lunedì 17 gennaio 2022

Giuseppe Pitrè: Il teatrino delle marionette. Tratto da: Il teatro del popolino. Raccolta di scritti storici e popolari di Luigi Natoli e Giuseppe Pitrè sull'Opera dei Pupi

L'opra
, cioè il teatrino delle marionette, è un piccolo magazzino, alle cui pareti sono piantati de' palchetti, comodi e puliti all'esterno, ma assai disagiati per chi avrà a prendervi posto, essendovi una panca molto angusta per sedervi, e poco spazio per distender le gambe; nè la palcatura è divisa; e gli spettatori come in un corridoio siedono l'uno accanto dell'altro. Nel mezzo del teatrino sono egualmente piantate un certo numero di panchette, sostenute da assi verticali; panchette, che, tutte insieme, guardate dalla porta, danno l'idea d'una enorme graticola di legno, nei cui interspazi ficcano piedi e gambe gli spettatori. Il corridoio mediano dei teatri ordinari qui manca allo spesso, ma ve n'è uno che tutto lo gira intorno, ed è chiamato passettu. Palchi (gallaria) e platea danno luogo dove a un centinaio, dove a un centocinquanta persone; ma in quelli di Catania ve n'entrano di più.
In fondo, di fronte alla porta d'entrata, è il palcoscenico, che ha piena armonia con le proporzioni dell'opra. Una volta esso era un po' disadorno, e la tela (tiluni) appena colorata; erano bensì dipinte, e d'una maniera popolarmente graziosa, le scene e le quinte, rappresentanti quel che meglio convenisse alla storia del giorno. Da un trentennio in qua il tiluni è anch'esso dipinto, e così bene, che nel suo genere può dirsi qualche cosa di artistico. Ivi son ritratte scene cavalleresche: lo scontro di Rinaldo con Agramante, che lo assale di dietro (nell'opra della Vucciria nova in Palermo); l'entrata del conte Ruggiero il Normanno in Palermo (nell'opra di via Formai); Rinaldo, che offeso abbandona la corte di Carlomagno (nell'opra di via Collegio di Maria al Borgo) ecc.
Spettatori son per lo più ragazzi del popolino, iniziati quali sì, quali no in un mestiere; gli altri son giovani e adulti. Uno studioso di statistica non avrebbe modo di farsi un criterio esatto di quelli che veramente usano all'opra; perché in una vanno più monelli che giovani, in un'altra più giovani che ragazzi; in un sestiere son servitori, camerieri e guatteri; in un altro pescatori e pescivendoli (rigatteri) qua facchini (vastasi, vastaseddi), fruttivendoli; là lustrini, mozzi di stalla, manovali ed altri siffatti, ovvero operai de' meno modesti e de' meno bassi. Tutto dipende dal sestiere, dalla contrada dell'opra; dove, però, non si vede mai, o rare volte, una donna, e dove una persona del mezzo ceto sarebbe argomento di osservazioni e di commenti degli spettatori, come di maraviglia a coloro de’ suoi amici o conoscenti che venissero a saperlo.
L'opra ha per tutta questa gente un'attrattiva irresistibile; ed i ragazzi che non abbiano da pagare altrimenti il diritto di entrata mettono in serbo il granu (cent. 2 di lira) o il soldarello della colezione o del companatico d'uno o più giorni per andarlo a deporre nella mano del padrone del teatrino loro favorito; chè per essi l’opra è una gran bella cosa, ed uno degli spettacoli più graditi. Un tempo, prima del 1860, con due o tre grana (cent. 6 di lira) si entrava; adesso non ci vogliono meno di cinque grana (cent. 10); e siccome non tutti i ragazzi possono disporre giornalmente di dieci centesimi di lira, accade che solo la domenica e in qualche altro giorno della settimana ci vadano, quando cioè abbiano raggruzzolata quella sommarella, che procura loro una sera di divertimento Che intendere non può chi non la prova...


Luigi Natoli, Giuseppe Pitrè: Il teatro del popolino. Raccolta di scritti storici e popolari  sull'Opera dei pupi. 
La raccolta comprende:
di Giuseppe Pitrè"Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia" (Romania tomo 13, n. 50 - 1884);
di Luigi Natoli:
Il teatro del popolino (Almanacco del fanciullo siciliano - 1925)
L’ Opra (Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 21 maggio 1914)
Le tradizioni cavalleresche in Sicilia (estratto da Il Folcklore siciliano 1926).
Copione dell’Opra Fioravante e Rizzeri tratto dall'omonimo romanzo (1936)
Pagine 270 - Copertina di Niccolò Pizzorno
Nella foto: Il Teatro Argento (Via P. Novelli, Palermo) 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni)

Luigi Natoli: Orlando paladino, terrore dei saraceni, saggio quanto valoroso, ama la giustizia... Tratto da: Il Teatro del popolino

Orlando paladino!
Facciamogli largo, perchè la sua spada Durlindana è terribile: spacca una montagna in due, come se fosse un cocomero. È il terrore dei Saraceni, dei ladroni, dei birbanti; perchè è saggio quanto valoroso, ama la giustizia, e non può tollerare le prepotenze. Senza Orlando, Carlo Magno imperatore non varrebbe un fico secco; i Saraceni si piglierebberoParigi, e quel traditore di Gano di Magonza farebbe morire tutto il fiore dei paladini.
Bello Orlando, non è vero? con la sua armatura di ottone nichelato, che pare argento; elmo piumato, con la visiera mobile;corazza, sopravveste verde, gambali, scudo... Ha un occhio storto, ma non monta. Eccolo piantato in mezzo al campo, e sfidare, con un vocione da mettere paura, i Saraceni; ecco avanzarsi Ferraù di Spagna, gigantesco, barbuto e valoroso Saraceno. Ed eccoli l’uno e l’altro scambiarsi male parole, sguainare le spade, e menar colpi terribili, zan! zan!...Elorganino suona qualche cosa che accompagna il ritmo dei colpi.
L’organino? Ah, guarda, eravamo così assorti ad ammirare Orlando che avevamo dimenticato di dire che il terribile paladino non è un uomo d’ossa e di carne, ma un omino di legno; e che il campo, sul quale compie le sue prodezze, è il palcoscenico di un teatrino; il teatrino del popolo, l’opra di Pupi, o semplicemente l’Opra.
I ragazzi del popolo, i monelli di piazza, i contadinelli, che non possono andare nei grandi teatri, dove si cantano le opere e dove bravi attori recitano commedie e drammi, accorrono all’opra, dove gli attori di legno recitano come quelli di carne. Ed essi li conoscono tutti di nome e di qualità: Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Malagigi, Oliveri, Bradamante, Ruggero, Ferraù, il vecchio Sobrino, il re Gradasso... E quando Orlando punisce un birbone, applaudiscono furiosamente;e quando un traditore ne trama qualcuna, essi lo vituperano e gridano alle vittime designate dai traditori, di guardarsi, come se quelle teste di legno potessero veramente sentirli.
Essi amano i valorosi, ma non i prepotenti;amano la lealtà, ma odiano gli ipocriti; amano i generosi, ma vituperano i crudeli e bestiali.
E in quelle storie di paladini, che sanno a memoria, e che vanno a vedere e a udire, trovano esaltati il valore, la lealtà, la generosità, la fede in Gesù, l’amore e la difesa per la patria, la giustizia, la protezione dei deboli; e vedono punite le sopercherie, le violenze, i ladronecci, i tradimenti, tutte le malvagità.
Ed ecco perchè i ragazzetti, i contadinelli, i piccoli operai si appassionano al loro teatro. Perchè le belle azioni, i nobili sentimenti, le virtù umane ci commuovono e ci empiono di entusiasmo, anche se i personaggi sono di legno.
Nella foto (Il paladino Orlando, realizzato dal maestro Vincenzo Argento - Palermo) 


Luigi Natoli, Giuseppe Pitrè: Il teatro del popolino. Raccolta di scritti storici e popolari  sull'Opera dei pupi. 
La raccolta comprende:
di Giuseppe Pitrè"Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia" (Romania tomo 13, n. 50 - 1884);
di Luigi Natoli:
Il teatro del popolino (Almanacco del fanciullo siciliano - 1925)
L’ Opra (Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 21 maggio 1914)
Le tradizioni cavalleresche in Sicilia (estratto da Il Folcklore siciliano 1926).
Copione dell’Opra Fioravante e Rizzeri tratto dall'omonimo romanzo (1936)
Pagine 270 - Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni)

Federico II e la promessa di liberare il Santo Sepolcro. Tratto da: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano

Federico, uscito di minorità aveva già nel 1215 promesso a Innocenzo III di andare a liberare il Santo Sepolcro: ma la necessità di assicurarsi il regno di Germania conteso da pretendenti, e domarvi le ribellioni; di difendersi dalle pretese della Chiesa, che vantando diritti di sovranità sul regno di Sicilia, – che in vero erano ristretti solamente ai ducati della terraferma, – voleva obbligarlo a lasciare questo regno al figlio Enrico sotto un Vicario; le ribellioni dei baroni pugliesi, la sollevazione dei saraceni in Sicilia, la necessità di riordinare lo Stato, di cui Federico ebbe una concezione veramente moderna; tutto ciò aveva impedito a Federico di mantenere la promessa.
Federico non era un avventuriero nè un gran capitano; e dava gran peso alla diplomazia: inoltre voleva nelle cose vederci chiaro. Certo, rialzare la fama del regno in Oriente, riprendere il posto che esso vi aveva conquistato ai tempi normanni era nel suo piano: ma voleva ottenere il maggior profitto col minimo dispendio; e voleva che l’impresa non fosse disinteressata e a profitto di altri.
Sollecitato da Onorio III, venne con lui al trattato in Ferentino, nel marzo del 1223, nel quale trattato il Papa per invogliarlo, l’Imperatore per acquistare un diritto, fu concertato il matrimonio di questo, già vedovo dall’anno precedente, con Iolanda, o, come altri la chiama, Isabella erede del regno di Gerusalemme, e figlia di Giovanni di Brienne. Qui c’era una condizione dinastica presso a poco simile a quelle dell’Inghilterra e dell’Olanda. Giovanni di Brienne era re nominale, perché marito di Maria di Monferrato, erede e regina di diritto; la quale morendo aveva lasciata erede la figlia. Giovanni di Brienne dunque non era più nulla; portava quel titolo di re come una onorificenza: la regina era Iolanda. Sposando Iolanda, Federico prendeva lui questo titolo.
Ogni cosa per la Crociata fu definita nella chiesa di S. Germano il 25 Luglio del 1225: poco dopo l’ammiraglio Enrico di Malta con l’arcivescovo di Capua e altri, partì con quattordici galee per la Palestina: a San Giovanni d’Acri, nella chiesa di S. Croce, diede, per procura, l’anello a Iolanda, che indi fu solennemente coronata a Tivo dal patriarca di Gerusalemme il 9 novembre, essa sbarcò a Brindisi, dove celebrò le nozze con Federico. 
Egli era in diritto ora di chiedere il titolo di re di Gerusalemme; e mandò infatti trecento cavalieri in Siria, quei baroni lo riconobbero e gli prestarono l’omaggio: ma ecco il papa accusar Federico d’ingratitudine verso Giovanni di Brienne, che si fece apparire, falsamente, come spogliato di un regno, che poi non gli apparteneva! Furono nuove brighe. L’imperatore si difese: mandò Tomaso conte d’Acerra come suo baiulo in Palestina, e intavolò relazioni col Sultano di Egitto Malek-Kamel, il quale, avendo brighe col fratello sultano di Damasco, voleva tenersi amico l’Imperatore più potente; e per mezzo del suo ambasciatore Fakr-Eddin, mandò a offrirgli le città sante, che dipendevano da quello: l’Imperatore alla sua volta mandò al Cairo Berardo, arcivescovo di Palermo.


Luigi Natoli: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano ambientato all'epoca di Federico II, tra Palermo e le crociate di Gerusalemme. Il volume è la fedele riproduzione del romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925. 
32° volume della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli edita I Buoni Cugini editori 
Pagine 527 - Copertina di Niccolò Pizzorno
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Messer Gualtiero e il castello di Baida. Tratto da: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di Federico II

Nel castello di Baida si era in gran faccende, per preparare la roba al barone che doveva partire per recarsi al Parlamento convocato dall’imperatore in Capua per la fine di novembre di quell’anno 1227. Il barone, messer Gualtiero de Urziliana, se ne stava seduto su un seggiolone di quercia, presso una finestra, dalla quale si dominava la vallata, che scendeva tutta verde verso il mare non lontano. Mentalmente tracciavasi l’itirenario per recarsi a Palermo, dove si sarebbe imbarcato, coi suoi cavalli, il suo scudiere, i suoi servi. Dal castello a Castellammare non c’eran che quattro miglia; a Castellammare avrebbe trovato l’antica strada consolare per Alcamo, donde per Partinico e per Monreale, in un paio di giorni, per non stancare i cavalli, sarebbe arrivato nella capitale.
Il bando del Parlamento in verità non lo aveva esaltato: se non fosse stato per una sua norma di vita, di non discutere e tanto meno disubbidire ciò che ordinava l’Imperatore, sarebbe rimasto volentieri in quel suo castello torreggiante sui colli, col mare innanzi, i gioghi del monte Sparagio dietro. Messer Gualtiero non era più giovane; aveva superato i cinquant’anni, e tra i capelli e la barba d’un castano rossiccio, biancheggiavano troppi fili di argento. Nella sua giovinezza aveva combattuto, specialmente nelle fazioni contro quel barbarico Marckwald, che Arrigo VI aveva condotto e lasciato in Sicilia, e che aveva, forse, sognato di strappare la corona al piccolo Federico. Messer Gualtiero era di origine normanna, e devoto alla imperatrice Costanza, ultima della stirpe regale degli Hauteville. Quando il maresciallo tedesco col pretesto di assumere la tutela di Federico invase la Sicilia, e accampatosi alla Cuba, minacciava la reggia, messer Gualtiero, accorso come tutti i baroni siciliani alla difesa del trono, inginocchiatosi dinanzi all’imperatrice, con la spada sguainata nelle mani, le disse:
- Madonna, sulla croce di questa spada, io fo sacramento di non deporre l’arme, e non concedermi riposo, se prima il ladrone alemanno non sarà morto o cacciato con suo disonore dal regno.
E mantenne la promessa.
Morta l’Imperatrice Costanza egli si ritrasse nel suo castello di Baida. Non amava Federico, perché gli pareva che avesse molto del padre: gli pareva che il sangue tedesco prevalesse in lui sul normanno: ma quando l’Imperatore bandiva o parlamento o servizio militare, messer Gualtiero inforcava gli arcioni, e via. Egli era vassallo, aveva prestato omaggio, e doveva ubbidire. Ma, nell’agosto, per sue ragioni non era andato a Brindisi, per prender parte alla spedizione di Terra Santa, morta sul nascere, per la pestilenza scoppiata fra i crociati e la malattia dello stesso Imperatore, che imbarcatosi era dovuto tornare indietro. Per cui era stato scomunicato.


Luigi Natoli: Viva l'Imperatore! Romanzo storico ambientato nell'epoca di Federico II, tra Palermo e le crociate di Gerusalemme 
Il volume è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925.
Pagine 527 - Copertina di Niccolò Pizzorno 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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mercoledì 5 gennaio 2022

Luigi Natoli e l'Epifania

Capo d'anno ed Epifania sono giorni in cui si fanno regali. L'usanza è antica e gentile. Questi regali si chiamano Strenne. In molti paesi i fanciulli credono che quelle notti il Bambino Gesù porti loro chicche, giocattoli e altri doni; e preparano una calza, una scarpa, un cestino. In altri paesi, questi doni sono portati da una vecchia, chiamata la Befana, la notte dal 5 al 6 gennaio. Or vedete un po' la fantasia popolare come trasforma le cose! Il 6 gennaio la Chiesa celebra la visita dei Magi a Gesù; e questa, con parola greca, si dice festa dell'Epifania. I Magi, voi lo sapete, offersero al Bambino oro, incenso e mirra. Ora questa parola Epifania diventò Pìfania, e poi Befana; e il popolo, non sapendo che fosse questa Befana, la immaginò come una vecchia, che porta i doni ai bambini. In molti paesi della Sicilia la parola strenna si trasformò in strina; e la Strina, come la Befana, diventò anch'essa una vecchia che porta i doni per la festa di Capodanno. 

Luigi Natoli


Luigi Natoli: Un frate al quartiere ebraico. Tratto da: Viva l'Imperatore! Romanzo storico siciliano

 
A un pozzo col pretesto di bere si deterse il viso; e così lavato attraversò la via Marmorea, piegò per la vanella dei Santi, che conduceva al Sera del conte Silvestro ed uscì dalla porta del Trabuchetto, che era una di quelle della città antica o Cassaro. Recenti e copiose piogge fin dal principio di quel novembre, avevano alimentato le sorgenti del Cannizzaro o fiume di Maltempo, che scorreva nell’avvallamento fra la città antica e la Nuova. Il giullare dovette scendere fino a trovare il ponticello che congiungeva le due rive. Valicatolo, si diresse verso la Giudecca, che era a pochi passi, più a valle, dall’altra parte del fiumicello. Attraversò la via principale stretta, sudicia fiancheggiata di bottegucce, che avevano l’apparenza della miseria, e giunse così allo sbocco del quartiere, quasi sulla piazza o Sucac el Attarin, cioè mercato di merciai.
Che un frate percorresse il quartiere degli ebrei non era raro: i frati, specialmente i domenicani, si erano fitti in capo di convertire con ogni mezzo, anche con le minacce di orrendi castighi, ebrei e saraceni. In questo avevano buon alleato l’imperatore, che, sebbene per le sue brighe col papa fosse tenuto per eretico, tuttavia ostentava di mostrarsi zelante della Chiesa Cattolica; e per smentire quelle accuse, diventava intollerante verso i non cristiani e gli eretici, e talvolta anche li perseguitava crudelmente.
Il passaggio d’un frate era dunque osservato con diffidenza; e più d’uno, temendo di essere investito con qualche apostrofe più o meno violenta, si ritraeva dentro la bottega o la casa. Ma Silvestro non si curava di nessuno; andò difilato a una bottega di cambiatore, che era allo sbocco della strada, all’estremo confine della Giudecca. La porta era divisa in due per la sua larghezza, da un banco di pietra, che lasciava un varco per entrare, chiuso però da uno sportello, incardinato allo spigolo del banco. Dietro il banco stava seduto un uomo, intento a pesare in una piccola bilancia una moneta d’oro.
All’ombra proiettata da Silvestro, egli alzò il capo, ritirando nel tempo stesso con sollecitudine la moneta, e guardando con malumore e sospetto colui che veniva probabilmente a fargli qualche intemerata: e aspettò che quel frate gli rivolgesse la parola. Silvestro disse:
- Apri lo sportello; t’ho da parlare…


Luigi Natoli: Viva l'Imperatore! Romanzo storico ambientato nella Palermo di Federico II. 
L'opera è la fedele riproduzione del romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296)
Disponibile in libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni)