lunedì 28 febbraio 2022

Luigi Natoli: I cilii e i gonfaloni processionali delle maestranze. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700.

Ogni anno per la festa dell’Assunta, le maestranze andavano in corpo alla Cattedrale ad offrire il cero alla Vergine. Era uno spettacolo. S’adunavano nella chiesa dell’Annunziata, a Porta S. Giorgio, e lì si ordinavano secondo il ruolo fatto dal Pretore, che col banditore e quattro connestabili, provvedeva, e in caso di controversia, decideva. L’ordine era questo. Innanzi andavano i tamburi del Senato, che precedevano un chierico, portante un cero adorno di fronde e di fettucce; al quale veniva dietro la Corte Arcivescovile, col Vicario, i ministri, gli ufficiali, ciascuno col suo cero.  Dopo di queste andava un uomo a cavallo, in arme bianche a cui seguivano le maestranze, secondo il grado e l’antichità, coi loro consoli, portando ciascuno un cero acceso. Le quali allora erano quaranta, fra cui quella dei mugnai, dei carrettieri, dei maniscalchi, dei ferrai, dei calderai, dei carpentieri, dei bottai, dei muratori, dei pescatori, dei calafati, dei panettieri, dei tavernai, dei macellai, degli ortolani, dei fruttaioli, dei venditori di brocche, dei lanaiuoli, dei sellai, dei dipintori, dei cimatori di drappi in dogana, dei calzolai, dei conciatori, dei ciabattini, dei pianellai, degli spadai, degli orefici. Seguivano poi i “cilii” dei barbieri, dei medici, dei banchieri, dei quartieri o rioni: Loggia, Kalsa, Civilcari, Albergheria e Cassaro; infine tenevano dietro i cilii dei magistrati, dei notari, della Regia Corte. 
Ma lo spettacolo non era nel semplice cero, che i maestri portavano; questo era l’offerta, ma ogni confraternita faceva mostra del proprio “confaluni”: “È il nostro gonfalone non uno stendardo o bandiera” – dice il Cascini ne “La vita di Santa Rosalia” – “ma è a guisa d’un albero trionfale, non piantato e fermo, ma portatile in onore di qualche santo dei più celebri, con mirabil arte fabbricato sopra un tronco rotondo, non sì grosso, che col pugno non si possa stringere: girano i primi rami ben folti e vagamente intrecciati oltre a dodici palmi, e alzandosi a proporzione in alto con le puntate foglie, che ritte guardano in su, viene a terminarsi la cima a guisa di piramide quasi in un punto: molto densi sono i rami e le foglie per tutto, fuor che nel mezzo dell’albero, dove lasciano tanto voto, che possa capire decentemente una tavola o statua del Santo, due o tre palmi alta... Or questi gonfaloni... vengon portati con destrezza maravigliosa hor in una palma di mano, hor su l’una or sull’altra spalla, donde trapassano in un batter d’occhio e fin su la fronte, sul mento e sui denti...”
Questa processione si chiamava “cili”, cilio era corruzione del vocabolo “cero.” E la macchina oltre al nome di “confaluni” aveva lo stesso nome di “cilio”, forse perché in origine il cero vi era inserito. 
Questi cilii, o confaluni non esistono più: l’ingordigia della speculazione straniera e l’ignoranza distruttiva dei nostri, hanno disfatto vere opere d’arte, delicati ricami, rabeschi, fogliami, efflorescenze, stilizzati, dorati, più o meno alti, dei quali si può avere un’idea da quello che esiste al nostro Museo.
Nella foto: Altare della Madonna Assunta alla Cattedrale di Palermo 

Luigi Natoli: Palermo al tempo degli SpagnoliOpera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli. Argomenti trattati:

La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Miracoli, superstizioni, pregiudizi... Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500 - 1700

Credere ai miracoli nelle invocazioni era una cosa stabilita, e l’intervento di un santo o beato era cosa giurata e divulgata e trasmessa nel tempo, specialmente in caso di malattia o di un disastro. Così si attribuiva all’intervento della patrona S. Cristina e poi di S. Rosalia la cessazione del morbo pestilenziale del 1557 e del 1575 e del 1624, e non già alle prescrizioni mediche e igieniche. Quando si scoperse il corpo di S. Rosalia, si disse che la peste fu di un subito cessata perché la Santuzza mostrasse il suo patrocinio: la peste durò ancora un anno e cessò quando aveva fatto il suo ciclo. 
Spesso una leggenda sognata o ripullulata nel cervello di un isterico, si tramutava in una miracolosa realtà; come avvenne per quella di S. Oliva. Un’antica leggenda diceva che trovato in Palermo il corpo della vergine, il sangue sarebbe corso a fiumane: “pi santa oliva lu sangu a lavina.” Come fu e come non fu, nel Seicento si sparse la notizia che il corpo della santa si trovava sepolto nella via dove si trovava la chiesa di S. Michele Arcangelo, e precisamente innanzi alla chiesa stessa. E allora si rovesciò l’armata di picconi e di vanghe, e zappa e scava per lungo, per largo, in basso e non trovò che acqua. Ragione per cui il 15 ottobre del 1606 il cardinale Doria minacciò la scomunica a chi, sapendolo, occultasse o nascondesse dove era il corpo di S. Oliva. 
Che dire dei miracoli? Quanti ne fece S. Francesco Borgia in un attimo, non li hanno fatti cento nel corso della loro vita. 
Contro il vento non c’era rimedio che il suono delle campane delle chiese: le campane erano benedette, e il vento era prodotto dai diavoli dell’aria, e come si sa ce n’erano dovunque: nei pozzi, in casa, nei boschi, ecc. E con le campane, sonando a distesa, si era sicuri che il vento cessasse.  Il 15 luglio del 1609 il cardinale Doria ordinò il suono delle campane contro il vento, ed io ricordo che ragazzo vidi scongiurare il vento dalle monache di S. Chiara in Termini Imerese, tanto la superstizione s’era abbarbicata. 
E le locuste o cavallette? Nel 1607 esse infestarono le campagne di Palermo e il Senato dedicò un altare a S. Trifonio nella Cattedrale perché protettore contro le locuste: ma S. Trifonio fu impotente, e le locuste seguitarono a rosicchiare, finchè non si ricorse agli esorcismi. Così ancora nel 1688, quando monsignor Bazzan, dopo aver invocato invano S. Rosalia, S. Agata, S. Oliva, S. Ninfa, eresse un altare fuori Porta Nuova e le scomunicò. 
La scomunica si faceva in questo modo sia in questa occasione sia in altra: il prete delegato dall’Arcivescovo andava in cotta e stola nera, a cavallo d’una mula fuori Porta Nuova o altrove con quattro diaconi anch’essi a cavallo di mule, con torce di cera nera e lì pronunciava la formula della maledizione in latino. Le locuste non se ne davano per intese, manco a dirlo, forse perché non conoscevano il latino. 
Vorrei parlare delle numerose superstizioni che vigevano allora se non fosse che ancora viggono, e non solo in Palermo, ma tra i popoli più inciviliti, come sarebbero il sale sparso, lo specchio che si rompe, l’olio che si spande; mi basta segnare due in uno in Palermo le candele di una forma speciale che si accendevano al “Santo Padre” per aiutare la donna sul parto e le fave benedette da lui che servivano allo stesso scopo. Il “Santo Padre” era da noi S. Francesco di Paola.
E le fattucchiere? Ci saranno sempre ora come allora, e invano gli arcivescovi come il Doria fulminavano bandi per estirparle, non già perché erano un errore e un orrore, ma perché erano suggerite dal demonio, e inducevano le anime a perdersi. Esse si involavano, sia per fare ritornare l’amore in chi era diventato avverso coi filtri o con gusci d’ova bucherati da spilli, sia con scongiuri; e rivaleggiavano coi medici. Nel 1613 al 30 dì Marzo il cardinal Doria fece frustare sette donne e un uomo con le mitre in capo come “magari” ossia fattucchiere...



Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700.
Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Palermo aveva settanta santi patroni... Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700

Palermo era difesa da un esercito di santi, e aveva settanta patroni: S. Mamiliano, S. Sergio, S. Agatone, e in generale tutti i santi palermitani, o creduti tali; le sante vergini, S. Cristina, S. Oliva, S. Agata, S. Ninfa, poi nel 1624 relegate in disparte per lasciare il posto a S. Rosalia, la “Santuzza” per antonomasia; S. Francesco di Paola, SS. Cosmo e Damiano, S. Michele Arcangelo, e finalmente l’Immacolata, in onore della quale i frati minori avevano ottenuto molti privilegi, e nel secolo XVIII in ispecie facevano in suo onore una processione con grandissimo concorso di popolo festante e di moltissimo consumo di “cubaita” e di “pietra fendola” e di focacce. Per chi non è palermitano dirò che la “cubaita” (voce araba) è un dolce composto di sesamo cotto nel miele, saporito al palato, e la “pietra fendola” (parole latine: fendola viene da fendere) è un altro dolce composto di mandorle abbrustolite, di bucce d’arancia cotte nel miele e indurite, ma che si squagliano in bocca. 
La religione si esplicava nelle pratiche prescritte dal Catechismo, nelle processioni, che erano numerosissime, negli atti di penitenza e di tutte quelle funzioni della Chiesa che si compivano come scomuniche, benedizioni, ecc. 
Nulla si può immaginare di più spettacoloso di quello che fossero le processioni in quel tempo; non c’era Chiesa né convento che non intervenisse a quella di una chiesa o di un altro convento, e spesso recando il proprio fercolo o, come si dice a Palermo, bara, o un cilio, o gonfalone. Celebre era la “Casazza” così detta dai Genovesi nel Trecento o nel Quattrocento, che consisteva in una processione figurata della Passione di Cristo, con personaggi che rappresentavano quelli del Vangelo la quale si diffuse con lo stesso nome di Casazze nell’Isola. E grandiose erano quelle del Corpus Domini e quella di S. Rosalia, che successe a S. Cristina. Vi intervenivano tutte le Confraternite, tutti i conventi, tutto il clero, con una infinità di bare e cilii, e spesso, nel portare la bara che era pesantissima, i confrati scherzavano con essa; quelli dei SS. Cosmo e Damiano, per esempio, che reggevano le aste, ogni tanto descrivevano un cerchio di cui la bara era il centro, ed era tanto veloce, che se non c’erano pronti altri confrati, quelli trasportati dal giro andavano per terra gli uni sugli altri. C’erano le bare di S. Francesco d’Assisi e di quelli di Paola, di S. Giuseppe, di S. Giorgio, di S. Cristoforo, insomma di tutti i santi: ultima veniva la bara di S. Domenico, che rimase in proverbio: l’urtima vara è Sannuminicu. Per dire che una cosa arriva l’ultima. 
Solevano i nobili accompagnare il Sacramento a cavallo, ma nel 1595 il Pretore conte del Carretto prescrisse che andassero a piedi, poi l’uso si estese per ogni santo, e diventò costumanza. 
La novena per la nascita di Cristo fu invenzione del padre Mariano Lo Vecchio con luminarie e prediche, prima nella chiesa del convento di S Cita. Egli istituì la processione del Rosario, il recitare del Rosario in coro e la divozione di prendere un santo il primo giorno dell’anno per proteggere una persona tutto l’anno. Morì nel 1581.
Nel 1614 fu condannato nel capo un malfattore impenitente; di ciò impressionati, i confrati di S. Girolamo deliberarono di pregare per l’anima dei condannati; e così sorse la compagnia degli Agonizzanti. La chiesa, dopo aver peregrinato sedici anni, fu eretta nel 1630. La compagnia soleva distribuirsi lungo le vie durante il tragitto del condannato per recarsi al luogo del supplizio; e lì i confrati vestiti di sacco, coperto il volto, pregavano e incitavano gli altri a pregare “per l’anima di quel poveretto” che stava per morire. 
Le quarant’ore furono istituite nel 1607 da don Baldassarre Bologna ad istanza del Senato; poi ebbero concessa l’indulgenza da papa Paolo V il 14 di settembre del 1614.
Nella foto: Statua di San Mamiliano nell'omonima chiesa di Palermo


Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500 -1700. 
Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 


lunedì 21 febbraio 2022

Luigi Natoli: Le campane della torre di Santo Spirito sonavano a Vespro... Tratto da: Il Vespro siciliano. Romanzo storico

 
Con rapidità fulminea, trattogli dal fianco il pugnale, glielo cacciò nella gola due volte, lo levò in alto sanguinoso, gridò:
- Muoiano!... muoiano questi francesi, perdio!...
Un urlo, simile allo scatenarsi di un uragano gli rispose; si videro lampeggiar venti, trenta lame, si udì l’urto formidabile e tremendo della vendetta.
In quel momento le campane dalla torre della chiesa di Santo Spirito sonavano a Vespro.
Sonavano a Vespro le campane, per invitare i fedeli alla preghiera, e chiamare i frati nel coro; e l’ignoto fraticello, salito su la torre indorata dal sole cadente, non sapeva che quello squillo di campana avrebbe segnato nelle pagine della storia una data terribilmente memoranda.
Dalla torre aveva mirato la pianura festante sotto il sole che declinava dietro le vette di Monte Cuccio, aveva veduto il formicolìo della gente, udito il vocìo confuso e disordinato di migliaia di voci senza capire; e aveva sonato, come sempre, l’ora della dolce e raccolta preghiera. Ma giù nel piano, quel che feriva l’aria sul colpo di pugnale che atterrava il sire Droetto, sonò come uno squillo di tromba; come un segno aspettato, come una voce di comando e di esortazione.
Il fraticello continuava a sonare, con gli occhi erranti ora pel cielo, dove vagavano nuvolette, isole d’oro in un mare di porpora.
Ma poi, crescendo il rumore, richinati gli occhi, gli occhi gli si spalancarono di stupore, un fremito gli passò pel sangue; e il suo braccio, quasi mosso da una forza ignota, continuò a sonare, a sonare, a sonare, con nuovo vigore, squilli serrati, violenti di guerra e di strage sopra il tumulto e il balenar dei ferri e il rosseggiare del sangue.
Al veder Droetto annaspar l’aria con le mani e cader rantolando, con la bocca piena di sangue, Ugo de Saint-Victor, Bertrand de Taxeville, Gastone de Brandt snudarono le spade, gridando:
-  Montjoie!... Francesi! a noi!...
I loro compagni li imitarono, gittandosi tutti per trafiggere il giullare; ma questi, buttato in aria il berrettone, e impugnato con la sinistra il liuto dal manico, per farsene uno scudo, aveva nel tempo stesso gridato:
- A me, Damiano!...
- Giordano de Albellis! – gridò il sire de Saint-Victor.
Era infatti Giordano. Al suo grido, prima che le lance spezzate si fossero gittate sopra di lui, un’onda di popolani le investì con bastoni e coltelli, gittandosi improvvisamente addosso ai soldati, atterrandoli, sgozzandoli, al grido:
- Muoiano!... muoiano!...


Luigi Natoli: Il Vespro siciliano. Grande romanzo storico siciliano. 
L'opera è la fedele riproduzione del romanzo originale, pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1915
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 957 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Invia un messaggio alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni).

Luigi Natoli: Il Vespro siciliano. Grande romanzo storico siciliano

Era costumanza allora il Palermo il martedì dopo Pasqua andare a mezzo miglio della città, nella pianura detta di Spirito Santo da una chiesa, e lì alzar le tende, improvvisar taverne e lietamente banchettare, ballare e cantare. Cadeva in quell'anno 1282, il martedì al 31 di marzo e la folla era grande, chè fra tante tristezze cercava di illudersi in un giorno di svago. Quasi per mantenere l'ordine, erano stati mandati un gran numero di sergenti e soldati francesi. Era stato vietato rigorosamente ai cittadini di portare delle armi; di che, uno dei sergenti, veduta una bella giovane, abusando del potere, corse a frugarla disonestamente col pretesto di vedere se nascondesse armi. La donna all'atto inverecondo svenne, e allora un giovane palermitano, infiammato di sdegno, strappato al francese il pugnale dal fianco, glielo immerse nel petto gridando: Muoiano i francesi! Fu un segno di sollevazione popolare improvvisa e tremenda. Coi sassi, coi bastoni, con le stesse armi strappate ai francesi, il popolo furente ne uccise quanti ve ne erano. I sollevati corsero tumultuando in città al grido di morte e la sollevarono. Sonavano in quel momento le campane a Vespro e quell'ora servì più tardi a designare la grande rivoluzione di popolo; e il Vespro Siciliano passò alla storia come esempio dell'ira popolare contro lo straniero. 
Luigi Natoli con la sua perizia di grande storiografo e narratore, ci consegna uno dei capolavori della letteratura popolare mondiale che nulla trascura di quel periodo storico come l'orrenda strage di Agosta, le trame politiche cospirative dei baroni siciliani, l'orgoglioso episodio di Gamma Zita a Catania, la valorosa resistenza della città di Messina al dominio francese degli Angiò. Il romanzo ricco di fatti e personaggi realmente accaduti o esistiti, ci regala l'indimenticabile eroe Giordano de Albellis, intollerante alle ingiustizie, innamorato della sua terra, della libertà e della sua bella Odette.
Edizione interamente restaurata a iniziare dal titolo: "Il Vespro siciliano". 



Pagine 937 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni).

lunedì 14 febbraio 2022

Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. Un inedito di lusso

Tranne qualche rara eccezione tutti i romanzi di Luigi Natoli furono pubblicati in appendice al Giornale di Sicilia con lo pseudonimo di William Galt. Alcuni di questi ebbero la fortuna di essere stampati in libro grazie all'interessamento di qualche casa editrice, mentre altri rimasero nelle ingiallite pagine dei giornali abbandonati a un ingrato oblìo. Dal 2014 I Buoni Cugini editori, dopo un complesso lavoro di ricerca e ricostruzione, hanno pubblicato questi romanzi dimenticati e finalmente capolavori come Squarcialupo, Alla guerra!, Gli ultimi Saraceni sono stati restituiti al pubblico, alcuni a distanza di cent'anni. I mille e un duelli del bel Torralba è l'ultima delle opere da noi strappata all'abbandono, ed oggi, a più di novant'anni dalla pubblicazione sul Giornale di Sicilia della prima puntata, rivive in libro incontrando nuovi lettori proprio come un inedito. Un inedito di lusso. 
Fabrizio è il secondogenito della nobile famiglia dei Torralba. In base alle leggi del tempo, titoli e ricchezze sono tutti del primo figlio maschio. A lui e al fratello minore spetta solo il cavalierato e un misero assegno mensile, troppo poco per chi ha lo smisurato bisogno di affermarsi nella società che conta. Troppo poco per chi ha un temperamento irrequieto e ribelle: per chi ama l'avventura, le donne, la bella vita e tutto questo per Fabrizio è sempre poco e tutto converge nella punta della sua lama. Strana vita la sua, che l'obbligava a stare sempre con una spada in pugno. Ma Fabrizio è anche portatore dei nobili valori dell'animo, e accorre di continuo in difesa degli oppressi e indifesi. Tutela il suo onore e quello di chi gli sta accanto, meglio se è di una bella dama. 
In questo romanzo del grande narratore siciliano, Fabrizio di Torralba non è l'unico protagonista: egli divide le scene con la ricchissima Palermo borbonica dei primi dell'800, fedele al Re e al contempo incubatrice di idee giacobine, sotto l'influenza inglese e la rassegnazione di un popolo affamato. 

Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine ‘700, nei primi anni della dominazione borbonica. L’opera, mai pubblicata in libro, è stata costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 456 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online. 
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Non solo duelli... Tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba. Romanzo storico siciliano

 
I duelli furono due, fissati per le ore mattutine: il primo col duca di Campolongo, a dodici ore, dietro S. Francesco di Paola; Fabrizio ebbe un colpo al fianco, che se fosse stato un pollice più in qua, l’avrebbe trapassato da una parte all’altra: fortunatamente sfiorò l’osso dell’anca. Il duca invece ebbe una stoccata al braccio, così profonda, che non potè più reggere la spada. L’altro duello ebbe luogo a tredici ore, nello stesso campo. L’avversario di Fabrizio era il conte di Rosmarina, sorteggiato fra i cinque cavalieri, che erano intervenuti in corpo per assistere allo scontro; la presenza dei quali fece impallidire Ribera, che aveva accompagnato l’amico. Il conte di Rosmarina era un buon tiratore; e lo scontro fu vivace e lungo; senza che i due avversari giungessero a scalfirsi. A un certo punto uno dei quattro signori che assistevano si interpose: bastava: non c’erano offese così gravi da doversi lavare col sangue; i due avversari avevano dato prove più che sufficienti di coraggio e di maestria nelle armi; di esser capaci di sostenere le proprie idee; pregava che posassero le spade; non potendo permettersi che due gentiluomini così valorosi si uccidessero per una parola vivace che forse il cavaliere Torralba da vero cavaliere in cuor suo riprovava.
Allora Fabrizio disse: - Per quanto mi riguarda, dichiaro che io non ho nessun sentimento di odio per prolungare questo duello; ma sono a disposizione del conte; e tocca a lui troncarlo o no.
- Ebbene, signore, – disse il conte, – io sono soddisfatto.
- Ed allora, signori miei, vi prego di accogliere le mie scuse per una parola alla quale non era nelle mie intenzioni di attribuirle un significato lesivo dell’onore delle signorie vostre.
Finì, naturalmente, con una pacificazione generale: erano giovani, senz’odio, pel cui animo il puntiglio, una volta soddisfatto non lasciava tracce. Ritornarono tutti insieme, lieti che la contesa fosse finita senza sangue e con onore di tutti; ma più lieto era Ribera che, deposta ora la paura, aveva assunto la sua aria spavalda e ripresa la parlantina. Fabrizio ritornò a casa, dove nessuno sapeva dei suoi duelli; e avendo fame si fece servire una tazza di cioccolato aspettando l’ora di andare dal Capitano di Giustizia, per domandargli con le buone o con le cattive la liberazione del servitore.
La saletta dove egli sorbiva il cioccolato, aveva una piccola finestra un po’ alta che dava in un cortile appartenente ai padri delle Scuole pie, e dove in certe ore i ragazzi che frequentavano la scuola del pianterreno, facevano la ricreazione. Proprio quella era una di queste ore; e Fabrizio, in mezzo al chiasso, sentì a un tratto levarsi alte grida di dolore.
- Che diavol fanno quei ragazzi? Si ammazzano?...
Le grida continuavano laceranti; egli non ne potè più; ubbidendo al suo istinto di accorrere dovunque udiva piangere e gridare, trascinò la tavola sotto la finestra, vi montò sopra, e sporse il capo. Vide in mezzo alla corte un frate grande e fatticcio, che menava colpi furiosi con una ferula sul dorso di un ragazzetto che, tenuto a cavalcioni da un altro giovane, urlava a ogni sferzata e implorava pietà.
Lo spettacolo era ripugnante: Fabrizio si ricordò della Quinta Casa; per mettervi fine, gridò:
- Padre, mi faccia la grazia di perdonare quel povero ragazzo.
Il frate alzò gli occhi, cercò, vide quella testa che sbucava fuori da quella finestra che pareva un buco, e non rispose; anzi alzò la ferula per continuare il supplizio...


Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba – Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine ‘700, primi anni della dominazione borbonica. L’opera, mai pubblicata in libro, è stata costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 456 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: I duelli di Fabrizio di Torralba. Tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba. (romanzo storico siciliano)

Strana vita la sua, che l’obbligava a stare con una spada in pugno. E tuttavia egli riconosceva che non era un attaccabrighe: vivace sì, e insofferente di prepotenze e ingiustizie; e se si batteva gli era appunto per questo. Facendo l’esame della sua vita si trovava già con una ventina di duelli sulla coscienza. Gli ultimi sostenuti a Parigi non avrebbero potuto essere più buffi, salvo uno, con quel capitano Verger che aveva creduto di offrirsi come un successore di Montlimar e aveva suscitato lo sdegno di Rosalia. Fabrizio aveva trovato ingiuriose quelle proposte, il capitano gli aveva detto che non aveva bisogno di lezioni; Fabrizio aveva rimbeccato, ne era corsa una sfida, si erano battuti, il capitano aveva ricevuto un colpo alla testa che lo aveva tenuto per un mese a letto: Fabrizio un colpo al braccio e se l’era cavata in quindici giorni. Ma gli altri duelli? Li passava in rassegna. Una volta si era battuto perché aveva riso al vedere un moscardino con un enorme colletto che gl’imprigionava il mento, e così largo che il capo gli si moveva dentro come la testa di una tartaruga nel guscio. Il moscardino si era fatto rosso come un gambero, lo aveva investito con un “che c’è da ridere imbecille?” al che egli aveva risposto: “rido perché ho trovato uno più imbecille di me”. Il moscardino aveva alzato il bastone a spirale. Fabrizio gli aveva buttato in faccia il vino di un bicchiere, sciupandogli la cravatta, la camicia e il panciotto di seta bianca. E naturalmente si erano battuti. Povero bellimbusto!... ci aveva rimessa un’orecchia, portata via da un colpo di sciabola. Un’altra volta, per un cane. Un signore batteva spietatamente un cane, che non voleva seguirlo perché aveva la testa a una graziosa cagnetta. Egli aveva fermato il braccio di quel signore, dicendogli: – “Oibò! Non è da animo gentile battere così le bestie!” – Quel signore gli si era voltato rabbiosamente: egli, col suo sorriso beffardo, si era scusato: – “non sapevo che foste idrofobo”. – Quello a sentirsi preso per cane lo aveva sfidato lì per lì. Si erano battuti; e Fabrizio lo aveva ferito nella mano, perché si ricordasse di non picchiare più le bestie a quel modo inumano. Un altro duello aveva avuto per difendere un commediante che non godeva le simpatie di una parte del pubblico della 
Comedie Francaise. Uno spettatore lo interrompeva durante la recita con sghignazzamenti e rifacendogli caricatamente il verso. Fabrizio gli aveva osservato puntamente che non c’era carità a tormentare quel pover’uomo, e quello a rispondergli che se non gli piaceva se ne andasse. Fabrizio aveva ribadito: – “Me ne andrò con voi, signore, per avere il piacere d’insegnarvi la buona creanza”. L’altro, fattosi più arrogante, s’era subito alzato per dare uno schiaffo, che era rimasto in aria perché Fabrizio, più lesto, gli aveva fermato la mano, ripiegandogli il braccio, e costringendolo a schiaffeggiarsi da sé. Erano stati separati, ma il domani si erano battuti: l’avversario, confuso dal giuoco rapido e insostenibile di Fabrizio, gli aveva voltato le spalle, e il ferro di questo lo aveva colpito in una natica. – È il solo posto dove vi si possa colpire!” – gli aveva detto Fabrizio, andandosene.


Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba – Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine ‘700, primi anni della dominazione borbonica. L’opera, mai pubblicata in libro, è stata costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 456 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Il primo duello... Tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba

 A ventidue ore meno qualche minuto Fabrizio di Torralba giungeva al bastione di Porta di Castro. Questa porta secentesca a bugna, d’una bella tinta dorata non esiste più; il bastione c’è ancora, ma sguarnito da un pezzo: esso circonda il torrione meridionale del Palazzo reale, dominante la porta, e gira sulla piazza ora detta dell’Indipendenza. Allora si chiamava di santa Teresa, pel convento dei Teresiani che sorgeva a uno dei lati. Un corpo avanzato, munito di feritoie, faceva come una trincea a questo lato del bastione, che si prolungava poi per quanto era lungo il Palazzo reale, e ne sosteneva il giardino, e svoltava a Porta Nuova, di cui primamente era la difesa.
Fabrizio giunse primo, e aspettò al canto del corpo avanzato: ma qualche minuto dopo giunse il tenente di Roccasparta. Si salutarono con un freddo cenno del capo; e ritrattisi più in fondo, snudarono le armi e si misero in guardia. Allora, due che volevano sbudellarsi  non si perdevano dietro regole e formule cavalleresche: la cavalleria era in questo, nell’aver coraggio a battersi lealmente. Aver testimoni non era indispensabile, e tanto meno medici; i testimoni qualche volta si conducevano. Quando il duello aveva una certa solennità, era preceduto da un cartello di sfida, redatto secondo le formule e il cerimoniale dell’epoca: ma quando la sfida correva così, come era corsa tra Fabrizio e il tenente, non c’era bisogno di nulla.
Il tenente era in uniforme, aveva in capo la lucerna alta col fregio dorato, ed era armato della spada d’ordinanza, larga e lunga; Fabrizio toltosi il mantello e il nicchio, era in giamberga e armato di spadino, che pareva un gingillo al paragone della spada avversaria: ma il gingillo era una vecchia lama di Toledo di eccellente tempra.
Il cavaliere di Roccasparta si mise in guardia con aria spavalda, da uomo avvezzo a quel giuoco, stimando di mandare dopo due o tre movimenti lo spadino in aria, dare una sculacciata al temerario giovincello, e mandarlo a casa. Fabrizio era alle sue prime armi.
Scese in guardia, senza spacconeria, vigilante, cercando di leggere negli occhi e nella mano dell’avversario le azioni che avrebbe sviluppato. Alle prime mosse Fabrizio capì che il tenente cercava di disarmarlo, e allora mutò giuoco: s’era fin qui limitato a seguire l’azione del tenente, per conoscerne la portata; ora passava alle iniziative, e attaccò con una serie di azioni rapide e travolgenti, che costrinsero il Roccasparta ad indietreggiare.
Con una fulminea cavazione, lo spadino s’insinuò e colpì all’omero il tenente.
- È una! – disse Fabrizio, rimettendosi subito in guardia.
- È nulla! – rispose il tenente, assalendo con un fendente che avrebbe spaccato in due Fabrizio, se questi non avesse con un salto di fianco scansato il colpo e nel tempo stesso affondato una stoccata, che, pur alleviata in qualche modo, colpì al viso. Un mezzo pollice più in qua sarebbe penetrata nella bocca.
- E due!...
Il tenente abbassò la spada. Il sangue gli colava copioso dalla faccia e dall’omero.
- Basta! – disse – vi faccio i miei complimenti.
Fabrizio gli si avvicinò, gli porse la mano:
- Senza rancore! – rispose. – E lasciate ora che vi soccorra...


Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel TorralbaOpera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine ‘700, primi anni della dominazione borbonica. L’opera, mai pubblicata in libro, è stata costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 456 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 


martedì 8 febbraio 2022

Luigi Natoli: Una sommossa era scoppiata contro i rappresentanti della cittadinanza... Tratto da: I cavalieri della Stella o La caduta di Messina.

 
Dal 23 di marzo infatti la città di Messina era in preda a fiere convulsioni, che avevano avuto tristi episodi di sangue. La fame da una parte, le istigazioni dello stratigò dall'altra, avevano scatena­to il popolo contro la borghesia e il patri­ziato. Una sommossa era scoppiata, non contro il governo regio, ma caso nuovo, sollecitata e capitanata dallo stesso rap­presentante del governo contro i rappre­sentanti legittimi della cittadinanza. Era ciò che don Luigi de l'Hoyo aveva da un pezzo tentato, e che final­mente gli riusciva. Ed era appunto ciò di cui egli, a modo suo, andava informando con corrieri speciali l'illustrissimo ed ec­cellentissimo signor don Claudio Lamorald, vi­ceré di Sicilia.
Il raccolto era stato nell'estate prece­dente scarso quanto mai, e la insipienza dei governanti, accresciuta dai pregiudi­zi economici e anche dalla privata ingordigia di qualche ufficiale dello Stato, ave­va gittata l'isola negli orrori della carestia. Se nelle maggiori città, con provve­dimenti rovinosi, i municipi, anche ridu­cendo il peso e la quantità del pane, giun­gevano a non far morire di fame le popo­lazioni; nell'interno dell'isola, nelle terre demaniali e feudali non restava alle po­polazioni esauste che nutrirsi di erbe ra­cimolate per le montagne.
L'inverno coi suoi rigori trovava l'i­sola in tali condizioni: a liberarsi dalle quali gli abitanti delle provincie non tro­vavano altro scampo che di accorrere nella città. Un bando del Viceré, che allontana­va dalla sola città di Palermo ben cin­quantamila provinciali, e li mandava a morir di fame tra’ monti, o a darsi al la­droneccio e all'assassinio, può dare una pallida idea di quel che fosse in quei giorni lo stato dell'isola.
Messina, per quanto ricca di com­merci, non si trovava meglio. Il frumento mancava e mancava il pane. Fin dal settembre il Senato se ne preoccupava, e dava incarichi di provve­dere, e sollecitava aiuti dal Viceré: ma sen­za frutto. Non mancarono coloro che al Vicerè fecero presente i pericoli in cui si incorre­va per la eccitazione del popolo ammise­rito; ora era il castellano del forte Gonza­ga che gli scriveva scarseggiar da otto giorni il pane, e la plebe assalire e depre­dare i forni; ora il castellano del forte del Salentore avvertiva che la rivolta minac­ciava la città.
La città era ridotta al punto da dover forse numerare le anime e dividere il pa­ne a tanto per testa, e con bigliettini, o polizze.
Uno squallore, un'ansia paurosa di mali peggiori, un turbamento profondo degli spiriti, avevano mutato l'aspetto della città. Due che s'incontravano, si fermavano, fermavano altri; si formavano crocchi, si scambiavan querele, si propa­lavano notizie più o meno vere, si formu­lavano accuse più o meno fondate; si pronunciavano bieche parole, si ventila­vano oscure minacce. Ogni giorno che trascorreva, era una nuova voce insidio­sa, un nuovo affaccendarsi di gente; altri propositi, altre minacce: gli animi si eccitavano, si infrangevano i freni della legge; i furti, i ricatti, i ferimenti aumen­tavano; aumentava la rilasciatezza delle autorità, cresceva la insolente baldanza dei pescatori nel torbido.
L'illustrissimo signor don Luigi de l'Hoyo, fingevasi addolorato di questa miseria; ah! come piangeva al racconto dei dolori e dei tormenti della fame!... Aveva aperto il palazzo a quanti ricorre­vano a lui, e a tutti dava buone parole. 
- È una disgrazia figliuoli; ma bi­sogna rassegnarsi e fidare sulla Provvidenza Divina: io farei di tutto per darvi pane... saprei dove trovarlo il frumento... Ma!... Ma posso io usurpare il potere del Senato? Posso in coscienza far qualche cosa contro i privilegi e le prerogative di que­sta città? Ditelo voi!... Si direbbe... Che cosa non si direbbe?... Deve pensarci il Sena­to; io lo aiuterò, non dubitate...
- Eh! – sclamava qualcuno; – i senatori ce l'hanno il pane, in casa; non soffrono la fame loro!... 
Lo so, lo so;  rispondeva don Luigi de l'Hoyo con un sospiro;  nei lo­ro magazzini il frumento non manca di certo. Ma è cosa tutta di loro... Possono anche venderlo, mandarlo via... Sono pa­droni di farlo. Chi volete che glielo impedisca?...
- Ladri! ladri! Affamatori!... – urla­vano ferocemente e disperatamente i più miserabili.
- Zitti! zitti! cos'è questo? Non sta bene. Sperate in Dio e nella Santa Vergi­ne della Lettera  (e don Luigi si scap­pellava e s'inginocchiava).  Sperate che tocchino loro il cuore e li illu­minino...
Da questi discorsi, che si ripetevano con la stessa untuosità, penetrava nell'a­nima della plebe il convincimento che affamatori della città fossero i senatori....
“Pubblici ladroni qualificati” li an­davano chiamando i familiari dello stra­tigò; e l'ingiuria raccolta dallo stesso stratigò veniva comunicata in un lungo memoriale al Viceré, come una verità di fatto. Lo stratigò aveva dopo la sconfitta patita il 25 di luglio del 1671, composta una sua società segreta, una specie di setta da contrapporre alla setta dei patrizi e del­l'alta borghesia; l'aveva composta di po­polani maneschi e capaci di ogni disor­dine; alcuni dei quali, però, dal Senato che aveva sventato la trama, erano stati carcerati e banditi.
Costoro andavan diffondendo le no­tizie più odiose contro il Senato.


Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico siciliano ambientato a Messina durante la rivoluzione e la carestia che colpì la città dal 1672 al 1679. L’opera, che vede al centro l’Accademia dei Cavalieri della Stella, è costruito e trascritto dal romanzo originale pubblicato a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia nel 1908.
Pagine 947 – Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni)


Luigi Natoli: Era questo il prologo della tragedia che doveva insanguinare Messina... Tratto da: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina


Quel torrente impetuoso di folla affamata si versò nel­la via dei Banchi, per recarsi al palazzo del Senato: innanzi a tutti il Martines agi­tando la spada. Il gridìo, il rumore delle botteghe che si chiudevano precipitosa­mente, il fuggi fuggi delle donne, chiama­rono altri sulla strada. Un cavalier Spatafora, sdegnato di quelle grida di morte, af­frontò la folla briaca, rimproverandola. Il Martines rispose tracotante, il cavaliere snudò la spada, ma qualche arrabbiato gli fu addosso, lo ferì di coltello alla nuca. Fu il primo sangue versato nella guerra civile, e forse sgomentò gli sciagurati che lo versavano. Al cadere dello Spatafora, si arrestarono, si sbandarono.
Il pericolo dell'aggressione convocò i senatori, e intorno ai senatori i loro par­tigiani: deliberarono di ricorrere allo stratigò e chiedere energicamente giusti­zia; ma lo stratigò ne era in cuore arcicontento. Si mostrò addolorato, perfino sdegnato; promise di punire lo scellerato Martines; mandò anzi guardie e birri, che, naturalmente non lo trovarono; e lo bandì con tutte le forme: ma sapeva già che il Martines era al sicuro nel forte di Gonzaga, e sottomano scriveva alla corte per implorarne clemenza.
Era questo il prologo della tragedia che doveva insanguinare Messina, e doveva preparar la caduta di tutte le sue li­bertà municipali: il sangue sparso e la impunità del reo, dividevano la città: alle due fazioni il degno stratigò si affrettava a dare un nome.
Il Senato comprese che non era più tempo di infingimenti, e che bisognava guerreggiare apertamente con­tro la plebe sollevata e istigata e contro lo stratigò che se ne era fatto il tribuno; chiamò sotto le armi i Cavalieri della Stella, ordinò le milizie cittadine con le maestranze e la borghesia fedeli alle isti­tuzioni della città e nemiche di Spagna; la setta dal canto suo si moltiplicò; tutti i suoi adepti formarono ronde, posti di guardia, avvisatori: la città parve in stato di guerra; e parve che l'autorità dello stratigò fosse annullata. Dei corrieri par­tivano ogni giorno per Palermo, spediti dal Senato; ma altri ne partivano spediti dallo stratigò, che non se ne stava con le mani alla cintola.
Ogni notte, in una casa remota del quartiere di S. Giacomo, l'illustrissimo signor don Luigi de l'Hoyo s'abboccava con i più avventati popolani; e tutti i suoi discorsi finivano a un modo, che i mali della città derivavano dal potere del Se­nato, e che non c'era altro rimedio che mettersi del tutto sotto la potestà del re.
- Il re è il vero padre dei sudditi, per volere di Dio; ma come mai voi, che siete suoi figli, vi sottraete alle sue cure paterne? Il Senato usurpa il potere legitti­mo del re!... 
Bisognava strappargli quel potere, stabilire il buon governo, aprire i ma­gazzini di frumento al popolo, dargli pa­ne e felicità: ma bisognava anche essere costanti e fedeli nella devozione al re e ai suoi ministri. Vedevano il suo stemma? Aveva per insegna un merlo, simbolo della costanza, che quando becca una cosa, non se la lascia sfuggire: essi dove­vano essere appunto come i merli.
- E noi siamo merli!  gridavano quegli ardenti.
Il nome del nero uccello dal forte becco, parve il segno, la bandiera, il mot­to d'ordine della fazione popolare, che, per una di quelle anomalie non rare nel­la storia, era anche la fazione che mina­va le istituzioni patrie, per asservirsi al­l'assolutismo regio. Il nome uscì da quei conventicoli; si diffuse tra le plebi, tra gli artigiani, gli impiegati regi, qualche nobile, i gesuiti, i vagabondi; esser merlo significò essere nemico dell'oligarchia del Senato, parti­giano del governo regio; e pareva titolo d'onore.


Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico siciliano ambientato a Messina durante la rivoluzione e la carestia che colpì la città dal 1672 al 1679. L’opera, che vede al centro l’Accademia dei Cavalieri della Stella, è costruito e trascritto dal romanzo originale pubblicato a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia nel 1908.
Pagine 947 – Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

Luigi Natoli: Queste voci partono da una folla, come dal fondo perduto di una voragine... Tratto da: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina

- Ah! sono merli? 
 disse qual­cuno del partito cittadino tradizionale.  e noi siamo “malvizzi”(tordi).
E anche questo nome diventò un sim­bolo, un segno, una bandiera; e malvizzi furono i cittadini dell'ordine senatorio, i nobili, i mercanti, il clero, i frati, parte delle maestranze. La divisione ebbe così i suoi nomi: la città si spartì tra Merli e Malvizzi, gli uni considerando gli altri come traditori; le piazze, le strade, le case, i conventi me­desimi e le chiese, si tramutarono in un campo sul quale le due fazioni scendeva­no coi rimproveri, le ingiurie, le minacce, le persecuzioni. Il Senato imprigionava i Merli; lo stratigò perseguitava i Malvizzi: don Luigi de l'Hoyo, sicuro oramai di avere oltre al presidio dei castelli la parte più manesca della cittadinanza, gittava la maschera. 
L'ultimo di quei segreti convegni av­venne la notte del 29 marzo. Che cosa disse lo stratigò? Che cosa promise? Pri­ma di ritirarsi nella reggia egli diede un labaro nero, da una parte del quale era un Cristo crocifisso, dall'altra la Vergine: quelle due immagini, significazione di pace, di concordia, di carità eran segno di guerra, d'odio, di distruzione.
La mattina del 30, sul far del sole, una gran folla, con quella bandiera alla testa, invase le vie principali, gridando: “Viva Maria, viva il re di Spagna, morte ai traditori!”. Un nuovo esercito veniva ad aggiun­gersi alla folla dei “Merli”; erano i pezzen­ti, che lo stratigò malignamente aveva fatto uscire dal Ser­raglio, specie di ospizio di mendicità, dove stavan rinchiusi non certo volenterosa­mente: erano un migliaio di miserabili, quali storpiati dalla natura, quali defor­mati da malattie; molti serrativi per vaga­bondaggio: una vera corte di miracoli, luri­da, avida, feroce, piena di tutti i rancori, di tutte le brame, di tutte le ferocie annidantesi nel fondo oscuro della bestia umana. Uscivano tumultuando, urlando in una ebbrezza di luce e di aria che molti­plicava le loro torbide passioni. Il rumo­re delle grucce e dei bastoni, l'agitar dei moncherini aumentava l'orrore e il ri­brezzo che destava quell'esercito di re­spinti dalla natura.
- Viva il re di Spagna! morte ai tra­ditori!... – urlavano raucamente con bocche contraffatte e con volti segnati da mali orribili, annusando nell'aria l'odore delle rapine e delle violenze.
- Viva il re di Spagna! viva Maria!...
- Alla casa di Silvestro Fenga! alla casa di Silvestro Fenga!...
Silvestro Fenga era uno dei senatori, che godeva fama di grande ricchezza: poté salvar sé da quella furia del popolo, non la casa. Fu la prima a essere sac­cheggiata e data alle fiamme, e di essa non rimasero, scrisse un testimonio “né meno li vestigi ov’erano li solai, e s'udiva una gran puzzura di zolfo e pareva abissasse l'aria”. Nell'orgia del saccheggio e mentre le fiamme crepitavano un'altra voce gridò: 
 All'Albergaria!...
Chi l'aveva detto? Queste voci parto­no da una folla, come dal fondo perduto di una voragine. Nessuno vede la bocca che la pronuncia; ma tutti l'odono e la sentono rifluire nelle loro bocche; e il pensie­ro di uno si tramuta a un tratto in pensie­ro di tutti, tutte le volontà diventano una volontà sola, formidabile, terribile, gigantesca!...
L'Albergaria era una prigione che sorgeva nel quartiere dello stesso nome; e racchiudeva i delinquenti popolari, gen­te avvezza al delitto. Quale contributo di forze non avreb­be portato all'opera di devastazione? In breve i cancelli di legno furono spezzati, bruciati, i registri arsi, i carcerati liberi. Lì presso era la casa di Antonio Bottone, altro senatore; fu assalita, deva­stata, saccheggiata; non vi rimase un chiodo. Il furore pazzo e incendiario aveva invaso la folla; una dopo l'altra le ca­se dei senatori cadevano sotto l'impeto di quell'esercito scarmigliato, simile a un torrente contenuto, al quale improvvisa­mente tolgono le cateratte, e rovina con fracasso, e nella sua rovina trascinando ogni cosa...


Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. Romanzo storico siciliano ambientato a Messina durante la rivoluzione e la carestia che colpì la città dal 1672 al 1679. L’opera, che vede al centro l’Accademia dei Cavalieri della Stella, è costruito e trascritto dal romanzo originale pubblicato a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia nel 1908.
Pagine 947 – Prezzo di copertina € 26,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online. 
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15)