giovedì 8 novembre 2018

Luigi Natoli: donna Eufrosina Corbera. Tratto da: La dama tragica

Era bellissima. Sebbene la moda di quei tempi, con le maniche a sbuffi, col busto serrato, con la gonna larga, togliesse sveltezza e libertà alle forme del corpo ella aveva qualcosa di molle e sottile, come di un candido giglio. I bei capelli castani ondulati e raccolti indietro in trecce, e fermati da un cerchietto d’argento, incorniciavano un volto di pure forme classiche, dolcemente pallido, nel quale gli occhi grandi, neri profondi lucevano in una specie di umidore languido e pieno di mistero e la bocca tumida e corallina pareva aspettasse dolcezze ignote.
Ella in verità non era stata mai innamorata di don Galcerano, fino allora anzi non aveva mai provato gli spasimi e le gioie di una passione. Amava il marito come un amico; perchè era suo debito, perchè era una legge o consuetudine di matrimonio; e così per legge, per consuetudine, per debito del suo stato, essa lo accoglieva fra le braccia; ma senza quelle profonde commozioni che tramutano in una divina poesia un contatto animale. Per una necessaria, ma spiegabile condizione di cose ella conosceva i misteri dell’amore, senza conoscer veramente l’amore pieno e intero, senza provar l’incanto di una dedizione di tutto l’essere, di vivere della vita altrui, di sentirsi una di spirito e di corpo con la persona amata.
Il matrimonio com’era consuetudine e come pareva saggia usanza, era stato concertato dai genitori all’insaputa dei giovani. Ella stava allora nell’educandato di Monte vergini per istruirsi. Tutte le fanciulle della nobiltà titolata, della magistratura e dei semplici gentiluomini, appena avevano cinque o sei anni venivan chiuse in quelle enormi gabbie che eran gli educandati dei monasteri e vi stavan fino a che prendevan marito, o, se pronunciavano i voti, sino alla morte.
L’educandato che aveva il nome di Montevergini, fondato di recente nell’antica strada del Calvello nel Cassaro, era uno dei più reputati e più frequentati. Donna Eufrosina vi entrò di sei anni, e vi stava da dieci quando il suo babbo, don Vincenzo Siragusa dottore in ambo le leggi, ricco e di gran nome, che aveva una bella casa poco lontana dal palazzo dei Corbera, venne una mattina nel parlatorio ad annunciarle che il nobile don Antonio Corbera, barone del Misilindino, gli aveva fatto l’onor di domandar la mano della fanciulla pel suo figlio Galcerano, desiderando stringere le due famiglie in parentado. Ella ne fu turbata; ma non tanto da non provare una gioia infantile per quelle nozze: le quali per lei ancora ignara del mondo, non avevano altro significato, se non quello di farla diventare una signora che andava in lettiga o in carretta, che interveniva alle giostre, alle feste con ricche vesti e molti gioielli. Fino allora non aveva veduto il mondo che attraverso le grate del parlatorio e delle loggette pensili, da lontano, come qualche cosa d’ignoto, di misterioso, di cui non giungeva a lei che un rumore vago indistinto. Maritandosi, avrebbe veduto da vicino quel mondo; ci sarebbe vissuta; sarebbe stata libera di andare di qua e di là accompagnata da servitori e da schiavi, avrebbe potuto ricevere in casa donne e cavalieri, e sentir musiche e canti.... Tutto questo era così bello e attraente per lei, che non domandò neppure se il suo sposo futuro fosse bello e giovane come lei.
Del resto non le pareva necessario domandarne: ella non sapeva supporlo che giovine e bello.
Una cosa soltanto le piaceva e le procurava una viva soddisfazione: sentirsi dire da Galcerano con sincera e commossa ammirazione, che era bella, che era la più bella donna di Palermo e di Sicilia; che il suo corpo armonioso e perfetto pareva quello di una dea delle favole. Queste lodi avevano destato in lei un sentimento nuovo e un desiderio di constatare la sua bellezza. Volle vedersi tutta quanta in un grande specchio, e se ne compiacque. E allora sentì che bisognava conservare quella beltà, che esercitava tanto impero e amò la sua beltà, amò se stessa, ebbe pel suo corpo le maggiori cure; temette di essere sciupata dagli impeti di don Galcerano. Ebbe orrore che la maternità deformasse l’armonia delle sue membra; e allora cominciò a consultare donne sperte in molti segreti: chiuse il suo seno al mistero della vita, lo educò alle arti dell’abbigliamento feminile; usò pomate e acque odorose, accrescendo le seduzioni della sua beltà, lieta di suscitare intorno a se fremiti di desideri.
Ella dunque non poteva provare la tormentosa gelosia delle anime innamorate…

Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500, al tempo viceregio di Marcantonio Colonna.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930. 
Pagine 604 - Prezzo di copertina € 24,00
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