martedì 30 maggio 2023

Luigi Natoli: Un nuovo duca della Motta... Tratto da: I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano

 
Un giorno, entrando nella sala da pranzo con le vesti un po’ larghe, s’accorse che gli occhi di don Raimondo si eran fissati sul suo grembo, con una insistenza indagatrice. Arrossì e n’ebbe paura. Paura non per sè, ma per la creatura che le si agitava nel seno, come se anch’essa avesse sentito quello sguardo. Istinto? chiaroveggenza? pazzia? Non lo sapeva; ma da quel momento le sembrò che don Raimondo insidiasse quel nascituro. 
Egli si accorse della diffidenza e della paura destata? Forse sì. Cercò di sorridere e di scherzare. 
- Ebbene, signora cognata, ci siamo dunque?
Donna Aloisia arrossì, chinò il capo e non rispose. 
- Ecco dunque che avremo un nuovo duca della Motta. 
Le sue parole erano d’augurio, ma a donna Aloisia parve che nel tono celassero una grande amarezza, quasi una collera sorda, un livore ma perchè?
D’allora in poi ella fu più chiusa, più riservata, più guardinga, temendo che la malevolenza del cognato potesse nuocere alla sua creatura che egli potesse tramar sortilegi e altre fattucchierie per uccidergliela, si ricordò di tutte quelle precauzioni che le venivano consigliate dalle credulità di quei tempi. Andò alla chiesa di S. Francesco di Paola, dove, mercè una buona elemosina, si fece dare due fave e due ostie benedette, il cordone di lana nera, e la candeletta con la leggenda: tutte cose efficacissime. Mangiò le fave e le ostie in chiesa, stando in ginocchio devotamente; e a casa cinse sulle carni il cordone benedetto. Le parve così d’essersi premunita, e si tenne più sicura; ma evitò sempre d’incontrarsi con don Raimondo. 
Così scorrevano i mesi; una grande consolazione e una giornata di gioia e di dolci lacrime le procurò in questo tempo una lettera di don Emanuele, al quale aveva ella partecipato la grande novella. Don Emanuele le scrisse una lettera piena di tenerezze, affermando che il nascituro non poteva essere che maschio, si abbandonava ai sogni della sua fantasia e circondava l’erede di tutte le gioie. Anche lui parve pieno di quella maternità, nella quale si continuava la stirpe. Ecco: gli avi suoi dovevano essere lieti, che le virtù trasmesse fino a lui da un lungo ordine di primogeniture, non si estinguessero, o meglio non si arrestassero in lui: egli ubbidiva alla gran legge della razza, e le tramandava al suo nato. Trecento anni di nobiltà vegliavano su la nuova culla. 
Questa lettera, nella quale don Emanuele annunciava il suo prossimo ritorno, impiegò circa due mesi per arrivare a Palermo; cosicchè donna Aloisia, che l’ebbe negli ultimi di novembre, aspettava di giorno in giorno l’arrivo del marito. 
Si sapeva dagli avvisi venuti da Roma e da Napoli che la guerra era finita, che la pace era stata conchiusa; e don Emanuele quindi non aveva più ragione di trattenersi al campo; e, secondo la sua lettera, aveva dovuto essere partito. Come dunque non arrivava? Donna Aloisia ne era impensierita e farneticava mille pericoli, che la buona Maddalena tentava di distruggere. 
Ma donna Aloisia, se da una parte, pel bisogno che ha lo spirito di afferrarsi alle spiegazioni che offrono un conforto e una speranza, conveniva in quel che diceva Maddalena, dall’altra non poteva sopprimere le ansie, le apprensioni, le paure che l’angustiavano e che il silenzio del duca e la mancanza di notizie, anche indirette, aumentavano.
La gravidanza si compì nel dolore muto di quella mancanza di nuove; ogni giorno che passava, lo scoramento cresceva: donna Aloisia sentiva la disperazione impadronirsi del suo cuore. Eran lunghe giornate di lagrime, celate spesso nell’ombra della solitudine. Maddalena, spinta dalla sua devota affezione, osava movergliene dolci rampogne. 
- Vostra eccellenza si ammala, e ammalerà la creatura, che Dio liberi!... 
Queste parole le ricacciavano indietro le lagrime; ed ella si riconcentrava tutta nel pensiero della sua creaturina tremando all’idea che potesse ammalarsi, e procurando di rimaner tranquilla. 
Il giorno però in cui sentì i primi sintomi del gran momento, le prese uno sgomento angoscioso. Essa non avrebbe veduto accanto a sé altro volto amico fuor di quello di Maddalena. L’uomo che avrebbe potuto e saputo infonderle coraggio, che con la dolce carezza, col giocondo sorriso, con la parola sicura l’avrebbe guidata in quel grande augusto e misterioso frangente, non era lì, al suo fianco; ed ella non sapeva neppur dove fosse; non era lì e non avrebbe accolto tra le sue braccia, non avrebbe dato il benvenuto al nato da lui, nel suo primo scaturire al mondo! 
- Don Emanuele! Don Emanuele! perchè mi avete abbandonata? – gridò disperatamente.
Ma la natura ebbe ragione del suo dolore; quel che doveva venire avvenne per le leggi indefettibili e immanenti della vita. 
Il piccolo essere venne alla luce, ed ebbe soltanto il bacio della madre... 


Luigi Natoli: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. 
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno
Disponibile in ebook al link: I Beati Paoli - ebook (streetlib.com) al costo di € 6,90.
Disponibile in cartaceo (prezzo di copertina € 25,00) dal catalogo prodotti della casa editrice al link: Luigi Natoli: I Beati Paoli (ibuonicuginieditori.it)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.

Luigi Natoli: Donna Aloisia Ventimiglia, promessa sposa di don Emanuele Almamonte, duca della Motta. Tratto da: I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano

Una mattina don Emanuele gli disse: 
- Figlio mio, io invecchio; è tempo che io prenda moglie. 
Don Raimondo levò il capo vivamente, impallidendo. Per la prima volta, forse, guardò negli occhi il fratello, ma senza tradire il pensiero interiore. 
- Ho già in vista la tua futura cognata; è molto più giovane di me; ma per un vecchio tronco come me ci vuol proprio un bel virgulto giovane per farmi rinverdire. 
- Quel che fate voi è sempre ben fatto, – rispose don Raimondo senza entusiasmo, ma senza mostrar freddezza; e dopo un minuto di silenzio riprese: – E sarà troppo ardire domandarvi il nome della mia signora cognata?
- Ma anzi, è naturalissimo, figliol mio: è donna Aloisia Ventimiglia. Buon sangue. Discende dai re normanni. 
Qualche giorno dopo don Emanuele domandò formalmente la mano di donna Aloisia Ventimiglia, della nobilissima casa dei marchesi di Geraci, che aveva vent’anni meno di lui, e che usciva dal monastero di Santa Caterina, dove era stata educanda, sotto la guida delle sorelle di don Emanuele. Le nozze si celebrarono di lì a sei mesi; e furono sontuose, come erano di solito quelle delle primarie famiglie: nel piano del palazzo reale i giovani cavalieri giostrarono con magnifiche livree e bellissime invenzioni, e lo stesso vicerè intervenne alle feste che duraron tre giorni. 
Il popolo v’ebbe la sua parte: nella piazzetta della Mercede, don Emanuele fece improvvisare una fontana che dava invece di acqua vino, e alcune barracche piene d’ogni ben di Dio, che la folla saccheggiò, tripudiando in onore degli sposi. Per quanto fra gli sposi fosse una grande disparità d’anni, che offriva alle male lingue materia da sforbiciare, o per mal celata invidia o per far dello spirito, non si poteva dire una coppia mal combinata; perchè don Emanuele non mostrava i suoi quarantacinque anni; non soltanto per la freschezza e la sveltezza del suo fisico, ma anche e più per quella gioconda vivacità del suo spirito, che non pareva dovesse invecchiare. Forse questo guadagnò donna Aloisia. Il giorno in cui don Emanuele le aveva dato l’anello del fidanzamento, ella era rimasta come sgomenta al cospetto di quel pezzo d’uomo che non facea inchini ridicoli e svenevoli e rideva rumorosamente; ma durante i sei mesi aveva preso ad amarlo, pur sentendosi come soggiogata, e non osando fissar a lungo i suoi negli occhi di lui. Don Emanuele le appariva a mano a mano sotto una luce che la incatenava; ed ella si sentiva presa pel suo bel signore che poteva esserle padre. La prima notte che donna Aloisia si trovò sola con don Emanuele, nel vasto palazzo degli Albamonte, ebbe paura. Trepidando gli si rifugiò nel petto come una gazzella; egli la sollevò tra le braccia, se la pose sulle ginocchia come una bambina, e le domandò dolcemente, con una tenerezza che la fece piangere: 
- Andiamo! avete paura di me? vi faccio dunque paura?
Ella non seppe rispondere che con un cenno del capo che voleva dir no; ma il suo corpo tremava sotto la dolce pressione di quelle mani, alle quali del resto non sapeva nè voleva sottrarsi. Egli la mise a letto come una bambina, e si pose a sedere in un seggiolone ai piedi del letto: e così passarono più ore, in silenzio, senza dormire; poi donna Aloisia levò timidamente il capo fuori dalla coperta, e, guardato con pietà, rimorso, tenerezza quell’uomo che l’aveva fatta tremare, gli disse con un soffio di voce: 
- Volete passar la notte su quel seggiolone?
Dopo due mesi don Emanuele chiamato da un dispaccio regale aveva dovuto lasciar la moglie per andare in Spagna. Gli addii furon lunghi, teneri, lagrimosi. Per quanto il duca si fosse sforzato di essere allegro e scherzoso, non aveva potuto dominare la sua commozione. Raccomandata la moglie al fratello e a un vecchio servo fedele, era partito, promettendosi di ritornare al più presto. Invece passaron sei mesi che per donna Aloisia furon sei mesi di triste solitudine. 
Ella non s’incontrava con don Raimondo che a tavola; e per quell’ora rimanevano in silenzio l’una di fronte l’altro, scambiando appena quelle parole che la convenienza rendeva indispensabili. Don Raimondo aveva un aspetto freddo e glaciale, quasi astioso; ed ella provava per lui una specie di repugnanza o di avversione che confinava con la paura. Quell’uomo aveva qualcosa di sinistro: almeno così le pareva. Certo non aveva per lei nessun sorriso di bontà: se talvolta le sue labbra sottili e pallide erano sfiorate da un sorriso, questo aveva qualcosa di perfido che la faceva rabbrividire. 
Il ritorno di don Emanuele, nel marzo, era sembrato al suo cuore come il ritorno alla luce dopo una lunga notte tenebrosa. Ella gli si precipitò nelle braccia piangendo, e mormorando: 
- Non mi lasciate più! non mi lasciate più! 
Don Emanuele si informò dell’andamento della casa; e parve contento e soddisfatto del contegno riserbato dal fratello, la qualcosa gli rese meno dolorosa la nuova partenza, quattro mesi dopo della rinnovata luna di miele. 
Questa volta donna Aloisia gli si abbarbicò al collo; e non voleva lasciarlo, disfacendosi in lagrime e in preghiere. Don Emanuele, per non lasciarsi vincere dalla commozione, fingeva di arrabbiarsi: 
- Via! che cosa sono coteste debolezze? Animo! mi fate andare in collera!
Ma non si risolveva a separarsi, preso d’una grande tenerezza per quella creatura, e d’una gran collera contro sua maestà, che pareva lo facesse a bella posta a turbargli le dolcezze di una vita, che egli si pentiva di aver conosciuto troppo tardi. Pallido, freddo, col suo sguardo tagliente come una lama e la bocca stretta don Raimondo non pareva commosso di quegli addii. Il duca partì, dopo aver raccomandato caldamente ed affettuosamente la moglie al fratello. 
Il dì della Vergine, 15 agosto, donna Aloisia sentì pulsare nel suo grembo una nuova vita. Era sola; trasalì e scoppiò in pianto, ma provò una grande consolazione. Dall’ora in poi le parve di avere una custodia, e la maternità riempì le sue ore di solitudine e di sgomento; parlando con la buona Maddalena di quella creatura, nella quale sembravale di aver presente il marito lontano.


Luigi Natoli: I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano.
Disponibile in ebook al link: I Beati Paoli - ebook (streetlib.com) al costo di € 6,90
Disponibile in cartaceo (prezzo di copertina € 25,00)
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito: www.ibuonicuginieditori.it (https://www.ibuonicuginieditori.it/store/product/luigi-natoli-i-beati-paoli (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria

martedì 23 maggio 2023

Luigi Natoli: Il signor Galcerano e la nobile famiglia dei Corbera. Tratto da: La dama tragica. Romanzo storico siciliano

Disponibile in ebook al link 
La dama tragica - ebook (streetlib.com) e su tutte le piattaforme online. 
Il signor Galcerano era della nobile famiglia dei Corbera; signori di una vasta baronia, che prendeva nome dall’antico castello arabo di Mensil-Sindi, trasmutato sulla bocca popolare in Misilindino o Miserandino. Poteva avere venti anni, ma pareva ne avesse di più; alto di statura, largo e squadrato di spalle e di torace, muscoloso di braccia e di gambe; ma svelto a un tempo ed elegante. Un bel corpo vigoroso di giovane eroe. Era bruno di volto con capelli neri e ricciuti. Nella linea forte della bocca, nella energia della mascella, nella vivacità dello sguardo aveva qualcosa di ardito e di pertinace, che però spesso sparivano sotto una espressione di dolcezza e di ingenuità fanciullesca.
Il signor Galcerano infilò la strada di S. Onofrio, e piegò per un vicolo buio e angusto dove non era possibile scorgerlo. Egli abitava nella strada della Bandiera, nel vecchio palazzo della sua famiglia; un palazzo non molto vasto che conservava la sua architettura quattrocentesca solida ed elegante, coi merli in cima, le finestre rettangolari geminate da una sottile colonnina, simile allo stelo d’un fiore, e il portone ornato d’una cornice intagliata, forma d’un grande angolo col vertice in alto, dentro il quale si apriva la porta. I Corbera eran venuti di Spagna fin dal Trecento; ed avevano acquistato in Palermo reputazione e dignità, e nell’isola, vasti possedimenti. In breve si erano naturalizzati; erano stati inscritti nell’ordine senatorio e avevano occupato uffici eminenti. Un Galcerano nel 1449, era stato presidente del regno, cioè aveva tenuto luogo del vicerè assente; un Giuliano, che aveva combattuto valorosamente contro il maresciallo de Lautree era stato Pretore della Città, e vuol dire presso a poco quel che oggi chiamiamo sindaco, ma con maggior dignità, un Pietro, suo figlio aveva militato sotto Carlo V, e n’aveva avuto fama di prode. Non vi mancarono uomini di lettere; fra i quali un Bartolomeno di cui rimane qualche poesia. Facevano per armi cinque corvi neri in campo bianco. Capo della casa era adesso don Antonio nelle cui mani era passato il vasto feudo del Misilindino. Munifico e di grandi idee, Antonio fondava in quei tempi intorno al vecchio castello un paese, quello stesso che poi si chiamò Santa Margherita; il che lo aveva costretto a contrarre molti e gravi debiti, che lo tenevano in liti continue, e ingoiavano gran parte delle entrate. Il giovane Galcerano, al quale quella notte era toccata la strana avventura, era l’erede del vasto patrimonio, e delle virtù guerresche dei suoi maggiori. Troppo giovane quando don Giovanni d’Austria s’era mosso con l’armata contro il Turco, – aveva appena quindici anni, – non aveva potuto imbarcarsi sulle galere col fiore della gioventù palermitana andata volontaria all’impresa: ma i racconti delle prodezze compiute da Cola d’Odio, che impadronitosi da solo d’una galera turca, vi morì da archibugiata in fronte; di Cola dei Bologna, che ne riportò il soprannome di Valente; dal capitan Giorgio Montisoro, dal suo amico don Geronimo di Giovanni, da cento altri nobili, accorsi come lance spezzate o venturieri sulle galere della città di Palermo, gli accendevano una gran voglia di prender parte a qualche spedizione. Ma in quegli anni il Turco, per la disfatta avuta a Lepanto, stancato dalle due spedizioni di Navarino e di Tunisi, che lo costringevano alla difesa, non osava; guerre in Italia non ce n’erano; anche nelle Fiandre v’era un po’ di tregua; e eran guerricciole e insignificanti. Il signor Galcerano perciò non poteva mostrare il suo valore che nella sua bella sala d’armi o nell’Accademia dei Cavalieri (specie di accademia militare) o nelle giostre; nelle quali, sebbene molto giovane, faceva begli incontri e sfoggiava ricche armature, spade di gran pregio, bardature e gualdrappe di finissimo lavoro.


Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1560.
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930.
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile in ebook al link La dama tragica - ebook (streetlib.com) prezzo € 6,90 e su tutte le piattaforme online.
In cartaceo (pagine 604 - prezzo di copertina € 24,00) su tutti i siti di vendita online e in libreria, oltre che dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

Luigi Natoli: Donna Eufrosina Corbera. Tratto da: La dama tragica. Romanzo storico siciliano

Il volume è disponibile in ebook al link La dama tragica - ebook (streetlib.com) prezzo € 6,90 e su tutte le piattaforme online.

Era bellissima. Sebbene la moda di quei tempi, con le maniche a sbuffi, col busto serrato, con la gonna larga, togliesse sveltezza e libertà alle forme del corpo ella aveva qualcosa di molle e sottile, come di un candido giglio. I bei capelli castani ondulati e raccolti indietro in trecce, e fermati da un cerchietto d’argento, incorniciavano un volto di pure forme classiche, dolcemente pallido, nel quale gli occhi grandi, neri profondi lucevano in una specie di umidore languido e pieno di mistero e la bocca tumida e corallina pareva aspettasse dolcezze ignote.
Ella in verità non era stata mai innamorata di don Galcerano, fino allora anzi non aveva mai provato gli spasimi e le gioie di una passione. Amava il marito come un amico; perchè era suo debito, perchè era una legge o consuetudine di matrimonio; e così per legge, per consuetudine, per debito del suo stato, essa lo accoglieva fra le braccia; ma senza quelle profonde commozioni che tramutano in una divina poesia un contatto animale. Per una necessaria, ma spiegabile condizione di cose ella conosceva i misteri dell’amore, senza conoscer veramente l’amore pieno e intero, senza provar l’incanto di una dedizione di tutto l’essere, di vivere della vita altrui, di sentirsi una di spirito e di corpo con la persona amata.
Il matrimonio com’era consuetudine e come pareva saggia usanza, era stato concertato dai genitori all’insaputa dei giovani. Ella stava allora nell’educandato di Monte vergini per istruirsi. Tutte le fanciulle della nobiltà titolata, della magistratura e dei semplici gentiluomini, appena avevano cinque o sei anni venivan chiuse in quelle enormi gabbie che eran gli educandati dei monasteri e vi stavan fino a che prendevan marito, o, se pronunciavano i voti, sino alla morte.
L’educandato che aveva il nome di Montevergini, fondato di recente nell’antica strada del Calvello nel Cassaro, era uno dei più reputati e più frequentati. Donna Eufrosina vi entrò di sei anni, e vi stava da dieci quando il suo babbo, don Vincenzo Siragusa dottore in ambo le leggi, ricco e di gran nome, che aveva una bella casa poco lontana dal palazzo dei Corbera, venne una mattina nel parlatorio ad annunciarle che il nobile don Antonio Corbera, barone del Misilindino, gli aveva fatto l’onor di domandar la mano della fanciulla pel suo figlio Galcerano, desiderando stringere le due famiglie in parentado. Ella ne fu turbata; ma non tanto da non provare una gioia infantile per quelle nozze: le quali per lei ancora ignara del mondo, non avevano altro significato, se non quello di farla diventare una signora che andava in lettiga o in carretta, che interveniva alle giostre, alle feste con ricche vesti e molti gioielli. Fino allora non aveva veduto il mondo che attraverso le grate del parlatorio e delle loggette pensili, da lontano, come qualche cosa d’ignoto, di misterioso, di cui non giungeva a lei che un rumore vago indistinto. Maritandosi, avrebbe veduto da vicino quel mondo; ci sarebbe vissuta; sarebbe stata libera di andare di qua e di là accompagnata da servitori e da schiavi, avrebbe potuto ricevere in casa donne e cavalieri, e sentir musiche e canti.... Tutto questo era così bello e attraente per lei, che non domandò neppure se il suo sposo futuro fosse bello e giovane come lei.
Del resto non le pareva necessario domandarne: ella non sapeva supporlo che giovine e bello.
Una cosa soltanto le piaceva e le procurava una viva soddisfazione: sentirsi dire da Galcerano con sincera e commossa ammirazione, che era bella, che era la più bella donna di Palermo e di Sicilia; che il suo corpo armonioso e perfetto pareva quello di una dea delle favole. Queste lodi avevano destato in lei un sentimento nuovo e un desiderio di constatare la sua bellezza. Volle vedersi tutta quanta in un grande specchio, e se ne compiacque. E allora sentì che bisognava conservare quella beltà, che esercitava tanto impero e amò la sua beltà, amò se stessa, ebbe pel suo corpo le maggiori cure; temette di essere sciupata dagli impeti di don Galcerano. Ebbe orrore che la maternità deformasse l’armonia delle sue membra; e allora cominciò a consultare donne sperte in molti segreti: chiuse il suo seno al mistero della vita, lo educò alle arti dell’abbigliamento feminile; usò pomate e acque odorose, accrescendo le seduzioni della sua beltà, lieta di suscitare intorno a se fremiti di desideri.
Ella dunque non poteva provare la tormentosa gelosia delle anime innamorate…


Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1560. 
L'opera è la ricostruzione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930. 
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile in ebook al link La dama tragica - ebook (streetlib.com) prezzo € 6,90 e su tutte le piattaforme online.
In cartaceo (pagine 604 - prezzo di copertina € 24,00) su tutti i siti di vendita online e in libreria, oltre che dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

giovedì 11 maggio 2023

Luigi Natoli: Don Emanuele Albamonte duca della Motta. Tratto da: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano

Il duca don Emanuele Albamonte fino a quarantacinque anni era rimasto celibe, pur non disdegnando di appendere qualche volta una ghirlanda all’ara di Venere. Forte, vigoroso, esuberante di vita, sdegnando le effeminatezze della società signorile, aveva passato la giovinezza fra le sue terre; feudi immensi che si distendevano fra le valli e su per le colline staccantisi dalle aspre e nevose giogaie delle Madonie. Le selve intricate che infoltivano quei gioghi eran ricche di grossa selvaggina, nè era raro il lupo. Don Emanuele preferiva inseguire e affrontare i pericoli di queste cacce, piuttosto che lasciarsi trascinare in carrozza per la passeggiata della Marina; provava maggior felicità a vibrare la sua daga dentro la gola di un lupo, che passar la giornata in inchini e a guardarsi le belle trine delle maniche nei salotti di qualche dama.
Per queste ragioni, durante la guerra di Messina, essendo già a capo del suo stato, accolse volentieri il bando delle armi, e come signore feudale, levò una squadra di milizie dai suoi stati e corse a combattere i Francesi e i ribelli. Allora aveva ventisette anni; e s’innamorò del mestiere. La caccia al lupo era una bella cosa, ma la guerra era ancor più bella; c’era più eroismo, c’era più grandezza e nobiltà di gesto. E allora ottenne un brevetto di colonnello, e poiché, dopo la caduta di Messina, non c’era più nulla a fare in Sicilia, passò il mare e se ne andò in Spagna, pur aprendo delle grandi parentesi nella sua vita bellicosa per venire a respirare l’aria delle sue montagne.
A quarantacinque anni però don Emanuele si accorse che bisognava pur continuare la stirpe, e che egli sarebbe stato il primo duca della Motta, che non avrebbe trasmesso lo stato a un suo diretto e legittimo discendente. Forse dei rampolli del suo sangue ve n’eran dispersi e ignoti, ai quali il mistero della nascita non consentiva di fregiarsi del nome degli Albamonte, ma l’erede voluto dalla legge non c’era. L’idea del matrimonio gli si affacciò allora, e gli fece riflettere che bisognava affrettarsi, giacchè oramai egli era troppo maturo; o farlo subito o rassegnarsi al celibato, come se fosse stato un cavaliere di Malta, e rinunciare all’erede diretto.
La sua famiglia oramai si componeva di lui, di due sorelle monache nel monastero di Santa Caterina, e di don Raimondo; due altri fratelli, maggiori di don Raimondo, erano morti in tenera età: Raimondo era l’ultimo nato. Fra loro due v’era una differenza di diciassette anni; quando Raimondo cominciava a balbettar le prime parole e a dare i primi passi, don Emanuele correva a cavallo attraverso i boschi, come un cavaliere errante in cerca di avventure. Don Raimondo era cresciuto in città nell’ombra del vasto palazzo degli Albamonte; quasi sempre solo, sotto le cure di un pedagogo prete, passando la vita fra gli studi, le pratiche religiose e qualche esercizio cavalleresco, secondo il proprio grado. Ogni domenica andava a visitare le sorelle monache, alle quali non aveva mai potuto affezionarsi, perchè non era mai convissuto con loro neppure un giorno nella dolce intimità familiare; nè più affettuosi erano i rapporti con don Emanuele, che egli vedeva assai di rado, quando cioè il duca tornava dalla guerra o dalle sue lunghe dimore in campagna.
Don Emanuele passò una diecina di anni in Sicilia, alternando la dimora fra i feudi e la capitale; e in questi dieci anni prese una viva affezione pel suo piccolo fratello, al quale proibì di farsi prete. Un Albamonte, che sono stati tutti uomini di guerre o presso a poco, infagottarsi nell’abito talare? Oibò! Che bisogno ne aveva del resto? Gli mancava qualche cosa nel palazzo dove era nato? e forse il suo fratel maggiore non lo amava? Se mai, il suo posto era nel Tribunale nel Regio Patrimonio, o nella Gran Corte criminale, quando non si sentisse alcuna vocazione per le armi. Don Raimondo obbedì con quella sottomissione che il diritto di primogenitura poteva esigere da lui: ma non potè mai assuefarsi alla familiarità del fratello.
Una mattina don Emanuele gli disse:
- Figlio mio, io invecchio; è tempo che io prenda moglie.
Don Raimondo levò il capo vivamente, impallidendo. Per la prima volta, forse, guardò negli occhi il fratello, ma senza tradire il pensiero interiore.
- Ho già in vista la tua futura cognata; è molto più giovane di me; ma per un vecchio tronco come me ci vuol proprio un bel virgulto giovane per farmi rinverdire...


Luigi Natoli: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. 
Pagine 932 - Prezzo di copertina € 25,00
copertina di Niccolò Pizzorno
Nella foto: uno scorcio della via Sant'Agostino oggi a Palermo
L'opera è la trascrizione del romanzo originale ricostruito dalle dispense La Gutemberg del 1931.
Disponibile in ebook (€ 6,90) al link: I Beati Paoli - ebook (streetlib.com) e su tutti gli store online.
In cartaceo disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). Su tutti gli store di vendita online e in libreria. 


Luigi Natoli: Il palazzo della Motta. Tratto da: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano.

Il palazzo del duca della Motta sorgeva nella strada di S. Agostino, presso la piazzetta del convento della Mercè; era un antico edificio sormontato da un’alta torre, conosciuta allora col nome di torre di Montalbano; la quale era forse una delle antiche torri della città, incorporatasi con l’estendersi delle mura in una casa signorile. Del palazzo e della torre, ricordata nelle vecchie topografie, non rimane più vestigio; ma nel 1698, sebbene i pesanti balconi dalle ringhiere di ferro battuto e dalle mensole massicce, e il grande portone, sopraccarico di cartocci di stucco ne avessero deturpato il carattere, serbava la sua massa imponente e troneggiava fra le altre case della contrada. 
Il tragitto dal Palazzo Reale alla torre di Montalbano non era perciò lungo; bastava attraversare il piano della Cattedrale, scendere per la strada di S. Agata della Guilla e tirar diritto oltre la chiesa di S. Cosmo, per la strada di Porta Carini, fino all’angolo della strada di S. Agostino. Due portantini robusti, come quelli che aveva il cavalier Albamonte, potevan percorrerla in dodici o quindici minuti. 
Don Raimondo, trovò il palazzo in quella specie di disordine frettoloso che la nascita di una nuova creatura gitta nell’animo di tutti. V’era nell’andare dei servi, nel sussurrìo sommesso, nei gesti quell’aspettazione di un evento che pare assorba in sè ogni energia dello spirito; tanto questo fatto così comune e così meraviglioso empie di sè l’animo umano, e quel perpetuo rinnovarsi delle forme sorprende col profondo mistero dell’infinito. Don Raimondo attraversò l’anticamera e alcune sale con l’animo sospeso, non osando interrogar nessuno, sperando di cogliere qualche parola o un segno rivelatore. Si fermò in una sala, non potendo andar oltre, perchè la porta che avrebbe dovuto attraversare era chiusa. Sopra un doppiere ardevano due candele, e diffondevano una luce blanda che moriva negli angoli e nell’alto soffitto, dove brillava tenue qualche doratura, come una stella. 


Luigi Natoli: I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano. 
Pagine 932 - Prezzo di copertina € 25,00
copertina di Niccolò Pizzorno
Nella foto: uno scorcio della via Sant'Agostino oggi a Palermo
L'opera è la trascrizione del romanzo originale ricostruito dalle dispense La Gutemberg del 1931.
Disponibile in ebook (€ 6,90) al link: I Beati Paoli - ebook (streetlib.com) e su tutti gli store online.
In cartaceo disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). Su tutti gli store di vendita online e in libreria. 

martedì 2 maggio 2023

Si parla di Luigi Natoli, di Giuseppe Pitrè e de IL TEATRO DEL POPOLINO su La Repubblica di domenica 30 aprile 2023. Grazie infinite alla giornalista Amelia Crisantino!


 

Nuova pubblicazione in ebook di Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba al costo di € 6,90

Romanzo storico ambientato nella Palermo di fine Settecento. L' opera, mai pubblicata in libro, è stata costruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia, nel 1927. Raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori (pagine 456 - prezzo di copertina € 22,00)

Fabrizio è il secondogenito della nobile famiglia dei Torralba. In base alle leggi del tempo, titoli e ricchezze sono tutti del primo figlio maschio. A lui e al fratello minore spetta solo il cavalierato e un misero assegno mensile, troppo poco per chi ha lo smisurato bisogno di affermarsi nella società che conta. Troppo poco per chi ha un temperamento irrequieto e ribelle; per chi ama l'avventura, le donne, la bella vita e per Fabrizio di Torralba tutto questo è sempre poco e tutto converge nella punta della sua lama.
"Strana la sua vita, che l'obbligava a stare sempre con una spada in pugno".
Ma Fabrizio è anche portatore dei nobili valori dell'animo e accorre di continuo in difesa degli oppressi e indifesi. Tutela il suo onore e quello di chi gli sta accanto, meglio se di una bella dama. In questo romanzo del narratore siciliano, Fabrizio di Torralba non è l'unico protagonista e divide le scene con la ricchissima Palermo borbonica dei primi dell'800, fedele al Re e al contempo incubatrice d'idee giacobine, sotto l'influenza inglese e la rassegnazione di un popolo affamato.
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Copertina di Niccolò Pizzorno
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