venerdì 29 marzo 2019

Luigi Natoli: Ciò che ancora fa parte delle opere di Luigi Natoli per il teatro... Tratto dalla prefazione di Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro

Le due commedie La leonessa dell’oasi e Il Gorgo, sono del tutto incomplete e impubblicabili; in particolare La leonessa dell’oasi è ancora nella sua fase di concepimento ricca di appunti e cancellature che ne rendono addirittura impossibile capirne la trama, mentre Il Gorgo è un manoscritto incompleto e anche se leggibile con facilità, è purtroppo mancante delle pagine iniziali, in particolare di quelle relative ai personaggi e all’ambientazione. La lettura parte dalla scena quinta e da quel punto è difficile procedere alla ricostruzione dell’opera che, tra l’altro, sembra piuttosto articolata. Purtroppo queste parti mancanti compromettono la stessa opera e quindi non abbiamo potuto procedere alla sua ricostruzione.  
Le restanti opere Il numero 570 - L’abate Lanza - L’ironia della Gloria - Il conte di Geraci - Quattru cani supra un ossu sono state fedelmente trascritte, ognuna con le sue difficoltà, bensì complete in ogni loro parte. In particolare vogliamo porre l’attenzione su Il numero 570 (che presenta scritto a matita, a margine dell’elenco iniziale dei personaggi, alcuni nominativi dei probabili interpreti che forse avrebbero dovuto mettere in scena i due atti: Sorrentino/Saltamerenda/Curiale/Gianfrancesco/Di Cimbrio/Marini/Salustri) e sul frontespizio de L’abate Lanza, per la sua bella e ricercata grafia interna a più colori (verde, rosso, blu, oltre al nero).
Per esigenze editoriali abbiamo pubblicato tutto il teatro di Luigi Natoli in due volumi, suddividendolo in opere in lingua Italiana (Il conte di Geraci - Cappa di Piombo - L’ironia della Gloria - Quannu curri la sditta! - Il numero 570) e opere in dialetto siciliano (Suruzza! - L’umbra chi luci - L’abate Lanza - Quattru cani supra un ossu) con traduzione in italiano a fronte. 
Noi editori volevamo dare alle stampe l’opera completa del teatro di Natoli, ma non siamo riusciti a reperire Fato che purtroppo è mancante in tutte le biblioteche d’Italia. L’unica cosa che abbiamo trovato di Fato è un trafiletto senza firma sul Giornale di Sicilia del 16/17 giugno 1894 che fedelmente trascriviamo:

Al Bellini
Il nuovo lavoro del nostro concittadino Prof. Luigi Natoli, Fato, ebbe iersera lusinghiera accoglienza dallo scelto pubblico che gremiva la sala dell’elegante teatro. Quell’artista finissima che è la signora Clara Della Guardia per la quale il lavoro era stato scritto, fece addirittura una creazione della difficile parte di Lilli, intorno a cui si svolgeva l’ardita e complicata tesi del dramma. 
Le furono ottimi coadiutori i signori Beltramo, Vitti, Cappello, Mugnaini, nonché la signora Casilini che incarnò con partecipazione una esilarante macchietta di vecchia bigotta e pettegola. 
Il nuovo lavoro del Prof. Luigi Natoli fu seguito con grande attenzione dal pubblico numeroso, che chiamò più volte alla ribalta i valenti attori e l’autore. 
Se il lavoro Colpa del Prof. Natoli, datosi nel 1891, in Palermo e altrove fu riconosciuto come valida promessa nel campo difficoltoso dell’arte, il nuovo dramma rappresentato iersera al Bellini ha riconfermato quella promessa. 
Annunciamo al pubblico che la compagnia Beltramo-Della Guardia, che tante simpatie ha raccolto fra noi, chiuderà lunedì sera il suo corso di recite al Bellini, essendo chiamata ad altri impegni a Cagliari e Torino. 
Vediamo allontanare con tristezza da noi, la scelta troupe di questa compagnia drammatica, che in così breve tempo, aveva saputo acquistarsi le simpatie dei palermitani, e ci auguriamo di vedere presto fra noi tutti quei ottimi artisti fra i quali rifulge per valore e grazia la signora Clara Della Guardia.

Dalla lettura dell’articolo si apprende che Luigi Natoli aveva scritto nel 1891 un precedente lavoro teatrale e precisamente Colpa. Purtroppo anche in questo caso non siamo riusciti a trovare nulla, neanche lo stesso articolo del Giornale di Sicilia. 
Ma un’altra opera si aggiunge a Fato e Colpa...Un’opera desiderata da tutti e del tutto ingoiata dalla dimenticanza della collettività, fino a perdersene la sua stessa memoria. Si tratta de I Beati Paoli scritta da Natoli in versione teatrale. Di quest’opera abbiamo notizie certe della sua esistenza perché il Giornale di Sicilia ha pubblicato più articoli. Sappiamo che è stata rappresentata al teatro Biondo di Palermo il 07 marzo del 1910 e che in città c’era una grande aspettativa testimoniata dagli articoli sul Giornale di Sicilia dell'epoca. 
Purtroppo nonostante le nostre accurate ricerche non siamo riusciti a recuperare quest’opera e quindi invitiamo chiunque ne abbia una copia di consentirci la pubblicazione Stesso discorso anche per Fato e Colpa. 
In conclusione le opere teatrali di Natoli sono: 
Il conte di Geraci - scene medievali in due atti - 1884 
Colpa - dramma teatrale rappresentato nel 1891 
Fato - dramma teatrale rappresentato nel giugno del 1894 
I Beati Paoli - riduzione teatrale in 7 atti messa in scena il 07 marzo del 1910 
Quannu curri la sditta! - sceni di vita paisana - commedia in quattro atti 
Suruzza! - Dramma in quattro atti - 1911 
Il numero 570 - scene drammatiche in due atti 
L’umbra chi luci - dramma in tre atti 
L’abate Lanza - commedia dialettale in tre atti - 1920 
Cappa di Piombo - commedia in tre atti  
Quattru cani supra un ossu - commedia in tre atti 
L’ironia della Gloria - commedia in tre atti


Luigi Natoli: Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro
Prezzo di copertina € 21,00 - Pagine 312
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Luigi Natoli: Sulle opere teatrali L'umbra chi luci! e Luci 'nta l'umbra alcune notizie dalla prefazione di Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro


Le due opere  Luci ‘nta l’umbra e  L’umbra chi luci (Luci nell’ombra e L’ombra che luccica), entrambe in dialetto siciliano, sono pressoché identiche, fatta eccezione per il personaggio principale che, sebbene diverso nelle due versioni, lascia sostanzialmente inalterata la struttura e i dialoghi fino alle battute finali del dramma. Anche in questo caso uno dei due manoscritti, precisamenteL’umbra chi luci,  è in bella grafia e l’altro, Luci ‘nta l’umbra, è pieno di correzioni e cancellature. Dato il modus operandi di Natoli e la nostra approfondita lettura, possiamo affermare che l’opera L’umbra chi luci sia quella definitiva e inoltre, proprio grazie al cambio del protagonista, rafforzare la nostra conclusione tramite lo stesso titolo del dramma, di gran lunga più energico e meglio rappresentativo di tutta l’intera commedia.
Le opere Il figlio e Luci 'nta l’umbra, non saranno da noi pubblicate, proprio perché ritenute scritti  preparatori dei rispettivi: Cappa di piombo e L’umbra chi luci. 



Luigi Natoli: Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro. 
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Luigi Natoli: Alcune notizie sulle opere Quannu curri la sditta! e Suruzza! Dalla prefazione di Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro

Le due opere Quannu curri la sditta! e Suruzza! sono del tutto affini fra loro e purtroppo prive d’indicazioni atte a stabilire la cronologia delle due composizioni. Quannu curri la sditta! è una copia originale in carta carbone dattiloscritta corretta con meticolosità dall’autore con un pennino ad inchiostro dall’inizio alla fine. È concepita in siciliano e le correzioni di cui sopra, sono finalizzate tutte alla sua letterale traduzione in italiano. Suruzza! è scritta in siciliano, in bella grafia e senza errori. Anche in questo caso la trama è la stessa, così come i personaggi, ma è indubbio che la potenza del dialetto esprima un sentimento diretto e più forte rispetto alla sua versione in italiano che stranamente ha il titolo in vernacolo, divenendone un paradosso perché non è una frase molto usata nella lingua madre (la traduzione letterale è: Quando corre la sfortuna!) Forse Natoli non aveva ancora trovato a quest’opera un titolo efficace, perché Suruzza! in siciliano è il vezzeggiativo di sorella e rende bene l’idea,  in italiano non ricrea lo stesso effetto di tenerezza. 
Però è fuori discussione che nella versione in italiano il titolo iniziale Sorella! è stato cancellato con mano ferma e con altrettanta fermezza è scritto il titolo Quannu curri la sditta! Noi crediamo che si tratti sempre di manoscritto rielaborato e corretto, e che Natoli si sia riservato di provvedere alla sostituzione del titolo e del sottotitolo “sceni di vita paisana” magari in fase di stampa o rappresentazione, perché il contrasto stride troppo con il testo rigorosamente in italiano. 
Per concludere, Suruzza! doveva soddisfare particolarmente lo scrittore perché a tal proposito abbiamo trovato un articolo sul Giornale di Sicilia del 25 aprile 1911 che ci pregiamo di trascrivere interamente.

“Suruzza!” di Luigi Natoli al Circolo di Cultura
Sala affollatissima di pubblico eletto, di signore eleganti e intellettuali, di letterati, giornalisti, professori: sala di grandi occasioni al Circolo di Cultura, ieri alle 16 per la lettura della commedia siciliana “Suruzza” letta da Luigi Natoli. 
Era naturale che “Maurus” noto per le sue storie e leggende, pei suoi romanzi così popolari, pei suoi articoli agili e nobili, destasse la curiosità del pubblico presentandosi sotto l’aspetto di autore drammatico siciliano. Autore, ahimè! non giovane; ma come autore siciliano... nuovissimo. 
Egli cominciò con una prefazioncella per dichiarare i suoi intendimenti, e avvertire il pubblico che la sua commedia (egli si è piaciuto chiamarla così, umilmente, mentre è triste e drammatica) non ha niente che si rassomigli al teatro siciliano solito a recitarsi, tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta, con accompagnamenti di urli, contorsioni e deliri più o meno bestiali. È una commedia senza amori, senza adulterii, senza passioni violente; con una favola semplicissima; uno dei tanti, tantissimi casi comuni della vita dei piccoli paesi, dove un borgese arricchito con l’usura, stando fra i briganti e il governo, diventa commendatore, occhio destro dei prefetti, arbitro del comune; e rovina qualche parente, spogliandolo a poco a poco. Contro il quale si oppone il nipote, figlio del parente rovinato. I fatti privati si intrecciano e si fondono organicamente coi fatti della vita pubblica: così da presentare un quadro vivace e fedele della vita dei piccoli paesi. 
Il terz’atto, in cui è riprodotto l’arrivo del deputato, gli sforzi del commendatore per festeggiarlo, le dimostrazioni e le controdimostrazioni è di una freschezza e una vivacità straordinaria. 
La commedia è interessante e commovente: la povertà dignitosa del povero don Tomaso, la malattia della figlioletta, vittima della povertà, l’affetto tenero di Giovannino (il protagonista) per la sorella, tutto ciò ha una nota di dolore così intenso nella semplicità dei mezzi, che commosse il pubblico. 
La commedia è in quattro atti. Quando si è detto che il pubblico ascoltò la lettura (il Natoli è un buon dicitore) di tutti e quattro atti, senza che nessuno si movesse, senza fiatare, prorompendo in applausi, che alla fine furono caldi e lunghi e reiterati, si è fatto l’elogio della commedia e del commediografo. 
Bisognerebbe vederla sulla scena; ma quale compagnia la darà? Dove sono gli attori adatti? 
In altra parte del giornale, intanto, diamo una primizia del bellissimo lavoro.


Luigi Natoli: Cappa di piombo e altre opere inedite per il teatro. 
Prezzo di copertina € 21,00 - Pagine 312
Copertina di Niccolò Pizzorno - Elaborazione grafica di Maria Squatrito  
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giovedì 28 marzo 2019

Luigi Natoli: Cappa di Piombo e Il Figlio. Dalla prefazione di Cappa di piombo e altre opere inedite per il teatro

Dalla lettura di Il figlio e Cappa di Piombo possiamo affermare con certezza che il primo è un lavoro preparatorio del secondo. Il figlio ha solo quattro personaggi e il principale protagonista è Manlio, figlio di Silvano. Su di lui si snoda tutto il dramma, ma più si procede nella lettura del manoscritto più le correzioni, le cancellature e gli appunti aumentano progressivamente fino alla conclusione dell’opera. Giunti alla fine si capisce con facilità che Natoli non doveva essere soddisfatto del risultato. Noi crediamo che lo scrittore, sicuro di non essere stato incisivo nel suo messaggio, e non volendo scendere nell’ovvietà della commedia siciliana del tempo, abbia modificato l’opera con il colpo di genio di capire l’errore trascrivendola in un dattiloscritto, lasciando inalterata la struttura, i personaggi, e la maggior parte dei dialoghi, ma con la sostanziale differenza di togliere la parte di protagonista al figlio e affidarla a Silvano, il padre. 
In tal modo, Natoli trova uno stupefacente finale degno della migliore avanguardia teatrale dell’epoca, donandole una sicilianità universale. Basta confrontare le due opere, per rendersi conto delle differenze fra le commedie e di quanto da noi affermato. A rafforzo di questa tesi la frase “Cappa di Piombo” è ripetuta nelle ultime pagine da Silvano, e per tutta la durata dell’opera si ha la reale sensazione di essere avvolti da una “cappa di piombo” che grava su tutto il dramma, in particolare nel terzo atto. 
Nelle foto: in alto il dattiloscritto Cappa di Piombo, a lato il manoscritto Il Figlio. 

Luigi Natoli: Cappa di piombo e altre opere inedite per il teatro. 
Indice del volume: 
Il conte di Geraci
Cappa di piombo
L'ironia della gloria
Quannu curri la sditta!
Il numero 570

Pagine 312 - Prezzo di copertina € 21,00
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


Luigi Natoli: Il Conte di Geraci, la prima opera catalogata. - Tratto da: Cappa di piombo e altre opere inedite per il teatro.

La prima opera ad essere catalogata è Il conte di Geraci - scene medievali in due atti - 1884. Ha avuto due pubblicazioni nel 1991 e nel 2006 ed è stata studiata sia dal punto di vista letterale sia da quello critico/teatrale. 
Noi vogliamo solo dare notizia ai lettori che il manoscritto originale è meravigliosamente illustrato dallo stesso Luigi Natoli e ce lo fa conoscere anche nelle vesti di un bravo e attento disegnatore e non solo, ma anche in quello di un artista dotato di una straordinaria grafia. Lui stesso nel saggio Rivendicazioni scrive di sè: “All’arte avevo dato io i primi sogni della giovinezza: li sacrificai a quello che mi apparve dovere di cittadino; e ho frantumato la mia attività in mille piccole cose, di vita effimera, per esumare, divulgare le memorie del nostro passato...” (Palermo, maggio 1927).

Luigi Natoli: Cappa di piombo e altre opere inedite per il teatro. 
Pagine 312 - Prezzo di copertina € 21,00
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Luigi Natoli: Cappa di piombo e altre opere inedite per il teatro

Luigi Natoli fu scrittore e storiografo fecondo e poliedrico. La sua sterminata produzione letteraria spazia dalla pura narrativa alla poesia, critica letteraria, saggistica, storia e storiografia, con numerosi testi scolastici e moltissimi articoli pubblicati su quotidiani e periodici. Ovviamente in questo geniale oceano di scritture non potevano mancare le opere teatrali, ma rispetto ad altri suoi lavori, salvo alcune eccezioni, non furono mai date alle stampe o videro la luce delle scene. Questo volume contiene le opere teatrali in lingua italiana composte dal grande drammaturgo palermitano e precisamente: 
Il conte di Geraci - scene medievali in due atti
Cappa di Piombo - commedia in tre atti 
L’ironia della Gloria - commedia in tre atti 
Quannu curri la sditta! - sceni di vita paisana, commedia in quattro atti 
Il numero 570 - scene drammatiche in due atti. 
Ad eccezione de Il conte di Geraci, l’unica a essere pubblicata, le altre quattro non hanno avuto la stessa fortuna essendo rimaste nella loro forma originale di manoscritti, oggi fedelmente ricopiati e proposti per la prima volta in assoluto al grande pubblico. Degli inediti di lusso che ci fanno conoscere un altro e nuovo aspetto di Luigi Natoli. Sono opere scritte con gran fatica, perché composte nel mare di difficoltà che avvilirono la vita del letterato e che contesero il loro esiguo spazio ai ritagli di tempo, a loro volta strappati ai suoi studi e attività, ma proprio per questo beneficiarono della massima libertà espressiva non essendo condizionata dalle vicissitudini quotidiane. 
Il Natoli in questi lavori per il teatro, mette in atto una ricerca di linguaggio meticolosa, dal pensiero libero e universale che lascia da parte i collaudati meccanismi dell’opera del tempo, di quella siciliana in particolare, e si propone in veste contemporanea fino ad assurgere contenuti universali, nella grande tradizione del teatro che conta. “Sono opere che non hanno niente che si rassomigli al teatro siciliano solito a recitarsi, tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta, con accompagnamenti di urli, contorsioni e deliri più o meno bestiali. Sono commedie senza amori, con adulterii, senza passioni violente; ... tantissimi casi comuni della vita... dove i fatti privati si intrecciano e si fondono organicamente coi fatti della vita pubblica: così da presentare un quadro vivace e fedele della vita dei piccoli paesi.” (Da un articolo del Giornale di Sicilia del 1911). 
In corso di pubblicazione Suruzza! - L’abate Lanza - L’umbra chi luci - Quattru cani supra un ossu. Tutte le opere teatrali di Luigi Natoli in dialetto siciliano e con testo in italiano a fronte. 
Pagine 312 - Prezzo di copertina € 21,00

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Copertina di Niccolò Pizzorno


Elaborazione grafica di Maria Squatrito 

martedì 19 marzo 2019

Luigi Natoli: Fioravante ritorna... - Tratto da Fioravante e Rizzeri

Nei giorni che don Calcedonio trascorreva nell’ozio e nell’inerzia, andava a passeggiare al Foro Italico. La vista del mare lo confortava; quella distesa di un azzurro intenso, increspato qua e là dolcemente, che porgeva alla banchina gli orli di spuma, come trine di argento; quell’aria mite, propria del dicembre palermitano che è tanto bello quando la pioggia non lo turba; quel sole che nel tramonto aveva una fiamma più intensa, come se sapendo di essere condannato a sparire s’affrettasse a spendere nei suoi raggi tutto l’oro che aveva in serbo; quella pace nella solitudine che appagava l’animo suo, tutto ciò gli addolciva il tormento causatogli dalla scomparsa della figlia.
Che ne era? Dove? Come viveva? Possibile che avesse dimenticato quelli che l’avevano nutrita, allevata, fatta studiare vivendo a stecchetto, vestita come una signorina, stringendo di un punto sempre più la cintura a ogni sua nuova richiesta; era possibile che avesse dimenticato quelli che a furia di sacrifizi l’avevano posta in condizione di passare per quella che non era?
Passeggiando egli pensava, e l’occhio correva per lo spazio senza veder nulla. Una barca solcava lentamente l’acqua in vicinanza del lido silenzioso, un piroscafo entrava in porto; v’era della gente, ma non si vedeva e non si sentiva, per la distanza; era anch’esso silenzioso, usciva dalla Cala una tartana o feluca con le vele spiegate, gonfie dal venticello; usciva silenziosa e solenne. Qualcuno che incontrava, pareva non posare i piedi a terra; lo scalpiccio si perdeva nello spazio. Passò dinanzi a Villa Giulia: era deserta; i grandi alberi vegliavano sui viali abbandonati, e pareva che s’interrogassero: – Perchè?
A un tratto si accesero le lampade della luce elettrica; si accorse che era tardi ed entrò per S. Teresa; ma fatti pochi passi, vide accanto a una porta un tabellone, che alla luce di una lampada appariva simile a quelli che usava anche lui; divisi a quadri, coi soliti paladini, tra i quali era scritto: “Drusolina mette a Fioravante la manica del vestito per cimiero”.
- Toh! – disse fra sé – anche qui fanno la storia di Fioravante!
La vecchia passione si ridestò improvvisamente; non era per cacciare la noia che egli si fermava innanzi al cartellone, ma perché s’era dimenticato in quel momento di Lillì e delle proprie malinconie; lo aveva preso il desiderio di vedere in che modo quell’oprante svolgeva la storia di Fioravante. Un senso di rivalità e di gara gelosa lo spinse dentro il teatro, che volle vedere prima di tutto come fosse fatto. No, non era fatto come il suo; non aveva palchi; la bocca d’opera era stata dipinta da un imbianchino con quattro linee bianche e nere; il sipario rappresentava un cosiddetto panneggiamento. No, non lo ricordava neanche, il suo.
Cominciava la rappresentazione. Don Calcedonio in un batter d’occhio riassunse mentalmente tutto ciò che era avvenuto nell’intervallo tra l’azione svolta da lui e quella che si presentava sulla scena. I personaggi agivano e parlavano nella sua mente. Drusolina era alla finestra, e guardava distrattamente, quando gli occhi le si diressero sull’osteria. Ella vedeva dentro, nella cucina, e scorse a una tavola il cavaliere che desinava con l’oste. Le parve di riconoscerlo. Chiamò due gentiluomini e disse loro:
- Vedete voi quel cavaliere che mangia nell’albergo? Bene. Andate da lui, e pregatelo da parte mia, che venga, ch’io l’aspetto.
I due gentiluomini andarono. 
(Disegno del pittore Amorelli sul Giornale di Sicilia)



Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. Romanzo moderno ambientato nella Palermo del 1920
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936
Prezzo di copertina € 19,00
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Luigi Natoli: La causa. Tratto da: Fioravante e Rizzeri.

Cinque mesi erano trascorsi. Don Calcedonio e Lillì avevano ricevuto l’avviso che al Tribunale penale si sarebbe discussa la causa contro “Asdrubale Galante, imputato di omicidio mancato a danno di Calcedonio Dibella”.
La mattina del 26 novembre, dunque, padre e figlia si recarono al tribunale. Lillì era in cappellino e in un grazioso “manteau”, (così dicono i figurini che vengono di Francia: in realtà si chiamano in lingua italiana “cappotti”). Aveva intorno al collo una pelliccia, diciamo così di visone nella quale un cane lupo avrebbe riconosciuto le spoglie di uno sventurato fratello. Comunque ella faceva una graziosa figura. Il lettore si meraviglierà, dopo la distruzione fatta da don Calcedonio, di apprendere che Lillì era così ben vestita; ed ha ragione: ma vi sono parecchie osservazioni da fare. In primo luogo, una punizione familiare, per quanto rigorosa, non può durare a lungo; a poco a poco il rigore si va attenuando; si fa questa e poi quella concessione; la mamma osa intercedere, è ascoltata, e si finisce col lasciarsi strappare un perdono quasi completo. Poi, ci fu la citazione in Tribunale. Donna Concettina osservò che non era decente presentarsi al cospetto della maestà della giustizia senza, un come si dice? un “manteau” (alla moda – suggerì sottovoce Lillì) e un cappellino; e don Calcedonio, borbottando, dovette ammetterlo. E così Lillì si trovò il giorno dell’udienza vestita per benino. Una sola cosa don Calcedonio non tollerò, che si desse il rossetto alle labbra e lo smalto alle unghia, cose che non stavano bene in un luogo serio, qual’è l’aula di un Tribunale.
Già i testimoni erano pronti, aspettanti in un’altra saletta. C’era il tenente di artiglieria, le due guardie, due altri figuri che nessuno aveva visto, un commesso della pasticceria, Dolores e Lillì. E c’era la signora Mazzolino, non già perché gliene importasse più d’un fico, ma per l’occhio del mondo, entrando in quella faccenda anche sua figlia, una fanciulla di sedici anni che, per disgrazia, doveva deporre. Donna Concettina avrebbe voluto venire, ma tanto Lillì quanto don Calcedonio le imposero di restare in casa; del resto Lillì non era sola: c’era suo padre. 
Cominciò l’udienza. Il signor Galante non stava sul banco degli imputati, ma seduto sopra una seggiola. Era a piede libero, visto che lo sparo era andato a vuoto. Aveva chiacchierato col suo avvocato, e ora guardava il pubblico il quale era formato da giovani cosiddetti vitosi, suoi amici, coi quali scambiava saluti e sorrisi. Ma il suono di un campanello e la voce dell’usciere: – L’udienza è aperta! – imposero il silenzio.
(Tralasciamo tutte le particolarità che sarebbero noiose, e veniamo senz’altro all’interrogatorio di Asdrubale Galante).
…….

Facciamo grazia ai lettori del resto dell’udienza, che mercè l’eloquenza dell’avvocato finì con l’assoluzione del barone Galante; e non parliamo della signora Mazzolino, che se ne andò a casa tronfia e pettoruta; e fermiamoci a don Calcedonio, che andava cercando Lillì. Forse s’era smarrita tra la folla che circondava il Galante, comunque il babbo aveva un bel da fare a chiamarla di qua e di là: Lillì non si trovava. Don Calcedonio uscì, attraversò l’atrio, guardò fuori. Non c’era nessuno. Rifece le scale, invano. Pensò che fosse andata dai Mazzolino e andò a cercarvela; ma anche stavolta, invano. Anzi, la signora Mazzolino si lagnò contro Lillì che aveva svergognato la sua ragazza in pubblico, presentandola come fidanzata.
Andò all’ufficio “Passeggieri” della “Tirrenia”, ricordandosi improvvisamente che Lillì voleva partire, ma inutilmente. Don Calcedonio prese la via di casa: gli parve probabile che la figlia avesse cercato di riparare a casa al più presto possibile per la vergogna dell’incidente sorto nell’interrogatorio. Ma a casa non c’era. Ritarda – dissero i genitori – Aspettiamola. – E l’aspettarono, don Calcedonio con un furore crescente, donna Concettina con una paura che non sapeva spiegarsi. 
- Io non capisco come tu l’abbia smarrita!
- Era seduta accanto a me; potevo supporre che da un momento all’altro non l’avrei vista più?
- Ma l’hai cercata bene?
- L’ho cercata.
Don Calcedonio tornò ad uscire, ma per andare dove? Non lo sapeva. Ah! se l’avesse incontrata in quel momento! Stringeva la canna americana; pim! pam! Le avrebbe dato lui il gusto di andarsene! Già era notte, ed egli se ne tornò a casa.
- È venuta?
Gli rispose un grido d’angoscia seguito da un empito di pianto.
- Vo agli ospedali.
Non c’era stata nessuna disgrazia. Alla Questura? Gli ripugnava andare alla Questura; nondimeno andò. Non sapevano nulla, ma in ogni modo avrebbero telefonato ai Commissariati. Ritornò a casa. Oramai il sospetto, che fosse stata vittima di una disgrazia, era scongiurato. Non rimaneva che l’altro di una fuga, ma dove e con chi?
E ricominciarono le rampogne, i raffacci, gli improperi, e tutta la notte passò fra i pianti e le grida.
Addio Fioravante! addio Rizzeri! addio teatro! Per più sere tacquero i paladini; poi, una sera in un carretto, si videro le masserizie di don Calcedonio mutar luogo. Egli mutava quartiere.
(Nella foto: disegno del pittore Amorelli sul Giornale di Sicilia del 1936)




Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. Romanzo moderno ambientato nella Palermo del 1920
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 31 dicembre 1936
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