lunedì 25 maggio 2020

L'officina Natoli: un tesoro di testi oltre i Beati Paoli. Articolo su La Repubblica del 22 maggio 2020 di Salvatore Ferlita.

LA RISCOPERTA DELL'OPERA OMNIA AL DI LA' DEI ROMANZI POPOLARI - di Salvatore Ferlita.

In latino si dice "auctor unius libri", definizione che tradotta significa "autore di un solo libro". E che si attaglia perfettamente al destino letterario di Luigi Natoli, al quale si deve un'opera che è diventata celebre in modo spropositato rispetto alle altre, tanto da averle oscurate, relegandole in un cono d'ombra. Per cui quella di autore dei "Beati Paoli", uno dei più famosi romanzi popolari italiani e certamente il più rinomato in Sicilia, suona oggi come un'etichetta riduttiva, a tratti quasi dannosa. Quello di Natoli (che col nome di Maurus firmava la rubrica "Storie e Leggende", mentre con quello di William Galt i romanzi) è un vero e proprio arcipelago letterario: occorre dunque cercare altri ingressi, altre vie di passaggio per riconsiderare la sua parabola di poligrafo, passando al vaglio una produzione vasta e soprattutto variegata. E, per certi versi, in parte ancora sommersa. A offrire oggi una risolutiva porta d'accesso al laboratorio creativo dell'autore di "Calvello il bastardo" sono "I Buoni Cugini editori"; Ivo Tiberio Ginevra e sua moglie Anna Squatrito, che sei anni fa hanno messo su una casa editrice con l'intento di riportare alla luce le opere. 
L'operazione dell'editore I Buoni Cugini segue un criterio filologico, trascrivendo dalle fonti originali dimenticate. Il loro catalogo allinea diversi nomi, ma su tutti troneggia quello di Natoli, del quale ha appena visto la luce un inedito, "Palermo al tempo degli spagnoli, 1500-1700". Si tratta della ventinovesima pubblicazione che riguarda lo scrittore, storico, poeta, commediografo e critico letterario palermitano nato nel 1857, che dedicò tutta la sua vita alla scrittura, guidato soltanto dal piacere di essa. 
Per dar forma oggi a un ritratto di Natoli che possa essere veritiero e circostanziato, non si può non tener conto dell'avventura editoriale di Ginevra e Squatrito, i quali sembrano posseduti dal demone dell'autore. Come spesso accade, tutto è cominciato quasi per caso: una giornata come tante in emeroteca, alla ricerca di un articolo che riguardava il Palermo calcio ai tempi del fascismo. A un certo punto salta all'occhio una puntata del romanzo "Fioravante e Rizzeri" pubblicata dal Giornale di Sicilia nel 1935. La casa editrice Madonnina, che l'aveva riunito in volume, lo dava come un romanzo postumo quando invece era uscito mentre Natoli era ancora in vita. Si tratta dell'unico romanzo con una prefazione dell'autore: ogni puntata, spiega Ginevra, era corretta da Natoli in persona. Da lì scatta l'operazione verità: recuperare tutte le puntate, collezionarle con le pagine del volume edito dalla Madonnina dieci anni dopo la morte di Natoli. Vengono fuori tagli significativi apportati alla storia, correzioni di un certo peso. Gran parte delle sue opere era stata modificata e poi edita. A colpire, tra l'altro, è la presenza massiccia di gerundi, una forma verbale invisa a Natoli, quasi mai utilizzata. Da lì prende l'abbrivio il progetto titanico di dedicare una collana all'autore e di ristamparne tutta quanta la sua produzione. Ma con un approccio finalmente filologico: le opere infatti sono tratte dalle fonti originali, quindi dai giornali e dai libri dell'epoca in cui lo scrittore era ancora in vita, e trascritte manualmente di sana pianta. Il recupero spesso si è rivelato accidentato: la ricerca ha dovuto fare i conti con l'illeggibilità delle pagine dei giornali dell'epoca, per cui è stato necessario setacciare le biblioteche nazionali. Come nel caso di uno dei veri capolavori di Natoli, ossia "Alla guerra", un romanzo fiume composto ex novo parola per parola, pagina per pagina. L'entusiasmo ha la meglio sulla fatica dell'operazione: Ginevra e Squatrito accarezzano l'idea di liberare Natoli dal suo cartellino ingombrante, ossia quello dei "Beati Paoli". 
"Opera di certo arcinota ma che ha goduto soprattutto del favore del popolino", spiega Ginevra. E che adesso deve fare spazio anche ad altri romanzi ancora misconosciuti: "Gli schiavi" ad esempio, che presenta una storia debole dal punto di vista del plot ma è il frutto di una ricerca storica pazzesca. le vicende in esso narrate si svolgono al tempo delle seconde guerre servili: Natoli ricostruisce l'ambientazione siculo-romana con straordinaria efficacia. Tutto questo va considerato in un tempo in cui di internet non c'era manco l'ombra.
La ripubblicazione delle opere di Natoli prevede anche, in certi casi, l'inserimento di scritti dimenticati o addirittura inediti. Nel romanzo dedicato alla figura dell'abate Meli si trova adesso, nell'edizione dei Buoni Cugini, lo studio compiuto da Natoli sulla poetica dell'autore de "La fata galante". Nel caso di titoli particolarmente conosciuti, come "La vecchia dell'aceto", occorre specificare che la nuova edizione propone una versione del romanzo fedele all'originale: ci sono differenze abissali rispetto alle precedenti edizioni uscite per i tipi di diverse case editrice (da La Madonnina a Flaccovio) Per non dire de "I morti tornano", il romanzo più violentato dal punto di vista editoriale, ora riconsegnato alla sua verità. Ma nel corso di sei anni di attività dei Buoni Cugini ha visto la luce pure la produzione teatrale di Natoli: cinque opere in lingua e in dialetto, una di queste anticipa addirittura tematiche pirandelliane. Il siciliano di Natoli è cangiante, mimetico: ora garbato e colto, come ne "L'abate Lanza", ora volutamente sguaiato, come dimostra la commedia "Quattru cani supra un ossu".
Per la prima volta, dunque, si può prendere in considerazione il Natoli drammaturgo. E che dire del poeta? A fine giugno approderanno in libreria tutti i suoi versi, rimasti fino a oggi inediti. Poi sarà la volta dei racconti, dei discorsi, delle commemorazioni, degli articoli: tantissimi, nei quali spesso Natoli se la prendeva col sindaco della città.
Ne viene fuori un autore che ha scritto tanto, giorno e notte, quasi per coazione, su tutto quello che gli capitava sottomano: fogli di carta di uffici anagrafici, il retro dei registri di classe. Quando passò alla macchina da scrivere era costretto a lavorare coi nastri scarichi: a volte i tasti erano compromessi, finito l'inchiostro le lettere rimanevano impresse sulla carta per forza piegata. A testimoniare quasi il suo corpo a corpo con la scrittura. 

Salvatore Ferlita

mercoledì 20 maggio 2020

Luigi Natoli: La morte di Francesco Paolo Di Blasi. Tratto da: Calvello il Bastardo.

Quel giorno parve che il governo fosse preso da una paura tremenda. Tutte le truppe furono tenute sotto le armi, nelle caserme; fu rinforzata la guardia nelle carceri e all'arsenale; a Castello a mare e al Palazzo; sui bastioni che guardano la Piazza S. Teresa, e dove è il giardino reale, furono posti dei cannoni, con le bocche rivolte al palco, caricati a mitraglia; altri cannoni furono appostati all'arsenale.
L’esecuzione doveva aver luogo verso le quattro pomeridiane. Corrado sentiva battere le ore alle campane degli orologi con una impazienza mista ad apprensioni, a timori, a sospetti; il suo cuore pulsava con violenza e con un’ansia inquieta, che era in lui affatto nuova. La vista di quelle forche, di quella mannaia, orride macchine, alle quali pur era adusato in quei tempi di supplizi feroci e inumani, ora gli metteva dei brividori nelle vene. Pur si padroneggiava; la sua emozione si rivelava al pallore del volto e alla febbrile irrequietezza degli atti. Ciò che più lo stupiva era il fatto che nella piazza, sebbene si avvicinasse l’ora, non si vedesse la solita folla avida di quegli spettacoli di sangue, feroce e compassionevole nel tempo stesso. La piazza era quasi deserta. Questa solitudine sconcertava il disegno di Corrado, che contava appunto su la folla per poterlo eseguire con minor rischio.
Poche persone, e dell’infima plebaglia, circolavano per la piazza, incuriosite; e fra loro scorrevano degli uomini, con uno scapolare indosso, che andavan gridando:
- Per l’anima di questi poverelli. 
Erano i confrati della Chiesa degli Agonizzanti, che ogni qualvolta si eseguiva una condanna capitale andavano per le strade, invitando, durante il tempo della triste funzione, con quel lugubre grido i pietosi a pregare per l’anima dei disgraziati, e a dare l’obolo per la celebrazione di messe in loro suffragio.
A quel grido s’accompagnavano i rintocchi funerei delle campane.
Corrado udì i rintocchi, udì il grido; un brivido gli corse per le vene...
- Orsù! – disse – avvenga quel che può; ma si compia il dovere!...
Attraversata la piazza s’avviarono verso Porta Nuova, dove si erano accalcati i pochi curiosi, per vedere la lugubre processione. I condannati venivano a piedi; dinanzi andava don Francesco Paolo Di Blasi, fra due confrati della Compagnia dei Bianchi; dietro, venivano i suoi compagni di sventura, confortati anch’essi da Bianchi. Erano strettamente circondati da settanta algozini; e di qua e di là compresi in una doppia e fitta siepe di compagni d’arme, di birri, caporali, cavarretti; tutta la sbirraglia era sotto le armi. Per accostarsi ai condannati, bisognava rompere una triplice muraglia vivente ed irta d’armi.
Corrado Calvello, che aveva già veduto l’apparato di forze, riconobbe la impossibilità del benchè lieve tentativo. Per veder meglio, montò sopra un sedile, dove stavano altri; confondendosi tra essi per non restar troppo in vista, e aspettò. Quando vide comparire don Francesco Paolo Di Blasi, non potè trattenere un grido di dolore. Il giureconsulto era irriconoscibile; magro, pallido, incanutito; tuttavia fermo e dignitoso. Udì e riconobbe egli quel grido? Sollevò il capo con vivacità, e il suo occhio errò su gli spettatori: vide due occhi umidi che lo guardavano, e una mano agitarsi in segno di supremo saluto; e un sorriso gli illuminò il volto...
Corrado non assistette al supplizio. Cupo, fremente, commosso ritornò al fondaco. L’esecuzione si svolse in quasi due ore. Prima fu decapitato il Di Blasi, poi furono impiccati il Tenaglia, il La Villa e il Palumbo; nessuno di loro tremò dinanzi alla morte; primi martiri della libertà iniziarono in Sicilia la lunga serie di cospirazioni e rivolte che dovevano abbattere la signoria borbonica; e mostrarono come si muore per un’idea.
Quando i pochi curiosi cominciarono ad allontanarsi, il cadavere di don Francesco Di Blasi fu trasportato nella vicina chiesa dei teresiani scalzi, e deposto in una cappella, senza che alcuno dei parenti gli rendesse pietoso ufficio. Soltanto fu visto entrare in chiesa un giovane, seguito da due contadini, avvicinarsi alla bara, inginocchiarsi e recitare una breve preghiera. Levatosi in piedi domandò a un frate:
- Sarà sepolto qui?
- No, signore; domattina sarà portato a S. Maria di Gesù, dove si celebrerà il funerale...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo)

Luigi Natoli: Francesco Paolo Di Blasi è condannato a morte - Tratto da: Calvello il Bastardo.

Gli avvenimenti infatti precipitavano, e la condizione del Di Blasi aggravava. Alle rivelazioni del Teriaca si erano aggiunte le confessioni spontanee o strappate di altri, i quali credevano di sfuggire alla morte accusando i compagni e rivelando il piano della congiura. Il reo principale e maggiore appariva don Francesco Paolo Di Blasi; e su di lui conversero gli sforzi del magistrato; ma per quanto il giudice Artale facesse per conoscere altri possibili complici e se vi fossero relazioni all’estero, non gli si cavò di bocca una parola.
Raccolti gli elementi della causa, il 15 maggio il tribunale assegnò il termine straordinario di difesa a dieci accusati: il Di Blasi, Benedetto La Villa, i due fratelli Giulio e Giovanni Tenaglia, Salvatore Messina, Gaetano Carollo, Bernardo Palumbo, don Gandolfo Bonanno, e maestro Francesco D’Anna e Nunzio Ruvolo; ordinò che altri si spedissero a Napoli, tra essi impunito il Patricola; sopra altri fuggiti pronunziò sentenza di bando e fra questi Corrado Calvello.
L’indomani, 18, si sarebbe discussa la causa; si affermava che la sentenza sarebbe stata di morte.
l Di Blasi fu difeso dai giureconsulti Paolo e Gaspare Leone, gli altri da Felice Ferraloro. Per impedire al popolo l’accesso furon posti sulla porta otto soldati con baionetta in canna. La discussione durò otto ore; la sentenza fu di morte per quattro: il Di Blasi, Giulio Tenaglia, il La Villa e il Palumbo; per gli altri fu di reclusione nelle orride fosse di Favignana, di Pantelleria, di Lipari.
Al Di Blasi, come patrizio, la mannaia; la forca agli altri tre; l’esecuzione avrebbe avuto luogo il 20, nel piano di Santa Teresa.
Ma al Di Blasi era stata anche data altra pena: la tortura. La stessa sera della sentenza gli fu data la corda, e poichè i medici giudicarono che, per malattie, facilmente sarebbe soccombuto, gli fu mutato il genere di tortura, ed ebbe bruciate le piante dei piedi con lardo bollente.
Francesco Paolo Di Blasi non tremò dinanzi alla corda, e non tremò dinanzi al fuoco. A mostrare il suo dispregio, denudò da sè stesso i piedi.
Corrado aveva concepito un piano temerario, confidando in quello che avrebbe dovuto sospettare come più insecuro, se non più infido.
Si trattava di strappar don Francesco Paolo Di Blasi e i suoi compagni di morte al supplizio, nel momento che vi erano condotti.
All’ora del supplizio Corrado con una mano dei più coraggiosi, travestiti come erano da campieri, si sarebbero mescolati ne la folla, appostandosi nei pressi del palco, dove essa naturalmente sarebbe stata più folta. Avrebbero aspettato che il funesto corteo fosse giunto; e allora, a un dato segno, si sarebbero gittati addosso ai granatieri e ai birri circondanti i condannati, atterrandone quanti più se ne potevano in un istante di sgomento e di confusione. Nel fuggi fuggi della popolazione che ne sarebbe seguito, e nel quale gli altri soldati, ignari di tutto, sarebbero stati travolti, Corrado avrebbe tagliato le corde, e sciolti i condannati, li avrebbe spinti al “fondaco dei Greci” dove i cavalli aspettavano insellati, e via, per la boscaglia, mentre gli altri banditi appostati alla finestra del fondaco avrebbero impedito a fucilate che le truppe, riavutesi, si fossero avvicinate.
Questa impresa doveva essere, secondo il disegno e le speranze di Corrado, coadiuvata dai fratelli delle loggie e dal popolo, specialmente dalle maestranze, che ne avrebbero seguito il movimento con tanto maggior calore, quanta era la simpatia goduta dall’illustre giureconsulto, e l’avversione al governo del luogotenente generale.
Fin dalla mattina per tanto Pietro aveva ricevuto istruzioni; per tutta la giornata era andato a portar lettere e avvisi a destra e a manca: udiva dovunque feroci propositi e oscure minacce. Tutto dunque andava a seconda...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo)

martedì 19 maggio 2020

Articolo "La Repubblica" del 17 maggio 2020 su "Palermo al tempo degli Spagnoli"


Appena pubblicato, ecco arrivare l’ultimo di Luigi Natoli: il titolo è impegnativo, Palermo al tempo degli Spagnoli, 1500-1700 (I Buoni Cugini editori, 296 pagine, 20 euro) ma lo stile è limpido e il saggio quasi si trasforma in romanzo, se fosse un esordiente sarebbe di belle speranze. Siamo però davanti all’inedito di uno dei più grandi scrittori siciliani, ed è davvero meritoria l’impresa di questa piccola casa editrice che ha scelto di pubblicare tutto Natoli in versione originale. Per Palermo al tempo degli Spagnoli abbiamo la “ricostruzione fedele del manoscritto, senza data”: non resta che accogliere fiduciosi un autore che mai delude, e non appena si comincia a leggere si continua spediti fino alla fine.
Per Gabriello Montemagno che ne ha pubblicato l’unica biografia, Luigi Natoli è L’uomo che inventò i Beati Paoli: basta tanto per entrare di diritto fra i grandi autori popolari, quelli che una volta piazzati nell’immaginario collettivo mettono in moto dinamiche inaspettate, sempre difficili da controllare. Natoli è autodidatta come tutti i grandi siciliani, di famiglia repubblicana e anticlericale, autonomista che si firma William Galt perché convinto che con uno pseudonimo straniero avrebbe avuto più fortuna. È un grande lavoratore, deve mantenere una dozzina di figli ed è incalzato dal bisogno: lo stesso rifiuta la commenda offertagli da Mussolini e la rappresaglia scatta immediata. Natoli viene licenziato dal modesto posto di insegnante, è messo a riposo “per incapacità”. Ma non è uomo da perdersi d’animo.
Era nato nel 1857, a 17 anni aveva cominciato a collaborare coi giornali e anche i suoi romanzi escono a puntate sul Giornale di Sicilia: col nome di Maurus firma la rubrica “Storie e leggende”, come William Galt firma i romanzi. E Montemagno, che ha potuto raccogliere il racconto delle figlie, scrive come tutti i momenti fossero buoni per lavorare. Capitava che il commesso inviato dal giornale quasi gli strappasse i fogli di mano per correre in tipografia: ma trentuno romanzi, centinaia di articoli storici, decine di volumi per le scuole non bastano a dargli la tranquillità economica. Nel testamento datato 15 giugno 1937 – che si può leggere nel sito dei Buoni Cugini editori – Natoli scrive: “Ho lavorato molto e non ho tratto dal mio lavoro che scarso profitto… del mio lavoro non cercai la parte commerciale ma solo la gioia che mi procurava. Perciò son povero”.
La Sicilia al tempo degli Spagnoli risponde in pieno agli standard piuttosto elevati della produzione di Luigi Natoli, anche questo inedito è stato “scritto con gioia”. Il manoscritto non è datato: ma se consideriamo che i Beati Paoli si muovono nel trentennio 1698/1728 e che la padronanza della topografia di Palermo e degli avvenimenti, anche minimi, è uno dei caratteri identitari di quelle pagine, facilmente questo inedito si inserisce in quella “età di Natoli” che da metà Cinquecento si dilata per oltre due secoli. Stavolta non ci sono ingiustizie da vendicare e complotti da sventare.
La grande protagonista è Palermo, la città dalle molteplici personalità che affascina lo scrittore mai stanco di rievocarne splendori e miserie. La puntigliosa bibliografia finale mostra quanto lavoro ci sia dietro i brevi capitoli dal tono brillante: la semplicità di Natoli è solo apparente, è la stessa semplicità del pianista che dopo anni di studio improvvisa come se niente fosse. E spesso la “gioia” dello scrittore si comunica al lettore, nell’atmosfera serena che in fondo pervade ogni pagina si finisce per sorridere.
Ad esempio, l’anticlericale Natoli riepiloga le vicissitudini dei sedici arcivescovi avuti da Palermo in due secoli ed elenca le proibizioni da loro emanate: “stabilirono che le donne non dovevano sedersi in terra per confessarsi, e obbedirono tutte quante”. Ma stavolta, nonostante i divieti reiterati, “le vedove si sposavano a gloria di Dio”.

Amelia Crisantino

giovedì 14 maggio 2020

Luigi Natoli: Dieci centesimi per una Messa. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli.


Quanto costava una messa? Cinque grani, ossia dodici centesimi, e se il lettore non ci crede vada a
leggere l’atto del notar Marchese del 20 di settembre del 1527. E per una messa quotidiana si pagavano tre onze l’anno, secondo l’atto del primo novembre del 1540. Monsignor Palafox nel 1679 visto che il clero per le calamità che gravavano sulla cittadinanza, con quella elemosina irrisoria non poteva campare, volle elevar la messa quotidiana a dieci onze l’anno, e per una messa stabilì la somma di tre carlini. Del resto i preti si rifacevano con proventi delle Quarant’Ore, istituite nel 1607, con diritti di stola, nei funerali, con la vendita della cera bianca, che si cominciò a usare nel 1601, colle festicciuole, e non eran poche, che ordinavano nelle loro chiese in onore dei santi principali. 
La messa si celebrava di mattina, salvo, s’intende, quella notturna per la sera di Natale...



Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli.
Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line su "lafeltrinelli.it", su Amazon e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Via Cavour 133 - Palermo.

Luigi Natoli: L'inquisizioni e le leggi contro gli Ebrei in Palermo nel 1500.

L’espulsione dei Giudei decretata nel 1492, nonostante la difesa dei Giurati di Palermo e la bontà del Vicerè don Ferrante de Acuña che la protrasse, divenuta fatale, diede all’Inquisitore largo campo di indagare nelle coscienze, per mantenere intatta e pura la fede cattolica. Poiché moltissimi ebrei, spinti dall’amore per la terra dove erano nati, o sgomenti delle sorti dell’esilio o per ragioni di avidità, s’erano convertiti al Cattolicesimo, nacque il sospetto che essi fossero in apparenza cattolici; e che sotto l’aspetto di credere in Cristo, serbassero fede alla religione dei padri. Onde l’indagine si spinse alacremente favorita da familiari e spie, dal secreto impenetrabile e dalla mancanza di appello. Talchè in un periodo di trent’anni, dieci inquisitori mandarono al rogo in persona o in effigie circa trecento “neofiti giudaizzanti!” 
Della condizione dei neofiti o Giudei convertiti basterebbe riportare il bando di monsignor Calvete, per dimostrare quanto fosse insana. Il degno inquisitore prescriveva che essi “non ponno teniri officio, né beneficio ecclesiastico, né seculari, né essiri medichi, advocati, procuratori, notari, spiziali, banchieri, mizzani, sagnaturi (salassatori), né teniri altro officio di honuri et jurisditioni, né portari sopra di loro pirsuni oro, argento, coralli, perni (perle), petri preziusi, né vesti di sita, grana, jammillottu, né cavalcari cavalli, né portari armi.” Erano dunque dannati ad una inferiorità nella quale non erano sicuri neppur della vita. 
Del fanatismo dei predicatori è esempio il veronese fra’ Girolamo Barbato, che nel 1510 aizzò il popolo contro gli Ebrei, e lo sospinse contro gli inquisiti, facendone lacerare anche gli abiti. E fu il Vicerè don Ugo Moncada e il conte di Golisano, che cavalcando fra il popolo in tumulto, scongiurarono un maggior disastro. 
Ma il popolo non vide mai di buon occhio l’Inquisizione...

Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli. 
Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line su "lafeltrinelli.it", su Amazon e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Via Cavour 133 - Palermo.

martedì 12 maggio 2020

L'11 maggio 1860. Dal diario inedito del 1860 trascritto da carte di Enrico Albanese. Fa parte di: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana

Venerdì 11 maggio 1860.
Al far del giorno fino alle ore 13 si vede qualcuno per le strade. Qualche carrozza percorre la città, talune botteghe sono aperte. Poscia succede un allarme generale; le botteghe si chiudono; i cittadini si ritirano; le carrozze spariscono. La città rimane deserta per tutto il giorno, e sembra come Pompei. La truppa occupa i diversi punti della città, fra i quali la Fieravecchia, il palazzo Aragona e quello del Principe di Cattolica. 
Assicurasi come fatto indubitato che il 10° reggimento di linea abbia gridato: Abbasso il Comandante!
Alle ore 22 1/2 avviene una grande dimostrazione all'Albergheria, all'uscir del Viatico. Ritornando il Santissimo, il popolo, che lo seguiva, comincia a gridare: Viva Maria! Viva l'Italia e Vittorio Emanuele! Vi fu qualche birro ferito. Due soldati che passavano furono costretti dal popolo a gridare: Viva l'Italia!
Alle ore 7 la famiglia del Marchese portasi a Palazzo. Poscia vi si recano Maniscalco e Salzano.
Sono partiti Calabrò, Castrone, Valdina. 

Sabato 12 maggio
La città è in grande entusiasmo. Non circolano più pattuglie di soldati. Le botteghe del Toledo chiuse... Si assicurano verificatisi tre sbarchi: uno presso Marsala...

Il diario di Enrico Albanese fa parte di: 
Documenti e memorie della Rivoluzione siciliana del 1860. A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Giuseppe Pipitone Federico. (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860)
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile on line su lafeltrinelli.it, Amazon e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Palermo  

L'11 e il 12 maggio. I 65 giorni della Rivoluzione di Palermo nell'anno 1860. Dal diario di Filippo e Gaetano Borghese

38° giorno - 11 maggio
Le squadre molto numerose circondavano Palermo, e par dar l'assalto non aspettavamo che un'insurrezione interna. Si portava certo il disbarco di Garibaldi avvenuto il giorno 9, ma veramente fu questo il giorno che il grande eroe posò il piede sulla Sicilia. Disbarcava a Marsala, accompagnato da 1300 uomini e sei cannoni. Le strade deserte; le sentinelle moltiplicate. 

39° giorno - 12 maggio
Segni d'immensa allegrezza nel popolo per la certa notizia della venuta di Garibaldi. I generali della truppa ordinarono subito il ritorno di tutte le colonne mobili; le strade popolatissime di birri e soldati. Verso sera il comitato faceva circolare il seguente proclama: "Siciliani! Garibaldi è con noi, ed il suo nome suona vittoria. I nostri sforzi sono soddisfatti, compiuti i voti e le speranze. Non sia lordato di sangue il giorno della vittoria; e se nel periglio fummo intrepidi, siamo ora generosi e magnanimi... Offesi ed offensori tiriamo un velo sul passato ed uno sia il grido: Viva l'Italia, viva Vittorio Emanuele, Viva Garibaldi! - Il comitato - 12 maggio 1860"



Documenti e memorie della Rivoluzione siciliana del 1860. A cura di Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Giuseppe Pipitone Federico. (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860)
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile on line su lafeltrinelli.it, Amazon e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Palermo  

Luigi Natoli: Re Martino. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca.


Bel maggio quello del 1401; ma a Modica faceva caldo, e sebbene il castello, l’antico castello dei Chiaramonte sorgesse sopra l’alta rupe soprastante al quartiere di San Giovanni, non vi alitava un fiato di vento.
Sotto l’azzurro cupo del cielo l’aria pareva si fosse fermata. Gli alberi stavano immobili, colpiti dalla luce viva e sfolgorante; le acque del torrente parevano lamine di metallo.
Fuori nella campagna circostante era un gran silenzio; nel borgo, silenzio. Ma non era ancora mezzodì. 
Nell’ampia sala da pranzo, le cui finestre dominavano la vallata coperta di boschi, la tovaglia candidissima su la quale trionfavano vasi d’argento e d’oro, aveva anche essa una aspettazione piena di silenzio.
Il seggiolone di quercia, dall’alta spalliera intagliata, coperto di cuoio verde e costellato di borchie di bronzo dorato, era vuoto, dinanzi all’unico posto. Ma dinanzi alla finestra v’eran due personaggi.
Uno era giovane, coi lunghi capelli di un biondo rossiccio che gli cadevano, tagliati tondi, sulla nuca e sulla tempia, di sotto a una berretta bassa, e larga di fondo.
Egli volgeva le spalle alla sala, e non si vedeva in volto; ma dal panno della cioppetta (specie di giubba) che gli scendeva al ginocchio, dalla grossa catena che gli circondava il collo, dalla giarrettiera smaltata che gli cingeva il ginocchio appariva un alto personaggio.
Ma più ciò appariva dall’atteggiamento rispettoso dell’altro, che gli stava un po’ indietro, e a capo scoperto.
Era un uomo di una cinquantina d’anni, alto, vigoroso, coi capelli grigi sulle tempia, gli occhi grigi nei quali era qualche cosa di felino, la mascella forte. Era accuratamente raso, come voleva la moda dei tempi, e indossava la cioppa lunga di seta segno che era un uomo di qualità; le maniche della camicia ricamate di seta erano ai polsi tenute da grossi bottoni di filigrana d’oro.
L’uno e l’altro calzavano scarpe di panno di lira (così detto perché veniva da Liria, città spagnuola) insomellate, cioè, solate, con la punta acuta, e aperte sul malleolo.
Dopo un istante il giovane si voltò, guardò il suo compagno con una espressione di supremo fastidio, e disse:
- Messer Bernardo, mi annoio.
Il vecchio rispose:
- Vostra maestà ordini quel che vuole per cacciar la noia, e metterò sossopra la contea e anche il regno per contentarla; ma non mi trafigga l’anima con quelle parole, perché mi paiono un rimprovero alla devozione che ho per la vostra Celsitudine.
Le parole avevano significato umile e rispettoso; ma il volto del vecchio rimaneva duro e impassibile, quasi astioso. Egli aveva assunto una specie di tutela sul re, giovane, avido di piaceri, uscito da poco tempo dalla tutela del padre, che era andato a cingere la corona aragonese.


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.

È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line al sito lafeltrinelli.it, Amazon e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Via Cavour 133 (Palermo) e Libreria La Vardera - Via N. Turrisi 15 (Palermo)

Luigi Natoli: Mastro Cecco di Naro. Tratto da: Il paggio della regina Bianca

Mastro Cecco picchiò alla porta del convento; una piccola porta ogivale, ornata di una cornice intagliata a fogliami, e di quattro colonnine sottili, addossate agli stipiti. Sul vertice dell’ogiva un piccolo scudo recava in bassorilievo l’immagine del cane con la fiaccola in bocca; stemma dei padri domenicani, che avevano voluto, effigiando il sogno simbolico della madre di S. Domenico, celebrar la gloria di lui, fiaccola del mondo.
Il sogno intendeva significare la “fiaccola per illuminare, per diffondere la vera luce nel mondo”; ma più tardi fra Tommaso Torquemada e fra Pietro Arbues dovevano vedervi una fiaccola da ardere roghi…
Nel 1401 la chiesa di San Domenico, che sorgeva presso a poco dove sorge l’odierna, non era molto grande: era stata edificata da cento anni, da quando i frati abbandonarono il piccolo convento di basiliane, che si trovava sul Cassaro, dove fu poi eretta la chiesa di S. Matteo. Della chiesa antica non rimane più nulla, pei successivi rifacimenti e ingrandimenti; ma restano ancora tre lati del chiostro, coi loro piccoli archi acuti sorretti da doppie colonnine varie di forma e di capitelli, come sono i chiostri siciliani di quel tempo.
Mastro Cecco dipingeva una parete del chiostro, per incarico di quei frati. Non era un gran pittore; e nel disegno e nel colore aveva quella ingenuità infantile dei pittori primitivi, in un tempo in cui la pittura aveva avuto Giotto, e s’avviava a quello sviluppo che fece grandi i quattrocentisti.
Un devoto aveva legato una somma al convento, con l’obbligo ai frati di far dipingere in una parete del chiostro, un soggetto tra storico e sacro: il conte Ruggero che libera Palermo dai mussulmani e vi ripristina il culto cristiano.
Mastro Cecco aveva trovato nel tema un vasto campo per sfogarvi la sua fantasia; e tra i guerrieri che si accalcavano intorno al fortunato venturiero normanno aveva raffigurato i fondatori delle grandi case signorili, che la tradizione o la vanità diceva venuti col normanno.
Attraverso il palco di legno, sul quale il pittore lavorava, la sua rappresentazione pittoresca si travedeva a brani. Un lato, quello dove erano Ruggero e i personaggi del suo seguito, era dipinto: il maestro attendeva ora a dipingere i Saraceni, dai volti bruni o neri, secondo la tradizione popolare, coperti di grandi turbanti. Nel mezzo c’era il vescovo Nicodemo, tratto dalle tenebre delle catacombe, per ribenedire e riconsacrare al culto l’antica chiesa cristiana, convertita dai musulmani in moschea.
Il giovane era rimasto meravigliato dinanzi alla vivacità dei colori, profusi con fanciullesca intemperanza sulla parete, sui quali predominavano il rosso, l’azzurro, il verde e il giallo.
Ma la sua attenzione fu attratta da un guerriero, il cui scudo portava per arma tre monti d’argento in campo rosso.
- Non è quello lo stemma dei Chiaramonte, maestro? – domandò vivamente.
- Appunto. Come lo sai?



Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.
È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile on line dal sito lafeltrinelli.it, Amazon e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo) e Libreria La Vardera (Palermo)

lunedì 11 maggio 2020

Luigi Natoli: Don Francesco d'Aquino. Tratto da: Calvello il bastardo


In salone dunque, ancor vivace delle recenti pitture, don Francesco d’Aquino teneva la mattina del 6 maggio la consueta udienza. Aveva oltrepassato allora la cinquantina, ma ne dimostrava di più. Il ritratto, dipinto in quell’epoca, che si trova ancora nel Palazzo reale, lo fa più vecchio d’una diecina d’anni. Giusto di membra, dal volto rubicondo, con un bel naso adunco, simile a un rostro, aveva nell’insieme un aspetto benigno e modi piacevoli; e pareva che le fortune gli avessero aperto il cuore alla benevolenza verso coloro, che non potevano, come lui, sognare di diventar gli amanti di una regina e i rappresentanti di un re.
Egli aveva saputo ingraziarsi la cittadinanza; i nobili, per le sue maniere cerimoniose, da uomo galante che sa conciliare il vivere del mondo con la dignità dell’ufficio; i letterati, per la protezione che egli accordava alle manifestazioni dell’ingegno, forse a provare che non indarno aveva fatto dipingere sul soffitto quell’allegoria, della quale in buona fede credeva di poter essere l’incarnazione; il popolo, perchè non si mostrava impulsivo e miscredente come il Caracciolo, nè vanesio e avverso alle maestranze come don Marcantonio Colonna di Stigliano; e perchè aveva temperato i rigori delle istruttorie processuali.
Stava il vicerè, in tutta la regalità della sua carica, seduto presso una scrivania dorata con una posa un po’ accademicamente studiata, per sembrar maestoso e severo. In una anticamera immediata stavano i gentiluomini di servizio, nell’altra anticamera il maggiordomo che introduceva i sollecitatori. Fuori dall’anticamera, dinanzi la porta, due alabardieri tedeschi, due lacchè di servizio, e poi la folla di coloro che aspettavano di essere ammessi. La priorità non era stabilita dall’ordine di tempo, secondo che ciascuno fosse venuto; ma dal grado, dai diritti di preminenza, dai privilegi concessi da re e confermati da altri re a beneficio di questa o quella famiglia patrizia, di quella tal magistratura, di quella confratria o chiesa. Ah! di questi diritti la società di quei tempi era così piena, e davano origine a tanti conflitti, che sembrano a noi curiosi e anche ridicoli, ma che allora apparivano come serissimi, da trascinarsi perfino in liti e in duelli.


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.

L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line al sito La Feltrinelli, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo) e Libreria La Vardera (Palermo)

Luigi Natoli: La foresteria della chiesa di S. Maria di Gesù. Tratto da: Calvello il bastardo.


Lo accompagnarono nella foresteria: due celle in fondo al corridoio, presso l’ampio balcone che dava sul giardino, e dal quale si vedeva la città distendersi giù pel clivo, fino a mare. Il frate che l’accompagnava aprì una di quelle celle, depose sopra un tavolino la lampada di ottone, a due lucignoli, augurò la buona notte e se ne andò.
Corrado esaminò la stanza: era più grande delle celle ordinarie, con una finestra di fronte all’uscio: le pareti bianche; il letto di ferro, modesto, ma pulito e soffice; accanto al letto un inginocchiatoio sormontato da un Crocefisso annerito dal tempo, e una piletta d’acqua santa; addossata ad una parete, una tavola di quercia, e su, in alto, uno scaffalino, a due palchetti, pieno di libri, legati in pergamena, coi titoli scritti a grosse lettere nere, per il lungo del dorso. Ne prese uno, che destò la sua curiosità: era un libro di note manoscritte, che riguardavano la cronaca del convento. Il frate compilatore aveva cominciato col notarvi l’anno della fondazione del primo convento nel 1472, fuori le mura, per opera di Pietro e Giacomo de Bruno e delle elemosine dei cittadini; trasportato poi nel centro della città, e arricchito di rendite e di doni. Seguiva la trascrizione dei documenti; poi la descrizione dei poderi, quella dell’edificio del convento e della chiesa; e le lodi dei quadri del Monocolo da Racalmuto e del Monrealese, del gruppo della Pietà, marmo del 1430, che i “forestieri volevano pagare a peso d’oro”, la tomba di Simone Solito del 1626, e quell’altra più bella assai di Giambattista Romano e Ventimiglia, barone di Resuttano, del 1552. E infine seguivano brevi elogi dei frati insigni, e dei personaggi ragguardevoli che il convento aveva ospitato.
Corrado sfogliava negligentemente, come chi non sa che farsi, senza leggere in verità, ma scorrendo con l’occhio ozioso qua e là sulle pagine, cogliendo qualche parola, qualche titolo; mentre il suo cervello pensava ad altro.
Ad un tratto sentì il sangue dargli un tuffo. Un nome gli cadde sott’occhio, le cui lettere gli parve che formassero una parola a lui già nota. Rilesse: era una noticina che diceva:
“Nota come addì 15 di marzo di questo anno 1766 è stato nostro ospite l’illustrissimo signore don Goffredo Calvello barone e duca di Melia, e uno dei primi titoli del regno; essendo padre guardiano fra Felice, suo consobrino dal lato paterno”.
Gli occhi gli tremolarono, divenne pallidissimo. Goffredo Calvello, tre giorni dopo la nascita di lui, s’era recato a Termini: Goffredo Calvello era il proprietario di quella borsa trovata nel cofanetto; quella borsetta Dorotea aveva indicato con le parole “tuo padre!”; Goffredo Calvello era suo padre, e forse l’uccisore della povera donna!




Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile on line al sito La Feltrinelli, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo) e Libreria La Vardera (Palermo)

domenica 10 maggio 2020

Luigi Natoli: Dedica alla mamma

SUL TUO SEPOLCRO
O MADRE MIA
BENEDICENDO A LA TUA MEMORIA
DEPONGO QUESTO LIBRO.

CHE ALTRO POSS’IO OFFERIRE
A L’OMBRA TUA SACRA
DI PIU’ CARO
CHE QUEGLI STUDI CUI TU M’ANIMAVI
FORTE E SORRIDENTE
NE LE TEMPESTE DE LA VITA?

La dedica è posta su "Giovanni Meli, studio critico" -  Tipografia del giornale “Il tempo”
diretta da Pietro Montaina - Anno 1883
Pubblicato dalla casa editrice I Buoni Cugini nel volume "L'Abate Meli"



venerdì 8 maggio 2020

Luigi Natoli: Messer Francesco Ventimiglia. Tratto da: Mastro Bertuchello.


Messer Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, vantava sangue regio. Una tradizione di famiglia, che però non è avvalorata da alcun documento, gli attribuiva discendenza dai principi della Casa d’Altavilla: certo le armi dei Ventimiglia erano quelle stesse dei re normanni di Sicilia: lo scudo d’azzurro traversato da una fascia a scacchi alternati bianchi e rossi.
Messer Francesco era uno dei più potenti signori del reame; il suo vasto dominio si stendeva dal mare fino sopra le Madonie.
Al tempo della catastrofe comprendeva una ventina di feudi, Sperlinga, Pollina, Castelbuono, Golisano, Gratteri, Sant’Angelo, Malvicino, Tusa, Castelluccio, le due Petralie, Gangi, S. Marco, Belici e altre terre minori e casali, lo riconoscevano signore: alla sua casa, per diritto ereditario concesso dai re, spettava l’ufficio di Gran Camerario, una delle sei o sette dignità supreme del regno.
L’amicizia e la protezione di che gli era largo il re Federigo, che lo aveva incaricato di ambasceria pel papa, e lo aveva dato compagno al principe Pietro nella escursione in Toscana, lo avevano fatto conte di Geraci: i servigi resi da lui al re e al regno travagliato dalle continue pretensioni della corte angioina, la ricchezza, l’ampiezza dello stato ne avevano fatto il personaggio più rispettato, più temuto, più invidiato. Non poteva dire di essere amato o di godere salde amicizie. Non se le accattivava. Facile agli impeti, violento, instabile nelle relazioni, vago di piaceri e di novità, superbo della sua nobiltà, spregiatore degli altri, generoso fino alla prodigalità e nel tempo stesso geloso dei suoi diritti, prode, irriflessivo, era un impasto di buone e di cattive qualità.


Luigi Natoli: Mastro Bertuchello. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926. 
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line su La Feltrinelli, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica

Luigi Natoli: La piccola biblioteca di Mastro Bertuchello. Tratto da: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol 1)


Allora non c’era la stampa; i libri erano manoscritti o su pergamena o su carta bombicina, e costavano molto per la borsa di un povero studente. Possedere una bibliotechina era indizio di ricchezza. Non potendo acquistare i bei codici miniati, Bertuchello se ne faceva le copie, la notte, al lume della lucernetta. In questo modo si era formata una piccola biblioteca, la quale, oltre alle Glosse di Accursio, al Digesto di Azzo da Bologna, alla Somma di S. Tommaso e agli Otia imperialia di Giovanni di Tilbury, conteneva la Summa dictaminis trattato di retorica di Giovanni di Bonandrea, e le Etimologie di Isidoro, alcuni scrittori latini, quelli che allora eran più divulgati. Possedeva una Eneide di Virgilio; le Metamorfosi di Ovidio, gli Officii di Cicerone, le favole esopiane, qualche opera di Seneca, le Confessioni di S. Agostino, un Boezio, un Quintiliano, la Metafisica di Aristotile. E inoltre qualche cantare romanzesco, la storia di Tristano e Isotta, una raccolta di rime volgari, e la prima parte di un poema, che aveva acquistato celebrità, ma che non correva ancora intero: la Commedia di Dante. Egli aveva potuto trascriversi l’Inferno.
Questi libri, che formavano il suo bagaglio letterario, aveva portato con sé a Geraci, e si erano salvati dal saccheggio, perché li aveva nella casa paterna, e le soldatesche del re, che cercavan danari o roba, non avevan saputo che fare di quegli scartafacci.
A Palermo, nella sua cameretta nel vicolo di S. Michele Arcangelo, Bertuchello li aveva schierati in bell’ordine in una scansia che si era costruita da sé. Aveva certe sue idee da “filosofo”, per le quali diceva che un uomo deve saper provvedere da sé alle cose che gli sono utili: e che se c’erano maestri legnaioli e maestri leutari, questa non era una ragione perché egli non potesse fabbricarsi da sé una scansia pei libri, un banco per scrivere e un liuto per suonare nei momenti di ricreazione. Anche la zimarra s’era cucita da sé, e si sarebbe tessute le calze, se avesse avuto il tempo e gli strumenti.
Donne in casa non ne aveva. Gli teneva compagnia un grosso gatto grigio, baffuto, con gli occhi verdi. Gli era venuto un giorno in camera, che era ancora micino; e vi era rimasto: egli l’aveva battezzato con nomignolo affibbiato dagli studenti a uno dei lettori di Bologna, che aveva le mani come artigli e abitudini da predone: messer Granfia.
Tra lui e il gatto s’era stretta una grande amicizia, forse perché anche messer Granfia aveva abitudini da filosofo. Quando Bertuchello sedeva al suo banco, per studiare, messer Granfia gli si accoccolava su la spalla, e pareva leggesse anche lui. Le notti d’inverno, gli scaldava le ginocchia, e gli si coricava ai piedi del letto. Bertuchello gli faceva dei discorsetti, che mastro Granfia ascoltava ammiccando con gli occhietti verdi, e rispondendo con delle capatine. A tavola, mastro Granfia stendeva la zampa sul piatto di mastro Bertuchello e, tirava tranquillamente la sua porzione di pesce o di carne, che mangiava sul desco, da buon commensale.


Luigi Natoli: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol, 1)
Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. 
I due volumi (Mastro Bertuchello e Il tesoro dei Ventimiglia) sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926. 
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line su La Feltrinelli, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica