martedì 20 novembre 2018

Luigi Natoli: La maledizione di madonna Margherita Consolo. Tratto da: Mastro Bertuchello

Quando messer Francesco verso sera, se ne fu andato, Madonna Margherita si gittò sul letto piangendo disperatamente di dolore, di collera, di gelosia. I sogni che aveva vagheggiato per sé e pei figli svanivano. Ella non sarebbe mai stata altro che la ganza del nobile conte, e i suoi figli, bastardi. Altri avrebbe raccolto l’eredità che ella aveva sperato pel suo Franceschello; quella Madonna Costanza avrebbe con le sue carezze obbligato il conte a scacciare la povera amante. Tradita, abbandonata, forse miserabile, che sarebbe stato di lei? Che dei figli?
Urlava, percotendosi il capo, maledicendo l’intrusa, ardente d’odio e di gelosia, confondendo nello stesso sentimento anche il conte:
- Ah! Tu credi che io mi rassegni? Che io mi lasci portar via tutto? T’inganni! T’inganni!...
Come fu notte, si avvolse in un mantello e fattasi accompagnare da una schiava, uscì di casa. Non era ancora l’ora del coprifuoco, e la Giudecca era accessibile. Madonna Margherita uscì dalla Porta di Bosuemi, che, rimasta entro la città ora più non si chiudeva, e s’avviò pel quartiere degli ebrei, che si stendeva tra le mura meridionali del Cassaro, la odierna piazza di Casa Professa,  il Ponticello e la contrada dei Calderai.
Si fermò a una prima casa addossata quasi a una delle torri dell’antica porta dei Ferrari, e picchiò. Nessuno rispose. Picchiò una seconda volta con mano febbrile; una voce cupa e iraconda gridò di dentro.
- Passa via!
- Aprite, maestro! – disse Madonna con tono imperioso e supplice ad un tempo, – sono una donna e ho bisogno di voi.
- A quest’ora? – borbottò la voce un po’ rabbonita.
- Non ne ho altre; ma aprite.
Una finestretta si aprì cautamente e un volto imbacuccato in una specie di turbante si affacciò a spiare. Parve persuaso, perché rientrò subito. S’udì un suono di chiavi, lo stridore di una toppa, e la porta si schiuse appena per lasciar passare una persona alla volta.
Quando entrarono in una stanza al primo piano, illuminata da una lucernetta, Madonna Margherita gittò una borsa sopra la tavola e disse:
- Mastro Moisè, ho bisogno dell’arte vostra...
Era una stanza fosca, in fondo alla quale era un fornello acceso, che schiudeva un occhio di fuoco nell’ombra, e illuminava di lievi bagliori rossi alcune storte e alambicchi di vetro appesi su la parete accanto, o disposti in fila sopra scansie di legno. Delle carte giallastre, sparse di segni strani, pendevano dalle pareti: sopra uno stipo nero, un uccello, che pareva un Ibis, impagliato, diritto su le zampe sembrava dominasse un gufo anch’esso impagliato: sopra un’altra scansia v’erano libri; e un grosso libro era aperto sul leggio posto sulla tavola, su la quale era anche una specie di cannocchiale, e un foglio pieno di cerchietti sui quali erano disegnate figure geometriche, stelle e simboli.
Mastro Moisè, un vecchio con una gran barba bianca, e il naso adunco fra gli occhi lunghi e giallognoli, avvolto in una zimarra d’un colore indefinibile, dato uno sguardo alla borsa, disse:
- Parlate, madonna; vi ascolto.
- Voi leggete negli astri.
- Quando Dio vuole che si riveli la verità.
- Dio vorrà. Ebbene, voglio che vi leggiate la mia ventura...
Mastro Moisè fissò in volto Madonna Margherita, e vi scorse le tracce della interna agitazione.
- Voi soffrite di qualche gran dolore.
- Grandissimo, mastro; ma non è di questo che...
Improvvisamente si interruppe, volse gli occhi su la schiava che era intenta a guardare con stupore e soggezione quella stanza, e disse:
- Maestro Moisè, ho bisogno d’esser sola con voi; fate che questa schiava entri in una stanza donde non possa ascoltarci.
Il vecchio israelita non sembrò contento della domanda; guardò intorno, poi aperto l’uscio di scala, disse:
- Può aspettar di là.
Appena furono soli, madonna Margherita, trattolo in fondo alla stanza, gli disse:
- Mastro, non mi importa conoscere la mia ventura; è altro che io voglio sapere. L’uomo che io amo, che mi ha fatto sua, che mi ha reso madre, sposa un’altra donna... Io speravo che avrebbe legittimato i miei figli: queste nozze invece li condannano all’oscurità e alla povertà: mastro, io voglio che quella dama sia infeconda; io voglio che l’uomo che mi abbandona, maledica queste nozze; io voglio che egli ritorni a me, che l’ho fatto padre. Tu sei savio, tu conosci i segreti di tutte le cose, tu leggi nel futuro... Contentami, e ti darò quanto vorrai!...
Mastro Moisè non rispose. Si raccolse un poco in sé, e poi domandò:
- Chi è codest’uomo?
- È necessario che lo sappiate?
- Certamente...
- Ma...
- Del resto io lo so. È messer Ventimiglia..
- Ebbene, sì...
- Voi domandate cosa che non è in poter mio...
- Mastro, voi possedete la scienza. Che cosa non può la scienza? O per arte magica, o per arte medica, voi potete tutto. Ve ne scongiuro, mastro; si tratta di salvare sei innocenti... Tutto quanto posseggo è vostro!...
- Venite, – disse mastro Moisè, – interroghiamo le stelle.
E la condusse per una scaletta su nell’altana, che dominava i tetti della città scuri e silenziosi. Sul loro capo nella volta azzurra scintillavano le stelle e per l’aria erravano i profumi della primavera.
Il mastro, che aveva recato con sé l’astrolabio, cominciò a guardare le stelle e a far dei conti. Dopo un istante disse con voce turbata:
- Veggo del sangue.
Madonna Margherita si sentì rabbrividire.
- Del sangue?
- Sì, madonna! Raccomandatevi a Dio!...
- Chi spargerà questo sangue?
- La vendetta degli uomini. Andate, madonna, e pregate l’Altissimo che non abbassi la mano sopra di voi: perché in verità vi dico, molti piangeranno per cagion vostra.
- Ma i miei figli? I miei figli?
- Agar disperò nel deserto, e però Ismael non fu l’eletto di Dio. Non disperate, e aspettate.
Madonna Margherita si avviò verso casa col cuore tempestato da cento passioni diverse. Le ultime parole del saggio che leggeva negli astri, sebbene enigmatiche, le aprivano l’anima a speranze e a scoramenti, ma quella vendetta, quel sangue, le gelavano il sangue. Da chi sarebbe venuta la vendetta? Chi sarebbe stata la vittima? Lei? Non importava, purchè Madonna Costanza non godesse delle nozze; purchè Franceschello cingesse la corona di conte! Volle passare dinanzi alla casa di messer Francesco: attraverso una finestra vide un lume; pensò che lì forse era la camera nuziale, e che in quel momento Costanza offriva la bella e fresca bocca giovanile ai baci di messer Francesco; e allora alzò i pugni minacciosi verso la finestra, gridando:
- Che il tuo grembo sia maledetto come un terreno sterile; che le tue gioie si tramutino in pianto! Sposa di maggio, non godrai del cortinaggio!


Luigi Natoli: Mastro Bertuchello. Latini e Catalani vol. 1. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del re Federigo D'Aragona e di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci.  Pagine 575 - Prezzo di copertina € 22,00. 
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1921. Disponibile presso Librerie Feltrinelli e in tutti i siti di vendita online. Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 



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