martedì 28 dicembre 2021

Luigi Natoli: I frati francescani nel XIII secolo e la loro opinione su Federico II. Tratto da: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano

I francescani eran venuti da un paio di anni, avevano comprato alcune case e una vigna fuori della città e ne avevano fatto il loro convento: ma erano malvisti dai frati domenicani, che vedevano in essi dei pericolosi concorrenti e dai preti secolari, a cui la professione di povertà del nuovo ordine pareva eresia nociva alla loro avidità di ricchezze. I nuovi venuti, non avevano ancora fatto proseliti siciliani; erano quasi tutti dell’Italia di mezzo, e avversi all’imperatore la cui lotta contro le pretese della Curia pontificia diventava di giorno in giorno più aspra.
Al frate cercatore i servi avevan dato noci e mandorle secche in limosina: e avevano offerto un gotto di vino che quello non aveva rifiutato. E centellinando aveva con una parlantina fra umbra e toscana, cominciato a far le lodi del serafico padre San Francesco e del suo ordine; e poi della religione, e del dovere dei cristiani verso la santa chiesa: ed era bel bello scivolato nella politica. 
Quando Silvestro entrò nella cucina, il frate diceva:
- Credete a me; l’imperatore è in peccato mortale, perché ha mancato al voto di andare a liberare il Santo Sepolcro... E la scomunica del Santo Padre vedrete come gli peserà... Quanto bene non ha ricevuto dalla Chiesa, che gli ha conservato la corona? E come ne la ha rimeritata? Perseguitando i vescovi, imponendo la decima sugli ecclesiastici, usurpando i beni della Chiesa!... Roba da mandarlo all’inferno dieci volte... Ma già all’inferno lui ci sta di casa... Oh che credete che egli sia un uomo nato come tutti gli altri uomini? Io ho saputo a Roma da un religioso di santi costumi cose da inorridire. E quello era un uomo che parlava di certa scienza... Perché, state a sentire: nella Scrittura si legge che Sara moglie del patriarca Abramo, concepì Isacco, pur non essendo più in età di aver figli: ma fu per volontà di Dio, perché non si spegnesse il seme di Abramo, e ne nascesse il popolo eletto. E sta bene. Ma l’imperatrice Costanza che era vecchia e monaca e non poteva più concepire come mai ebbe questo figlio Federico? Come ve lo dice quel sant’uomo: commercio col demonio, quem absit. Capite? Commercio col demonio... E potete crederci... È una cosa spaventevole, e i sudditi non si accorgono che ubbidiscono al “Nimico”, libera nos Domine.


Luigi Natoli: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di Federico II. Il volume è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 29 gennaio 1925. 
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: La toponomastica palermitana nel XIII secolo. Tratto da: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano.

Nel secolo XIII perdurava ancora, in Palermo specialmente, la toponomastica araba: sebbene ormai i Saraceni ridotti a poche diecine di migliaia, fossero stati allontanati dall’isola e concentrati da quattr’anni a Lucera, e in Palermo non si vedesse che gli schiavi e qualche musulmano che esercitava industrie, e non aveva preso parte alla insurrezione, tuttavia molte strade si chiamavano ancora col nome arabo, divenuto popolare. Questi sera erano strade sulle mura; oggi si direbbero boulevards, ma nel duecento non si sapeva come tradurre il vocabolo arabo; e la tradizione di circa quattro secoli ne prolungava l’uso. Il Sera del Kes, ossia della calce, corrispondeva a quel tratto della odierna via del Celso che va dalla Chiesa dei Tre Re, sin quasi allo sbocco della via Maqueda. Da questo punto e forse dalla porta degli Schiavi che si apriva dove ora è la discesa di Santa Marina, fino alla piazzetta di S. Teodoro li Scannati (ora delle Vergini) prendeva nome di Sera della porta della Salute, (bas as Safa) e, più in giù, di S. Antonio, dove andava a finire. Dalla parte superiore, cioè dalla attuale chiesa dei Tre Re in su, fino a raggiungere la via Coperta, si chiamava Sera di Sant’Agata.
Siccome questa lunga strada era una delle principalissime della città antica, chiusa ancora e distinta dai borghi e dalla città nuova, vi sorgevano molti e nobili palazzi, dei quali qualche avanzo trecentesco è ancora visibile fra le brutte e volgari case che ne presero il posto.
La ruga del Teatro corrispondeva presso a poco alla attuale via di Montevergini: e prendeva questo nome dall’antico teatro, probabilmente romano, del quale ancora esistevano le cavee e parte della scena e dell’orchestra; ma spogli di marmi e colonne, dei quali i Saraceni si erano serviti per abbellire le loro case.
Il palazzo dove entrarono il giovine cavaliere e il giullare non era molto grande; aveva un’alta torre massiccia, che occupava più d’un terzo dell’edificio, e tre grandi finestre, due bifore sull’ala del palazzo una trifora ricca di ornati nella torre. La piccola corte aveva da un canto le scuderie, dall’altro la scala, che metteva a un piccolo portico.
Dato il cavallo a un servo, il giovine cavaliere salì, seguito dal giullare; ed entrato in una sala, alle cui pareti pendevano trofei d’armi e d’armature, ordinò del vino…


Luigi Natoli: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di Federico II. Il volume è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 29 gennaio 1925. 
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296)
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giovedì 23 dicembre 2021

Luigi Natoli: Anche il Natale, il terzo che io faccio in guerra, è trascorso! Tratto da: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.

 
Natale 1916

...anche il Natale, il 3° che io faccio in guerra è trascorso!... Come avrei voluto averti qui, fra noi! Quante cose belle ho potuto riscontrare! Chiusi in piccole e basse barracchette, a gruppi, questi piccoli soldatini, umili e oscuri eroi, sembrano tanti Robinson Crosuè! Anche loro han cercato di trascorrere il Natale più allegramente possibile!... Che graticole improvvisate! Che cucinieri! Eppure il loro pranzo era gustoso; l’ho assaggiato; forse più gustoso perché fatto così, alla primitiva. In una barracchetta ho trovato tutti cucinieri: uno grattugiava il formaggio con una grattugia... bisognava vederla! un altro sul fuoco; in un coperchio di gavetta, che rappresentava una padella, friggeva le cipolle, un altro apparecchiava, ecc. ma bisognava vedere come e quanto zelo mettevano in quelle faccende domestiche!... Questa sera, 26, esco in ricognizione. Ti scriverò domani, al ritorno...

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio. 
L'opera è la fedele riproduzione del libretto pubblicato nel 1920.
Pagine 70 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Contatti: mail ibuonicugini@libero.it, whatsapp 3894697296
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Il presepe di padre don Nunzio. Tratto da: Chi l'uccise? Romanzo storico siciliano

Padre don Nunzio stava aggiustando gli apparati per trasformare una delle cappelle della parrocchia di san Nicola in grotta per accogliervi il Bambino Gesù, la notte di Natale. Mancavano ancora dieci giorni, ma il sedici dicembre cominciava la “novena”, e si doveva celebrare innanzi alla cappella trasformata. 
Il brav’uomo, in sottana nera succinta, aiutava lo scaccino e il seggiolaio a mettere a posto i vari pezzi di sughero dipinto e incollato su armature di legno, che congiunti con apposito disegno, venivano a costruire al sommo dell’altare la grotta, cornice di Dio fatto uomo. 
Ma i collaboratori non lasciavano soddisfatto padre don Nunzio, che dimenticava di trovarsi in chiesa, si lasciava scappare certe esclamazioni, che avrebbero fatto arrossire perfino le seggiole. 
- Ponila più su… non così… più a destra… Che ti pigli un accidente. Più giù… Basta così… E tu, che santo diamine fai costì? Leva quel sughero; non vedi che par che caschi addosso al Bambino?
E qui un’altra mala parola da non potersi scrivere.
- Ora andate a desinare, che è tardi; ma tornate fra due ore. Vi bastano? Stasera tutto ha da essere bello e fatto. Avete sentito quello che hanno fatto a Roma i nostri compatrioti? E c’era il Papa; quel sant’uomo del Papa! Dunque fra due ore. 
Per capire il discorso di padre don Nunzio bisogna sapere che i Siciliani residenti a Roma avevano festeggiato la Consulta creata dal Papa, andando nel corteo con gli altri, inalberando la bandiera tricolore, la sola che si vide a Roma in quella occasione. Questa notizia era stata comunicata ad alcuni amici di Palermo; e padre don Nunzio l’aveva saputa e detta in confidenza ai suoi fidati. E aveva immaginato una cosa spettacolosa: far nascere il Bambino fra un nembo di tricolori; tre colori nella paglia, tre colori nei raggi, tre colori nella coda della stella fatale. Come sarebbe andata non ci pensava: avrebbe però voluto vedere se i poliziotti si sarebbero rischiati di portare le mani sulle cose sante dell’altare.



Luigi Natoli: Chi l'uccise? Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1848. 
L'opera è la fedele riproduzione del romanzo pubblicato dalla casa editrice La Madonnina nel 1952. 
Prezzo di copertina € 13,50 - Pagine 146
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi), Nuova Ipsa (piazza Leoni) 

venerdì 17 dicembre 2021

Omaggio a Francesco Zaffuto, uno dei più cari e validi collaboratori de I Buoni Cugini editori

Ci ha lasciati il poeta Francesco Zaffuto, uno dei più cari e validi collaboratori de I Buoni Cugini editori, oltre che zio dell'editore Ivo Tiberio Ginevra. Il suo entusiasmo per il progetto della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli ci ha tante volte dato la forza per andare avanti, in un percorso spesso difficile e faticoso in cui i suoi suggerimenti ci sono stati preziosi. 
Poeta e studioso del dialetto siciliano, amava la figura del poeta Giovanni Meli. E grazie a lui abbiamo aperto la Collana dedicata alle opere di Giovanni Meli, con le sue pubblicazioni: L'aceddi (tutte le poesie che Giovanni Meli scrisse sugli uccelli, con traduzione in italiano a fronte) e L'origini di lu munnu (il poema sulla creazione del mondo con traduzione in italiano a fronte e note. Copertine e illustrazioni di Dafne Zaffuto).
Francesco Zaffuto ha collaborato nella pubblicazione del volume di Luigi Natoli L'abate Meli, che comprende tutta l'opera del grande romanziere palermitano su Giovanni Meli detto l'abate. Ovvero: il romanzo storico (nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal settembre 1929), Giovanni Meli studio critico (pubblicato dalla tipografia Il Tempo nel 1883), tutte le poesie di Giovanni Meli pubblicate in Musa siciliana (casa editrice Caddeo 1922) di cui ha curato la traduzione in italiano e l'introduzione delle note, oltre che l'ampia ed esaustiva prefazione, che in parte vi proponiamo di seguito:

"La scelta di inserire in un solo volume il romanzo di Luigi Natoli “L’Abate Meli” e il saggio critico di Natoli su Giovanni Meli permette di prendere visione di due opere che si completano a vicenda. 
La cultura distratta e di moda del secondo Novecento non ha saputo riconoscere il patrimonio letterario lasciato da Natoli ed ha dimenticato uno dei più grandi poeti della letteratura italiana, relegandolo al ruolo di poeta dialettale. Meli viene conosciuto per qualche aneddoto mal raccontato, per qualche poesia che simpaticamente si recita per il tono allusivo, e per l’essere il poeta dell’Arcadia (un mondo poetico considerato ormai lontanissimo). 

Il romanzo di Natoli “L’Abate Meli” venne pubblicato a puntate dal Giornale di Sicilia a partire dal 16 settembre 1929 e questa edizione dei Buoni Cugini Editori fa riferimento ai testi originali di quella pubblicazione. 
Non è un romanzo biografico sul poeta siciliano, è un particolare intreccio narrativo per evidenziare la poetica e la filosofia del Meli. Il romanzo scorre su due binari: quello di un’ intricata vicenda avventurosa e amorosa dove i buoni sono perseguitati ingiustamente; e quello della vita del poeta Giovanni Meli che interviene in aiuto solidale per dovere e simpatia. Il Meli è il protagonista indiretto, interviene con la sua fama, con le sue poesie e con i pochi denari a sua disposizione in aiuto di individui che sarebbero travolti dagli eventi. Alcuni episodi documentati della vita di Meli, come: la sorella pazza, il furto subìto, le sue ristrettezze economiche, vengono intrecciate con le altre vicende del romanzo. 
Nella costruzione del romanzo Natoli mantiene una netta dicotomia tra il male e il bene come se fossero due entità mitologiche che si confrontano: da una parte Don Bartolo che riassume tutto l’assurdo del male capace di generarsi nella specie, che si caratterizza per l’attaccamento al denaro, vive nella falsa coscienza dell’onore, con ottusità, senza pensiero, con eccessi di ira, ed arriva fino al delitto; dall’altra parte il Meli che si caratterizza per l’empatia, la gratuità, che si rivolge al pensiero e alla ragione, e vuole coniugare il dovere con l’amore. Meli è l’astro dell’illuminismo in Sicilia, mentre scorre la barbarie della storia, un astro povero, armato solo dei suoi versi. 
Spesso Natoli nel suo romanzo, all’interno delle vicende, cita le poesie del Meli che diventano il filo conduttore in diversi momenti narrativi, e la poesia che esprime il profilo etico del poeta è la Pace. Il senso della pace che percorre Meli non può prescindere dal senso della giustizia ed è un tutt’uno con questa. 
 Meli non fu mai ricco e spesso le difficoltà lo costrinsero, come Giuseppe Parini, a bussare alla porta dei potenti; Natoli lo descrive in questo bussare ai potenti anche per aiutare gli altri. Usa la sua poesia per penetrare nel cuore degli uomini e conoscendo il cuore delle donne, come terreno più adatto ai sentimenti, non manca di dedicare versi alla bellezza e al cuore di una dama per cercare un aiuto per i suoi protetti. 
 Natoli nel romanzo ci presenta l’Abate Meli a 50 anni: vestito sempre con l’abito scuro di religioso, ma in realtà poeta, scienziato e medico; soprattutto poeta. 
Sul titolo di Abate di Meli, Natoli nel secondo capitolo così narra: “Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano “l’abate Meli”. Ma non lo era, anzi non era neppure chierico, né aveva i quattro ordini e la tonsura, che prese l’ultimo anno della sua vita per ottenere l’abazia che non ottenne. Era semplicemente il “dottor Meli”, e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri …”. Da questo passo si desume che Natoli, nel suo romanzo del 1929, continua a sposare la tesi biografica di A. Gallo che affermava che il poeta prese gli ordini nell’ultimo anno di vita. Tesi confutata dalla ricerca storica di Edoardo Alfano che, con il suo studio pubblicato nel 1914, dimostrava la totale assenza di menzione sulla presa degli ordini di Meli nei i documenti degli archivi della chiesa palermitana.
 Certo fu lo stesso Meli che affermò in un suo memoriale poetico di aver preso gli ordini; nel settembre del 1815 inviò al duca d’Ascoli il memoriale affinché lo presentasse al Re per perorare l’affidamento di un’abazia in Palermo. In questo memoriale in versi intitolato “Siri” si possono leggere questi versi:

... Prezzi e bisogni criscinu, e mancanti
Su l’introiti, e addossu nun si trova 
Chi lu vacanti titulu d’abbati,
Chi impignari ‘un po’ pi pani e ova,
Si supra na cummenna la bontà
Di Vostra Maestà non ci lu nchiova.
Iddu è già preti chiù di la mità:
La tunsura e quatt’ordini ingastati
Dintra di l’arma si li trova già...

(Prezzi e bisogni crescono, e mancanti/ sono gli introiti, e addosso non si trova/che il vuoto titolo d’abbate/ che non può utilizzare per il pane e le uova, / se sopra una commenda la bontà / di Vostra Maestà non ce l’appende. /Lui è già prete per più della metà: / la tonsura e quattro ordini incastonati/dentro nell’anima se li trova già.

Non sappiamo perché Natoli, scrittore e storico attento, preferisce parlare di voti presi l’ultimo anno della sua vita, mantenendo la tesi del Gallo, comunque sono fatti successivi al periodo di tempo narrato nel romanzo e Natoli ben descrive un Meli sensibile al fascino femminile e alle pulsioni della vita. La “cicala” Meli non rinunciò alla vita e a tutti gli aspetti della sua bellezza, volle vivere e poetare, nella sobrietà, nella pace e nella giustizia; e se Meli dice che “dintra di l’arma” (dentro la sua anima) è Abate, non dice una bugia, se si considera il suo rigore morale e il profondo senso di cristianità che è riuscito a legare con il suo pensiero illuminista.
Meli portò quel modesto abito scuro che era comune ai medici e agli abati, esercitò la sua attività di medico per 5 anni a Cinisi in provincia di Palermo (e forse quell’appellativo di Abate iniziarono a darglielo in quel paese); a Palermo continuò a portare quell’abito scuro e modesto che lo distingueva dagli uomini della sua epoca (fine settecento) che si ornavano di parrucche, merletti e calze di seta; Natoli nel descriverlo in una sala di nobili, avvolto nel suo abito scuro, dice che pareva un calabrone in mezzo a tanti fiori; nello spettro dei colori rovesciato della coscienza Meli diventava il fiore più luminoso in mezzo a tante ombre.

Lo Studio critico dedicato a Giovanni Meli, pubblicato nel 1883, Natoli lo scrisse quando aveva appena 26 anni. Studio prezioso per la conoscenza delle opere e per l’attenta documentazione, può essere utile a chi non conosce il poeta siciliano e anche a chi lo conosce in profondità. E’ uno studio condotto a tutto campo, che va dalle opere maggiori fino agli inediti e alle lettere del Meli. Presenta il grande poeta siciliano nella sua centralità filosofica e letteraria e lo libera dal luogo comune di solo rappresentante dell’Arcadia, prendendo le distanze anche da esponenti della critica letteraria del calibro di De Sanctis. 
Meli fu arcade se si guarda al suo repertorio metrico, ai riferimenti alla tradizione classica, allo sfondo agreste delle sue liriche; ma per lo spirito e per la sua impronta morale e filosofica fu un poeta ben più complesso. Natoli dimostra questa complessità evidenziando l’opera “L’Origini di lu munnu”, dove la dissertazione di Meli spazia su tutte le teorie filosofiche.
Nell’esaminare la “Bucolica” Natoli coglie che in Meli “il centro è l’amore delle cose che scherza nella varietà, ne l’incostanza, nel disordine; e in quell’armonia dilettosa, che egli il poeta, formavasi nel suo cervello, nel sentirsi concorde ed uno con la natura”. 
Colloca il Meli nel suo periodo storico; Meli visse a Palermo in anni in cui si sentivano arrivare da lontano gli echi della Rivoluzione francese e successivamente quelli delle campagne napoleoniche, non fu investito direttamente da quegli eventi, inveì dalla lontana Sicilia contro gli eccessi della Rivoluzione francese e contro le sanguinose campagne napoleoniche; predicò la pace e prese il meglio di quell’epoca, il pensiero illuminista.
Nella parte finale del suo saggio Natoli cita la lettera di Meli al barone Refhuens dove parla delle sue aspirazioni di vita, del suo rapporto con la poesia, delle sue disgrazie, delle sue amarezze, del suo rigore: “nonostante, mercé di un parco vivere ho tirato avanti decorosamente, senza aver contratto mai un soldo di debito, e senza avere obbligo ad anima vivente della mia tenue sussistenza, salvo alle mie fatiche…”
Oltre allo Studio critico e al romanzo, Natoli dedica un ampio spazio a Giovanni Meli nel suo trattato sulla poesia siciliana “Musa siciliana”, e per fare conoscere il poeta lo presenta con un insieme di poesie che caratterizzano tutte le sue espressioni poetiche: dalle Favole Morali alle Odi, dalle Elegie alla Bucolica, dagli Epigrammi ai Sonetti dedicati alla vita di Palermo, aggiungendo stralci del Ditirammo e del Don Chisciotte. In questo volume sono state riprodotte in appendice tutte le poesie che Natoli scelse e inserì ne la “Musa siciliana”. 
Il Saggio critico, il romanzo “L’Abate Meli” e il trattato “Musa siciliana”, dimostrano come Natoli considerasse Meli un grande poeta, filosofo e maestro di vita; e questa poderosa pubblicazione, grazie a I Buoni Cugini Editori, può contribuire alla riscoperta di un narratore e di un poeta che dovrebbero essere meglio conosciuti in tutta l’Italia e anche nella loro Sicilia. 

Palermo 04/06/2015
Francesco Zaffuto

Ma non si ferma qui la collaborazione di Francesco Zaffuto con I Buoni Cugini editori: amante dell'Opera dei Pupi, è autore dell'introduzione al romanzo Fioravante e Rizzeri di Luigi Natoli, che riportiamo di seguito in parte: 
Siamo tutti pupi, dirà Pirandello, contemporaneo del Natoli, nel suo Berretto a sonagli,  ed ogni pupo vuole difendere la sua onorabilità, la sua immagine; e don Calcedonio nella vita è pupo come tutti gli altri e vuole mantenere una rispettabilità nel sociale.  Le trame antiche del suo teatro gli suggeriscono l’azione, la voce forte, il farsi giustizia con un bastone; e più di una volta il puparo si comporta come uno dei suoi pupi in scena.  Ma questo romanzo-tragedia di Natoli va oltre la maschera sociale ed umana; è il conflitto esistenziale del padre, del grande puparo, dello stesso Creatore.   Il puparo si aspetta che i pupi si muovano secondo il movimento che ha impresso con la mano, secondo le finalità della commedia che si deve rappresentare. Don Calcedonio si danna perché nella realtà ogni pupo ha la sua vita propria e lui non riesce, con tutta la sua buona volontà, a dare un indirizzo, un consiglio neanche alla sua unica ed amata figlia.
 Don Chisciotte muore quando il sogno scompare, il puparo Calcedonio alla fine riesce a conciliare la vita e il sogno:  lascia ogni attaccamento, anche quello che aveva per il pubblico e per le pareti decorate del suo teatro, ama i pupi di carne e di latta per quello che sono, risolve con la pietà  il suo problema di deità.  
 Ogni scrittore in qualche modo è un puparo, costruisce ed ama le scene e i suoi personaggi; il grande puparo Luigi Natoli con “Fioravante e Rizzeri” ha costruito un romanzo difficile, originale e di notevole grandezza.


Ed ancora ha curato la traduzione in italiano e l'inserimento delle note nelle opere teatrali di Luigi Natoli in dialetto siciliano raccolte nel volume Suruzza! di cui scrive una nota sulla traduzione che riportiamo in parte: 
"Le quattro opere teatrali di Luigi Natoli in siciliano, trovate negli archivi, e venute alla luce  grazie al paziente lavoro di ricerca degli editori I Buoni Cugini di Palermo, sono di grande preziosità anche per l’uso fatto dal Natoli del siciliano. È un siciliano della fine ottocento parlato ancora abbondantemente a Palermo, e che Natoli ben padroneggiava come lingua madre. L’autore lo volle esprimere in tutta la sua forza espressiva e spesso curò nel dialogo l’inserimento di particolari modi di dire, proverbi e motti in uso.
Le opere teatrali in siciliano sono quattro: due drammi, “Suruzza” e  “L’umbra chi luci” e due commedie, “Quattru cani supra un ossu” e “L’Abate Lanza”.
Nei due drammi anche le indicazioni di scena sono scritte in siciliano, nelle due commedie il siciliano è usato solo nei dialoghi.
Il dramma “Suruzza” è ambientato in un paesino della Sicilia nel periodo post unitario, dove erano ormai lontani gli ideali risorgimentali ed avanzava uno strato sociale di avventurieri senza scrupoli, collusi con ambienti malavitosi e appoggiati da rappresentanti di istituzioni e da politici conniventi. Contro quella cornice diabolica e contro gli esponenti  corrotti si poteva  lottare, e l’invito ad una lotta coraggiosa fatta da Natoli era esplicito, ed era  possibile anche una vittoria. E vale anche per i nostri giorni. La cosa più crudele però resta la sorte, una sorte maledetta che a volte distrugge  i deboli e gli innocenti;  e Carmela, la giovane sorella del protagonista Giovannino (Suruzza) è la vittima di questa sorte e  il centro di questo dramma.
Nell’altro dramma “L’umbra chi Luci”, il nodo è il ritorno dei reduci dalla prima guerra mondiale. Su questo conflitto Luigi Natoli arrivò a scrivere uno dei suoi romanzi più poderosi “Alla guerra!”; e non fu solo un osservatore esterno di questa tragedia, ma ne venne colpito profondamente negli affetti. 
In “L’umbra chi luci”, ambientato in un paesino siciliano, c’è chi torna orrendamente mutilato, c’è il racconto delle azioni e dei morti, ci sono quelli in attesa di partire, e tra questi ultimi c’è chi intende disertare. Il centro del dramma è l’infedeltà coniugale di Agata, moglie di Filippo Montoro, un reduce cieco di guerra; la donna, pur volendo tornare ad essere fedele al marito e dedicarsi alla sua cura, è ostacolata dal suo ex amante. In questo dramma Natoli accentua al massimo la dicotomia tra giusto ed ingiusto e pone nell’ingiusto chi non voleva sacrificarsi alla Patria. 
Nelle due commedie invece si rivela un Natoli insolito, pieno di spunti ironici e divertenti.
In “Quattro cani supra un ossu”, il commediografo palermitano costruisce, in un ambiente della vecchia Palermo, un insieme di personaggi tutti tesi ad approfittare di un ricco vecchietto che vuole testardamente restare arzillo. C’è chi vuole prosciugare le sue ricchezze dandogli in sposa la giovane figlia, e c’è chi ne vuole approfittare minacciandolo con le possibili punizioni dell’inferno. Il vecchietto  ondeggia, ma nel rondò finale vincerà, con uno Sciatara!, lo stato di fatto. 
Dove Natoli esprime al massimo tutta la potenza del siciliano come lingua è “L’Abate Lanza”, in cui regna l’intreccio tipico della commedia degli equivoci;  l’eroe questa volta è un eroe negativo, ed è inusuale per il mondo narrativo di Natoli. Il protagonista Ottavio Lanza, seduttore di nobildonne, suore e villane, è ben chiaro nello spiegare la motivazione del suo comportamento; e lo fa subito nel primo atto. Poi nel corso della commedia si stenta a credere all’artifizio del suo gioco, che si combina sempre in suo favore. La commedia, ambientata in una Palermo del 1747, ci presenta uno stuolo di nobili che parlano un siciliano di alto livello, e villani che parlano un siciliano popolare; e il tutto nella cornice di un mondo settecentesco, decadente e pieno di vizi e ipocrisie. Il finale dell’Abate Lanza è rutilante e degno della migliore vaudeville.  
Per incarico de I Buoni Cugini Editori, ho provveduto a tradurre in italiano queste quattro opere di Natoli, per permetterne la fruizione a chi il siciliano non lo conosce, ed anche ai tanti siciliani che della loro lingua ormai conoscono ben poco. Ho cercato il più possibile di essere aderente al testo e spesso ho lasciato la stessa costruzione delle frasi tipiche del siciliano. 
Un’ultima considerazione sul dialetto che usa Natoli in queste opere. Si tratta sempre di un dialetto siciliano, ma piuttosto vario. Infatti ne L’abate Lanza usa un dialetto piuttosto colto e vario a seconda dei personaggi, mentre in Quattru cani supra un ossu, è piuttosto popolare e attinente a quello palermitano. In Suruzza e L’umbra chi luci identifichiamo un dialetto “paesano”. Infatti, più volte l’autore parla di “sceni paisani”
Spero che questa traduzione possa invogliare tanti lettori a cimentarsi nella lettura della versione originale.
 
Francesco Zaffuto

Caro professore Zaffuto, la tua cultura e la tua sapienza vivranno per sempre nelle opere per cui hai lavorato, della cui collaborazione, siamo sicuri, Luigi Natoli e Giovanni Meli sono orgogliosi. Grazie.

I Buoni Cugini editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 




Luigi Natoli presenta ai lettori l'Abate Meli (Nel 206° anniversario dalla morte: 20 dicembre 1815)

Nel suo modo di fare poesia:
Io non ho inteso né di scrivere una vita, né di illustrare i tempi del poeta; ma semplicemente e puramente di esaminare nel modo più completo donde e come proceda l’arte sua, perché egli indipendentemente dal suo genio poetico sia sempre una grande figura de la nostra istoria letteraria, perché egli sia grande non solo come poeta ma come scienziato. Vi ha in questo poeta tutta la spontaneità graziosa de la poesia popolare, che ei studiava attentamente, tutta quella felicità di linguaggio evidente, contemperata da la matura riflessione de l’artista; da un gusto finissimo e veramente greco e da una mollezza voluttuosa che sa de l’oriente. E tal poesia che schiude i profumi de la zagara e dei gelsomini fra i severi e maestosi intercolonni dei templi greco-siculi; armonica fusione di una forma popolare e di una successione di imagini scelte con discernimento fine, amalgamate in seno a la ebbrezza del sentimento eccitato.  Così egli vela modestamente il desiderio intenso dei sensi, senza strozzarlo ipocritamente con quei lagni evirati degli accademici onde era infestata l’arte italiana...
(Giovanni Meli: Studio critico) 

E simpaticamente nel romanzo storico: 
"Questa acciuga è ottima, e ac­compagnata dal pane è squisita, non c'è che dire. Però, mi piacerebbe di più se avessi una credenza o un riposti­glio, dal quale potrei prendere un bel pezzo di caccia. La quistione è che io sono un poeta, e perciò vivo quasi nella miseria: “Pictores, sculptores et cantores” con quel che segue. Vero è che mi danno del genio, ma preferirei che me lo mutassero in danari. Col genio non si vive. Per esempio, ho una sorella pazza che mi lascia senza desinare. Bene. Apro il ripostiglio e prendo un altro desinare, dai maccheroni alla frutta, senza tralasciare gli intingoli e i “piattini”... Quei domenicani hanno festeggiato il loro nuovo provinciale con un banchetto di ventiquattro piatti, settanta piattini, oltre i gelati e la frutta... Non dico che questo mi sarebbe piaciuto e toccato, ma... Il genio!... Se mi dessero l’equivalente, io non patirei tanto..."
 Beatu iddu chi campa sfacinnatu
Comu l’antichi, e cu li propri soi
Si cultiva lu campu ereditatu...
“Io non ebbi nemmeno questo: la casa che acquistò mio padre, buon’anima!
E passa in libertà li jorna soi
tranquillu, senza debiti, né pisi,
senza suggizioni e senza noi!... (*)
“Ah! un vivere sì beato! Che ci vorrebbe? Una bella e buona abazia, che mi fornisca tanto da vivere come gli antichi. Invece, ho da fare il medico! E debbo insegnare la chimica ai giovani! La medicina e la chimica non sono amiche delle Muse...
(Tratto da: L'Abate Meli. Romanzo storico siciliano) 

In poche righe ne elabora il pensiero
“Saggio è colui che parla poco e opera molto e bene; e che si è educato alla scuola dell’esperienza, dello studio, delle avversità; chi non insuperbisce di sé stesso, chi non mente, chi ama e si lascia amare, chi gode e lascia godere; chi non attuffa la vita nella malinconia o nella bile; chi insomma ubbidisce ai sacri dettami della natura e a quella conforma la sua vita. 
“Saggio è infine chi più di ogni altro bene apprezza la pace, e tutto fa per conquistarla: poiché nella pace dell’animo è la felicità della vita, e per la pace, tu puoi gustare le gioie continue che la vita alimentano”.
(Tratto da: Giovanni Meli. Studio critico) 

E ce lo presenta nel romanzo: 
Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio mode­stamente arredato scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare. Era medico.
In quel tempo abitava una casa die­tro il coro della Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre, due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fra­telli, Stefano e Tommaso che si era fat­to frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della fami­glia, e il suo nome era famoso in tut­ta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di volto, coi ca­pelli quasi neri, con parecchi fili d'ar­gento tirati indietro e legati con un na­stro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano «l'abate Me­li». Ma non lo era, anzi non era nep­pure chierico, nè aveva i quattro ordi­ni e la tonsura, che prese l'ultimo an­no di sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, do­ve non si entrava, se non si appartene­va alla Chiesa, in un modo qualunque.
Di tanto in tanto in quella che scar­tabellava, guardava, pensando, nella parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di medicina e molti di letteratura.
In quegli sguardi forse c'era un pen­siero medico, per la consulta che dove­va farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?



Luigi Natoli: L'Abate Meli. 
Per la prima volta in un solo volume abbiamo riunito il romanzo di Luigi Natoli L’abate Meli, (fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia ndal 29 settembre 1929), Giovanni Meli Studio critico (fedele trascrizione dell'opera originale pubblicata con la tipografia Il Tempo nel 1883) e tutte le poesie che il grande scrittore palermitano scelse e inserì nel trattato Musa siciliana (casa editrice Caddeo 1922) a dimostrazione della grandezza umana e culturale di questi due grandi letterati di Sicilia. 
Introduzione a cura di Francesco Zaffuto
Traduzione delle poesie di Giovanni Meli a cura di Francesco Zaffuto
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 702 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi) 

Luigi Natoli: Il fantasma di donna Costanza. Tratto da: L'Abate Meli. Romanzo storico siciliano

 
Una casa a un piano, con tre bal­coni ornati di un motivo settecente­sco, e con le ringhiere di ferro, a col­lo di cigno; con un mascherone satire­sco nel portone logoro e spento; coi muri anneriti dal tempo e dalla muffa, con un aspetto lugubre, diffondeva la sua tristezza nella strada che prendeva il nome dal palazzo dei marchesi Lun­garini.
I vetri rotti, gli scuri serrati, i ragna­teli che si stendevano nell'arco del por­tone, tra i ferri della raggera sovrappo­sti ai balconi, rivelavano l'abbandono in cui la casa era lasciata.
Lo stesso abbandono mostravano due o tre alberi che si alzavano dietro il muro di un giardino inselvatichito.
Non un segno di vita.
Il sole stesso, che la illuminava di sbieco e per poche ore, pareva avesse fretta di andarsene; perché la sua luce, facendo meglio apparire le crepe e i bu­chi, accresceva l'orrore di quella casa.
L'ombra e il silenzio eran quelli che gli convenivano. Si sarebbe detto che, per qualche delitto commesso in tempi remoti, sentisse sopra di sè il pe­so di una terribile maledizione; per cui la gente la fuggisse con terrore.
La gente del vicinato la guardava pavida e sospettosa; e quando era co­stretta a passarvi d'innanzi, affrettava il passo, come per paura che qualche essere soprannaturale e diabolico do­vesse uscirne per afferrarla.
Difatti era comune credenza che quella casa abbandonata dagli uomi­ni fosse abitata da spiriti; e c'era chi affermava di aver veduto una notte at­traverso le fessure errare un lume; chi curioso, si era arrampicato sul muro del giardino; di là era balzato sul bal­cone, e aveva posto l'occhio alla vetra­ta; ma era subito fuggito e così spaven­tato, che per poco non era precipita­to giù.
Aveva veduto una «malombra» tut­ta bianca, con una candela accesa in mano, che veniva verso la vetrata. Era spaventevole.
La notizia si sparse subito: l'uomo fu interrogato, se ne volevano i parti­colari; ma egli non poteva e non sapeva dir altro che la «malombra» aveva la faccia nera, ed era tutta avvolta in un lenzuolo bianco.
La curiosità vinse altri: ma la paura li trattenne dall’andare sui balconi a guardare. Quelli che abitavano nelle case di fronte, e che mai si erano accor­ti di lumi od altro, forse perché anda­vano a letto prima che il fantasma ap­parisse, vegliarono, e dalle loro fine­stre socchiuse tennero gli occhi sulla casa sfitta.
A mezzanotte videro le imposte del balcone aprirsi lentamente e nel qua­drato buio della stanza la «malombra» bianca, che dileguò a poco a poco.
Non vollero vedere altro. Si segna­rono, recitarono degli scongiuri e il do­mani confermarono che nella casa v’erano gli spiriti: e li avevano veduti.
Allora si cercò come e donde vi fos­sero venuti: uno dei più vecchi della contrada disse:
- Non vi scervellate. Quella è l'anima di donna Costanza, che fu uc­cisa e morì sul colpo, saranno cin­quant'anni addietro. Fu uccisa dai fra­telli per vendetta dell'onore offeso...

Luigi Natoli: L’abate Meli – Il volume raccoglie totalmente quanto Luigi Natoli scrisse sull'Abate Meli, ovvero: il romanzo storico L’Abate Meli, costruito e trascritto dal romanzo pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 settembre 1929, la trascrizione dell'opera "Giovanni Meli. Studio critico" pubblicato dalla tipografia del giornale "Il tempo" diretta da Pietro Montaina del 1883 e una raccolta di poesie di Giovanni Meli tratte da Musa Siciliana pubblicato dalla casa editrice Caddeo nel 1922; tutte le poesie sono corredate di traduzione in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 25,00
Tutti i volumi sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini, su Ibs, e in tutti i siti vendita online.
Disponibili a Palermo in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour) Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15)
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Luigi Natoli: ricordando l'Abate Meli nel 206° anniversario della morte (20 dicembre 1815)

Se qualcuno avesse voglia di scrivere una biografia melica, troverebbe innanzi a sé un numero considerevole di critici e letterati abbastanza conosciuti che fan testimonianza di quanto studio sia meritevole questo nostro poeta. Ma si accorgerebbe ancora che nessuno di tanti critici ha pensato di esaminare il Meli da quel lato onde è meritamente grande: chè ognuno o partendosi da preconcetti, o rimanendo a la esteriorità de le poesie, o togliendo a esaminare alcuna de le doti de la forma, non è penetrato a scoprire quel che ci sia sotto al sorriso bacchico di questo nuovo pagano, e donde provenga questo sorriso.
Lo stesso De Sanctis, ne la sua conferenza guarda il Meli ne la sola Fata Galanti, componimento giovanile che manca di quella maturità filosofica, o meglio scientifica, che domina le Bucoliche e le Odi.
Ma per conoscere il Meli non basta nemmeno leggere tutte le poesie; Egli non ci rivela che una parte di sé stesso. Si vuol leggere anche le lettere in parte inedite, i numerosi manoscritti, il suo lavoro scientifico su la Natura, tutti quei pezzi di carta, che paiono insignificanti, ma che contengono un pensiero, un’idea, una parola del grande poeta, pensiero, idea, parola che illustrano, che finiscono quanto si contiene nelle poesie.
Tutto questo tesoro di documenti esiste ne la Biblioteca Comunale di Palermo in diciotto volumi, eredità preziosa, che ci narra tutta la vita del Meli; vita che pare un sorriso perpetuo ed è una lotta sanguinosa.
Lo studio critico che io affido per le stampe si ingegna di presentare il Meli dal suo vero aspetto; e perché quel che verrò dicendo non paia gratuita affermazione, ho illustrato il mio lavoro con l’aiuto dei manoscritti. E qui, poiché mi si potrebbero muovere degli appunti, m’affretto a dichiarare che io non ho inteso né di scrivere una vita, né di illustrare i tempi del poeta; ma semplicemente e puramente di esaminare nel modo più completo donde e come proceda l’arte sua, perché egli indipendentemente dal suo genio poetico sia sempre una grande figura de la nostra istoria letteraria, perché egli sia grande non solo come poeta ma come scienziato.
Forse a tanto non sarò pervenuto; che le molestie e le cure affannose de la mia vita han turbato sovente quella serenità d’animo necessaria al critico; ma ho fede, se non altro, che questo mio studio scuota un po’ i letterati di Sicilia, perché ci arricchiscano e presto di un lavoro più completo e più finito. Lavoro, a cui da un pezzo io avevo messo mano, ma al quale non ho potuto più attendere, costretto come sono a un’arida e pesante fatica che mi dia il pane cotidiano.
Ed ora non mi rimane che salutare il mio libretto, e augurargli che il ceto dei critici sia con lui meno arcigno e anche... ho a dirla? Meno partigiano.

Palermo, Novembre 1882.

Luigi Natoli



Dalla prefazione a: Giovanni Meli, studio critico (casa editrice Il Tempo, 1883)
Fa parte del volume L'abate Meli che comprende:
L'Abate Meli, romanzo nella versione originale pubblicata a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia dal 30 settembre 1929
Giovanni Meli, studio critico pubblicato nel 1883
Le poesie di Giovanni Meli pubblicate da Luigi Natoli su Musa Siciliana, con traduzione a fronte in italiano a cura di Francesco Zaffuto
Prefazione e presentazione dell'opera a cura di Francesco Zaffuto
Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 25,00 pagine 727

Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
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In libreria a Palermo presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni)


lunedì 29 novembre 2021

Luigi Natoli: Scudo d'argento, con sbarra traversata all'angolo e squadra nera col vertice sopra... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano

La sventura era piombata improvvisa, terribile, misteriosa. Di là la sua mamma morta, di qua quel cofano e quella borsa dei quali non osava indagare il segreto. Aperse il cofano, per deporvi la borsetta stemmata; ma le sue mani toccarono un piccolo piego. Tremando, lo trasse, e lo spiegò: erano due foglioline di carta ingiallita dal tempo. Qualcosa, come il fremito di un sospetto, gli passò per la mente.Lesse. Il primo diceva: “1766 addì 4 di questo mese di giugno, è morta e fue sepelita in questa madre eclesia Marina figlia picciola di m. sei, di Leonardo Sunzeri e di Dorotea Maravigna jugales”.
Una bambina! Aveva dunque avuta una sorella? Uno stupore profondo si dipinse sul suo volto. Una sorella? E quel Leonardo Sunzeri, appariva il marito di sua madre; invece dello scrivano Maurici? Svolse la seconda carta e lesse: “1766 addì di questo marzo fu baptizzato in questa madre chiesa thermitana un figliolu, cui nomen Corradus, ignorontum parentium, e il compare fu d. Leonardo Sunzeri e la domare d. Dorotea sua leggittima mogle”.
Il foglio gli cadde dalle mani! Ignoti? Egli era figlio di ignoti? E colei che egli aveva adorato come una madre, non era dunque la mamma sua? E l’aveva amato così? Egli era stato un estraneo in quella casa, della quale pur era il vero e unico signore, circondato di cure, di affetti, di tutte le finezze, di cui quella povera donna era stata capace! E mai, mai il mistero della sua nascita oscura era trapelato; mai una parola, un’allusione, avevano tradito quella donna. E chi era dunque quello scrivano passato come un’ombra attraverso la sua prima infanzia se il marito di colei che aveva amato e piangeva come una madre si chiamava Sunzeri? Stupefatto, stretto da un’ambascia ansiosa, col cervello sconvolto da quell’inattesa rivelazione si sentì come perduto in un mare tenebroso. Cominciò a interrogare i suoi più lontani ricordi tormentando la sua memoria per trovare un qualche lampo, torturandosi per trovare un legame in tutte quelle scoperte, che gli tumultuavano nel cervello. Gli pareva di impazzire. Si alzò, aprì l’uscio, guardò la morta, seduta sul seggiolone, immobile, impenetrabile, fra le torce accese. Ah la buona e santa donna, che lo aveva sottratto all’abbandono! Ella era discesa nella tomba col suo segreto, quando appunto stava per rivelarglielo. Sentì gli occhi empirsi di lagrime. Poi a un tratto rabbrividì. Gli tornarono alla mente le parole del frate: “avvelenata” e poi le altre “tuo padre” e quella borsa, unico raggio di luce in tanta oscurità; ma qual luce!... E se quella morte fosse stata una vendetta?... o una soppressione? E la morta gli apparve improvvisamente come una martire...
Scudo d'argento, con sbarra traversata all'angolo e squadra nera col vertice sopra... È 1'arme dei Calvello....
- Dei Calvello?
- Nobiltà di prim'ordine. Andrea Calvello coronò re Ruggero II, da allora in poi i Calvello acquistarono il diritto di portar sul cuscino la corona regale nelle solennità delle coronazioni. Non lo sapete?
- Calvello !... – ripetè Corrado sbalordito.
- Sono duchi di Melia e baroni dell'Arenella. Oggi rappresenta la casa don Goffredo Calvello e Eschero, che ha per moglie donna Laura Castello e Giglio. Il loro palazzo è alla Gancia... Un gran signore. Don Antonio, suo primogenito e futuro erede, sposò donna Rosa Caracciolo di Napoli...
Ma Corrado non udiva; dentro di sè ripeteva quel nome con uno sgomento del quale non sapeva darsi ragione...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia
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Luigi Natoli: Goffredo Calvello era suo padre... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano

Lo accompagnarono nella foresteria: due celle in fondo al corridoio, presso l’ampio balcone che dava sul giardino, e dal quale si vedeva la città distendersi giù pel clivo, fino a mare. Il frate che l’accompagnava aprì una di quelle celle, depose sopra un tavolino la lampada di ottone, a due lucignoli, augurò la buona notte e se ne andò.
Corrado esaminò la stanza: era più grande delle celle ordinarie, con una finestra di fronte all’uscio: le pareti bianche; il letto di ferro, modesto, ma pulito e soffice; accanto al letto un inginocchiatoio sormontato da un Crocefisso annerito dal tempo, e una piletta d’acqua santa; addossata ad una parete, una tavola di quercia, e su, in alto, uno scaffalino, a due palchetti, pieno di libri, legati in pergamena, coi titoli scritti a grosse lettere nere, per il lungo del dorso. Ne prese uno, che destò la sua curiosità: era un libro di note manoscritte, che riguardavano la cronaca del convento. Il frate compilatore aveva cominciato col notarvi l’anno della fondazione del primo convento nel 1472, fuori le mura, per opera di Pietro e Giacomo de Bruno e delle elemosine dei cittadini; trasportato poi nel centro della città, e arricchito di rendite e di doni. Seguiva la trascrizione dei documenti; poi la descrizione dei poderi, quella dell’edificio del convento e della chiesa; e le lodi dei quadri del Monocolo da Racalmuto e del Monrealese, del gruppo della Pietà, marmo del 1430, che i “forestieri volevano pagare a peso d’oro”, la tomba di Simone Solito del 1626, e quell’altra più bella assai di Giambattista Romano e Ventimiglia, barone di Resuttano, del 1552. E infine seguivano brevi elogi dei frati insigni, e dei personaggi ragguardevoli che il convento aveva ospitato.
Corrado sfogliava negligentemente, come chi non sa che farsi, senza leggere in verità, ma scorrendo con l’occhio ozioso qua e là sulle pagine, cogliendo qualche parola, qualche titolo; mentre il suo cervello pensava ad altro.
Ad un tratto sentì il sangue dargli un tuffo. Un nome gli cadde sott’occhio, le cui lettere gli parve che formassero una parola a lui già nota. Rilesse: era una noticina che diceva:
“Nota come addì 15 di marzo di questo anno 1766 è stato nostro ospite l’illustrissimo signore don Goffredo Calvello barone e duca di Melia, e uno dei primi titoli del regno; essendo padre guardiano fra Felice, suo consobrino dal lato paterno”.
Gli occhi gli tremolarono, divenne pallidissimo. Goffredo Calvello, tre giorni dopo la nascita di lui, s’era recato a Termini: Goffredo Calvello era il proprietario di quella borsa trovata nel cofanetto; quella borsetta Dorotea aveva indicato con le parole “tuo padre!”; Goffredo Calvello era suo padre, e forse l’uccisore della povera donna!



Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato alla figura del patriota e giureconsulto palermitano Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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lunedì 22 novembre 2021

Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. Dalla prefazione dello stesso autore (Giornale di Sicilia, 16 dicembre 1936)

Fioravante e Rizzeri sono come Buovo d’Antona e come Orlando una parte dei “Reali”, e, come quelli, la più popolare. Non è il caso di investigare se Andrea da Barberino abbia attinto ad altri poemi, di cui era ricca la Marca Trivigiana e di cui si servivano i cantafavole nelle piazze; chi ha la pazienza di leggere lo studio che precede il “Fioravante”, nella Collezione dei testi di lingua, e gli studi sulla Epopea francese e sull’ “Orlando” di Pietro Raina, e i maggiori scrittori della storia letteraria d’Italia, può farlo; per noi il romanzo di Andrea da Barberino è tutto; noi non facciamo dell’erudizione; prendiamo quello che con tanta grazia e ingenuità narra lo scrittore toscano; e se di una cosa ci maravigliamo, è appunto che esso non sia letto oggi più dei romanzi gialli.
Io lo lessi giovanotto e ricordo che non potevo, se non difficilmente tralasciare la lettura; lo rilessi ora, e provai il medesimo diletto al racconto delle avventure subite e affrontate da Fioravante e da Rizzeri suo compagno e maestro, primo paladino di Francia e uomo senza macchia e senza paura. Comincia Fioravante con una monelleria, che lo spinge a lasciare il tetto paterno del re Fiorello; e di là si partono le sue avventure. Liberazione di giovanette, uccisione di nemici della fede, perdita di armatura rubatagli da un ladrone, prigioniero del re di Scondia, innamoramento con Drusolina, il suo valore come incognito e via via quello che gli succede da re, le persecuzioni di sua madre Biancadoro, che voleva dargli moglie, le avventure di Drusolina, che sola abbandonata, dà alla luce due gemelli, uno dei quali le viene rubato, e il duello dei due fratelli che non si conoscono, tutto ciò frammezzato di tanti episodi forma il romanzo, che spira un senso di giustizia e solleva gli animi nelle regioni del sogno. I nomi delle contrade non si sa dove trovarli, le distanze di parecchie migliaia di chilometri si percorrono in un tempo irrisorio, gli eserciti sono così innumerevoli da superare il numero degli abitanti delle città che li armano... Che importa? Siamo nelle sfere del sogno, nel quale ci piace navigare.
Qualche volta, passando per una stradetta, sopra una porta, vedo pendere un cartellone con dipinti in quadri alcuni episodi di quello che si rappresentava la sera nel teatro delle marionette; e vi leggevo i nomi di Fioravante e di Rizzeri. La storia di Andrea da Barberino si era rifugiata lì: Fioravante e Rizzeri erano tramutati in teste di legno, come tutti gli altri campioni del valore e della fede; ma anche in quelle vesti che destano in noi un sapore di cose nuove. In un quadro v’erano due guerrieri, che abbassavano le armi e un leone fra loro in atto di separarli; in un altro, una folla di popolo e una regina condotta al rogo: i cavalieri erano vestiti con le armature del cinquecento, con un salto di mille e duecento anni. Non importa nulla. Pel popolo abituato a quel teatro e pel puparo, ossia per l’ “oprante” tutte queste differenze sparivano nell’antico, in cui tutto accadeva senza distinzione di tempo, di luoghi, di costumi: ma l’onda di poesia che scaturiva anche da quelle piccole teste di legno era possente e riecheggiava nelle anime semplici degli spettatori.
Ora anche adesso questo giornale si ispira alle avventure di Fioravante, e lo riproduce attraverso un “oprante”; e intreccia l’antico con il moderno; e le avventure di Lillì fanno contrasto con quelle di Drusolina, e quell’onesto puparo sembra foggiato con l’anima dei suoi pupi. C’è riuscito? È quello che vedrà il lettore. Ma se non è immodestia dirlo, coloro che mi hanno seguito attraverso i diciotto o venti romanzi, da me pubblicati su questo giornale, sanno per prova che un certo interesse so trovarlo.

 Maurus o Willam Galt



Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri – Romanzo ambientato nella Palermo del 1920 ricostruito e trascritto dalle puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936, con premessa dell’autore tratta da un articolo dello stesso Giornale pubblicato il 16 dicembre 1936. È ispirato alle storie di Buovo D’Antona e dell’opera dei pupi, nello specifico del re Fioravante e del suo scudiero Rizzeri, alle avventure di Fioravante che riproduce attraverso un oprante, don Calcedonio; e l'antico si intreccia con il moderno; e le avventure della giovane figlia Lillì fanno contrasto con quelle di Drusolina, e quell'onesto puparo sembra foggiato con l'anima dei suoi pupi. (Dalla prefazione dell'autore)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 308 – Prezzo di copertina € 19,00
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 71), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15)
Disponibili a Catania presso: Libreria La Paglia di Stefano Morgano (Via Etnea, 393-395)
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