, e tosto guardò fra i cavalieri.
A un tratto si sentì prendere da una piacevole commozione: riconosceva Ga­leazzo. Galeazzo, in quell'armatura, con quella zagaglia in pugno, rassomigliava appunto a S. Giorgio; se invece del feltro, avesse avuto in capo l'elmo, ella avrebbe creduto che il santo ed eroico cavaliere, staccandosi dal quadro, si fosse mescola­to a quel corteo. Anche Galeazzo alzò gli occhi sul palazzo, ma non come un curioso che cerchi un volto noto e amico; sibbene con un'aria di corruccio, con una espres­sione di odio, che lo fece apparire terribi­le agli occhi della fanciulla. Ah perché non c'era donna Laura? Dietro i cavalieri venivano i trom­betti e i pifferi del Senato, i donzelli, il banditore, il maestro di cerimonia e poi i senatori a due a due, a cavallo, avvolti nell'ampia toga di seta rossa, dalle gran­di maniche; e dopo di essi i magistrati della città, gli uffiziali, le guardie... Gli ar­tiglieri reali non c'erano.


Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico ambientato nella Messina sconvolta dalla rivoluzione che andò dal 1672 al 1679. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in 152 puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 25 febbraio 1908, con pseudonimo di William Galt. 
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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Luigi Natoli: L'Accademia della Stella. Tratto da: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico siciliano

L'accademia della Stella di cui egli faceva parte, e aspirava ad esser capo, o, come si chiamava, Principe, era una compagnia o congregazione o scuola, o tutto questo insieme, di cento cavalieri, di nobiltà antica e indiscutibile, che face­van professioni d'armi allo scopo di for­nire eccellenti militi nella perpetua guer­ra contro i barbareschi: una specie di or­dine militare – in origine – non dissi­mile nello scopo fondamentale da quello dei cavalieri di S. Giovanni e di S. Stefa­no; ma senza alcun carattere monastico o voto minore; uguale alla Congregazio­ne d'arme, che s'era istituita in Palermo nel secolo XVI. 
Posta sotto la protezione dei Re Ma­gi, aveva assunto come insegna la Stella miracolosa apparsa ai tre re d'Oriente, in­castrandola nella Croce di Malta: d'onde il nome di Accademia della Stella. 
Col volger del tempo, pareva aver di­menticato il suo scopo originario; e non mandava più i suoi cavalieri a dar la cac­cia alle navi mussulmane; ma continuava con uno sfarzo, con una magnificenza tutta spagnola, a dar mostra di sè nella bravura de’ suoi cavalieri nelle grandi occasioni religiose o civili. L'insediamento del nuovo Senato, l'apertura della fiera, la festa dell'Assun­ta, l'arrivo o la partenza del vicerè, la pre­sa di possesso di un nuovo arcivescovo, le feste per la nascita di qualche principe reale, o di qualche matrimonio regio, o dell'incoronazione del re, e in generale tutti i grandi avvenimenti celebrati con pompa ufficiale, erano altrettante occa­sioni, perché i cavalieri della Stella faces­sero la loro sontuosa cavalcata, o cele­brassero una giostra, vaghissima per no­vità di giuochi, d'imprese, di divise, di colpi. 
Non era facile far parte dell'Accade­mia. Oltre che si doveva essere nobili da almeno duecent’anni, il numero dei cavalieri era limitato a cento, e non vi si entrava che per elezione a bossolo, e dopo una serie di informazioni e di formalità per assicurarsi della degnità dell'aspirante: sicché far parte dell'Accademia si teneva a grande onore, e come un segno della nobiltà e della grandezza della casa, e i padri che già ne avevan fatto par­te, sollecitavano che quell'onore si trasmettesse nei figli, stabilendo una specie di successione ereditaria come in una paria.


Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico ambientato nella Messina sconvolta dalla rivoluzione che andò dal 1672 al 1679. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in 152 puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 25 febbraio 1908, con pseudonimo di William Galt. 
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
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venerdì 4 novembre 2022

Luigi Natoli: 4 novembre 1918, rileggi ogni anno il bollettino della Vittoria...

Il 4 novembre 1918 l'esercito austriaco, sconfitto nella grande battaglia di Vittorio Veneto, volse in fuga; e il suo comando supremo dovette domandare un armistizio. 
Ma già il tricolore sventolava a Trieste e a Trento, sospiro di ogni cuore italiano. 
Per questa vittoria l'Italia ora è tutta quanta libera da ogni soggezione: la catena delle Alpi è tutta nostra; e nessuno straniero può più valicarla e accamparsi nelle nostre terre. 
Quanti sacrifizi però, quanto sangue è costata l'unità nazionale! 
In alto il vessillo! e gridiamo gloria a coloro che ci diedero una patria unita, forte, grande. 
Rileggi, ogni anno, il 4 novembre, il bollettino col quale il generale Diaz dava l'annunzio della Vittoria. Ogni italiano deve tenerlo a mente: non per vanagloriarsi, ma per trarne ammaestramento, e adoperarsi ad accrescere grandezza alla patria con una vita virtuosa, degna di coloro che soffersero e morirono per farci liberi e grandi. Rileggi dunque:
"La guerra contro l'Austria-Ungheria, che sotto l'alta guida di S.M. il Re, Duce supremo, l'esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima, per quarantun mese, è vinta.
"La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre, ed alla quale prendevan parte cinquantun divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una czeco-slovacca, un reggimento americano, contro 73 divisioni austro-ungariche, è vinta.
"La fulminea, arditissima avanzata del 29° Corpo d'Armata su Trento, sbarrando la via della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della 7^ Armata e ad oriente da quelle della 1^, 6^ e 4^ ha determinato ieri lo sfacelo totale del fronte avversario.
"Dal Brenta al Torre, l'irresistibile slancio della 12^, dell'8^ e della 10^ Armata e delle Divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.
"Nella pianura S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta 3^ Armata, anelando di ritornare sulle posizioni che dessa aveva già vittoriosamente conquistato.
"L'esercito Austro-Ungarico è annientato. Esso ha subìto perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni di lotta, e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiali di ogni sorta e pressocchè per intero i suoi magazzini e i depositi.
"Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri, con interi Stati Maggiori, e non meno di cinquemila cannoni (*)
"I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano discese con orgogliosa sicurezza.
 
Diaz"
 
(*) I prigionieri raggiunsero poi il numero di oltre mezzo milione, e i cannoni quello di settemila.

Luigi Natoli: La morte volle spegnerlo in un gesto di carità sublime... Tratto da: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.


Pochi, forse, salutarono con gioia pari alla Sua l’alba del 24 maggio! Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano. 
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria. E da soldato poteva Egli, nei brevi riposi della trincea, continuar meglio fra compagni quell’apostolato di italianità, che aveva cominciato in Francia. Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria. 
Portava nella guerra la gentilezza dell’animo; così il Suo odio fiero e ardente contro il tedesco – e tedesco per Lui era anche l’austriaco – non spegneva il sentimento di pietà: nè l’aver desiderato e propugnato la guerra, di riconoscerne e deplorarne l’orrore. Quando nel febbraio del 1916, venuto in licenza, e raccontando l’assalto di una trincea nemica sul Col di Lana, e d’un austriaco baionettato, il fratello minore Gli domandò, se nei combattimenti a corpo a corpo Egli “ne avesse infilati austriaci”; io vidi il suo volto divenir serio e come ombrato da una nube di tristezza; e la sua voce farsi severa, amara, quasi dolente; e rispondere con un tono grave e di rimprovero: “Non son cose che si dicono, queste!”
Cedette alle insistenze dei superiori, e andò al corso degli allievi ufficiali, soltanto quando si persuase che da ufficiale poteva rendersi utile. Nominato aspirante nel maggio del 1916 fu destinato al 24° che fronteggiava il nemico tra i ghiacciai del Seekofel. Vi andò preceduto dalla fama di audace e volenteroso; e la riconfermò nell’eseguire incarichi, degnamente encomiati dal Comando della Brigata. Altri avrebbe forse fatto valere le lodi per averne ricompense o avanzamenti; Egli non se ne curò. Io non ne avevo notizia che tardi, e brevemente. Non già perché Egli fosse avaro di lettere: mi scriveva anzi frequentissimamente, quasi ogni giorno: talvolta la notte dopo un’avanzata o dopo una ricognizione; chè io era in cima dei Suoi affetti. Ma appunto per questo, Egli cercava di non destare in me preoccupazioni ed ansie. 
Ora che scrivo di Lui, rileggo le Sue lettere, così quelle mandate da Pieve di Livinallongo, da Cortina d’Ampezzo, dal Col di Lana, come quelle del Seekofel; tutte così affettuose, così vibranti di fede, così nobili di idealità, che le lagrime stesse non possono impedire al mio cuore di esultare d’orgoglio. 
La morte che non aveva osato colpirLo nella tempesta dei combattimenti, quando l’ira par che abolisca ogni senso di umanità; che non Lo aveva colpito eroe della strage, con l’arme insanguinata nel pugno; volle spegnerLo in un gesto di carità sublime; volle che tanta bella e fiorente giovinezza fosse irradiata della luce purissima del sacrificio, consapevolmente, volontariamente affrontato, sofferto per la salvezza degli altri!...




Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.
Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e nelle migliori librerie. 




Luigi Natoli: Stu doviri nuddu lu ‘nsigna comu la guerra... Tratto da: L'umbra chi luci. (Raccolta Suruzza!)

Jivi a la guerra cu l’occhi lucenti,
tornu a lu scuru, ca foru astutati;
ma n’autra luci c’è ‘nt’â la mê menti
chi mi fa bella sta mia nfirmitati.
O amici mei, chi siti cca prisenti,
e picciotti chi jiti ora surdati,
l’amuri di la patria è straputenti,
biatu l’omu chi pi idda pati!
Picciotti avanti! v’aspetta la gloria
turnati ‘ncurunati di vittoria.
Cu chistu auguriu a tutti quanti bivi
lu surdateddu chi cchiù nun cci vidi!...

Iu nun fici chi lu mê doviri; e stu doviri nuddu lu ‘nsigna comu la guerra. Dda, la vita nun cunta, la morti nun fa impressioni; ma nissunu vivi pi si stissu: unu pi tutti, e tutti pi unu!...


Luigi Natoli: Suruzza! Raccolta delle opere teatrali inedite in dialetto siciliano, ricostruite dai manoscritti dell'autore, con traduzione in italiano a fronte a cura del prof. Francesco Zaffuto. Il volume comprende: 
"Suruzza!" – dramma in quattro atti;
"L’abate Lanza" - commedia in tre atti;
"L’umbra chi luci" - dramma in tre atti;
"Quattro cani supra un ossu" - commedia in tre atti.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su tutti gli store di vendita online e nelle migliori librerie.