"I nostri romanzi sono una lettura eletta ed altamente appassionante, essi sono opera del grande WILLIAM GALT"
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lunedì 28 dicembre 2020
Luigi Natoli e i suoi romanzi storici ambientati nel Medioevo siciliano editi I Buoni Cugini editori
Luigi Natoli: La taverna di Saverio il Tripposo. Da: La Vecchia dell'Aceto. Romanzo storico siciliano.
Lo zu’ Andrea volgendo lo sguardo ora all’uno or all’altro dei suoi colleghi che gli stavano ai lati, come per averne il consentimento, osservò che la condotta di don Agostino poteva soltanto giudicarsi, quando si sapessero le mancanze che verso di lui aveva commesso don Gaetano.
Luigi Natoli: Il "cristiano" nella Palermo del 1700. Tratto da: La vecchia dell'aceto.
Fra questa gente, parca di parole e di gesti, che si padroneggiava e si vigilava, le adunanze prendevano spesso un carattere di tribunali: c’era da giudicare la condotta di qualcuno accusato di aver mancato ad un codice particolare, non scritto, nè sanzionato da nessun principe, ma formatosi a poco a poco, rinsaldatosi nella tradizione, osservato con scrupolo, più che le leggi dello Stato, da tutta quella classe di persone, che allora si dicevano “uomini” per antonomasia, o “cristiani” alla quale apparteneva don Agostino. Non era una associazione vera e propria; ciascuno viveva per sé, sapeva di valere, e teneva a distinguere la sua personalità: ma riconosceva il valore degli altri “cristiani”, aveva per loro rispetto, e, se di maggiore età, non servile ma spontanea deferenza, e ne era ricambiato. Qualche “affare” riuniva due o quattro o più “cristiani”, che “lavoravano” ciascuno per la sua parte, senza ingannarsi, con un sentimento di onestà particolare. Avevano un sentimento quasi fanatico di quello che per loro era l’onore: non commettevano soperchierie sopra i più deboli; se una quistione insorgeva fra loro, e non c’era altro mezzo di risolverla, ricorrevano al duello: arma, il coltello, ma di una stessa dimensione: il che si diceva “paranza”; si battevano dinanzi a testimoni: ma qualche volta, se c’eran per mezzo motivi d’onore, facevano a meno di questa formalità, e il duello non cessava che con la morte. Ma più spesso si ricorreva ad un arbitro, che di solito era un “cristiano” più autorevole, al quale, volontariamente i contendenti si rimettevano e ne accettavano il giudizio, che era sempre retto; e ne seguiva la pace, suggellata con un banchetto. L’arbitro qualche volta invitava altri “cristiani” autorevoli; e allora l’adunanza acquistava un carattere di solennità; e gente la quale non riconosceva l’autorità della giustizia, e aveva poco rispetto per le persone della chiesa, s’inchinavano dinanzi a quel sinedrio con una reverenza quasi religiosa.
lunedì 30 novembre 2020
Luigi Natoli vola in Bulgaria con l'opera teatrale inedita in dialetto siciliano l'Abate Lanza, tradotta e pubblicata in bulgaro
Grazie alla traduttrice Daniela Ilieva l'opera inedita in dialetto siciliano di Luigi Natoli "L'abate Lanza" (fa parte del volume "Suruzza!" che raccoglie tutte le opere teatrali in dialetto siciliano) è stata tradotta in bulgaro e pubblicata in Bulgaria da una casa editrice impronunciabile per noi italiani, ma che ringraziamo di cuore anche a nome dell'illustre autore, che da lassù sarà ben felice di avere dei lettori bulgari.
Una gioia immensa per noi editori, che dall'antico manoscritto dell'autore abbiamo ricostruito l'opera inedita in siciliano... vederla tradotta in Bulgaro è incredibile.
martedì 24 novembre 2020
Luigi Natoli: Squarcialupo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1517.
Parlava col volto acceso da una fiamma interna, che rendeva calda e appassionata la parola. Tristano, sebbene avesse gran premura di andarsene, ne rimaneva talvolta preso, e lo ammirava: e gli pareva che Giovan Luca si ingrandisse, e si illuminasse di una luce nuova. Non era più quel pensoso, che pareva sdegnoso di parlare, o parlava breve e a sentenze: pareva qualcosa fra l’oratore e il condottiero; un sovvertitore di popolo e un dominatore. Certamente aveva un’idea, che non rivelava ancora, forse era l’idea madre, dalla quale si generavano tutte le sue azioni, anche caute, quasi saggiature; ma che al momento opportuno, si sarebbero svolte in tutta la loro pienezza. Con tutto ciò appariva agli occhi di Tristano come un uomo nuovo.
Attendeva a preparare i modi e i mezzi per attuare quel suo vecchio disegno di riscossa per cacciare lo straniero, e istituire un governo democratico, come quello che fece la gloria di Pisa. Era l’idea accarezzata fin da quando cominciò a leggere le pagine di Livio, maturatasi col progredire negli studi umanistici, fattasi assillante in quei rivolgimenti, e allo spettacolo delle violenze e delle ladronerie del vicerè don Ugo. Che quelli non fossero tempi di repubblica, che questa repubblica vagheggiata da lui era un anacronismo, sfuggiva alla esaltazione del suo spirito, che lo illudeva di speranze e di sogni eroici.
- Ebbene, non si può estendere a tutta la Sicilia, e fare del regno una grande Repubblica? Questo è il mio sogno; ma forse voi non ne vedete tutta la bellezza, perchè le vostre idee sono diverse dalle mie, quanto alla forma del governo.
lunedì 23 novembre 2020
Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri, parla l'autore. Tratto da: Fioravante e Rizzeri, romanzo ambientato nella Palermo del 1920
Quanti hanno letto il magnifico libro dei “Reali di Francia”?
Il trovarlo sui muriccioli, stampato Dio sa come, o nelle case dei contadini e degli umili, che se ne fanno assidua lettura, disdegna le anime gentili di comprarlo o di guardarlo. Né si trova dai librai. Essi vi hanno bensì l’ultima “creazione” moderna, che è morta prima di nascere, ma che rechi la cantafera di una qualche signora, piuttosto un libro che ha novecento anni addosso, quanti ne ha la “Divina Commedia”.
Perché i “Reali di Francia”, nella veste che lor diede Andrea da Barberino, rimontano al trecento, e sono citati fra i testi classici, e costituiscono per noi la nazionalizzazione della materia epica francese, che sarebbe per il nostro cantafavole italiano.
Che narrano i “Reali di Francia” infatti?
Narrano la storia come da Costantino imperatore romano derivasse per naturale discendenza tutti i principi illustri che governarono la Francia da quell’epoca fino a Carlo Magno, e con loro i valorosi che li accompagnarono e che ne furono il più bello ornamento. Orlando, che è il maggiore eroe, e diventò l’immagine del valore, della cortesia e della fede, che riassume il sentimento nazionale francese, nasce per i “Reali” in Italia, e in una grotta in Sutri, dove lo partorì Berta moglie di Milone conte di Anglante, e sorella di Carlo Magno, fuggendo l’ira di costui. Così egli è italiano non soltanto per discendenza, ma anche per nascita; italiano e cittadino romano. E l’orifiamma, la gloriosa insegna che si trasmette da re a re, e che evidentemente è il vessillo, in cui Costantino fece scrivere le famose parole “In hoc signo vinces”, e che forma il centro della storia, è pur esso italiano.
Fioravante e Rizzeri sono come Buovo d’Antona e come Orlando una parte dei “Reali”, e, come quelli, la più popolare. Non è il caso di investigare se Andrea da Barberino abbia attinto ad altri poemi, di cui era ricca la Marca Trivigiana e di cui si servivano i cantafavole nelle piazze; chi ha la pazienza di leggere lo studio che precede il “Fioravante”, nella Collezione dei testi di lingua, e gli studi sulla Epopea francese e sull’ “Orlando” di Pietro Raina, e i maggiori scrittori della storia letteraria d’Italia, può farlo; per noi il romanzo di Andrea da Barberino è tutto; noi non facciamo dell’erudizione; prendiamo quello che con tanta grazia e ingenuità narra lo scrittore toscano; e se di una cosa ci maravigliamo, è appunto che esso non sia letto oggi più dei romanzi gialli.
Io lo lessi giovanotto e ricordo che non potevo, se non difficilmente tralasciare la lettura; lo rilessi ora, e provai il medesimo diletto al racconto delle avventure subite e affrontate da Fioravante e da Rizzeri suo compagno e maestro, primo paladino di Francia e uomo senza macchia e senza paura. Comincia Fioravante con una monelleria, che lo spinge a lasciare il tetto paterno del re Fiorello; e di là si partono le sue avventure. Liberazione di giovanette, uccisione di nemici della fede, perdita di armatura rubatagli da un ladrone, prigioniero del re di Scondia, innamoramento con Drusolina, il suo valore come incognito e via via quello che gli succede da re, le persecuzioni di sua madre Biancadoro, che voleva dargli moglie, le avventure di Drusolina, che sola abbandonata, dà alla luce due gemelli, uno dei quali le viene rubato, e il duello dei due fratelli che non si conoscono, tutto ciò frammezzato di tanti episodi forma il romanzo, che spira un senso di giustizia e solleva gli animi nelle regioni del sogno. I nomi delle contrade non si sa dove trovarli, le distanze di parecchie migliaia di chilometri si percorrono in un tempo irrisorio, gli eserciti sono così innumerevoli da superare il numero degli abitanti delle città che li armano... Che importa? Siamo nelle sfere del sogno, nel quale ci piace navigare.
Qualche volta, passando per una stradetta, sopra una porta, vedo pendere un cartellone con dipinti in quadri alcuni episodi di quello che si rappresentava la sera nel teatro delle marionette; e vi leggevo i nomi di Fioravante e di Rizzeri. La storia di Andrea da Barberino si era rifugiata lì: Fioravante e Rizzeri erano tramutati in teste di legno, come tutti gli altri campioni del valore e della fede; ma anche in quelle vesti che destano in noi un sapore di cose nuove. In un quadro v’erano due guerrieri, che abbassavano le armi e un leone fra loro in atto di separarli; in un altro, una folla di popolo e una regina condotta al rogo: i cavalieri erano vestiti con le armature del cinquecento, con un salto di mille e duecento anni. Non importa nulla. Pel popolo abituato a quel teatro e pel puparo, ossia per l’ “oprante” tutte queste differenze sparivano nell’antico, in cui tutto accadeva senza distinzione di tempo, di luoghi, di costumi: ma l’onda di poesia che scaturiva anche da quelle piccole teste di legno era possente e riecheggiava nelle anime semplici degli spettatori.
Ora anche adesso questo giornale si ispira alle avventure di Fioravante, e lo riproduce attraverso un “oprante”; e intreccia l’antico con il moderno; e le avventure di Lillì fanno contrasto con quelle di Drusolina, e quell’onesto puparo sembra foggiato con l’anima dei suoi pupi. C’è riuscito? È quello che vedrà il lettore. Ma se non è immodestia dirlo, coloro che mi hanno seguito attraverso i diciotto o venti romanzi, da me pubblicati su questo giornale, sanno per prova che un certo interesse so trovarlo.
Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. Romanzo ambientato nella Palermo del 1920 ricostruito e trascritto dalle puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936, con premessa dell’autore tratta da un articolo dello stesso Giornale pubblicato il 16 dicembre dello stesso anno. È ispirato alle storie di Buovo D’Antona nell'Opera dei pupi, nello specifico del re Fioravante e del suo scudiero Rizzeri, che riproduce attraverso l'oprante, don Calcedonio, a cui contrappone i problemi creati dalla giovane Lillì nella vita di tutti i giorni.
venerdì 20 novembre 2020
Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla Preistoria al fascismo. Avvertenza dell'autore.
giovedì 19 novembre 2020
Luigi Natoli: Disgrazie. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700. Opera inedita.
martedì 17 novembre 2020
Luigi Natoli e la morte di tre baronesse: Caterina La Grua, baronessa di Carini. Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue
il cappello e chiamò:
- Il mio cavallo e quattro uomini montati.
Il lacchè sgranò gli occhi per la maraviglia; dove il signor barone voleva andare a mezzanotte, con quella scorta armata? Trasmise l’ordine; tosto nel palazzo silenzioso si intese uno strepito d’arme, un rumore di sproni per la scala, per l’atrio.
Poco dopo cinque cavalli facevano risonare la via silenziosa del loro trotto serrato, alla luce rossa di una fiaccola recata in mano da uno dei servi.
Parevano a quel fosco e sanguigno chiarore cinque fantasmi, usciti dal regno della morte per far vendetta di un misfatto.
Ella correva dietro al suo sogno, cercandolo tra le nubi dorate che erravano nel cielo; quando un frequente scalpitare di cavalli distolse gli occhi suoi.
Guardò giù nel piano; un gruppo di cavalieri che ella non distingueva ancor bene, saliva già la collina; uno di essi andava innanzi, incitava il cavallo, come per infondergli lena; il cavallo incurvava la nobile testa sul petto fumante, ed allungava il passo su lo scosceso sentiero che serpeggiava fra le rupi.
Donna Caterina guardava con sospettosa curiosità; chi potevano essere quei cavalieri? E quale urgenza li pungeva? E che venivano a cercare nel castello? Quando furono più vicini, il cavaliere che andava innanzi levò la testa in su. Donna Caterina trasalì; un fremito ghiacciato serpeggiò per le vene; le gambe le tremarono; stette come inchiodata dal terrore nel balcone.
Aveva riconosciuto suo padre...
I cavalli erano arrivati su la spianata; il signor barone, veduta la figliuola, aveva cacciato gli sproni nei fianchi del cavallo, levando il pugno minaccioso verso di lei. ella vide i cinque cavalieri svoltare l’angolo, e poco dopo sentì risonare i ferri sul selciato della corte. Allora fece uno sforzo, entrò nella sala, e si appoggiò alla spalliera di un seggiolone: in quel momento la porta si aprì con fracasso; il barone don Vincenzo, seguito da un bravaccio, balzò nella sala come l’avvoltoio su la colomba.
Si fermò innanzi alla figliuola, incrociando fieramente le braccia sul petto, e guardandola quasi per scoprire sul suo volto le tracce degli ultimi baci peccaminosi.
Ella tremava, pallida, atterrita, non osando levare gli occhi su quelli del padre, sul cui aspetto aveva letto chiaramente la sua condanna.
Stettero un minuto così, in silenzio, l’uno di faccia all’altra; il bravo, bieco e triste, se ne stava aspettando, su la soglia dell’uscio. Donna Caterina si sentiva venir meno; perché la sala non sprofondava, inghiottendola? Perché non moriva ella in quel punto, per sottrarsi alla vergogna, alla collera, al castigo?
Ah, ella lo sapeva bene, lo sentiva dentro di sé, perché era venuto il padre, ma furono quelle le parole che le vennero su le labbra, ed ella le disse forse per nascondersi la spaventevole risposta che le agghiacciava l’anima. E ripetè, senza sapere quello che si dicesse, fuori di sé:
- Perché siete venuto, signor padre?
- Sono venuto per ammazzarvi! – rispose il barone cupamente, e sguainò la spada.
Ella sentì lo stridore della lama uscente dalla guaina e un brivido gelato le corse per le vene: si buttò in ginocchio, giungendo le mani con una espressione disperata di preghiera e di dolore. Una rapida visione le passò innanzi agli occhi, la visione del peccato; morire senza un ultimo conforto, senza il conforto di Dio? Si risovvenne delle parole di frate Arcangelo, del tempo trascorso senza pregare, della chiesa fatta per lei un ritrovo d’amore, dello scandalo seminato, dell’infamia che pesava sopra di lei, della dannazione dell’anima... Una spaventevole visione infernale! Voleva farla morir così? Voleva dannarla a una disperazione eterna? Senza fine? Senza tempo?
- Signor padre!... – supplicò – signor padre, lasciatemi dunque confessare.
- Confessarti? – stridette con un sogghigno feroce il barone – confessarti?... domandi un confessore? E per quanti mesi non hai avuto bisogno di confessarti? Di’!
Le si accostò, sollevandole ruvidamente la testa e piantandole gli occhi negli occhi.
- Dillo! Quanti mesi sono che trascini il mio nome nel fango? Che ti abbandoni negli abbracci impuri di un mio nemico? Che insozzi la casa mia, che non conosce infamia?
Ella si coperse il volto con le mani:
- Oh abbiate pietà di me, abbiate pietà... Esterrefatta, disperata, non sapendo a qual partito appigliarsi, donna Caterina balzò in piedi, fuggendo verso le stanze. Il signor don Vincenzo le si slanciò dietro, bestemmiando, ella fuggiva verso la sua cameretta...
Luigi Natoli e la morte di tre baronesse: La Baronessa di Mongellino (Il caso di Sciacca) Tratto da: La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue
Luigi Natoli: La morte di tre baronesse: donna Aldonza Santapau (Il caso dei Santapau) Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue
Luigi Natoli: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di storie e leggende medievali.
Riproduzione fedele del volume "Storie e Leggende" di Luigi Natoli pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892, a cui è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
A nessun componimento della nostra letteratura popolare è toccata la sorte di avere tanti e così diligenti illustratori e imitatori, come a quel tragico poemetto, che corre sotto il nome di Baronessa di Carini; al quale l'orrore del fatto, unico forse nella letteratura del popolo, la pietà verso la vittima, il grado e la notorietà dei personaggi e soprattutto la incomparabile bellezza della forma rappresentativa conferirono una meritata celebrità.
Così scriveva Luigi Natoli di questo dramma familiare, ma forse non tutti sanno che oltre alla novella intitolata La baronessa di Carini composta nel 1892 e ispirata al poema popolare di Salamone Marino, ben 18 anni dopo, il fecondo narratore palermitano con lo pseudonimo di Maurus, scrisse una nuova e meravigliosa novella: La signora di Carini, questa volta basandosi sugli studi del Pitrè, e poi ancora un'attenta analisi con ricostruzione storica del poemetto siciliano del XVI secolo. Tutto questo riproponiamo oggi nello splendore delle edizioni originali insieme ad altre leggende e grandi tragedie familiari come, quella dei nobili Barresi e Santapau, e quella altrettanto famosa fra le potenti famiglie dei Perollo e de Luna, che lasciò memoria durevole nella tradizione popolare e passò alla storia come L'orrendo caso di Sciacca. Ogni leggenda è seguita dal "contesto storico" tratto da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" dello stesso autore - Ed Ciuni anno 1935.
Indice dell'opera:
Fuga d'amore
Un eroe
L'esodo
I Santapau
Il caso di Sciacca
La Baronessa di Carini
La Signora di Carini
Un poemetto siciliano del secolo XVI
"Storia" La Baronessa di Carini (Musa siciliana)
Una corsa
Il re della Bocceria
Sinan Bassà