mercoledì 28 aprile 2021

Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè

Il trentesimo volume della Collana dedicata alle Opere di Luigi Natoli è dedicato all’Opera dei Pupi: una raccolta di scritti non soltanto di Luigi Natoli, a lui abbiamo affiancato Giuseppe Pitrè. 
I due autori, amici e sicilianisti appassionati, avevano fra i tanti interessi in comune anche quello per l’opera dei pupi, l’Opra, che studiarono con grande accanimento in tutti i suoi aspetti, mischiandosi col “volgo” sempre con il massimo della loro modestia, patrimonio dei grandi uomini. Lo studio del teatro del popolino, dettagliato in tutti i suoi aspetti, porta i due autori a conclusioni diverse: Giuseppe Pitrè nel suo scritto di fine ‘800, non immagina il decadimento e la fine dell'Opra, mentre Luigi Natoli la intuisce, profetizzandone agli inizi del 1900 la sopravvivenza solo a scopo turistico o nelle "collezioni private e nei musei". Ma entrambi sono d’accordo sul fatto che 

"L’arti di li pupi è difficili assai, e ‘un è cosa di tutti"
 
Il volume contiene:
di Giuseppe Pitrè: "Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia" (Romania tomo 13, n. 50 - 1884). In questo scritto, oltre la simpatia e l’ironia dell’autore, incontriamo la Palermo di fine ottocento fotografata nelle abitudini del popolino: “Spettatori son per lo più ragazzi del popolino, iniziati quali sì, quali no in un mestiere; gli altri son giovani e adulti. Uno studioso di statistica non avrebbe modo di farsi un criterio esatto di quelli che veramente usano all’opra; perché in una vanno più monelli che giovani, in un’altra più giovani che ragazzi; in un sestiere son servitori, camerieri e guatteri; in un altro pescatori e pescivendoli (rigatteri) qua facchini (vastasi, vastaseddi), fruttivendoli; là lustrini, mozzi di stalla, manovali ed altri siffatti, ovvero operai de’ meno modesti e de’ meno bassi. Tutto dipende dal sestiere, dalla contrada dell’opra; dove, però, non si vede mai, o rare volte, una donna, e dove una persona del mezzo ceto sarebbe argomento di osservazioni e di commenti degli spettatori, come di maraviglia a coloro de’ suoi amici o conoscenti che venissero a saperlo”. Conosceremo i pupari, gli opranti e i cuntisti dell’epoca con vere e proprie interviste fatte dall’autore, ma soprattutto come la viveva il popolo e la passione che lo portava ad assistere alle rappresentazioni: “L’uditorio è tutto orecchi per sentire, tutto occhi per vedere chi entra e chi esce dal palcoscenico, seguendo l’azione e prendendo parte per uno de’ personaggi. Questo interesse per un paladino, per un eroe, è uno de’ fatti più caratteristici dell’opra; e rivela le tendenze e le inclinazioni del pubblico. Questi s’appassiona per uno, quegli per un altro; i seguaci, gli amici, i vassalli di questo paladino sono simpatici; ostili i seguaci, gli amici, i vassalli del personaggio contrario. La simpatia è per l’eroe o pel debole che subisce la forza del prepotente o che, indocile di freno, gli si ribella. Rinaldo con le sue audacie è sempre l’eroe accetto. Il suo apparir sulla scena è un avvenimento; di lui si studiano e prevedono le mosse, l’incesso, le parole”
di Luigi Natoli:
Il teatro del popolino (Almanacco del fanciullo siciliano - 1925), simpatica introduzione che esalta le eroiche gesta del paladino Orlando.
L’ Opra (Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 21 maggio 1914), dove l’autore profetizza il decadimento dell’Opra: “Anche dal palcoscenico le teste di legno cominciano ad andarsene; ce ne sono tante nel mondo, con la loro maschera immobile sul volto, che quelle piccole relegate su poche tavole, fra le scene dipinte, cominciano ad accorgersi di essere soverchie. L’«Opra di pupi» è al principio della fine. Fine del resto prevedibile e aspettata, per le mutate condizioni di vita, di pensiero, di gusti. Il cinematografo ne affretterà la morte; ma il «paladino» a quanto pare muore con tutti gli onori”.
Le tradizioni cavalleresche in Sicilia (estratto da Il Folcklore siciliano 1926) uno studio analitico sulla storia dell’Opera dei Pupi, che l’autore fa risalire al tempo della dominazione normanna in Sicilia.
Copione dell’Opra Fioravante e Rizzeri tratto dall'omonimo romanzo (1936)
Il volume, di 270 pagine, impreziosito dalla copertina di Niccolò Pizzorno, ci riporta indietro nel tempo facendoci rivivere le care, antiche tradizioni siciliane “Perchè le belle azioni, i nobili sentimenti, le virtù umane ci commuovono e ci empiono di entusiasmo, anche se i personaggi sono di legno” (Luigi Natoli).
 
Il volume (prezzo di copertina € 20,00) è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it
Si può acquistare con messaggio w.a. al 3894697296 oppure alla mail ibuonicugini@libero.it. Spedizioni a mezzo corriere in tutta Italia.
On line su Amazon e Ibs
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133, Palermo), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15)

martedì 27 aprile 2021

Giuseppe Pitrè: Il teatro delle marionette. Tratto da: Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè


L’opra, cioè il teatrino delle marionette, è un piccolo magazzino, alle cui pareti sono piantati de’ palchetti, comodi e puliti all’esterno, ma assai disagiati per chi avrà a prendervi posto, essendovi una panca molto angusta per sedervi, e poco spazio per distender le gambe; nè la palcatura è divisa; e gli spettatori come in un corridoio siedono l’uno accanto dell’altro. Nel mezzo del teatrino sono egualmente piantate un certo numero di panchette, sostenute da assi verticali; panchette, che, tutte insieme, guardate dalla porta, danno l’idea d’una enorme graticola di legno, nei cui interspazi ficcano piedi e gambe gli spettatori. Il corridoio mediano dei teatri ordinari qui manca allo spesso, ma ve n’è uno che tutto lo gira intorno, ed è chiamato passettu. Palchi (gallaria) e platea danno luogo dove a un centinaio, dove a un centocinquanta persone; ma in quelli di Catania ve n’entrano di più.
In fondo, di fronte alla porta d’entrata, è il palcoscenico, che ha piena armonia con le proporzioni dell’opra. Una volta esso era un po’ disadorno, e la tela (tiluni) appena colorata; erano bensì dipinte, e d’una maniera popolarmente graziosa, le scene e le quinte, rappresentanti quel che meglio convenisse alla storia del giorno. Da un trentennio in qua il tiluni è anch’esso dipinto, e così bene, che nel suo genere può dirsi qualche cosa di artistico. Ivi son ritratte scene cavalleresche: lo scontro di Rinaldo con Agramante, che lo assale di dietro (nell’opra della Vucciria nova in Palermo); l’entrata del conte Ruggiero il Normanno in Palermo (nell’opra di via Formai); Rinaldo, che offeso abbandona la corte di Carlomagno (nell’opra di via Collegio di Maria al Borgo) ecc.
Spettatori son per lo più ragazzi del popolino, iniziati quali sì, quali no in un mestiere; gli altri son giovani e adulti. Uno studioso di statistica non avrebbe modo di farsi un criterio esatto di quelli che veramente usano all’opra; perché in una vanno più monelli che giovani, in un’altra più giovani che ragazzi; in un sestiere son servitori, camerieri e guatteri; in un altro pescatori e pescivendoli (rigatteri) qua facchini (vastasi, vastaseddi), fruttivendoli; là lustrini, mozzi di stalla, manovali ed altri siffatti, ovvero operai de’ meno modesti e de’ meno bassi. Tutto dipende dal sestiere, dalla contrada dell’opra; dove, però, non si vede mai, o rare volte, una donna, e dove una persona del mezzo ceto sarebbe argomento di osservazioni e di commenti degli spettatori, come di maraviglia a coloro de’ suoi amici o conoscenti che venissero a saperlo.
L’opra ha per tutta questa gente un’attrattiva irresistibile; ed i ragazzi che non abbiano da pagare altrimenti il diritto di entrata mettono in serbo il granu (cent. 2 di lira) o il soldarello della colazione o del companatico d’uno o più giorni per andarlo a deporre nella mano del padrone del teatrino loro favorito; chè per essi l’opra è una gran bella cosa, ed uno degli spettacoli più graditi. Un tempo, prima del 1860, con due o tre grana (cent. 6 di lira) si entrava; adesso non ci vogliono meno di cinque grana (cent. 10); e siccome non tutti i ragazzi possono disporre giornalmente di dieci centesimi di lira, accade che solo la domenica e in qualche altro giorno della settimana ci vadano, quando cioè abbiano raggruzzolata quella sommarella, che procura loro una sera di divertimento

Che intendere non può chi non la prova...



Luigi Natoli: Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè. Il volume raccoglie: 
Il volume contiene:
di Giuseppe Pitrè: "Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia" (Romania tomo 13, n. 50 - 1884);
di Luigi Natoli:
Il teatro del popolino (Almanacco del fanciullo siciliano - 1925)
L’ Opra (Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 21 maggio 1914)
Le tradizioni cavalleresche in Sicilia (estratto da Il Folcklore siciliano 1926).
Copione dell’Opra Fioravante e Rizzeri tratto dall'omonimo romanzo (1936)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Nella foto: Il teatro della famiglia Argento, pupari dal 1893 (Via Pietro Novelli, di fronte la Cattedrale)
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al link https://www.ibuonicuginieditori.it/collana-dedicata-alle-opere-di-luigi-natoli. Spedizioni a mezzo corriere in tutta Italia. Contattaci al whatsapp 3894697296 o alla mail ibuonicugini@libero.it
Disponibile su Amazon Prime e Ibs
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15)


Luigi Natoli: Il palcoscenico di un teatrino... Tratto da: Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè


Orlando paladino! Facciamogli largo, perchè la sua spada Durlindana è terribile: spacca una montagna in due, come se fosse un cocomero. È il terrore dei Saraceni, dei ladroni, dei birbanti; perchè è saggio quanto valoroso, ama la giustizia, e non può tollerare le prepotenze. Senza Orlando, Carlo Magno imperatore non varrebbe un fico secco; i Saraceni si piglierebbero Parigi, e quel traditore di Gano di Magonza farebbe morire tutto il fiore dei paladini. 
Bello Orlando, non è vero? con la sua armatura di ottone nichelato, che pare argento; elmo piumato, con la visiera mobile; corazza, sopravveste verde, gambali, scudo... Ha un occhio storto, ma non monta. Eccolo piantato in mezzo al campo, e sfidare, con un vocione da mettere paura, i Saraceni; ecco avanzarsi Ferraù di Spagna, gigantesco, barbuto e valoroso Saraceno. Ed eccoli l’uno e l’altro scambiarsi male parole, sguainare le spade, e menar colpi terribili, zan! zan!... E l’organino suona qualche cosa che accompagna il ritmo dei colpi.
L’organino? Ah, guarda, eravamo così assorti ad ammirare Orlando che avevamo dimenticato di dire che il terribile paladino non è un uomo d’ossa e di carne, ma un omino di legno; e che il campo, sul quale compie le sue prodezze, è il palcoscenico di un teatrino; il teatrino del popolo, l’opra d'i Pupi, o semplicemente l’Opra... 



Luigi Natoli: Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè. Il volume raccoglie: 
Il volume contiene:
di Giuseppe Pitrè: "Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia" (Romania tomo 13, n. 50 - 1884);
di Luigi Natoli:
Il teatro del popolino (Almanacco del fanciullo siciliano - 1925)
L’ Opra (Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 21 maggio 1914)
Le tradizioni cavalleresche in Sicilia (estratto da Il Folcklore siciliano 1926).
Copione dell’Opra Fioravante e Rizzeri tratto dall'omonimo romanzo (1936)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Nella foto: Orlando, realizzato dal maestro Vincenzo Argento (corso Vittorio Emanuele 445, Palermo)
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al link https://www.ibuonicuginieditori.it/collana-dedicata-alle-opere-di-luigi-natoli. Spedizioni a mezzo corriere in tutta Italia. Contattaci al whatsapp 3894697296 o alla mail ibuonicugini@libero.it
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mercoledì 14 aprile 2021

Lettera al professore Luigi Natoli per il 164° anniversario della sua nascita: 14 aprile 1857 - 14 aprile 2021

Caro professore Natoli,

Oggi, 14 aprile 2021, è il 164º anniversario della Sua nascita e noi Buoni Cugini editori festeggiamo dando vita ad alcuni suoi scritti inediti su un tema a Lei caro, l’Opera dei Pupi.

Li abbiamo raccolti in un volume dal titolo “Il teatro del popolino”, lo stesso che Lei ha dato alla lettura tratta dall’Almanacco del Fanciullo siciliano, pubblicato nel 1925. Abbiamo inserito L’Opra, l’articolo da Lei pubblicato sul Giornale di Sicilia il 21 maggio del 1925 e Le tradizioni cavalleresche in Sicilia, pubblicate nel 1926. Per concludere, abbiamo estratto dal Suo romanzo “Fioravante e Rizzeri” il copione da teatro dal titolo omonimo. Poichè il tema dell’Opera dei Pupi era caro anche ad un Suo illustre amico, il “dottorissimo” Giuseppe Pitrè, abbiamo inserito nella raccolta lo scritto “Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia”, da Lui pubblicato nel 1884. Gli scritti si intrecciano benissimo, due grandi autori come voi danno al lettore un’idea completa della storia dell’Opra e delle tradizioni cavalleresche siciliane.

Caro professore, “Il teatro del popolino” è il trentesimo volume della Collana che a Lei abbiamo dedicato: tanta è ancora la strada da fare per completarla, tanti sono gli scritti da riportare in vita e numerosi sono i lettori che La seguono come se Lei fosse uno scrittore moderno, che ancora oggi pubblica inediti. Questa è la nostra più grande soddisfazione. 

Grazie per l’immenso patrimonio culturale che ci ha regalato.

I Buoni Cugini editori


martedì 13 aprile 2021

Un copione per i Pupi. Natoli a tutto campo. Articolo del prof. Salvatore Ferlita su La Repubblica

L’autore dei “Beati Paoli” è un ambasciatore siciliano che adesso sconfina in Bulgaria con la traduzione de L’abate Lanza” scritto in dialetto


Se Luigi Natoli oggi fosse vivo e vegeto (ragionando per assurdo, con buona pace degli storici) non ci penserebbe due volte a riconvertirsi in scrittore di sceneggiature e storie per le serie tv. Sarebbe di certo concupito dai boss di Netflix e compagnia bella, e prenderebbe ogni mese un volo per la California al fine di apporre la firma sull’ennesimo contratto di produzione. Esagerazioni a parte, davvero l’autore dei “Beati Paoli” di cui ricorre l’ottantesimo anniversario della morte, con suoi romanzi a puntate è da annoverare tra gli anticipatori della scrittura seriale contemporanea. Oltretutto, per la mole della produzione (che fa venire in mente i nomi di Georges Simenon e di Agatha Christie), per la popolarità di cui godette, per lo slancio fisiologico della sua affabulazione, possiamo considerare Natoli una sorta di Ur-Camilleri, la sua preconizzazione in terra di Sicilia. Assieme a Luigi Pirandello poi, lo scrittore e storiografo palermitano va inserito tra i più illustri ambasciatori della Sicilia nel mondo: è di pochi giorni fa la notizia che “L’abate Lanza”, opera teatrale di Natoli scritta in dialetto, a breve vedrà la luce in bulgaro: è il risultato di una vera e propria, impensabile, vertigine linguistica. 
“L’abate Lanza”, fino a poco tempo fa rimasto inedito, è stato pubblicato di recente da “I Buoni Cugini editori”, la premiata ditta dell’editoria palermitana formata da Ivo Tiberio Ginevra e dalla moglie Anna Squatrito. I quali, giusto sette anni fa, hanno messo su una casa editrice per riportare alla luce le opere condannate ingiustamente all’oblìo. Nel loro catalogo su tutti troneggia  il nome di Natoli, del quale hanno visto la luce più di trenta volumi. 
È in dirittura d’arrivo, sempre per i tipi dei “Buoni Cugini”, una vera chicca: si intitola “Il teatro del popolino. Scritti sull’Opera dei Pupi” di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè: quest’ultimo, più anziano di qualche anno, utilizzò sempre un tono di reverenza nel fitto epistolario che intrattenne con l’amico e sodale. Al grande medico, scrittore ed etnologo del resto Natoli non di rado si rivolgeva, apostrofandolo il “dottorissimo”, per ottenere credenziali al fine di poter frequentare le biblioteche delle tante città italiane dove insegnò o per chiedere un appoggio per l’approvazione di una delle sue tante grammatiche e successivamente per l’adozione nelle scuole. Il volume in questione allineerà pure un copione scritto da Natoli per l’opera dei pupi, originariamente inserito nel romanzo “Fioravante e Rizzeri” (1936). 
E in cantiere i coniugi editori hanno altri titoli: in preparazione infatti è il volume delle poesie edite e inedite, da tempo difficilmente reperibili. I versi di Natoli, non dimentichiamolo, furono apprezzati, tra gli altri, da Mario Rapisardi e da Giuseppe Pipitone Federico, palati assai fini in materia poetica. Ne sta dunque venendo fuori davvero un’operazione ciclopica, che offre la ghiotta opportunità di riconsiderare finalmente la figura di questo autore prolifico, troppo sbrigativamente liquidato come quello dei “Beati Paoli”. 
Garibaldino già in fasce e mazziniano convinto, Natoli dedicò tutta la sua vita alla scrittura (una specie di mostro che, ingordo, pian piano lo ha fagocitato: fu, infatti, scrittore, giornalista, romanziere, poeta, commediografo, critico letterario e filologo), e all’insegnamento, che praticò in modo erratico, costretto a far presto armi e bagagli e a spostarsi da una sede all’altra perché assai malvisto dal fascismo: fu pure trasferito a Sassari passando per Pisa, Napoli, percorrendo le stazioni di una sorta di via crucis. Si mostrò ben presto particolarmente eclettico, firmando saggi critici, antologie poetiche, scritti di storia dell’arte, opere storiografiche, ma soprattutto racconti (se ne contano più di trecento) e una trentina di romanzi, quasi tutti pubblicati a puntate sui quotidiani, in particolare sul “Giornale di Sicilia”. 

Natoli appartiene all’illustre schiera degli autori di feuilleton: manipolo di alto lignaggio, se si pensa che in esso militarono, prima di lui, scrittori del calibro di Balzac, Dickens, Dumas. La cadenza settimanale, la pubblicazione su una testata giornalistica agevolavano il processo di fidelizzazione di un numero sempre più vasto di lettori (che nelle portinerie umide e buie di Palermo, si racconta, computavano a voce alta l’appendice di avventure fresche d’inchiostro per metterle alla portata di tutti): per Natoli era legittimo scrivere per tutti e non per una minoranza. Si avviò così un processo di inarrestabile consacrazione: nessuno era disposto a perdere una puntata delle sue storie, le più varie, le più romanzesche, seppur proiettate su un fondale ben ricostruito: “Era uno storico con le carte in regola” per Leonardo Sciascia, ma anche “uno scrittore efficace, un narratore tecnicamente accorto. Si può dire senz’altro uno scrittore buono, se dopo tanti anni e dopo aver “bevuto in tante altre cantine”, prendendo in mano un suo libro e cominciando a leggerlo, ecco che ci troviamo costretti a finirlo. Da “Calvello il bastardo” a “La vecchia dell’aceto”, da Cagliostro e le sue avventure” a “La baronessa di Carini”, che a maggio uscirà in una nuova edizione illustrata per i tipi della casa editrice catanese Lunaria. Per non dire di altri romanzi meno noti, come “Gli ultimi saraceni”, “Alla guerra!”, “Squarcialupo”, “Il capitan Terrore”, “Gli Schiavi” che Natoli considerava l’opera più importante. Ma sappiamo invece che la sua vocazione letteraria fu consacrata dalla pubblicazione dei “Beati Paoli”, di certo tra le storie più riuscite che gli si devono, suggestive e insieme misteriose, per via anche del fascino antico della leggenda popolare da cui l’autore prese le mosse. Le imprese dell’oscura società segreta che nella Palermo di fine Seicento prendeva le difese degli oppressi alla lunga ha oscurato una produzione molto vasta e soprattutto variegata, rispetto alla quale però, alla fine, si ha la netta sensazione di avere sotto gli occhi un unico, sorprendente, smisurato testo, letto qua e là: ne consegue che i titoli sovente si confondono un po’ tutti, ma non c’è un solo libro che possa essere definito un vero capolavoro.


Un copione per i pupi, Natoli a tutto campo. Articolo del prof. Salvatore Ferlita su "La Repubblica"


 

Esce il trentesimo volume della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli edita I Buoni Cugini editori: Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè

Luigi Natoli e Giuseppe Pitrè, amici e sicilianisti appassionati, avevano fra i tanti interessi in comune anche quello per l’opera dei pupi, l’Opra, e la studiarono con grande accanimento, mischiandosi col “volgo” più basso con il massimo della loro modestia che è il tipico patrimonio dei grandi uomini. Lo studio del teatro del popolino dettagliato in tutti gli aspetti, porta, però, i due autori a conclusioni diverse. Pitrè non immagina il decadimento e la fine dell’Opra, mentre Natoli ne intuisce la stessa profetizzandone la sopravvivenza solo a scopo turistico o artisti - co nelle “collezioni private e nei musei”.

Questi cartelloni dipinti ad acquarello che ogni teatrino tiene tuttodì esposto sopra la porta di entrata, ritraggono varie scene della storia in corso di rappresentazione, e servono a chiamare l’attenzione dei ragazzi, i quali si fermano a bocca aperta a contemplarli ed a spiegarli. L’uomo di affari, il dotto, la gente seria guarda questi cartelloni e sorride forse di pietà pe’ poveri di spirito che si fermano innanzi a queste cose ridicole; i ragazzi sorridono della gente seria che guarda e passa. Così va il mondo!
Giuseppe Pitrè

L’arti di li pupi è difficili assai, e ‘un è cosa di tutti. 


Il teatro del popolino. Scritti sull'Opera dei Pupi di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè. 
Giuseppe Pitrè: Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia. (Romania tomo 13 n. 50 - 51 1884)
Luigi Natoli: Il teatro del popolino (L’Almanacco del fanciullo siciliano Industrie Riunite Editoriali siciliane - 1925) L'Opra (Articolo pubblicato il 21 maggio 1914 sul Giornale di Sicilia con lo pseudonimo di “Maurus”) Le tradizioni cavalleresche in Sicilia (Estratto da “Il Folklore italiano” – Anno II – 1926 n. 1)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 20,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (consegne in tutta Italia a mezzo corriere). Prenota la tua copia con messaggio whatsapp al cell. 3894697296 o alla mail ibuonicugini@libero.it. Disponibile on line su Amazon e Ibs. In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)


mercoledì 7 aprile 2021

Luigi Natoli: Il Foro di Lilibeo e la vendita degli schiavi. Tratto da: Gli schiavi. Romanzo storico ambientato nella Sicilia del 103 a.C. al tempo delle guerre servili

Lilibeo offriva ancora lo spettacolo di una città mista nei suoi edifici di elementi cartaginesi e di elementi greco-romani. Per quanto da un secolo circa appartenesse a questi ultimi, la più che secolare dimora fattavi da quelli, per i quali era una base di domini in Sicilia, aveva lasciato molto della sua vita nella struttura di qualche tempio, in una parte del Foro, in parecchie case, cupe come le loro anime. 
Il Foro era situato nel bel mezzo della città, nelle vicinanze del mare. Era una piazza piuttosto lunga che larga, circondata di colonne, e dentro i portici era piena di botteghe. Ivi erano gli orafi, i mercanti, i granai; ivi i macellai, i fornai, i vinai; ivi si commerciava. A un capo della piazza v’era la magistratura, accanto v’era il palazzo del questore; di fronte, il tempio trasformato romanamente, e dedicato a Giove. 
La vita pubblica si svolgeva nel Foro, e anche la privata nelle sue relazioni sociali. I cittadini, oltre che per acquistarvi ogni cosa utile a vivere, vi convenivano per chiacchierare, discutere, concludere gli affari; perché ancora non era invalso l’uso dei bagni a luoghi di ritrovo, come oggi sono i caffè e i circoli. Le notizie si apprendevano nel Foro, nelle taverne argentarie, negli unguentari (6) e simili botteghe, frequentate dai cavalieri romani, dai ricchi siciliani, dalle donne che amavano i profumi.  
Caio Cecilio fendè la folla, che gli antiambulani avevano diviso in due ali, e si avvicinò alla catasta. Gli schiavi erano tutti giovani, nessuno dei quali toccava ancora i venticinque anni. Il cartello che pendeva sul petto di ognuno diceva la patria, l’età e le attitudini. Erano tutti gente scelta; v’erano Sirii e Liburni, abili portatori; Frigi, Lici, Greci d’Asia buoni per servire a tavola; Numidi atti a far da messaggeri e da corrieri; vi erano buoni pastori, palafrenieri, bagnini, tonsori (11); e fra le donne: orlatrici, cinstore (12) e perfino una ostetrica. 
Erano alla mercè dei visitatori: che li palpavano, li esaminavano da ogni parte, ne provavano la forza e l’agilità, ne valutavano il prezzo, ma il più delle volte se ne andavano senza acquistarne. 
Caio Cecilio andava osservando ad uno ad uno quei poveri schiavi; li osservava e domandava al mercante le loro qualità e perché fossero schiavi. Si fermò dinanzi ad un giovane di circa vent’anni. Era alto e muscoloso e mostrava di possedere una forza fisica superiore agli altri, una forza morale, quasi la conoscenza del proprio valore, e un rispetto verso di sé, da non aver confronti. Era di carnagione abbronzata dal sole, ma bianca in se stessa, con i capelli castani e sul volto una leggera lanugine bionda; il naso diritto, la bocca bella ma sdegnosa, il mento quadrato; ma gli occhi scuri e grandi avevano una finezza e nel tempo stesso un fascino tale che attirava la simpatia di chi lo mirava. 
Caio Cecilio lo guardò in silenzio, lesse il cartello: “Bionte, soprannominato Elio, nacque in Cirene, nel 632 di Roma, atto a qualunque ufficio”. Poi si volse al mercante: 
- Compro costui se mi accomoda… 
- Oh, puoi esaminarle quanto vuoi, domine. Non v’è schiavo migliore di lui. 
Caio Cecilio lo tastava da ogni lato, gli faceva aprire la bocca e guardava i denti: bianchi, solidi e forti; gli metteva la mano sul cuore. 
- Non ha difetti occulti? 
- Oh, per Ercole! Che dici tu! È sanissimo. Te lo do con ogni malleveria. Non è fuggitivo (13) perché avrebbe se non altro, rasa la metà dei capelli. Per questo, non lo cedo per meno di centomila sesterzi (14). 
- Caro – replicò Caio Cecilio: – per diecimila sesterzi… 
- Oh santi Numi; e tu Ermete (15) fa che questo illustre padrone si persuada! Mi offre diecimila sesterzi! Ma ne vale duecentomila! È buono, anzi eccelle in tutto! Mettilo a bifolco, è capace di domare il più riottoso dei tori; mettilo a un’arte, e ti farà stipi o chiavi incredibili; mettilo a contabile e ti farà trovare i conti in regola. Non ti dico della sua forza…


Luigi Natoli: Gli Schiavi – Romanzo storico ambientato nella Sicilia del 103 a.c. al tempo della Seconda Guerra Servile. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato con la casa editrice Sonzogno nel 1936. Le note aggiuntive dell’editore sono poste allo scopo di far capire maggiormente al lettore il grande lavoro di ricostruzione del periodo storico del romanzo svolto dall’autore.

Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 387 – Prezzo di copertina € 22,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
Per qualsiasi informazione: ibuonicugini@libero.it – Cell. 3457416697 – Whatsapp 3894697296
Le librerie possono acquistare contattandoci alla mail oppure possono rivolgersi al nostro distributore Centro Libri (Brescia)


Luigi Natoli: Erice. Tratto da: Gli Schiavi. Romanzo storico ambientato in Sicilia nel 103 a.C. al tempo della seconda guerra servile.

Erice sorgeva in cima ad un monte isolato sopra Drepano, e il tempio famoso era visibile da ogni parte, poiché spuntava oltre la muraglia che lo circondava, eretta o rafforzata dai Romani dopo la conquista della città. Già Afrodite aveva mutato il nome greco in quello latino di Venere; ma i Sicilioti e i Siculi ellenizzati continuavano a chiamarla Afrodite.
Il nome primitivo datole dai naturali dell’isola (giacchè si tratta di una divinità sicana) è ignoto. Narra Virgilio, nel V libro del poema, che Enea, istituendo le feste pel compleanno della morte di Anchise, suo padre, avesse eretto sul monte un tempio alla dea Venere.
Essa fu madre di Erice, figlio di Bute; il quale Erice fu ucciso da Ercole, e sepolto nel monte, che da lui prese il nome. In enzione più poetica che altro.
Il culto di Afrodite Ericina, o Venere, crebbe con gli anni, e il suo tempio, mèta di pellegrinaggi, era il più ricco del mondo e rivaleggiava con quello di Pafo. Forse a questo valeva molto la presenza delle jerodule, che avevano in custodia il tempio. Le jerodule, tutte giovani e belle, erano ad un tempo sacerdotesse ed esercitavano la sacra prostituzione; il rito era antico, e nessuno sapeva quando fosse cominciato. Non uscivano mai fuor dalle mura che circondavano il tempio, se non quando erano vecchie; avevano case, e vivevano di comune accordo. Diciassette città per ordine dei Romani provvedevano il tempio di quanto occorreva, e duecento soldati vigilavano alla sua sicurezza.
Quando la bireme di Cleone ancorò nel porto di Drepano, s’aspettava il ritorno delle colombe sacre ad Afrodite. Ogni anno miriadi di colombe fra i canti delle jerodule prendevano il volo per la Libia, e dopo nove giorni tornavano. Erano precedute da una colomba rossa, nella quale si intendeva impersonata la Dea. Il ritorno era salutato da canti gioiosi e da riti.
Lungo la strada che dalla pianura saliva per l’erta, una folla d’uomini, di donne, di ragazzi, si recava ad Erice, che sorgeva in disparte del tempio, e più in basso; e dalla acconciatura dei capelli, e dal colore preferito delle vesti si distinguevano fra le altre abitanti di Lilibeo, quelle di Segesta, quelle di Selinunte. Erano liete e ciarlavano.
Era l’alba: il cielo, imbiancatosi all’orizzonte, era sgombro di nuvole: solo qualche lieve sfilacciatura si andava colorando in roseo. Via via che i pellegrini ascendevano il monte, vedevano spiegarsi e allargarsi tutto intorno il bello, grandioso ed rrido paesaggio. Da una parte l’occhio correva a Drepano, simile a una falce caduta in una immensa pozza di calce, per via delle saline che brillavano di bianco; e più lontano, tra il dubbio vapore che saliva dalla terra ridestatasi, si vedeva Lilibeo e la distanza avvolgeva la pianura in una cerula e indistinta nube. Oltre Drepano, oltre Lilibeo,  il mare azzurro, senza confine; e le isole, il capo Egitallo, che già si doravano al sopravvenire dell’aurora. Ma girando il monte, mutava la scena. Altri monti e ancora monti, quali ripidi tagliati a picco sul mare, che qui prendeva una tinta di argento; quali succedentisi l’un dopo l’altro entro terra, come in uno scenario fantastico. S’aprivano seni fra le rocce; ecco le acque putizianese(14); ecco biancheggiare, tra il sì e il no dei capi, Cetaria(15); e più lontana ancora la punta dei monti segestani. Dentro terra, boschi e monti or coperti di verde, ora brulli. E l’una e l’altra visione si alternavano sotto lo sguardo ammiratore dei pellegrini, che il sole, sorgente dalle onde, rivestiva d’oro.
Cleone ed Egle si fermavano di tanto in tanto, ed ammiravano lo spettacolo, sempre nuovo, sempre bello, con un sentimento religioso; e connettevano al levarsi imponente del sole e al risveglio della natura, le credenze negli Dei, di che era piena la loro coscienza. Saliva dagli alberi un pigolìo festoso: gli uccelli si rallegravano e ringraziavano il dio della luce; e dalle erbe agli alberi passava come un fremito, che era anch’esso di ringraziamento, per essere usciti fuor dalle tenebre della notte.
E con loro si fermavano qua e là i pellegrini. E raccontavano. Uno di essi parlava di Venere Ericina...


Luigi Natoli: Gli Schiavi – Romanzo storico ambientato nella Sicilia del 103 a.c. al tempo della Seconda Guerra Servile. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato con la casa editrice Sonzogno nel 1936. Le note aggiuntive dell’editore sono poste allo scopo di far capire maggiormente al lettore il grande lavoro di ricostruzione del periodo storico del romanzo svolto dall’autore.

Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 387 – Prezzo di copertina € 22,00
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