mercoledì 30 giugno 2021

Luigi Natoli: Il Vespro siciliano e i suoi personaggi storici

C’era per tutta la pianura una mischia spaventosa e crudele. Diciassette anni di servaggio, di crudeltà subite, di violenze, d’infamia sofferte, diciassette anni di vergogne e di torture pareva avessero adunato tutte le loro collere in ogni braccio: la vendetta imprigionata da diciassette anni in ogni cuore pareva balestrare nei muscoli, dilagare nel sangue, diventare volontà nelle mani, tramutarsi in lama, in legno in urlo!” Leggere IL VESPRO SICILIANO fa sentire orgogliosi di essere siculi: la rivolta da Palermo, improvvisa e violenta, la rinascita di un popolo che dopo diciassette anni di tirannide e soprusi da parte degli angioini, lotta con armi improvvisate, riuscendo a coinvolgere tutta la Sicilia mandando via il tiranno dall’Isola, è un fatto storico che, come dice Luigi Natoli “segna nelle pagine della storia una data terribilmente memoranda”.
Al centro del romanzo, ovviamente, il Vespro siciliano e quando accadde prima e dopo. Natoli fa muovere personalità realmente esistite, che hanno fatto la storia di questo grande avvenimento. Madonna Macalda, personaggio femminile che occupa quasi tutta la scenografia della narrazione “Allora la collera le gonfiò il cuore, l’odio divampò nel suo sguardo, e cupa, fremente, abbandonò l’ospizio e riprese il cammino”, Messer Palmerio Abate, Messer Ruggero di Mastrangelo, Messer Alaimo da Lentini. Ad essi si fondono i protagonisti di invenzione, come Giordano de Albellis, Odette de Saint Remy, Filippo di Taccono, Damiano, Selvaggetta, Smaralda. Così Natoli presenta alcuni dei protagonisti storici de Il Vespro siciliano, in ordine di apparizione:

Il Sire de Flambeau, capo delle milizie del Regno e padre di Odette “Il personaggio chiamato sire de Flambeau, che raccontava le gesta delle sue quattro lance spezzate, era un uomo sulla cinquantina, alto e possente, con i capelli grigi tagliati sulla fronte cadenti a zazzera tonda sulle tempie e sul collo, gli occhi di gatto e il naso in su” 
Giovanni de Saint Remy, "giustiziere del Val di Mazara, per parte del magnifico e potentissimo signore Carlo d’Angiò, conte di Provenza, re di Sicilia e di Gerusalemme, duca di Napoli e delle Puglie, signore della contea di Folcaquier, ecc. ecc. Il visconte era un uomo sui quaranta; volto fra il lupo e la volpe; maniere da capo di banditi".
Il sire di Ravel bell’uomo di mezza età, dall’aspetto grave e solenne, che parlava lento, misurando il gesto e volgendo gli occhi intorno, come per raccogliere l’approvazione degli ascoltatori.
Messer Guglielmo Porcelet, signore di Calatafimi, piccolo, tozzo, brutto, ma con una grande aria di bontà sul volto e nella voce, di gentili maniere e di oneste parole, che facevan dimenticare i difetti della persona. 
Le lance spezzate: Gastone de Brandt, Bertrand e Taxeville, Ugo de Saint-Victor, Drouet de Genlis; età dai venticinque ai trentadue anni. Gastone de Brandt discende in linea diretta dai Galli: alto, rossiccio, arguto, mobile; Bertrand de taxeville sembra balzato dalle gesta di Rolando; squadrato, massiccio, fiero; Ugo de Saint Victor è schietto provenzale; bruno, molle, immaginoso; Drouet de Genlis deve aver avuto per avolo un canonico di Strasburgo ingrassato di pasticci di fegato d’oca. Sono uguali per valore; amano le belle donne, il buon vino le belle canzoni; bastonano questi paterini di Palermo; rubano gli ebrei e sono prepotenti più di quanto si possa immaginare

Carlo D'Angiò conte di Provenza, fratello di Luigi IX re di Francia a cui il papa Clemente IV, francese, formalmente concedette il regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, come feudo della Chiesa, contro il pagamento dell’annuo censo di ottomila once e il servigio militare e altre trentasei condizioni di minor conto, come si può leggere nella Bolla papale del marzo 1265. Coi denari delle decime, coi prestiti, con le somme del papa, coi gioielli della moglie, Carlo d’Angiò, raccolti trentamila uomini, tra’ quali il fior dei banditi e dei ribaldi  di Provenza, venne in Italia...

Guglielmo d'Estendart ferocissimo interprete di crudeli ordini, piombò nella Sicilia come un lupo affamato in una mandra. Cominciò con gli incendi, le stragi, le barbarie a sottomettere le città ribelli; e a disperdere coi tradimenti e – dove questi non giovavano – con la corruzione i capi della ribellione e i venturieri sbarcati nell’isola. 

Messer Giorgio di Bissano, "aveva desiderato e sollecitato invano il comando di una schiera di duecento uomini; che gli Anziani non avevano voluto affidargli, perchè una volta egli, spinto dalla sua presunzione, aveva portato al macello una squadra di cittadini, senza nessun pro. Approvò con vivo calore undisegno: e ottenne l’incarico di tenere una postierla. Un diabolico sorriso gli illuminò il volto; e fu creduta soddisfazione della vanità di comandar nuova impresa...

Madonna Macalda “A ventiquattro anni era giovane, ricca ed era bella, di aspetto gentile, piena di cortesia, di gran cuore, valente, generosa nel donare, avida di piaceri. Confidando nella sua bellezza andò a Napoli per riavere da re Manfredi i beni del marito, dei quali il fisco si era impadronito... Era bianca con i capelli bruni, gli occhi nerissimi, eloquenti, voluttuosi, le membra tondeggianti ma senza aver perduto la grazia e la sveltezza; la voce molle, pastosa; una di quelle voci che scendono fino alle midolla; il sorriso affascinante. Ella pareva fatta per accendere nei cuori tutti i desideri e tutte le follie

Gamma Zita, la giovane catanese, famosa per aver preferito la morte alla violenza del francese suo persecutore “Gamma Zita aveva quattordici anni ed era esile come un giglio; la femmina non osava ancora impadronirsi del suo corpo sul quale i seni e i fianchi tondeggiavano timidamente. Ella pareva davvero una creatura angelica dalle lunghe vesti ondeggianti, che i pittori effigiavano intorno alla Vergine… Tesseva al telaio impiantato in un angolo della prima stanza e viveva sottomessa e rispettosa verso i nonni, dei quali era la consolazione e la gioia… Gamma era veramente la più bella fanciulla di Catania. Come mai il sire di Saint Victor non l’aveva veduta prima? Se l’avesse conosciuta un mese prima egli si sarebbe fatto amare ed avrebbe ottenuto per amore quello che ora le avrebbe tolto per forza… Un grido ferì l’aria e nel tempo stesso la massa bianca della fanciulla sparì nella bocca del pozzo!... I capelli neri disciolti le scendevano ancora umidi e rappresi sopra le spalle e sul petto, incorniciandole il volto cereo, soffuso di quell’indefinibile dolore della morte..”

Messer Palmerio Abate A quei tempi era signore del Castello di Carini messer Palmerio Abate, di nobile famiglia; uno dei pochi sul quale non era calata la mano dei dominatori…Messer Palmerio del resto usava la più grande prudenza e non faceva nessun rumore intorno al suo nome. Era umano e generoso. Non giungeva viandante, povero o ricco, uomo di plebe o di cavaliere, che nel castello non trovasse larga ospitalità, e se povero non partisse con qualche dono. Messer Palmerio aveva varcato la quarantina, ed aveva i capelli precocemente bianchi che davano al suo volto un’espressione di maestà. Giordano parve preso da una certa soggezione al vederne l’aspetto signorile e dignitoso

Messer Ruggero di Mastrangelo “Cittadino e primario dovizioso, era stato baiulo, cioè giudice del regno di Sicilia in Palermo nel 1272, e appaltatore della Zecca del regno a Messina, nel 1280Messer Ruggero, uscendo in quell’istante dalla Chiesa, con uno sguardo capì il gran momento, e raccolte le armi di un cavaliere caduto, alzando la spada gridò – Popolo! Alla riscossa! Muoiano tutti i francesi!...E intorno a loro si strinsero popolani e borghesi, armati o no, ripetendo quel grido, cosicchè messer Ruggero, noto per gli uffici tenuti, per la ricchezza, per l’autorità, diventò senza volerlo il capo, il condottiero di tutta quella moltitudine che, buttata la pelle di agnello rassegnato, appariva formidabile come belva sitibonda di sangue

Messer Alaimo da Lentini nella città di Messina e marito di Madonna Macalda “All’entrare dei due giovani, e vedendo uno dei due in saio di frate, messer Alaimo fece cenno che gli si avvicinassero e guardatili benignamente domandò loro chi fossero e in cosa potesse giovarli”..”Ai racconti di Giordano,  Alaimo  corrugava la fronte e si faceva scuro. Qualche volta stringeva i pugni….” Era Messer Alaimo da Lentini, che tornava a Messina. Egli salutava la folla con gesto benevolo. Ben visto, onorato, noto cavaliere prestante e valoroso e cittadino saggio e prudente, messer Alaimo pareva venuto per disegno della provvidenza alla difesa di Messina”  

Re Pietro d’Aragona, nuovo Re di Sicilia, personaggio storicoEra il 4 settembre del 1292, e la capitale dell’Isola, l’antica sede dei Normanni e degli Svevi era in festa. Da più giorni si era preparata ad accogliere il nuovo Re, Pietro di Aragona e lo aveva aspettato… essa aveva, spiegandosi alla meglio, magnificato il valore del re, che era il principe più animoso e prode della cristianità, e che veniva pieno di fiducia nella sua causa, di liberare il regno di Manfredi, di cui si riteneva legittimo erede, dall’usurpatore angioino. Si raccontavano di lui magnifiche gesta, che riempivano di ammirazione il popolo. Il re cavalcava, lieto in volto, fra i suoi maggiori baroni, coi quali discorreva familiarmente. Gli cavalcava accanto messer Palmerio Abate, che dopo averlo ricevuto a Trapani sotto un baldacchino di tela d’oro sorretto dai principali signori, e salutatolo - re mandato dal cielo per liberare l’isola dall’atroce nemico – aveva voluto accompagnarlo a Palermo…Così fu celebrato il primo atto del nuovo regno; fu legalizzata la intromissione della Casa d’Aragona nella contesa fra la Sicilia e la Corte d’Angiò; fu ancora una volta riconfermato nel regno il diritto, già altre volte usato, della libera elezione del re per volontà nazionale ” 

Luigi Natoli: Il Vespro siciliano. Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1282, al tempo di una delle più famose rivoluzioni della Storia di Sicilia. L’edizione, interamente restaurata a partire dal titolo, è la fedele trascrizione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1915. Con la sua perizia di grande storiografo e narratore, l’autore ci consegna uno dei capolavori della letteratura popolare mondiale che nulla trascura di quel periodo storico come l’orrenda strage di Agosta, le trame politiche cospirative dei baroni siciliani, l’orgoglioso episodio di Gamma Zita a Catania, la valorosa resistenza della città di Messina al dominio francese degli Angiò. Il romanzo ricco di fatti e personaggi realmente accaduti o esistiti, ci regala l’indimenticabile eroe Giordano De Albellis, intollerante alle ingiustizie, innamorato della sua terra, della libertà e della sua bella Odette.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 945 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). Si può prenotare alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa editore (Piazza Leoni), Libreria Sellerio (Viale regina Margherita - Mondello)

giovedì 24 giugno 2021

Luigi Natoli: Palermo, via Toledo nel 1820. Tratto da: Braccio di ferro, avventure di un carbonaro.


Che folla pel Toledo! Eh sì, che quell’anno – 1820 – il mese di giugno era in Palermo più arroventato del solito. Ma era giorno di festa e la folla aspettava il passaggio di una processione promossa dai Gesuiti in onore di S. Luigi Gonzaga, alla quale prendevano parte tutti i giovanetti delle loro scuole. La processione doveva percorrere la lunga, diritta e bella strada, che dal cinquecento in poi era stata chiamata col nome del vicerè don Garsia de Toledo e lo serbò fino al 1860, quando gli sostituirono quello di Vittorio Emanuele. Era allora la strada principale della città; la via Maqueda che la taglia in croce, bella e lunga ugualmente, non avea che il secondo posto. Le più ricche botteghe, i palazzi più cospicui, le chiese più belle erano – e sono ancora – sulla via Toledo; in essa palpitava la vita della città: ma l’aspetto era allora un po’ diverso da quello d’oggi, perché molte botteghe avevan sulla porta una pensilina – con voce dialettale “pinnata” – che talvolta era sorretta da pilastrini e avevano la porta divisa in due palmi ineguali da una colonna: dalla parte minore sporgeva per circa due palmi sul marciapiedi il banco; e pensiline e banchi ingombravano e impedivano alla vista di correr liberamente. In compenso offrivan ombra e sedili alla folla nei giorni di sole e riparo in quelli piovosi. 
Quel giorno, sotto le pensiline e sui banchi si assiepava la folla. Era un alternarsi, un sovrapporsi, un confondersi di vesti bianche, rosa, cilestri trasparenti e vaporose; di scialletti di crespo di seta che parevan tessuti di nuvola; di cuffie bianche e di cappelloni di paglia; uno sventolìo di piccoli ventagli d’osso e d’avorio luccicanti di pagliette d’argento; interrotto, frammezzato dalle macchie turchine o verdi o color di foglia secca, che mettevano i vestiti maschili fra quelli donneschi. La stessa folla di colori si vedeva agli sbocchi dei vicoli, lungo la via, su nei balconi; e per tutto era un cicaleccio, un ronzio confuso, sul quale a quando a quando interrompevano più forti e distinte le grida dei venditori ambulanti d’acqua gelata, di semi di zucca, di fave tostate, di ciliege e di dolciumi. 
Quelle grida cadenzate, musicali, metaforiche e gioiose sgorgavano sul ronzio afoso come freschi zampilli nell’arsura del sole. Ai Quattro Canti la folla era più densa, trattenuta dai granatieri, schierati di qua e di là, per lasciar libero il passo alla processione, e sorvegliata dai birri armati di bastone: ma si accalcava intorno ai palchetti rizzati sulle fontane, dai quali i musici avrebbero intonato “la cantata”; e dinanzi al Caffè di Sicilia, dove si faceva un gran sorbire di gremolate e di acquetta di amarena. 
Tullio Spada, come ogni buon cittadino palermitano amante di feste e di spettacoli, attraversati i Quattro Canti andò a fermarsi a pochi passi di lì, quasi all’angolo della “Calata dei Musici”, che metteva in comunicazione la piazzetta Pretoria con la via Toledo; si chiamava così perché vi era il convegno dei professori d’orchestra e dei virtuosi di canto e, per dirla con una parola moderna, la borsa di lavoro o il sindacato di quei disperati. 
Egli aveva tre ragioni di fermarsi in quel luogo; prima di tutto perché i Quattro Canti erano il punto di riunione, di sosta, di ritrovo di tutti i cittadini e dei “regnicoli”, ossia dei provinciali che venivano a Palermo; il cuore, e per certi aspetti, anche il cervello della città; poi, perché, essendo un bel giovane elegante, non gli dispiaceva essere ammirato; e infine – questa era la vera ragione principale e più forte – perché di lì guardando un balcone al primo piano d’un palazzo di fronte, poteva vagheggiare Rosalia. 
Rosalia era la sua fidanzata, e stava al balcone aspettandolo. Una simpatica e graziosa fanciulla, di sedici o diciassette anni, capelli neri che incorniciavano l’avorio del volto ovale, ed occhi nerissimi che avevano nella profondità appassionata dello sguardo qualcosa di timido e dolce. 
Quel giorno, sebbene festivo, non era uno di quelli assegnati per la visita, e Tullio doveva contentarsi di veder la sua Rosalia da lontano, scambiar con lei qualche sorriso, qualche gesto furtivo, e dirsi con gli occhi tutte le parole tenere che le bocche non potevan pronunziare. La gente, che aspettava la processione, non gli badava: qualche amico, passando, e dato uno sguardo, barattava una parola, salutava, e tirava innanzi per non essere di troppo; ma due cadetti di cavalleria, che si eran già fermati anch’essi in quei paraggi a poca distanza da Tullio, ed avevan sorpreso qualche segno telegrafico delle dita, cominciarono fra loro a ridere e a fare delle smorfie canzonatorie, che fecero più volte aggrondar le sopracciglia e arrossir il giovane per la stizza...


Luigi Natoli: Braccio di ferro, avventure di un carbonaro. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1820, al tempo della Rivoluzione e delle Vendite carbonare; il tutto vissuto attraverso le avventure del protagonista, Tullio Spada. L’opera è la fedele riproduzione romanzo originale, pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930 ed è arricchita dai disegni di Niccolò Pizzorno.
Prezzo di copertina € 22,00, pagine 342
Fa parte anche del volume dedicato alla Trilogia del Risorgimento, che comprende inoltre I morti tornano... e Chi l'uccise?
Copertina e illustrazioni di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 24,00, pagine 882
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia.
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15).
Per qualsiasi informazione: ibuonicugini@libero.it – Cell. 3457416697 – Whatsapp 3894697296

martedì 22 giugno 2021

Luigi Natoli: L' astrologo Giafar e il suo discorso sul re Ruggero. Tratto da: Gli ultimi saraceni

Era un bel vecchio, alto, magro, con una lunga barba bianca sul petto, i capelli rasi, sotto il turbante; ve­stito di un caftau turchino, stretto ai fian­chi da una sciarpa color chiaro di luna. I suoi occhi rotondi, dentro le larghe e pro­fonde occhiaie, avevano un lucciare come di febbre; e quando si fissavano sopra al­cuno, mettevano una specie di rimescolio nel sangue, uno strano e indefinito sgomento. Il suo nome, era veramente Giafar; ma lo intendevano con quel soprannome Abu-al­-garaniq, che era già un indizio della scien­za che egli professava, e per cui era cono­sciuto: Abu-al-garaniq  infatti significa Quello delle gru. Giafar era esperto di scienze occulte; era astrologo, alchimista, e pre­vedeva il futuro, leggendolo negli astri, nel volo e nel canto degli uccelli nei casi della vita stessa. Una volta, cosa non consueta nel cielo di Palermo passò uno stuolo immenso di gru, a triangolo, gridando, con uno strido­re di carrucole arrugginite. Giafar salito sul terrazzo, interrogato il volo, il nume­ro, la direzione dello stuolo, e non si sa quali altri indizi, previde che in quel gior­no il glorioso e potente sopra i re, Rugge­ro principe di Sicilia, sempre laudato, conquistava alla sua corona Tripoli e il ter­ritorio fino a Cirene. Poichè le notizie giunte dopo, conferma­rono il pronostico, Giafar fu soprannomi­nato Quello delle gru, che in linguaggio a­rabo suona Abu-al-garaniq. 
Giafar era un buon musulmano, pio, de­voto, osservatore scrupoloso dei precetti del Corano. Per quanti torti avesse Abd-Allah agli occhi suoi, era pur un credente in Al­lah, ed egli aveva l'obbligo di soccorrerlo. 
"Tu hai tradito la nostra fede; tu hai abbandonato il campo seminato di grano, per entrare in quello intrigato di spine e di gramigne. Hai dimenticato i nostri padri, che già diffusero tra le terre dei Rumi il terrore del leone dell’islam; e ti sei avvilito fra gli infedeli, nati per servire. Che fede vuoi che io ti aggiusti? Troppe ingiurie ci sono recate; e troppo i patti sono stati violati; ma non da parte nostra. Al tempo di Ruggero, gloriosa spada dei Rumi, noi potevamo rimpiangere il perduto dominio; ma almeno eravamo liberi e pari ai nazareni: avevamo i nostri cadì, i nostri ulema; i nostri fondachi abbondavano di ogni bene che Allah dispensa ai credenti; i nostri savii ornavano la reggia, i nostri artefici pieni di ingegno meraviglioso fabbricavano pel re congegni mirabili per distinguere le ore, e per scoprire i misteri degli astri; i nostri filosofi e dottori disputavano coi filosofi dei Rumi; e nessuno meglio di noi leggeva il gran savio Aristotele; nessuno meglio dei nostri commentava Ippocrate. Allora Edrisi scriveva il suo magnifico Sollazzo, che abbraccia il mondo, opera che nessuno aveva composto prima, e comporrà in appresso. E il re dei cristiani, il potentissimo Ruggero, sul quale piovvero tutte le misericordie di Dio, onorò i nostri saggi; ne seguì i precetti, usò le nostre vesti, il nostro linguaggio, ebbe cari i nostri artefici. E le nostre campagne, i nostri mensil, i nostri rahat?... Ma ora? Ora è tutto mutato; pare che si prepari un’era di servitù; forse per punire la nostra viltà. Noi perdemmo lo stato perché fummo divisi e discordi; ora perderemo la libertà perché siamo vili!... Che cosa vuoi? Della viltà nostra, ecco, tu sei un esempio: tu, per viltà hai tradito la tua stirpe, la tua fede. Il guadagno e la paura hanno piegato l’animo tuo, come il vento piega il giunco nello stagno. E ora vieni fra noi, e ci domandi di stringerci intorno al re. Perché dobbiamo stringerci intorno a lui? egli non ci darà quello che abbiamo perduto e che ci è stato tolto: lascia stare, gaito; noi faremo quello che vorrà Allah".

Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato a Palermo al tempo di Guglielmo I e di Matteo Bonello. L’opera, mai pubblicata in libro, è la trascrizione fedele dell’opera originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1911.
Il volume include da una ancor più rara ode a Willelmo I composta dall'autore nell'aprile del 1881.
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno
Pagine 719 – Prezzo di copertina € 25,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15)

Luigi Natoli: Majone da Bari. Tratto da: Gli ultimi saraceni.


Grande Almirante, capitano, favorito della regina Margherita a molti della corte, e generalmente creduto pessimo cristiano, e, in fondo musulmano ancora, e in relazione coi musulmani d’Africa. Il grande Almirante, per la sua politica, che mal celava una febbre ambiziosa di dispotismo, aveva partigiani e nemici. I primi erano più nu­merosi nel popolo e nella piccola borghe­sia, per sentimento di solidarietà di classe, come si direbbe oggi e per l’innata avver­sione di tutte le plebi alte e basse contro la nobiltà; i secondi erano nella borghesia dei banchi e nella nobiltà osteggiata sempre da Majone. Inoltre Majone si appoggiava ai Saraceni, convertiti o no, contro i quali cominciava a serpeggiare l'odio religioso.
Majone era venuto in corte giovine anco­ra, al tempo di re Ruggero; ed era arrivato a ottenere un posto di scriniario, o scriva­no. Il re, da quel profondo conoscitor d'uomini che era, riconobbe in quel borghese un cervello quadrato e un vivo senso pratico negli affari; ereditato forse dai suoi mag­giori gente di negozi. Accorto, sottile, ani­moso e risoluto quando era necessario, si­mulatore, tenace nei propositi, devoto al re, almeno agli atti, Majone seppe entrare nel­l'animo di Ruggero, che da scriniario lo promosse a vice cancelliere.
Guglielmo l'ebbe a compagno di avventure, prima che si fosse associato al regno del padre; l'ebbe consigliere e ministro durante gli ultimi anni del regno di Ruggero; ne fu preso e gli si affidò. Il giorno in cui, dopo la morte di Ruggero, Guglielmo fu solennemente incoronato nella cappella del duomo, il 4 aprile del 1154, Majone già divenuto Cancelliere, fu promosso Almirante degli Almiranti, cioè primo ministro. La parola Almirante, divenuta poi Ammiraglio, derivata da el emir, non designava allora comando di flotta; era titolo di ufficio civile e militare, indifferentemente. L’Almirante degli Almiranti, o più comunemente il Grande Almirante era su per giù quel che oggi è il presidente del Consiglio dei ministri ma con maggior autorità.
Majone, senza parere, aveva a poco a poco radunato nelle sue mani il potere; e sebbene gli atti recassero la intitolazione Guglielmus dei gratia Siciliae nondimeno essi non esprimevano che la volontà del ministro. Il quale pareva così interamente e sinceramente devoto, e così votato al servizio del re, che questi gli abbandonò il regno, e tenne per sé un altro regno, più ristretto, senza noie, senza brighe, nel quale egli era solo ed unico signore; era re, ministro, sacerdote di un culto vecchio quanto il mondo, e sempre nuovo, sempre pieno di incanti, e di giocondità.
- Ah! tu non intendi. Or bene sai tu quale sia uno dei godimenti dell’Almirante? Egli scende nelle prigioni delle donne, e così legate e indifese come sono, le disonora!...


Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato a Palermo al tempo di Guglielmo I e Matteo Bonello. L’opera, mai pubblicata in libro, è la trascrizione fedele del romanzo originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1911. Il volume include da una ancor più rara ode a Willelmo I composta dall'autore nell'aprile del 1881.
Copertina
Pagine 719 – Prezzo di copertina € 25,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15)

lunedì 21 giugno 2021

Luigi Natoli: Giovannello Chiaramonte. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca.

La piazza Marina, così detta perché da prima era seno di mare, da più d’un secolo era prosciugata; essa era chiusa dalla parte di mezzogiorno dalle mura della Kalsa, qua e là abbattute, e dalla parte di levante da uno sprone di terra, (ancor visibile nello stereobate su cui sorgono l’Hotel de France, e il palazzo dell’Intendenza,) il quale finiva sulla Cala, con una chiesa, sotto la quale si agganciava la catena da chiudere il porto; dal che la chiesa prese il nome di S. Maria della Catena.
Questo sprone, nei tempi antichissimi formava un molo naturale, difendeva e proteggeva, il porto profondo, a cui la città doveva il suo nome greco: Panormo (tutto porto). Dalla parte esterna, sul mare, al limite del quartiere arabo della Kalsa, e cioè dove ora corre la via Butera, su questo sprone era un borgo di Greci, con la loro chiesa di S. Nicolò. Da loro prese il nome la porta, che, rifatta, serba fino ad oggi il nome di Porta dei Greci.
La piazza Marina era dunque compresa fra questo sprone più elevato, la parte alta della Kalsa, e giungeva fin presso allo sbocco della via del Parlamento, comprendendo la via Bottai e l’area del palazzo delle Finanze; il porto, dal lato ove è la chiesa di S. Sebastiano, penetrava ancora un po’ di più, e giungeva fino all’Arsenale, il Tercianatus dei vecchi documenti, che ha lasciato il nome alla piazzetta di Terzana.
Sullo sprone non v’erano edifici notevoli, salvo che lo Steri, l’antica e nobile dimora dei Chiaramonte, accanto a cui la casa men bella dei conti di Cammarata e la chiesa di S. Maria della Catena.
Dietro lo Steri sorgevano la chiesetta di S. Antonio, ancora esistente, e la chiesa di S. Nicolò, or da un secolo circa distrutta. 
L’erba cresceva nella piazza; e delle capre dal pelo lungo e dalle corna lunghe, a spirale, pascolavano tranquillamente.
L’odore delle alghe marine, deposte sulla riva dall’alterna vicenda dei flutti, impregnava l’aria silenziosa.
Fra le barche tirate a secco alcuni marinai col berretto rosso in capo, come si vedono ancora nel promontorio sorrentino, stendevano le reti al sole; da un focolare improvvisato con due sassi, si levava una spirale di fumo azzurro, che si allargava e si sperdeva in alto.
Oltre le barche, nel vasto specchio d’acqua del porto si scorgevano alcune galee e barconi e feluche; qualcuna aveva già spiegate le vele e si accingeva a prendere il largo. Più in là ancora il Castello a mare distendevasi con le sue torri massicce, l’ampia cortina merlata, armata di bombarde, accanto alle quali, si vedevano biancheggiare le grosse palle di pietra.
Più in fondo ancora Monte Pellegrino disegnava nel cielo la sua massa rocciosa, coi fianchi verdeggianti di boschi, e le cime indorate dal primo sole.
V’era una gran pace, una tranquillità dolce e solenne a un tempo nell’aria fine e trasparente, per la quale volteggiavano stormi di rondini, salutando il sole con piccoli gridi festosi.
Un giovinetto s’era fermato con un senso di meraviglia e una certa commozione in mezzo alla piazza, guardando il palazzo chiaramontano.
Poteva avere sedici o diciassette anni, e vestiva poveramente; il suo farsetto aveva qualche strappo ai gomiti, e le sue calze erano sdrucite. La tasca che portava appesa con una cordicella, rivelava la rotondità di un pane. Le sue scarpe erano rotte e impolverate, come di chi viene da lungo viaggio. Aveva in mano un grosso bastone, e infilato alla cintura un pugnale con la guaina di cuoio.
Non era bello: il suo volto aveva qualcosa di irregolare, ma nell’insieme era piacevole ed espressivo. V’era un non so che di fiero e di malinconico a un tempo, ma una malinconia silenziosa e pacata; e gli occhi grandi, neri, acuti, mobili, investigatori, contrastavano col color dei capelli tra biondi e castani.
Doveva esser bianco di carnagione, e si vedeva dalla sommità della fronte, quando con un gesto che pareva volesse scacciar qualche torbido pensiero, egli sollevava il berretto e scostava i capelli. Ma il sole aveva abbronzato il suo volto e le sue mani.
Sebbene poveramente vestito e sporco di polvere il suo aspetto aveva qualche cosa di fine e delicato, che non sfuggiva neppure a uno sguardo superficiale e distratto.
Egli stette un poco fermo in mezzo alla piazza, guardando lo Steri; poi volse gli occhi intorno a sé, come uno che voglia riconoscere qualche cosa o qualche luogo: accortosi di una taverna a pochi passi dallo Steri, vi si avvicinò, e sedette sopra una panchetta di legno, accanto alla porta.
Aveva fame; tirò la saccoccia dinanzi a sé, e ne trasse un pane da contadini, tondo e bruno, che addentò vigorosamente.



Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele riproduzione del romanzo originale pubblicato con la casa editrice La Gutemberg nel 1921. 
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia. 
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online. 
Disponibili a Palermo in libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
Per qualsiasi informazione: ibuonicugini@libero.it – Cell. 3457416697 – Whatsapp 3894697296
Le librerie possono acquistare contattandoci alla mail ibuonicugini@libero.it 

Luigi Natoli: Palermo nel 1401. Tratto da Il Paggio della regina Bianca.


Palermo offriva in quei tempi uno spettacolo curioso e singolare. La sua pianta si era via via allargata fin dal tempo dei Romani; una città nuova era sorta oltre il letto del fiume il Maltempo; le cui sponde superiori, per esser piantate a “cimino(2)” fecero dare grecamente il nome di Kèmonia, alla parte alta dell’Albergheria.
Il letto di questo fiumicello, che il Senato avea deviato da qualche tempo, per evitare le frequenti inondazioni, è riconoscibile nell’attuale via Castro.
Nel 1401 esso, d’inverno, correva ancora nel suo letto, e scendendo per le odierne vie di Casa Professa e dei Calderai, piegando per la contrada dei Tornieri, si univa al fiumetto della Conceria, e scendeva nel mare.
Di là da questo fiume era dunque sorta una città più vasta dell’antica, dovuta all’opera di espansione e di adattamento dei vari dominatori.
I Romani vi fabbricarono quasi tutta quella parte che oggi forma il mandamento Palazzo Reale; i Bisantini vi aggiunsero altre contrade, più in giù, che giungevano fin presso S. Francesco d’Assisi; gli ebrei vi costruirono le loro case e la Sinagoga, tra la moderna piazza del Ponticello e la contrada dei Calderai; gli Arabi vi edificarono una vera città, chiusa da mura, dove aveva sede il governo e serbavano il tesoro, e la chiamarono Kalesa, l’Eletta, nome che ancor serba, sincopato in Kalsa, o secondo la pronuncia palermitana hausa.
Queste nuove contrade col tempo si erano confuse; nel secolo XV i loro confini si erano cancellati, e solo era visibile qualche pezzo di muro o quale torre dalla Kalesa. Esternamente erano difese da una muraglia comune, che girava da occidente a mezzogiorno e piegava a oriente, sul mare; nella quale si aprivano alcune porte, due delle quali, sopravvissute al naufragio di tante altre cose e ai rinnovamenti edilizi, rimangono ancora, coi loro nomi antichi, ruderi gloriosi del passato: porta Mazzara (el Mahassaar) e porta S. Agata: di altre, come la porta delle Terme e quella dei Greci, rimane il nome. Delle muraglie qualche frammento è ancora visibile fra le case che vi si addossano, nei pressi dell’Ospedale Civico, e dietro la Caserma dei Carabinieri.
Dalla parte opposta, dall’altro lato dell’antica città si apriva una vasta palude, detta di Buonriposo, che per esser piena di papiri diede il nome di Papireto alla contrada. Essa un tempo si estendeva, costeggiando le mura settentrionali della città antica, e occupando l’area delle odierne piazze del Monte di Pietà, di S. Onofrio e dei mercati; ma a poco a poco s’era disseccata.
Nel secolo XV la palude s’era ristretta alla parte più alta, giungendo appena a S. Cosmo: stagnante spesso e miasmatica. Un emissario, che era il fiumetto o fiume della Conceria, la metteva in comunicazione col mare, e di là da questa palude eran sorti dal tempo degli Arabi altri borghi, che formavano un’altra città transpapiretana; e forse perché vi aveva avuto sede un cadi, dal nome composto di Sera-al-cadi, Seralcadi, era venuto il nome al quartiere, di Seralcadio, poi Civilcari; la cui parte superiore il popolo chiamò Capo.
Anche oggi, il visitatore curioso può riconoscere tanto l’antico letto del Maltempo o fiume di Kemonia, quanto quello della palude Papireta, nei due avvallamenti o parti più basse da via Castro a Lattarini a destra, dal Papireto alla piazza Caracciolo a sinistra, che lasciano anche oggi in mezzo più elevata, tutta la parte centrale della città fino a S. Antonio. Questa parrocchia, come si può vedere, resta infatti più alta dell’attuale livello del corso Vittorio Emanuele e della nuova via Roma: e più alte rimangono a sinistra le vie del Celso e delle Vergini, che sovrastano a quelle dei Candelai e alla piazza Nuova; e a destra le vie Biscottai e S.Chiara, e le chiese di S. Cataldo e della Martorana, che sovrastano alla via Castro, alla rua Formaggi, alla piazza del Ponticello e alla via dei Calderai.
L’antichissima Palermo era appunto questa parte centrale più alta, sovrastante alle altre or accennate. Essa era cinta di mura e di torri, che l’allargarsi successivo della città non distrusse.
Nel 1401, come abbiamo detto, queste mura e queste torri esistevano ancora, con le antiche porte; l’ultima delle quali sparve nel 1588, quando si costruì il convento dei frati Benefratelli. Formavano dunque una città murata dentro la città.



Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele riproduzione del romanzo originale pubblicato con la casa editrice La Gutemberg nel 1921. 
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia. 
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online. 
Disponibili a Palermo in libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
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venerdì 11 giugno 2021

Luigi Natoli: 22 Novembre 1890. Dalla raccolta Parentalia (Poesie)

Ogni anno io solevo festeggiare il tuo genetliaco; ed il quel giorno la nostra casa sorrideva di letizia. 
Questo è il primo anno nel quale la festa cede al cordoglio, che è tanto più acerbo, in quanto rievoca ricordi e riaccende affetti, che la Morte ha spezzato, non distrutto.
Ma io non voglio venir meno, oggi, alla cara consuetudine; e sopra la tua fossa depongo queste pagine. Ohimè! esse non dicono tutto, ed assai parte dei mio dolore resterà ignota, chè io non voglio ch’altri sappia come e quanto io ti pianga...

Quando ne la notturna ora più queta,
tolto a la consueta opera mia,
zitto e in punta di piè, ne la secreta
camera, ove dormiva ella, venìa,

blanda lucea la lampada discreta
su ‘l bianco letto, e ne la mite ombra
il placido respir, come una lieta
canzon di pace, lento e ugual salìa.

Io ristavo a mirar; le bionde chiome
da’ guanciali scendean come un torrente
d’oro intorno a ‘l bel collo e a ‘l picciol seno;

e, quasi me sentisse, ne ‘l sereno
volto errava un sorriso, e dolcemente,
sognando, mormorava ella il mio nome.

Or nessuno m’attende; è fredda e sola
la camera, e nessun più la conforta;
quando dietro di me chiudo la porta,
sento un nodo serrarmi anche la gola...

Luigi Natoli: Parentalia. Fa parte della raccolta Poesie. 
Il volume comprende le raccolte di poesie edite Foglie morte (Pubblicata con la tipografia R. Carrabba in Lanciano nel 1880 e con prefazione di Giuseppe Pipitone Federico), Parentalia (pubblicata il 22 novembre 1890 con la tipografia del Giornale di Sicilia), Congedo (Pubblicata con l'editore Remo Sandron nel 1908) e le poesie inedite, fedelmente copiate dai manoscritti originali di Versiculi (1882) e In Pace (1885).
Pagine 278 - Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Sellerio (Viale Regina Margherita - Mondello), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15)

giovedì 10 giugno 2021

Luigi Natoli: Lo scontro tra Giovanni Chiaramonte e Francesco Ventimiglia. Tratto da: Mastro Bertuchello. (Latini e Catalani vol. 1)


Dalla porta di Termini veniva verso la piazza una cavalcata, men numerosa, ma ugualmente irta di ferro; in capo alla quale, Giovanni Chiaramonte aveva riconosciuto Francesco Ventimiglia. Il quale, al vedersi venire incontro quella masnada, ristette dubitoso un istante, ma riconosciuto nella gualdrappa del cavallo lo scudo rosso coi tre cuspidi d’argento, sguainò la spada e gridò:
- Ventimiglia!... Ventimiglia!...
Le due schiere si gittarono l’una contro l’altra; la folla che era corsa dietro alla banda di Giovanni Chiaramonte, paventando d’esser travolta nella zuffa, si sbandò, lasciando libero il campo, ma si soffermò a guardar da lontano, per seguire quel combattimento succeduto così improvvisamente e inaspettatamente a un giuoco. Non erano infrequenti i casi di queste zuffe tra signori nelle strade e nelle piazze cittadine; ma a memoria di un uomo non se n’era vista mai nessuna che per quantità di combattenti si potesse paragonare a quella.
I due cavalieri si scagliarono rabbiosamente incontro, con le spade in alto: i loro cavalli, come se avessero partecipato dell’odio dei padroni, si urtarono così fieramente che vacillarono: le spade cozzarono; le due schiere, perduto l’ordine, si fransero in gruppi, ognuno dei quali combatteva per suo conto, ferocemente, come se ogni uomo avesse ricevuto un torto dall’altro, che pur ora vedeva per la prima volta. Intorno ai due cavalieri si era fatto un largo spazio, nel quale essi, che eran tutti e due valenti e coraggiosi, volteggiavano per scavalcarsi o per ferirsi. Un rovescione di Giovanni, mal parato, ruppe le cinghie dell’elmo di messer Francesco, e lo ferì in volto. Sanguinante, col capo nudo, incalzato da Giovanni, il conte di Geraci voltò il cavallo e si cacciò per la via che costeggiava le mura. Giovanni, temendo che sfuggisse alla vendetta gli corse dietro. La gente di messer Francesco, vedendo fuggire il suo signore, o presa di paura, o perché non vedeva più ragione di farsi ammazzare, si sbandò di qua e di là, sollecita di salvar la pelle.
Intanto i due conti galopparono, uno dietro l’altro; il primo colto da un folle panico, per la rottura dell’arme e per la ferita, squarciava i fianchi del cavallo con la furia di scampare alla morte che sembrava galoppargli dietro; l’altro vibrava non meno furiosi colpi di sprone al suo cavallo, con l’ardore della vendetta. Coloro che al molteplice scalpitìo si affacciavano, vedevano trasvolare quei due cavalieri, come due fantasmi, che non badavano a ostacoli e abbattevano quelli che si trovavano sulla loro via:
Giovanni gridava:
- Vigliacco!... vigliacco!...
Ma l’altro forse non l’udiva. Volava sempre lungo la strada delle mura, risalendo la parte alta della città, verso la reggia, dove troverebbe un asilo sicuro e anche la rivincita. Giovanni intuiva quel disegno, si sforzava di mandarlo a vuoto; ma presso la porta Bosuemi, quasi sul punto di raggiungere messer Francesco, a una speronata più violenta, il cavallo come accecato inciampò in un sasso e si rovesciò da una banda, trascinando nella caduta Giovanni.
Mandò un urlo di rabbia, e cercò di liberarsi dal cavallo che gli pesava sopra una gamba; ma intanto messer Francesco raggiungeva al palazzo regale, gridando alla guardia:
- Non fate entrare nessuno!...
E scavalcato, gittate le redini a un servo, si lasciò cadere per un istante sopra un gradino, col petto ansante, agitato dall’onta di quella fuga, dalla rabbia della sconfitta, dalla paura del pericolo corso, dalla gioia d’esserne scampato. Si terse il sangue, e salì per l’ampia scala dicendo in tono di minaccia, e come se Giovanni potesse udirlo:
- Ed ora guai a te, o Chiaramonte!...




Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
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Luigi Natoli: La vendetta di Giovanni Chiaramonte. Tratto da: Mastro Bertuchello. (Latini e Catalani vol. 1)


La corte era in quei giorni andata a Catania. Giovanni si mise a cavallo, e accompagnato da alcuni familiari e vassalli partì a quella volta. Ma prima di lui v’era già stato messer Francesco; aveva presentato al re Franceschello, Aldoino e Manuele, tre spade consacrate al servizio della sua Maestà; glieli aveva raccomandati; e, esposti i suoi casi e il dovere di riconoscere come legittimi quei giovani e le loro sorelle, aveva ottenuto dal re l’approvazione e l’assenso al divorzio e alle nuove nozze. Forte di questo messer Francesco spingeva innanzi con fretta e con ardore le pratiche presso l’arcivescovo, profondendo denari a ogni lieve ostacolo che i teologi della curia arcivescovile sollevavano. Egli desiderava che tutto fosse bello e compiuto prima che i Chiaramonte ritornassero dalla impresa di Toscana; e proprio quando Giovanni Chiaramonte viaggiava verso Catania, messer Francesco celebrava nella cappella del castello di Geraci le nozze con Margherita Consolo.
Re Federigo ascoltò con benevolenza Giovanni Chiaramonte; ma invece di convenire con lui, che il conte di Geraci avesse commesso una mala azione e che i Chiaramonte avessero ragione di tenersene offesi, giustificò la condotta di quello, per gli obblighi che aveva verso la numerosa figliolanza, e confortò il giovane ad accettar con rassegnazione quel che era avvenuto, che certo non lo sarebbe stato senza la volontà di Dio a cui tutti siamo obbligati.
Stupito e dolente di queste parole, Giovanni si lasciò sfuggire qualche minaccia, ma il re lo ammonì severamente. Uscì dalla reggia col cuore gonfio d’ira, agitando propositi di vendetta, che gli dovevan tralucere dagli occhi e dal passo concitato, se gli attiravano addosso gli sguardi dei cortigiani, che stavano nelle anticamere.
Giovanni Chiaramonte, pochi giorni dopo salpò per Pisa, dove ancora si trovava Ludovico il Bavaro. Offerse i suoi servigi; fu accolto; posto a capo di una parte dell’esercito; militò valorosamente, sì che l’imperatore lo prepose al governo della Marca d’Ancona, col titolo di marchese(3).
Tra le guerre e le cure del governo, gli ardori della vendetta intiepidirono: qualche lettera che riceveva dai Palizzi lo persuadeva ad aspettare; l’imperatore poi, che lo aveva sempre più caro, gli affidava incarichi delicati e difficili. Così passarono quattro anni, quando verso la metà di marzo gli giunse la notizia che Costanza si era spenta nel monastero, come un povero fiore intristito dall’arsura. Non era vero, ma questa notizia rinnovò la bramosìa di una sollecita vendetta, non dubitando punto che la morte della dolce sorella fosse dovuta all’accoramento profondo che l’aveva consumata. Messer Francesco gli era perciò debitore anche di questo. Non era più tempo d’indugi e di aspettazioni; o col re o senza il re o contro il re, l’ora della vendetta era giunta. Spedì messi all’imperatore che era già ritornato in Germania, per ottenere il permesso di partire; e avutolo, assoldata una schiera di lance alemanne, nei primi di aprile del 1332 Giovanni partì per la Sicilia.
Re Federigo era a Palermo con la corte: e v’erano i Palizzi.
Se quella schiera di lance, pezzi di uomini fieri d’aspetto e d’armi, con la quale Giovanni Chiaramonte, sbarcò al vecchio Molo, fu oggetto di curiosità nel popolo; nel re invece destò apprensioni e sospetti. Ricordando la negata ragione al giovane conte, il modo con cui questi se n’era andato, il malumore che serpeggiava nella larga famiglia dei Chiaramonte, temette che ne potesse nascere qualche disordine, tanto più che aveva convocato per quei giorni i suoi principali baroni, per consultarli.
Bisognava prevenire ogni ragione di contesa e diffidare i due rivali e lor congiunti, metterli in condizione di non poter nuocere. Rappacificarli dopo tanti anni, obbligarli con giuramento a vivere in buona amicizia, gli sembrò il miglior partito. Mandò per Giovanni Chiaramonte, che, per non dar sospetti era andato a Caccamo; e per Francesco Ventimiglia che se ne stava a Geraci, perché venissero in corte il 25 di quel mese di aprile. La lettera lasciava trasparire l’animo del re. Giovanni Chiaramonte sorrise e commentò:
- Tu hai paura!



Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia.
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Enoteca Letteraria Prospero (Via Marche 8)
Per qualsiasi informazione: ibuonicugini@libero.it – Cell. 3457416697 – Whatsapp 3894697296
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martedì 8 giugno 2021

Luigi Natoli: Ai morti dentro le catacombe dei Cappuccini. (Dalla raccolta Foglie morte - Canzoniere)

O dispolpati cranii
di scheletri impagliati,
da i sogghigni terribili,
dagli aspetti gelati,
scendete giù ne ‘l baratro
de la comune fossa;
perché torre a la polvere
la polvere de l’ossa?
 
Piantati, lì a sorridere
e a guardare gli stolti,
che, curiosi, scendono
per rammentarvi i volti;
parmi che voi, dimentichi
d’essere in sepoltura,
vogliate co le mummie
sfidare la natura.
 
Parmi che il cranio v’agiti
una superbia estrema,
e che a gli interni fremiti
ogni osso vostro frema.
Credete ancor che i muscoli
copranvi gli ossi duri?
un fil di ferro tienevi
appiccicati ai muri.

Pur conosco quel povero
scheletro, ne ‘l suo ghigno
par che tenti rimpiangere
lo sperperato scrigno;
e par che ancora a l’aura
tenti afferrare un motto,
che lo ponga a le traccie
di scoprire un complotto. 

Là, una sdentata mummia,

la bocca spalancata,
e di livor terribile
pinta la scura occhiata,
guarda il vicino scheletro
più giallo e incarognito,
che rechina il suo cranio
siccome impaurito...




Luigi Natoli: Foglie morte (Canzoniere) fa parte della raccolta di Poesie Il volume comprende le raccolte di poesie edite Foglie morte (Pubblicata con la tipografia R. Carrabba in Lanciano nel 1880 e con prefazione di Giuseppe Pipitone Federico), Parentalia (pubblicata il 22 novembre 1890 con la tipografia del Giornale di Sicilia), Congedo (Pubblicata con l'editore Remo Sandron nel 1908) e le poesie inedite, fedelmente copiate dai manoscritti originali di Versiculi (1882) e In Pace (1885).
Pagine 278 - Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Sellerio (Viale Regina Margherita - Mondello), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15)