mercoledì 26 giugno 2019

Luigi Natoli: Gli storici e la spedizione dei Mille in Sicilia


Ma che non dissero gli storici? Uno, più grave perché uso a non affermar nulla senza documentazione, accolse come verità le fanfaronate di uno dei Mille, che fra le altre cose affermava che Palermo pareva una città di morti, e che i Garibaldini, il 27 maggio erano costretti a snidare i Palermitani “per far fare loro la rivoluzione?”

 Questi storici hanno anche un altro torto: quello di credere che la spedizione dei Mille sia tutta la rivoluzione siciliana; o che, forse, questa sia scoppiata per virtù di quella. Per cui essi, appena appena si degnano di dare uno sguardo all’episodio del 4 aprile, allo stato insurrezionale durato fino al 27 maggio, alla spedizione di Rosalino Pilo e di Giovanni Corrao; e pare non sospettino neppure che senza questa e quello, né Garibaldi né i Mille sarebbero salpati da Quarto.

Ora a tanti anni di distanza, quando i fatti storici si possono guardare con maggior serenità, e altri documenti son venuti in luce, è bene ristabilire la verità storica, senza esagerazioni, cadute ormai nel dominio dei luoghi comuni, e senza reticenze inutili. E appunto per questo non bisogna fondarsi unicamente sulle testimonianze raccolte da una parte sola: per quanto meritevoli di credito esse vanno riscontrate con altre testimonianze, e saggiate sulla pietra di paragone dei documenti. I Mille che seguirono Garibaldi sono veramente mille eroi, e l’impresa alla quale si accinsero, fu meravigliosa e miracolosa; ma per esser tali non è necessario tacere, travisare e qualche volta calunniare il potentissimo aiuto che direttamente e indirettamente ebbero in Sicilia dai Siciliani; non è necessario tacere l’efficacia risolutiva dello ambiente; giacchè è bene affermarlo ancora una volta e chiaramente, se la spedizione dei Mille non avesse trovato, neppure il solo concorso morale di tutto un popolo in rivoluzione (dico rivoluzione, non ribellione) Garibaldi e i Mille avrebbero incontrato la sorte dei fratelli Bandiera e di Carlo Pisacane. Anzi, per rimanere in tema garibaldino, la campagna di Sicilia del 1860, non avrebbe avuto esito diverso della campagna dell’Agro Romano del 1867, che pure si compiè in condizioni numeriche e d’armamento superiori. Vincitori, anche, a Calatafimi, i Mille avreb­bero avuta a Palermo una Mentana assai più disastrosa.

Ora gli esperti di cose militari, che studiano le cose senza lirismo, hanno oramai riconosciuto che la marcia trionfale da Marsala a Palermo e le vittorie strepitose dei legionari, oltre che al valore di essi e all'azione dell’ambiente, si debbono anche agli errori innumerevoli e madornali del comando generale delle truppe borbo­niche; e questi errori madornali furono l’effetto della paura. Paura di combattere in un paese nemico in rivo­luzione; paura di vedersi assaliti da ogni parte dalla popolazione; paura di vedersi tagliate le comunicazioni e la ritirata; paura di mancare – come mancarono – ­di viveri, di ospedali, di medicine, di tutto.

Il che risulta dai documenti, che hanno maggior valore delle lettere di un esaltato.

Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Raccolta di scritti storici e storiografici pubblicati nelle versioni originali dell'epoca. 
Pagine 525 - Prezzo di copertina € 24,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso librerie Feltrinelli. 

Luigi Natoli: La morte di Rosolino Pilo. Tratto da Rivendicazioni


Il 21 di maggio, mentre Garibaldi studiava la sua marcia strategica, le squadre di Pilo erano attaccate da tre forti colonne borboniche. I nostri non eran più di trecento cinquanta; i borbonici oltre un migliaio; ed eran padroni di alture. Corrao sosteneva il fuoco; ma il pericolo d'essere soverchiato era imminente; Pilo ac­corso con Calvino, salito, contro il consiglio di Corrao, in alto per vedere le posizioni, riconosciuto il pericolo pensò di rivolgersi a Garibaldi, per aver aiuti: Calvino e Corrao, stavano in basso; e voltavan le spalle al Pilo, che aveva con sè Andrea Soldano, di Lipari.

Veramente, per accorrere in aiuto delle squadre, non era forse necessario domandarlo. Gli avamposti garibaldini si spingevano presso la Boarra, e, oltre la loro estrema punta, a Lenzitti era la squadra di Pietro Piediscalzi, attaccata anch'essa dai regi. Il combatti­mento dunque si svolgeva poco lontano. Nondimeno il Piediscalzi a Lenzitti, Pilo e Corrao alla Niviera furon lasciati soli, senza soccorso, a sostenere il fuoco dei regi, che movevano da Monreale e da Palermo. Era una necessità dolorosa, non un abbandono, badiamo; e la rilevo qui, perchè questo fatto d'arme, nel quale, con altri, lasciarono la vita Pietro Piediscalzi e Rosalino Pilo appaia veramente quello che fu: un olocausto, una immolazione per impedire che il campo garibaldino fosse assalito, e rendere possibile a Garibaldi la sua stra­tegica diversione. Rosalino Pilo fu colpito alla testa, mentre scriveva, in piedi, fra due rocce, appoggiando la carta sulle spalle del Soldano. Alle grida del quale accorsero il Corrao, il Calvino e altri, sollevarono il Pilo boccheggiante, e lo portarono nella casa della Neviera, d'onde poi l'abate Castelli, avvertito, lo fece di sera trasportare nel monastero di S. Martino. 

La morte dell'eroe fu avvolta di tristi voci: la ver­sione più ovvia, più naturale, che egli sia stato ucciso da palla borbonica, (non essendo i regi, che eran ben armati, più lontani di 700 metri; ed avendo egli il capo scoperto); questa versione, che consacrava il suo mar­tirio, si è voluta scartare, e si cominciò col l'accusare di averlo ucciso a tradimento Giovanni Corrao, che invece – e risulta da testimonianze, – stava in basso col Calvino e volgendogli le spalle: e l’invereconda e infame accusa contro chi era stato il compagno, il fra­tello di Rosalino, e che pel coraggio leonino, per la fran­chezza, per tutta la sua vita, non avrebbe mai com­messa una viltà, aveva forse il fine partigiano e astioso di offuscare l'eroica figura del fiero popolano repubbli­cano, alla cui lealtà Garibaldi rese omaggio e allora e poi.

Scartata, perchè bugiarda e ignominiosa, l’accusa contro il Corrao, si volle ucciso Rosalino Pilo ora da un Morrealese, or da uno di Capaci, e ora da uno di Carini: per quale insania, io non so; forse, per quelle stesse ragioni che dissero Carlo Mosto, une dei Mille caduto alla fazione di Parco, ucciso da uno di quei terrazzani; quando il Rivalta, che gli era vicino, lo vide morire per mano dei regi! Questa nostra rivoluzione era così incol­pevole, gli entusiasmi le davano tanta purezza, che occorreva forse gittare un'ombra oscura su quelle squa­dre e su quelle popolazioni, che pur davano il loro sangue, agevolavano e salvavano la marcia di Garibaldi.

 Con la morte di Pilo finisce l’azione autonoma delle squadre durata dal 5 aprile al 21 maggio: da questo momento esse seguono la fortuna dei Mille, e di loro gli storici non terranno parola, o forse per dileggiarle: dimenticando che senza di esse e senza la rivoluzione i Mille non avrebbero potuto fare un passo, e sarebbero rimasti vittime della loro audacia. 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Raccolta di scritti storici e storiografici nelle versioni originali dell'epoca.
Pagine 525 - Prezzo di copertina € 24,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli

martedì 25 giugno 2019

Luigi Natoli: Fabrizio di Torralba al teatro Carolino. Tratto da I mille e un duelli del bel Torralba

Per un’opera nuova Zenobia in Palmira del maestro Anfossi, che si dava al teatro Santa Lucia, e nella quale furoreggiava una cantante attempatella, ma di voce ancor fresca e aggraziata, Anna Davì, alla quale seguiva un balletto, come da consuetudine, era stata scritturata una ballerina, che si faceva chiamare madamigella Bellucci; la quale aveva subito attirato l’attenzione e gli omaggi della gioventù, non tanto per l’agilità e la bravura delle sue gambe, quanto per la sua bellezza e per la sua affascinante civetteria.
Poiché la sua bellezza era diventata il soggetto della conversazione, la baronessa Martini comperò un palco, e vi andò, e pretese che Fabrizio ve l’accompagnasse. Fabrizio non aveva potuto più sostenere la bugia della sua partenza: avrebbe dovuto eclissarsi, il che equivaleva a rinunziare alla sua libertà. Aveva detto, ciò che in fondo era vero, che la sua partenza era stata rinviata ancora: e donna Costanza ne aveva approfittato con gioia, obbligandolo ad accompagnarlo quella sera stessa al teatro.
Il teatro Santa Lucia o Santa Caterina non era così grande, come fu poi ridotto dall’architetto don Nicolò Puglia nel 1808, quando prese il nome di Carolino, convertito dopo il ’60 in quello di Bellini. Aveva però subito una prima trasformazione; e da teatro per commedie e farse di buffi detti Travaglini – donde il suo primo nome – era stato trasformato in teatro d’opere, con l’aggregarsi di una casa del marchese di Santa Lucia di casa Valguarnera, da cui prese il nome: si chiamava però anche di Santa Caterina per la vicinanza del monastero, e forse per battezzarlo col nome di una santa in contrapposto a quello di Santa Cecilia. Col quale teatro cominciò a rivaleggiare, e a contendersi il pubblico, offrendo buone opere e scritturando buone e belle cantanti e ballerine. Madamigella Bellucci era un buon richiamo: ed infatti le prime file di sedie della platea (allora non c’erano poltrone) erano affollate di giovani della nobiltà o della borghesia denarosa.
Fabrizio confessò che essa meritava davvero gli omaggi che le si tributavano; la baronessa invece li giudicò esagerati, non trovando nella ballerina tutta la bellezza che se ne diceva; si accese una discussione, nella quale fu chiamato arbitro il barone: il quale strizzando l’occhio a Fabrizio disse che sua moglie aveva ragione. Ma colto il momento opportuno, chinatoglisi all’orecchio, gli sussurrò:
- Vi ho dato torto, per non farla ingelosire: ma sono del vostro parere.
Fabrizio sorrise: la baronessa infatti voleva abbassare la bellezza di madamigella Bellucci, proprio per gelosia. Ma donna Costanza aveva voglia di esser gelosa! Fabrizio la sera dopo ritornò a teatro per applaudire la bella ballerina; e la trovò più bella. Ella serbava nel volto e nel sorriso la grazia incantevole e pudica di una vergine, che, naturale o finta che fosse, esercitava un fascino particolare, e la rendeva più apprezzabile in mezzo a compagne liriche o danzatrici, sfacciate e libertine. Era perciò circondata di adoratori, che facevano a gara per conquistarla con regali e assoldavano gente per applaudirla, o per bastonare chi non pareva persuaso della valentia di lei. Madamigella Bellucci accettava tutto, commossa, ma pareva che ignorasse quel che in contraccambio domandassero i suoi adoratori; concedeva sorrisi, strette di mano, si lasciava baciare, ma non dava preferenza a nessuno, e nessuno poteva dire in verità di aver espugnato la piazza. Di che un puntiglio, un sordo malcontento, un guardarsi in cagnesco, un sospettar l’uno dell’altro, un sorvegliarsi geloso, un proporsi di non permettere la vittoria al presunto rivale. 


Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926. Raccolto e pubblicato in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori
Pagine 460 - Prezzo di copertina € 24,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli

martedì 18 giugno 2019

Luigi Natoli: Il Castellammare. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891





Uscendo dalla porta Felice e voltando a mancina, si lascia l’antemurale che difende il seno della Cala, e l’ufficio di Sanità Marittima che sorge sul sito dove era un fortino detto la Garita; e si costeggia la Cala, che al lato opposto alla Sanità era difesa dal forte di Castellammare – Questa fortezza pare che sia preesistita alla venuta degli Arabi; infatti è chiamata spesso Castrum vetere, per distinguerla dal Kassr, detto Castrum novum. Dagli Arabi e dai Normanni fu restaurato ed afforzato, ed altre opere vi furono fatte nei secoli XV e XVI, che cancellarono ogni vestigio e della moschea musulmana e delle opere antiche. Fu da questo Castello che piovvero nel 1848 e nel 1860 le bombe sterminatrici della città in rivoluzione. 
A piè della Fortezza e sulla banchina della Cala sorge la piccola Chiesa di Piedigrotta, edificata nel secolo XVI e così detta per una piccola grotta che resta ora chiusa in una cappella. In questa chiesa si conserva appeso ex voto il grande fanale a forma d’aquila, che illuminava la poppa della galera capitana di Sicilia alla battaglia di Capo Corvo, vinta da Ottavio d’Aragona, ammiraglio palermitano, sopra i turchi nel 1613. 
Costeggiando la via esterna tra il Castello e la città e risalendo sulla linea degli antichi bastioni si trova a sinistra il 
Monumento delle tredici vittime, (P. G5) consistente in un obelisco di marmo bianco, con palme di bronzo agli spigoli e una stella di bronzo al vertice; esso non è di belle forme: fu eretto in memoria dei tredici fucilati del 14 aprile 1860, i nomi dei quali si trovano iscritti in tavole marmoree che circondano il basamento. Sul muro del bastione, dove furono addossate le vittime della tirannide borbonica, si trova una lapide che reca i nomi dei fucilati e ricorda l’insurrezione del 4 aprile. 
Accanto a questo monumento si apriva la antica porta di San Giorgio che venne abbattuta; entrando per essa nella via Squarcialupo si lascia a destra l’Ospedale Militare (P.41 G5), nel convento di Santa Cita: a sinistra si trova la Chiesa di S. Giorgio dei Genovesi...
(Nota dell'editore: Sia il Castellammare che la chiesa di Piedigrotta oggi non esistono più, in quanto distrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nella foto il Castellammare oggi).


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891. Nella versione originale pubblicato dall'editore Clausen in occasione della Esposizione Nazionale, con le pubblicità dell'epoca e il pieghevole della cartina di Palermo nel 1891. Un documento storiografico prezioso, un "fermo storico" che fotografa la nostra città di quel periodo, ma validissimo per chi vuole oggi utilizzarlo come guida turistica. 
Prezzo di copertina € 19,00
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli 

Luigi Natoli: La chiesa di S: Maria della Catena. Tratto da Guida di Palermo e suoi dintorni 1891


Proseguendo nella stessa linea della via Vittorio Emanuele a poca distanza dalla chiesa di Porto Salvo s’incontra un gioiello prezioso dell’architettura siciliana ed è la 
Chiesa di S. Maria della Catena (P.6 E6) – Nel sito stesso che segnava la punta dello sprone che dalla Kalesa si allungava fino alla Cala, chiudendo il bacino di Piazza Marina, sorgeva anticamente una chiesetta denominata della Catena perché ivi si annodava la catena che chiudeva il porto e che nel 1063 fu rotta dalle navi pisane alleate del conte Ruggero contro i musulmani. L’antica chiesa è ricordata in diplomi del 1330. Distrutta, fu riedificata nel principio del secolo XVI così come oggi si vede. Elegante e di bellissimo effetto è il portico ad archi scemi, sorretti da due piloni che s’innalzano svelti e leggiadri come torri, coronati da arabeschi di gustosissimo disegno. Questo fregio gira intorno per la chiesa. L’interno, a tre navi, è stato recentemente restaurato, toltine i pesanti stucchi che deturpavano le ogive e nascondevano le finestrette archiacute. Di opere d’arte nell’interno sono notevoli alcune storie a rilievo che si credono d’uno dei Gagini, una statua della Madonna e un San Gaetano del Novelli. Peccato che le tre absidi siano miseramente nascoste da fabbriche mostruose; quel che se ne vede rende più sdegnoso il viaggiatore contro il barbaro seppellimento.
 Il fabbricato che copre le tre absidi della chiesa della Catena è occupato dalla Sopraintendenza agli Archivi di Stato, la quale fu fondata nel 1843 nella casa dei PP. Teatini, cui apparteneva la chiesa, che al 1810 era servita di ospedale alle truppe inglesi. Gli Archivi di Stato Siciliani sono importantissimi così per le pergamene greche, arabe e latine, alcune delle quali del secolo XI; come pei volumi e per le filze che vengono dal secolo XIII fino a noi, e contengono tutti i documenti della storia e della civiltà della Sicilia. Agli Archivi è annessa una Scuola di paleografia e una Biblioteca, oltre una sala per gli studiosi. 
Accanto alla sopraintendenza agli Archivi sorge il Conservatorio di S. Spirito, destinato ai trovatelli. Un tempo questo edificio fu Ospedale di S. Bartolomeo; nel 1826 l’ospedale fu rimosso e riunito all’Ospedale Civico; e vi fu stabilita una ruota per gli esposti. I maschi ai sette anni sono mandati all’Ospizio di Beneficenza, le femine son trattenute e istruite nel Conservatorio stesso. L’Affresco che decora il prospetto è di Vincenzo Riolo, e rappresenta la Carità.
Poco discosta dal Conservatorio e al limite della via Vittorio Emanuele si trova la Porta Felice…

Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891.
Nella versione originale pubblicata dall'editore Clausen in occasione della Esposizione Nazionale del 1891 e corredata delle pubblicità dell'epoca e di pieghevole della cartina di Palermo del 1891. 
Prezzo di copertina € 19,00 - Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli 

mercoledì 5 giugno 2019

Luigi Natoli: L'ironia della gloria. Tratto da Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro

La terza delle opere teatrali di  Cappa di piombo è L'Ironia della gloria, manoscritto privo di data mai pubblicato o rappresentato.
Siamo a Roma. Protagonista è Mauro Valdipena, un personaggio che rappresenta quasi un'autobiografia dell'autore: cinquant'anni, grigio, barbuto; gran nobiltà nel volto triste, ma sdegnoso. Un professore che vive in una difficile situazione economica perchè destituito a causa di una lite con un ispettore mandato dal Ministero: E quell’ispettore, che probabilmente aveva ricevuto l’imbeccata, si scandalizzò perché io avevo assegnato soltanto sedici temi di componimento invece di diciotto, quanti avrebbero dovuto essere; e mostrò un grande orrore nel constatare che non usavo segnar gli errori con la matita azzurra!... ; e all'accusa della moglie Dare del cretino a un ispettore mandato dal Ministero per un'inchiesta, è una sciocchezza che gli costa il pane!... Lui risponde senza scomporsi Ma non è stato per questo, sì bene perchè gli ho tirato il calamaio in faccia, e mi son doluto di avere sciupato sopra un imbecille tanto inchiostro, col quale si sarebbero potuto scrivere bellissime cose… Anche lui, proprio come Luigi Natoli nella sua carriera di insegnante e poi di direttore afferma: Ho dati troppi anni al Ministero; i più belli, i più vigorosi; gli ho dato probabilmente il mio avvenire; perché sballottato di qua e di là, per paesetti dove non trovi neppur un libro, son diventato un vero ignorante; e perché nell’insegnamento mi sono incanaglito e ho spenta la mia fantasia. Ora voglio un po’ rifarmi; voglio rivivere i miei sogni… Ed ha un sogno infatti, Mauro Valdipena: è  uno scrittore… di opere teatrali, che desidera poter mettere in scena, ma non trova un capocomico disposto a farlo. E così, per vivere si arrangia dando lezioni private, ma non rinuncia alla sua passione e come lui stesso dice: Scrivo perché ho bisogno di dare una espressione ai fantasmi che mi si affollano nel cervello. E non sono io che li chiamo, vengon da sé, e picchian forte per uscire rivestiti di forme... E poi son quelli i momenti in cui godo: perchè vivo la vita delle mie creature, mi caccio nelle loro avventure, piango, rido, amo, odio con loro... e dimentico la realtà che mi circonda con tutte le sue miserie. 
Personaggio, Mauro Valdipena,  autobiografico senz'altro, che vive il dramma della povertà sacrificando una delle sue opere. Accanto a lui la moglie Paolina, il fedele allievo Franco Speri, l'opportunista Agostino Sapio, l'affezionata figlioccia nonché attrice Lalla Alteni.
All'interno della commedia, e precisamente nel secondo atto,  si sviluppa un po' il tema del "teatro nel teatro": si rappresenta infatti "Urbe", un dramma ambientato nella Roma antica. Ma nel dramma che gli attori mettono in scena si intreccia quello di Mauro Valdipena e della sua opera, della sua "creatura" come egli stesso dice.
Nel terzo atto la spiegazione del titolo: L'Ironia della gloria.


Luigi Natoli: Cappa di Piombo e altre opere inedite per il teatro.
Pagine 312 - Prezzo di copertina € 21,00
Disegno in copertina di Niccolò Pizzorno - Elaborazione grafica di Maria Squatrito
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli.
Nella foto: Il manoscritto.