venerdì 28 ottobre 2016

Luigi Natoli: Storie di banditi. Nell'articolo in tre puntate pubblicato nel Giornale di Sicilia dal 14 febbraio 1930 la storia del banditismo siciliano dal Medioevo al XIX secolo.

Un canto antico narra di un conte, forse di Castronovo, che fece rapire la moglie di un contadino suo vassallo, Nardo...
il bandito aspetta al varco il conte...

All'odio verso i baroni s'ispira un altro poemetto, raccolto dalla voce popolare di Tommaso Cannizzaro, intorno alle gesta di Nino Martino: un bandito guercio d'un occhio che aveva una banda di ventiquattro malandrini...

Un'altra storia è quella dei due banditi del bosco di Partinico. Questa non ha la vendetta come causa, ma l'amore...

Una compagnia di briganti, forte e potente, fu quella di Giorgio Comito, composta di albanesi feroci di Piana, che fu assoldata da Sigismondo de Luna...

Angelo Falconello, si diede alla campagna per amore. Un poeta, s'impadronì delle sue vicende...

Le due bande che nel secolo XVI ebbero rinomanza furono quella di Vincenzo Agnello e quella di Giovan Giorgio Lancia...

Diversi piccoli stralci, che fanno intravedere quanto è interessante "Storie di banditi" di Luigi Natoli, perfetta premessa per il romanzo storico siciliano Pasquale Bruno di Alexandre Dumas.



Luigi Natoli: Storie di Banditi - Alexandre Dumas: Pasquale Bruno.
Pagine 129 - Prezzo di copertina € 13,50
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Luigi Natoli: Storie di banditi. Premessa storica al romanzo Pasquale Bruno di Alexandre Dumas

Storie di banditi: un articolo sul Giornale di Sicilia di Luigi Natoli con pseudonimo di Maurus pubblicato in tre puntate dal 14 gennaio 1930.
Fa da perfetta premessa storica a Pasquale Bruno, romanzo di Alexandre Dumas de I Buoni Cugini Editori nella edizione integrale della prima versione italiana pubblicata dallo Stabilimento Poligrafico Empedocle - Palermo 1841.
 
"Quando ancora la città nostra conservava la sua cinta muraria, sulla porta di San Giorgio biancheggiavano dentro una gabbia alcuni teschi. L'erba inghirlandava quei miserandi avanzi: e lo storico La Farina, riconoscendo in essi i teschi dei Carbonari moschettati dal Borbone nel 1831, con un bel periodo li indicava alla pietà e al sentimento dei cittadini. Ma la critica, vecchia pettegola, ha distrutto la vecchia leggenda patriottica: i teschi erano quelli di alcuni banditi, esposti nella gabbia pel terrore della gente.
L'uso di questa lugubre esposizione era antica, e non era limitato agli "scorridori di campagna" e ai banditi; si estendeva anche ai rei di delitti di ribellione: come il Chiaramonte, il conte di Cammarata, ai ladri del pubblico denaro, come il tesoriere Gavì. Ma i teschi di costoro si affiggevano nei palazzi del Fisco, o nei muri del palazzo pretorio: quelli dei banditi e degli "scorridori" ornavano tristemente le porte della città, o le mura dei castelli feudali..."
 
Luigi Natoli "Storie di Banditi" - Alexandre Dumas: "Pasquale Bruno". Romanzo storico siciliano con premessa storica sul banditismo siciliano dal Medioevo al XIX secolo.
Pagine 129 - Prezzo di copertina € 13,50
 

giovedì 27 ottobre 2016

Luigi Natoli e Alexandre Dumas in: Pasquale Bruno. Romanzo storico siciliano di Alexandre Dumas con saggio storico introduttivo "Storie di banditi" di Luigi Natoli

C'era una differenza fra i banditi e gli scorridori: questi erano ladroni, che assalivano i viandanti, quelli erano fuori bando per qualche vendetta: questi era raro che avessero un lampo di generosità, quelli erano d'ordinario generosi e cavallereschi, la condizione di perseguitati della giustizia li faceva malfattori: ma il coraggio di cui davano prova, li circondava di poesia. Essi rampollavano per origine degli antichi cavalieri erranti, o dei nobili, che non erano altro che ladroni, o dei condottieri di compagnie di ventura. Una vendetta contro i baroni li faceva banditi: la poesia popolare, fedele specchio dei sentimenti plebei, s'impadroniva di loro e magnificando il loro gesto, sfogava il suo odio contro i baroni.
Il periodo più famoso pel banditismo o brigantaggio fu quello che si svolse fra il secolo XVIII e XIX. Vi sono dei banditi che diedero origine a poemetti, come Saltaleviti, Spirazza, Testalonga: uno diede origine a un romanzo di A. Dumas: Pasquale Bruno. - Luigi Natoli
"Storie di banditi" - Articolo pubblicato da Luigi Natoli con pseudonimo di Maurus nel Giornale di Sicilia del 14 gennaio 1930.
 
Era un giovine di venticinque o ventisei anni, che sembrava appartenere alla classe del popolo: portava un cappello calabrese legato da una striscia di velluto che ricadeva ondeggiante sulla sua spalla, un abito di velluto con bottoni d’argento, un calzone della stessa roba con ornamenti compagni, stretto alla vita da una di quelle cinture di seta rossa con ricami e frange verdi, che si fabbricano a Messina ad imitazione di simili lavori del levante; finalmente burzacchini e scarpe di pelle erano il compimento dell’abito montanaro, non privo di eleganza, e che parea scelto a bella posta a dar risalto alle belle proporzioni del corpo di colui che lo indossava. Quanto al suo aspetto, era di una beltà selvaggia, i suoi contorni fortemente risentiti, annunciavano l’uomo del mezzogiorno, avea gli occhi arditi e fieri, barba e capelli neri, naso aquilino, e denti bianchi e compatti. - Alexandre Dumas
Edizione integrale della Prima versione italiana pubblicata dallo Stabilimento Poligrafico Empedocle - Palermo 1841
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mercoledì 26 ottobre 2016

Luigi Natoli: Rosalino Pilo e la sua opera di persuasione a Garibaldi.


Incalzando gli avvenimenti, e stimandosi prossima la insurrezione di Palermo, Rosolino Pilo chiese a Garibaldi armi, munizioni e denaro, per correre in Sicilia e mettersi alla testa del movimento; sperando che il Comitato nazionale pel Milione di fucili, avrebbe fornito ogni cosa; che a lui si sarebbero associati Nino Bixio e Giacomo Medici; e che Garibaldi, cui facevano capo gli esuli siciliani, a un avviso, sarebbe corso in Sicilia, come aveva promesso. Ma Garibaldi, non credendo maturi i tempi, lo dissuase. La sua lettera è del 15 marzo 1860. Rosolino Pilo non ebbe nulla dal Comitato, né un fucile né un soldo; e non ebbe il concorso degli amici: ebbe invece lettere da Palermo che l’avvertivano tutto esser pronto. E il 26 marzo egli e Giovanni Corrao, soli, senz’altre armi che le loro rivoltelle, delle bombe tascabili e pochi fucili; con poco denaro fornito da Mazzini e dagli Orlando; coli col loro coraggio, con la loro fede, con la virtù del sacrificio; nella paranza di Silvestro Palmarini, pilota Raffaele Motto, salparono argonauti della libertà, da Genova, affrontarono le tempeste del Tirreno, videro la piccola nave minacciata, rischiarono di cadere su le spiagge napoletane; stettero quindici giorni tra cielo e mare con la morte sospesa sopra di loro. Rosalia Montmasson moglie di F. Crispi, era andata in Messina prima di loro, per avvertire e concertare con gli Agresta ogni cosa per lo sbarco; ma per ragione delle tempeste, sbarcati con grande ritardo, il 10 di aprile, a Grotte sul lido messinese non vi trovarono chi secondo il convenuto doveva aspettarli. Videro però i cannoni regi della cittadella bombardare Messina. 
A Barcellona un vecchio liberale, pauroso degli apparati del governo, li consigliò di non proseguire, comunicando che la rivoluzio­ne di Palermo era fallita: rispose fieramente il Corrao non esser venuti in Sicilia per ritornare indietro, e che avreb­bero preferito consegnar la testa al carnefice, piuttosto che esular novamente: eran venuti per la rivoluzione e l’avrebbero fatta, tanto più che forse in quell’ora Ga­ribaldi si apprestava a venire. Pilo abbracciò il compagno.
Ripreso il cammino, per dove passavano, convocavano i giovani, li esortavano a prendere le armi, insegnavano a costruire bombe; accendevan dovunque fiamme di li­bertà; e d’ogni cosa ragguagliavano con lettere arden­tissime i fratelli Orlando, Garibaldi, Bertani, Fabrizi.
 
 
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul risorgimento siciliano.
 
 

Luigi Natoli: la morte di Rosalino Pilo. Tratto da Rivendicazioni.


La morte dell'eroe fu avvolta di tristi voci: la ver­sione più ovvia, più naturale, che egli sia stato ucciso da palla borbonica, (non essendo i regi, che eran ben armati, più lontani di 700 metri; ed avendo egli il capo scoperto); questa versione, che consacrava il suo mar­tirio, si è voluta scartare, e si cominciò col l'accusare di averlo ucciso a tradimento Giovanni Corrao, che invece – e risulta da testimonianze, – stava in basso col Calvino e volgendogli le spalle: e l’invereconda e infame accusa contro chi era stato il compagno, il fra­tello di Rosalino, e che pel coraggio leonino, per la fran­chezza, per tutta la sua vita, non avrebbe mai com­messa una viltà, aveva forse il fine partigiano e astioso di offuscare l'eroica figura del fiero popolano repubbli­cano, alla cui lealtà Garibaldi rese omaggio e allora e poi.

Scartata, perchè bugiarda e ignominiosa, l’accusa contro il Corrao, si volle ucciso Rosalino Pilo ora da un Morrealese, or da uno di Capaci, e ora da uno di Carini: per quale insania, io non so; forse, per quelle stesse ragioni che dissero Carlo Mosto, une dei Mille caduto alla fazione di Parco, ucciso da uno di quei terrazzani; quando il Rivalta, che gli era vicino, lo vide morire per mano dei regi! Questa nostra rivoluzione era così incol­pevole, gli entusiasmi le davano tanta purezza, che occorreva forse gittare un'ombra oscura su quelle squa­dre e su quelle popolazioni, che pur davano il loro sangue, agevolavano e salvavano la marcia di Garibaldi.
Con la morte di Pilo finisce l’azione autonoma delle squadre durata dal 5 aprile al 21 maggio: da questo momento esse seguono la fortuna dei Mille, e di loro gli storici non terranno parola, o forse per dileggiarle: dimenticando che senza di esse e senza la rivoluzione i Mille non avrebbero potuto fare un passo, e sarebbero rimasti vittime della loro audacia.
Ma che non dissero gli storici? Uno, più grave perché uso a non affermar nulla senza documentazione, non accolse come verità le fanfaronate di uno dei Mille, che fra le altre cose affermava che Palermo pareva una città di morti, e che i Garibaldini, il 27 maggio erano costretti a snidare i Palermitani “per far fare loro la rivoluzione?”
 
 
 
Luigi Natoli: la rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul risorgimento siciliano.

Luigi Natoli: Giovanni Corrao e Rosolino Pilo. Tratto da: Rivendicazioni.


Rosalino Pilo-Goeni, dei conti di Capace, biondo e bello e di gentile aspetto, cuor di leone in gracile petto, cospiratore innanzi al 1848; combattente nella rivoluzione; esule, amico devoto di Mazzini, cooperatore della spedizione di Carlo Pisacane, anelava alla liberazione della Sicilia. Giovanni Corrao, popolano, nerissimo di capelli e di barba, volto tagliente e fiero, incolto, coraggio senza pari, combattente valoroso nel ’48, esule, non era meno ardente per la liberazione della sua terra. E venuto per tentare un moto, arrestato e confinato a Ustica, poi chiuso nella Cittadella di Messina, vi aveva languito fino al 1855. Liberato, ripresa la via dell’esilio, era tornato alle cospirazioni. Palermitani, della stessa fede, s’erano intesi.

Rosalino, per lettere inviate agli amici e per le assicurazioni ricevute, aveva manifestato a Garibaldi il proposito di andare in Sicilia, per capitanare la insurrezione e aprir la via alla spedizione che Garibaldi avrebbe dovuto guidare. Domandava perciò fucili e mezzi. Garibaldi ne lo dissuase, non giudicando maturi i tempi. Nessuno dei suoi amici credeva alla possibilità di un buon successo: non Medici, non Sirtori, non Bixio ancora; soltanto Crispi, Pilo, La Masa, La Farina, gli esuli siciliani tutti. E Pilo si ostinò. Non ebbe le armi che domandava. Ma non importava. Disse a Garibaldi di prepararsi, che egli andava a preparargli il terreno.

Il 26 di marzo egli e Corrao, soli, senz’altre armi che le loro rivoltelle, delle bombe tascabili e pochi fucili, con poco denaro fornito da Mazzini e dagli Orlando, soli col loro coraggio, con la loro fede, pronti al sacrificio, nella paranza di Silvestro Palmarini, pilota Raffaele Motto, argonauti della libertà, salparono da Genova, sebben sconsigliati da Garibaldi. Affrontarono le tempeste del Tirreno; videro la piccola nave lì lì per sommergersi; rischiarono di cadere su le spiagge napoletane; stettero quindici giorni fra cielo e mare con la morte sospesa sopra di loro. Ma si ostinarono a navigare, contro il parere del pilota e dei marinai. Il 10 di aprile sbarcarono alle Grotte presso Messina, dove Rosa Montmasson, moglie di Crispi li aveva preceduti.
 
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.



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giovedì 13 ottobre 2016

Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro. La copertina.

La copertina di questo romanzo è, come tutta la collana di Luigi Natoli, illustrata da Niccolò Pizzorno.
Egli ha saputo, in una immagine, sintetizzare il personaggio.
Tullio Spada non si vede: il suo viso è avvolto dalla bandiera della Carboneria: i nostri tricolori indicano le virtù cardinali; il nero o carbone, è il simbolo della fede; il turchino, o fumo, è il simbolo della speranza; il rosso, o fuoco, è simbolo della carità.
La Carboneria infatti, avvolge improvvisamente e per sempre la vita del protagonista.
Alle sue spalle una delle coccarde che simboleggiò i movimenti carbonari del 1820 e che noi editori abbiamo avuto la fortuna e la gioia di trovare e fotografare al Museo di Storia Patria di Palermo.
 
  Altre grida di approvazione risonarono per l’aria. Un frate che fino a quel momento era stato ad ascoltare, levò in alto le mani, e con voce potente, dominando il tumulto, esclamò:
- Ha ragione, nessun deputato per Napoli! Vogliamo l’indipendenza! Figliuoli miei, giuriamo! Giuriamo di essere costanti e forti; o indipendenza, o morte!
Queste parole parvero un motto, un’impresa, un vessillo; nel loro ritmo poetico esprimevano il pensiero e il sentimento comune; la folla le ripetè, le fece sue, le adottò come grido di guerra. Alzando la mano, come per chiamare Dio in testimonio, gridò:
- Viva fra Gioacchino! viva!... O indipendenza o morte!
Questo giuramento, in quell’ora, fra le lampade che splendevano nei balconi, sulle piramidi, sugli archi, aveva qualcosa di grande e di suggestivo; si ripercosse, volò, si diffuse; agitò gli animi, sollevò entusiasmi e ardori guerreschi.
Un grazie quindi a Niccolò Pizzorno per avere rappresentato con tanta bravura uno dei romanzi più toccanti di Luigi Natoli.
Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.
Prezzo di copertina € 22,00 - Sconto 15%
Spedizione gratuita per ordini pari o superiori a € 20,00
 
 

Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.

Fra tutti i personaggi creati dalla fervida penna di Luigi Natoli, è impossibile non amare Tullio Spada, il protagonista di Braccio di Ferro - avventure di un carbonaro. In questo romanzo il grande scrittore palermitano crea una delle figure più riuscite e complete della letteratura italiana, narrando con elementare semplicità la crescita umana e psicologica di un personaggio che da vanitoso spaccone, durante il corso delle pagine, si trasforma in un fervente patriota raggiungendo vette di grande saggezza e amore universale.
Un eroe che si muove all'interno del contesto di oppressione borbonica nella Palermo del 1820; con Tullio Spada vivremo i movimenti rivoluzionari di quell'epoca da Palermo a Napoli, a Genova, a Torino e la guerra di Spagna. Egli infatti, imbattendosi casualmente nella Carboneria, si troverà a combattere una battaglia in Italia e nel mondo per affermare la libertà e l'onore di una nazione e di un popolo.
Gli editori.
Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro
Pagine 320 - Prezzo di copertina € 22,00 - Sconto 15%
Spedizione gratuita per ordini pari o superiori a € 20,00
Copertina e illustrazioni interne di Niccolò Pizzorno.

martedì 11 ottobre 2016

Luigi Natoli: la festa dell'Immacolata nel 1847 a Palermo. Tratto da: Chi l'uccise?


Per antica concessione data ai frati di S. Francesco di Palermo, la festa dell’Immacolata gode il privilegio di celebrare la messa a mezzanotte, come per Natale. In quella occasione nelle case si giuoca, e si fa un cenone, aspettando la messa; e le strade son piene di popolo. I caffè stanno aperti, e le botteghe dei focacciai spandono l’odore del forno misto col grave oleoso del fritto.
Allora nella piazzetta dinanzi alla chiesa di S. Francesco, le baracche ostentavano i dolci tradizionali e speciali dell’Isola; che non hanno riscontro nel continente, ed è giocoforza indicare col nome dialettale; la “cubaita” e la “pietrafendola”; la prima composta di semi di sesamo cotti nel miele e profumata; l’altra di bucce di arancia, pistacchio, mandorle tritate e cotte anch’esse nel miele. L’una, di color biondo, si vende a tavolette; l’altra bruna, si vende a rocchi di dodici centimetri, di forma cilindrica, avvolti in carta sfrangiata alle due estremità. Sono durissime, e provocano una dolce salivazione, perciò si vendono anche a pezzetti. Questi due dolciumi, in bella fila, stavano col torrone bianco e verde, e adescavano i fedeli che si recavano alla messa di mezzanotte.
Un’ora prima di mezzanotte già le strade erano affollate di gente, che con torce accese si recava in chiesa, quali a gruppi, quali isolati. Una confraternita procedeva a due a due, col capo nudo; alcuni confrati scalzi, che compivano il “viaggio” per voto. Recitavano il rosario; il superiore intonava la prima parte dell’avemaria, e tutti gli altri rispondevano in coro l’altra. Più in là due o tre famiglie recitavano lo stesso rosario, e le voci dell’uno e dell’altro si confondevano in un brusio che riempiva la strada, resa più sonora dal silenzio della notte. Nella via buia la luce delle candele a volte si moltiplicava, a volte si eclissava illuminando a balzi le macchie dei volti. Simili alle monacelle crepitanti in un immenso foglio di carta.
 
La chiesa era illuminata, ma la “bara” o fercolo dell’Immacolata era un torrente di luce, così fitte erano e disposte per gradi le torcie accese dai fedeli, e ancora tante ne venivano, che i sagrestani non facevano a tempo per raccoglierle. La statua tutta di argento, più grande del vero, splendeva così che pareva che si incendiasse, e aggiungeva nuova luce a quella stragrande delle torcie. E dinanzi a lei si prostravano i fedeli, quali con umile raccoglimento, quali con alte grida, e levando le braccia, scongiuravano la Vergine di qualche soccorso; e presentavano un muto, un tisico, un piagato, denudando le piaghe, che rosseggiavano allo splendore dei lumi. E la Vergine stava con gli occhi rivolti su nell’ombra che si diffondeva nella volta.
Luigi Natoli: Chi l'uccise?
Prezzo di copertina € 13,50 - Pagine 122
Spedizione gratuita per ordini pari o superiori a € 20,00
 

Luigi Natoli: Chi l'uccise? Paolo Cantelli: un giudice con un alto senso del dovere in una realtà dove non esisteva la giustizia.


Uscendo dalla stanza del Procuratore, don Paolo pensava al sugo di quel dialogo; bisognava riferire addirittura che il Lanza era l’assassino del Lo Giglio. Tutte le apparenze erano invero contro di lui, ma egli si arrestava dinnanzi al contegno di Corrado, che gli pareva veritiero. Aveva un orrore per gli errori giudiziari. Nel dubbio, preferiva non concludere per la reità. Certo Corrado era cospiratore; ma chi non cospirava in quei tempi? L’indipendenza del Regno e una riforma erano nelle menti di tutti; ma da ciò a crederlo colpevole di un delitto ce ne voleva. E il cuore gli diceva che egli non era il reo. Ma i verbali della Polizia? Ah buon Dio! come ritenerli infallibili, quando essa ricorreva alla tortura, contro la quale egli si ribellava? E se il presunto reo sotto l’acerbità della tortura confessava di aver commesso il delitto, del quale era innocente? Corrado era vittima di circostanze che sfuggivano a lui; ma poteva darsi che egli conoscesse l’uccisore.
Queste cose pensava, recandosi col suo cancelliere alle carceri, dove giunto, fece chiamare Corrado. Aveva concertato il suo piano.
Luigi Natoli: Chi l'uccise? Romanzo storico siciliano.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Prezzo di copertina € 13,50 - Pagine 122
Spedizione gratuita per ordini pari o superiori a € 20,00.
 

Luigi Natoli: Chi l'uccise? un giallo ambientato nella Palermo del 1848

Pubblicato per la prima volta dalla casa editrice La Madonnina negli anni '50, riprende vita da questa unica traccia nelle nostre ricerche il breve romanzo "Chi l'uccise?" di Luigi Natoli.
Un giallo d'epoca, ambientato nella Palermo del 1848 alla vigilia della rivoluzione del 12 gennaio, è un romanzo breve dove si riconosce perfettamente lo stile dell'autore.
Protagonista è il giudice Paolo Cantelli, non disposto a farsi schiacciare dal potere di una giustizia borbonica divenendo così portatore di sentimenti nobili e di grande rettitudin morale. Anche Paolo Cantelli vive e opera a Palermo, sotto il giogo dell'oppressore, all'interno dei moti liberaleschi e popolari del 1847 che di lì a poco porteranno alla rivoluzione del 12 gennaio 1848....
Luigi Natoli: Chi l'uccise?
Copertina e illustrazioni interne di Niccolò Pizzorno.
Prezzo di copertina € 13,50 - Pagine 122
 
 

Luigi Natoli: Chi l'uccise? Un omicidio dà inizio al romanzo...

Erano sonate allora allora due ore e mezza alla torre di San Nicolò e non c’era un’anima per la via, né un uscio aperto: solitudine e, squallore dappertutto, e nella spazzatura il rufolare e il ringhiare dei cani randagi. La piazza del Carmine, quella di Ballarò, la via dell’Albergheria e quella del Bosco, nel punto dove s’incontrano, prendevano luce da un solo fanale a olio di dubbio rossore, non offrendo la lampadina sospesa in alto sulla porta della Chiesa del Carmine innanzi alla Madonna, che un piccolo occhio rossiccio perduto nell’ombra.
In tanta solitudine s’udì a un tratto risonare il passo d’un uomo e il battere regolare di un bastone, che venivano dalla via Bosco. Quando fu giunto sotto il fanale, si vide colui che camminava. Era un uomo intabarrato e col collo sepolto in una sciarpa. Si fermò un istante, guardò una casa nella via del Bosco, crollò il capo, e borbottò qualche cosa fra sé, e proseguì verso l’Albergheria, ma non aveva percorso pochi passi, che si udì richiamare con voce rapida e concitata:
- Girolamo!
Egli si voltò, ma repentinamente un colpo di pistola tirato quasi a bruciapelo lo mandò per terra senza poter dire Gesù. Il colpo risonò nel silenzio notturno come una cannonata, e si propagò per tutta la contrada; ma nessuno uscì, non si socchiuse nessun balcone; pareva una città abbandonata, deserta. Il cadavere giaceva supino con le braccia spalancate, e un filo di sangue che s’andava allargando gli colava dal petto. Passò qualche minuto; un altro uomo, anche lui intabarrato, si avvicinò al caduto, e, chinatosi, lo spiò in viso e scoperse la ferita...
Luigi Natoli: Chi l'uccise?
Prezzo di copertina € 13,50 - Pagine 122
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lunedì 3 ottobre 2016

Luigi Natoli: Gli schiavi. Atenione, un eroe da cui Spartaco avrebbe dovuto imparare...


La vittoria accrebbe il numero degli schiavi fino a seimila. Allora cercarono un capo, e lo trovarono in un Salvio, indovino e, come Euno, in rapporto con gli dei; ai cui responsi si credeva. Questi riordinò l’esercito, lo condusse per le campagne, lo accrebbe fino ad avere ventimila pedoni e duemila cavalieri, coi quali corse sopra Morganzio. Il Pretore allora si mosse per prenderlo alle spalle, ma ne ebbe la peggio.
Intanto un altro schiavo, Atenione di Cilicia, sollevava in armi altre torme di schiavi in Segesta. Questi, tenendolo per indovino, ebbero fede in lui, lo seguirono e si diedero a saccheggiare le campagne. Savio, prese il nome di Trifone e invitò Atenione a riconoscerlo re. Questi accettò, aiutandolo a prendere Triocala, ma Salvio-Trifone, sospettando che gli togliesse la corona, a tradimento lo fece imprigionare.
Lucio Licinio Lucullo, mandato da Roma con sedicimila uomini, accresciuti dagli stanziali, mosse contro Triocala; Salvio allora liberò Atenione che, dimenticando l’offesa, postosi a capo dell’esercito, forte ora di quarantamila uomini, volle affrontare i Romani in campo aperto. Presso Scirtea Atenione combattè valorosamente, ma ferito alle ginocchia non si resse; la sua caduta, spaventò i suoi uomini che l’ebbero per morto, e fuggirono in Triocala, dove nella notte Atenione si trascinò. Lucullo non seppe approfittare della vittoria e indugiò tanto, che Atenione potè organizzare la difesa e costringerlo a levar l’assedio. Frattanto, morto Salvio, Atenione fu fatto re.
 
 
Luigi Natoli - Gli schiavi.
Prezzo di copertina € 22,00 - Sconto 15% - Spedizione gratuita

Gli schiavi: dove Luigi Natoli narra la seconda guerra servile in Sicilia nel 104 a.C.


In seguito a rimostranze del re di Bitinia, il Senato romano deliberò (104 a.C.) che nessuna persona libera, di stato federato, potesse esser fatta prigioniera e servire come schiava in provincia romana. Questa disposizione sollevò reclami in Sicilia, dove essendo pretore P. Licinio Nerva, moltissimi schiavi domandavano di essere rimessi in libertà, perché presi con la violenza e venduti contro diritto. Il Pretore, accolti i reclami, ne aveva in pochi giorni liberati ottocento, quando, per l’agitazione che s’era diffusa fra gli schiavi, i grandi proprietari romani e provinciali protestarono, e obbligarono il Pretore a sospendere le manomissioni, e rimandare ai padroni gli schiavi postulanti.
Delusi e paurosi di castighi, molti di questi, invece di ritornare ai padroni si rifugiarono nel bosco sacro e inviolabile dei Palici: ed ivi escogitarono i mezzi per riscattarsi in libertà. Capitanati da un certo Vario, insorsero ad Alicia, uccisero i padroni e corsero per le campagne, eccitando gli altri alla rivolta. Il pretore Licinio Nerva mosse contro di loro, e col tradimento di un Titinio Gadeo, bandito, li ebbe in potere. Molti caddero combattendo, altri si precipitarono dalle rupi. Ma questo non fu che un primo episodio. Un’ottantina di schiavi uccisero il padrone Canio, romano, si gittarono in campagna e raccolti intorno a sé altre centinaia di schiavi, formarono un esercito...
Luigi Natoli - Gli Schiavi
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Luigi Natoli: Gli schiavi: preparativi alla sommossa...


Giungevano altre notizie più precise. Realmente erano stati gli ottanta servi di Publio Canio che, uccisi il padrone, la moglie e i figli, erano fuggiti, ritirandosi sopra il monte Capriano, dove altre torme di servi erano andati ad ingrossarli. Si diceva che i ribelli ascendevano a due o tre migliaia. Ma oltre questo, i servi non poterono raccogliere altro. I padroni, temendo il propagarsi del contagio, si erano messi d’accordo per non far divulgare alcuna notizia; ma che le cose volgessero gravi, si vedeva dall’inquietudine di Caio Cecilio, dai provvedimenti che prendeva per impedire che i suoi servi s’incontrassero con altri, per isolarli; da un maggior rigore nella sorveglianza; da nuovi e più saldi catenacci alla porta dell’ergastolo; dall’aumento dei custodi. Ma più che da questi provvedimenti, dalla stizza con la quale parlava dell’incapacità del Pretore, che aveva in gran parte rimandate le milizie, credendo con la uccisione di Oario di aver domata la ribellione, mentre avrebbe dovuto distruggerne i focolari. Eccolo ora costretto a racimolare gli stanziali sparsi nelle principali città. E forse non avrebbe fatto neppure questo, se Caio Cecilio e gli altri proprietari, di qualcuno dei quali i fondi confinavano col territorio di Eraclea, non fossero andati a protestare, e a minacciare il Pretore di accusarlo al Senato Romano.
Ma se si era potuto impedire il diffondersi delle notizie, non si era potuta nascondere la partenza del Pretore. La quale aveva naturalmente fatto pensare che l’esercito dei ribelli doveva essersi ingrossato. Il che accresceva il fermento nei servi, e ne fomentava le speranze. Ogni sera, prima di rientrare nell’ergastolo, interrogavano Atenione: ed egli grave, e con l’aria di chi penetra i segreti dell’avvenire, rispondeva sempre:
- Aspettate, non è l’ora. Stamane ho visto certi segni che davano come certa l’insurrezione, ma non ora. Aspettate.
I servi avevano piena fiducia in lui, e aspettavano; ma la sera, nell’ergastolo, si abbandonavano a fieri propositi. I nuovi rigori di Caio Cecilio, i castighi più gravi che egli faceva infliggere per atterrirli, credendo così di togliere loro dal capo qualunque velleità di ribellione, accrescevano invece l’odio. C’era chi parlava di eccidi. No: non bastava spezzare i ferri e fuggire: bisogna vendicarsi di tutti i torti patiti, farli scontare a Caio Cecilio e a tutta la famiglia. Queste minacce fecero rabbrividire Elio; non già per Caio Cecilio e gli altri membri della famiglia, ma per Cecilia...
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