mercoledì 26 febbraio 2020

Suruzza! di Luigi Natoli al Circolo di Cultura. (Da un articolo sul Giornale di Sicilia del 25 aprile 1911)

Sala affollatissima di pubblico eletto, di signore eleganti e intellettuali, di letterati, giornalisti, professori: sala di grandi occasioni al Circolo di Cultura, ieri alle 16 per la lettura della commedia siciliana “Suruzza” letta da Luigi Natoli.
Era naturale che “Maurus” noto per le sue storie e leggende, pei suoi romanzi così popolari, pei suoi articoli agili e nobili, destasse la curiosità del pubblico presentandosi sotto l’aspetto di autore drammatico siciliano. Autore, ahimè! non giovane; ma come autore siciliano... nuovissimo.
Egli cominciò con una prefazioncella per dichiarare i suoi intendimenti, e avvertire il pubblico che la sua commedia (egli si è piaciuto chiamarla così, umilmente, mentre è triste e drammatica) non ha niente che si rassomigli al teatro siciliano solito a recitarsi, tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta, con accompagnamenti di urli, contorsioni e deliri più o meno bestiali. È una commedia senza amori, senza adulterii, senza passioni violente; con una favola semplicissima; uno dei tanti, tantissimi casi comuni della vita dei piccoli paesi, dove un borgese arricchito con l’usura, stando fra i briganti e il governo, diventa commendatore, occhio destro dei prefetti, arbitro del comune; e rovina qualche parente, spogliandolo a poco a poco. Contro il quale si oppone il nipote, figlio del parente rovinato. I fatti privati si intrecciano e si fondono organicamente coi fatti della vita pubblica: così da presentare un quadro vivace e fedele della vita dei piccoli paesi.
Il terz’atto, in cui è riprodotto l’arrivo del deputato, gli sforzi del commendatore per festeggiarlo, le dimostrazioni e le controdimostrazioni è di una freschezza e una vivacità straordinaria.
La commedia è interessante e commovente: la povertà dignitosa del povero don Tomaso, la malattia della figlioletta, vittima della povertà, l’affetto tenero di Giovannino (il protagonista) per la sorella, tutto ciò ha una nota di dolore così intenso nella semplicità dei mezzi, che commosse il pubblico.
La commedia è in quattro atti. Quando si è detto che il pubblico ascoltò la lettura (il Natoli è un buon dicitore) di tutti e quattro atti, senza che nessuno si movesse, senza fiatare, prorompendo in applausi, che alla fine furono caldi e lunghi e reiterati, si è fatto l’elogio della commedia e del commediografo.
Bisognerebbe vederla sulla scena; ma quale compagnia la darà? Dove sono gli attori adatti?
In altra parte del giornale, intanto, diamo una primizia del bellissimo lavoro.


Luigi Natoli: Suruzza! e altre opere inedite per il teatro in siciliano. Nelle versioni originali dei manoscritti dell'autore, con testo in italiano a fronte e note esplicative.
Opere nel volume: Suruzza! (dramma in quattro atti), L'Abate Lanza (Commedia dialettale in tre atti), L'umbra chi luci (dramma in tre atti), Quattru cani supra un ossu (Commedia in tre atti).
Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00
Disegno in copertina di Niccolò Pizzorno
Elaborazione grafica copertina: Maria Squatrito
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile on line su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


venerdì 7 febbraio 2020

Luigi Natoli: La morte di papà La Marchienne. Tratto da: Alla guerra!


Un soldato prese Betty per una mano, e la spinse avanti pel sentiero; un altro afferrò bruscamente papà La Marchienne.
- Avanti, animalone!...
Guy divise in due scaglioni quel gruppo di uomini; col primo mandò innanzi i feriti che potevano andar da sé, e quelli che si poteron raccogliere e aiutare; egli rimase col secondo, per proteggere la ritirata. Quei dieci uomini si centuplicavano. Indietreggiavano lentamente; a ogni venti o trenta passi si fermavano, sparavano più colpi che potevano, arrestando l’avanzata dei tedeschi.
- Signor tenente, – disse quel tiratore mentre ricaricava il fucile; – son quarantadue, adesso!...
Riprese la mira; ma nel tempo stesso, sentì un urto violento, girò sopra se stesso e cadde:
- Tombola! – gridò, sorridendo nel pallore della morte.
Guy si chinò:
- Sei ferito?...
Il soldato dischiuse un po’ gli occhi, guardò l’ufficiale; fece uno sforzo per sorridere; e mormorò:
- È la mia volta… È giusto!...
Poi aggiunse a fior di labbra:
- Allontanatevi… ammazzeranno anche voi… Salutate la compagnia!...
Un lieve sospiro, un impercettibile brivido per la persona; e rimase lì, disteso, sereno, col suo fucile accanto.
Guy gli chiuse gli occhi, gli tolse la medaglietta di riconoscimento, lo salutò con un gesto, e raggiunse i suoi uomini.
Ben presto quell’eroico avanzo, che per due ore aveva tenuto testa a un reggimento di fanti si trovò entro le linee francesi; ma prima di giungervi papà La Marchienne era tornato indietro, improvvisamente, senza che nessuno se ne avvedesse. L’altra mucca, perché l’aveva abbandonata? Voleva dunque regalarla a quei ladri?... Ritornava alla fattoria, per riprenderla. Bruno lo seguiva, zoppicando su tre gambe, con la zampa spezzata pendula e oscillante.
Quando giunse su la spianata, era piena di tedeschi che frugavano dappertutto per scovare i francesi che credevan nascosti. Papà La Marchienne vide la sua vacca tirata per la corda da un soldato alto e grosso, che pareva un beccaio. Gli arsero gli occhi di rabbia:
- Quella è mia! – gridò; – è mia!...
Sua? ah sì?...
- Ebbene! dategliela!... – disse un ufficiale ridendo, facendo un gesto con la sciabola.
Tre o quattro soldati sghignazzando si gittarono su papà La Marchienne, lo buttarono contro il muro, e gli scaricarono addosso i fucili. Il vecchio cadde senza un gemito. Bruno si slanciò contro uno dei soldati e lo addentò a una gamba.
- Toh! anche questo? – gridò il soldato, imbestialito; e passò da parte a parte il povero cane, con una baionettata, e lo buttò sul cadavere del padrone. La bestia guaendo e voltandosi, sentì presso la sua bocca la mano ancor tiepida di papà La Marchienne; e allora parve raccogliere in uno sforzo supremo tutta la tenera devozione che lo aveva unito al vecchio contadino, e lambì dolcemente quella mano. Poi morì. 



Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico ambientato nella Parigi del 1914, all'inizio della Prima Guerra mondiale. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 ottobre 1914, è raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori nel 2014, a cento anni di distanza e in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale.
Il volume è arricchito dai disegni  di Niccolò Pizzorno.
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 31,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: La guerra alla fattoria de La Rounerie. Tratto da: Alla guerra!



Betty era rimasta in quell’atteggiamento fra le due bestie, che volgevan gli occhi placidi sotto il velo delle ciglia, e si sferzavano ogni tanto con le code; e così, con le braccia distese sui loro dorsi, grave e silenziosa nella confusa intuizione di un prossimo pericolo ancor ignoto, pareva volesse proteggere le sue mucche. I suoi occhi vedevan lontano una bianca nuvoletta vagante a fior di terra, che s’andava sempre più allargando, fra un crepitìo, come di castagne buttate sul fuoco. Era quella la guerra? Lo spettacolo non aveva ancora nulla di terribile; pareva un gioco. Non si persuadeva perché quell’ufficiale stesse immobile col binocolo sugli occhi; e perché i soldati non fiatassero. Sembravan tramutati in statue; coi fucili spianati contro un nemico invisibile e lontano. Un gran silenzio s’era diffuso intorno alla fattoria; i soldati non fiatavano, o forse bisbigliavan fra loro così a bassa voce, che non s’udivano. Neppur su nella casa, ora, s’udiva rumore; v’era in quella immobilità, in quel silenzio qualche cosa di terrificante, che a poco a poco prendeva l’animo di Betty in una morsa di ghiaccio. Anche Bruno, il cane, pareva compreso dalla tragicità di quel momento di aspettazione. Aveva finito di brontolare dietro i soldati; e ora, accoccolato sulle zampe di dietro fra papà La Marchienne e Guy, guardava anch’esso laggiù, con gli occhi fissi, aggrondati, le piccole orecchie diritte, le nari vibranti in un lieve e rapido annusare. 
Ora i tedeschi si vedevano più distintamente; si avanzavano in ordine, in due file, lungo i margini della strada, sparando. Più indietro si scorgevano delle grandi masse compatte, che procedevano dietro i tiratori; sulle quali balenavano al sole con un guizzo molteplice e tremolante, le lame delle baionette. Da Auvelais era cominciato il fuoco. 
A un tratto apparve nel cielo un punto nero, che sollevandosi e avvicinandosi, con le grandi ali distese, s’andò ingrandendo e designando la sua forma. Era un taube. Passò rombando sopra la fattoria, volò su Auvelais, poi girò in largo, ritornò, sparve; ma poco dopo un tuono cupo e violento rimbombò e dominò il crepitìo delle fucilate. L’artiglieria tedesca apriva il fuoco per sloggiare i francesi. 
Guy pallido, immobile sotto la tettoia, col trombettiere accanto, aspettava che la fanteria tedesca giungesse sotto la collina, per fulminarla di fianco. Se avesse avute due mitragliatrici, la sua posizione sarebbe stata veramente formidabile. Ma come domandarle? Ad Auvelais non ne avevan mica tante da dislocarne; le poche di cui il capitano poteva disporre, erano in posizione in punti strategici. Bisognava dunque confidare nei fucili. 
Portò alla bocca un fischietto e soffiò. Un fremito percorse la terra. Un altro fischio. Uno scoppio molteplice, furibondo, tempestoso, avvolse la fattoria, sopra, sotto, intorno; Betty balzò indietro, con un grido di terrore, papà La Marchienne impallidì e si tirò da parte; Bruno si rizzò su tutte e quattro le gambe, col muso levato, brontolando. 
Guy guardava. 
Giù nello stradale, i tedeschi colti alla sprovvista, si erano arrestati; molti erano caduti: alcuni erano rimasti immobili, con le braccia spalancate, altri si avvoltolavano nella polvere: erano a tre o quattrocento metri, e si vedevano distintamente. 
Il fuoco dei francesi continuava, con un fracasso infernale incalzando: la terra, il fabbricato, tremavano: una specie di febbre pareva rendesse le mani più sollecite: Guy uscì dalla tettoia spingendosi innanzi, allo scoperto, per osservar meglio. Betty pallida, inchiodata fra le sue mucche, con gli occhi spalancati, si sentiva attratta da una forza maggiore dello spavento, a guardare; ma quando vide l’ufficiale avanzarsi solo, non potè trattenere un grido di terrore. 
Laggiù i tedeschi, superato ben presto quel primo momento di confusione si riordinavano; altre masse sopravvenivano, a passo svelto, per sorreggere i primi; e cacciare via i francesi dalla fattoria. Ora mentre i primi, riprendevano la loro marcia, curvi, quasi strisciando per terra, fermandosi ogni tanto per sparare; una colonna mosse contro la fattoria, per distogliere il fuoco dei francesi e occupare la posizione. Cominciò un fuoco spaventevole; le palle sibilando stroncavano i rami; passavano tra gli alberi che tremavano con uno stormire pazzo di fronde; si cacciavano nel terriccio, sollevando la terra; poi tempestavano i muri della casa; strappandone i calcinacci, spezzando i vetri, schiacciandosi nei ferri, rimbalzando. 
Betty tratteneva il respiro, agghiacciata dal terrore, ma ostinata a guardare. Si era cacciata un po’ più dentro, seguendo con gli occhi l’ufficiale, che pareva non s’accorgesse dell’uragano in mezzo al quale s’aggirava. 
Guy seguiva con viva attenzione i movimenti del nemico, che tendeva a spiegarsi sul fianco del poggio, per avvolgerlo. Da quella parte egli aveva fatto costruire la barricata, dietro la quale erano appostati venti uomini. Bisognava rinforzarli. Ordinò a una dozzina di quelli piazzati sotto gli alberi un movimento d’appoggio verso la barricata. 
- Non vi alzate! – gridò; – strisciate per terra… non vi fate vedere…
- E voi? – gli domandò un fantaccino piccolo e rosso che aveva un viso di arguto e una parlantina sciolta da parigino. 
Si rizzò in piedi, per braverìa, ma quasi subito girò sopra sè stesso e cadde; non gemette che un nome: 
- Mamma mia!...
Era il primo, che pagava il suo tributo di sangue, raccogliendo le sue forze sopra un nome; il primo che si balbetta, quando le labbra si sciolgono alla parola, il solo che s’invoca, nei grandi dolori, l’ultimo che erra su la bocca, quando la morte la sigilla. Guy si chinò rapidamente sopra di lui, lo scosse, lo voltò. Aveva gli occhi verdastri aperti con una espressione di sgomento, e la bocca angosciosa piena di sangue e di terra; e non respirava più. 
Una grande pietà invase il cuore di Guy: alla sua mente apparve l’immagine dell’ulano da lui ucciso; anche quello era giovane, biondo, con gli occhi chiari. Si rialzò accigliato, stringendo le mascelle quasi per costringere la pietà a ricacciarsi nel profondo del petto, e raggiunse la barricata, dove le palle tedesche si abbattevano come la gragnola. 
- Saldi, ragazzi! – gridò per incoraggiarli. 
Ma non ce n’era bisogno. Non costretti più al silenzio, esaltati dalla febbre omicida e dall’istinto della conservazione, quei trenta fantaccini gridavano, motteggiavano, accompagnavano di ingiurie ogni colpo, come se le palle potessero, mandate al nemico inacerbirne le ferite. Un fantaccino s’era alzato in piedi, e protetto dall’aratro di ferro, buttato sopra alcune masserizie, tirava con una certa lentezza. 
- Uno a ogni colpo, signor tenente! – disse ridendo. 
Aveva la mira precisa, e non falliva; abbatteva un tedesco a ogni fucilata, con una freddezza, come se avesse tirato a fantocci di legno in una fiera. 
- Non sciupo le munizioni! – aggiunse mirando e sparando. 

Il combattimento si era allargato; tutti quei borghi, disseminati lungo le rive della Sambra, o fra gli avvallamenti dei poggi; tutte le officine coi loro camini spenti; e più in là ancora, verso Moustier diritta sull’altipiano, verso Tausines, dall’altra parte, in mezzo alle linee della strada ferrata; dovunque era un ondeggiar di nubi, un guizzare di incendi, fra il rombo cupo e implacabile dei cannoni, e lo strepito alto e basso delle fucilate. Di tanto in tanto s’udiva l’eco smarrita d’uno squillo di tromba: e di lontano dal fondo dell’orizzonte, apparivano sempre nuove masse, dapprima come linee fosche, che si movevan lentamente, poi più distinte; si dividevano, si diramavano, si allargavano, e a mano a mano che si avanzavano si ingrandivano. E non finivano mai.
Verso la fattoria però i tedeschi non avevano fatto un passo.
Costretti a combattere scoperti, ammassati in uno spazio piuttosto angusto, in basso, avevan dovuto arrestarsi dinanzi al fuoco sicuro, terribilmente micidiale dei francesi. Gli ufficiali li minacciavano, li percotevano coi calci delle rivoltelle, perché andassero avanti; ma la morte abbatteva anche loro; inesorabilmente, fulmineamente sopra i soldati.




Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico ambientato nella Parigi del 1914, all'inizio della Prima Guerra mondiale. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 ottobre 1914, è raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori nel 2014, a cento anni di distanza e in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale.
Il volume è arricchito dai disegni  di Niccolò Pizzorno.
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 31,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita online. 

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Luigi Natoli: l'esodo da Parigi. Tratto da: Alla guerra!


La guerra aveva spazzato ciò che vi era di putrido nella vita di Parigi? La grande città aveva ritrovato il ritmo di una vita di raccoglimento nella consapevolezza della grande tragedia nella quale improvvisamente la Francia era stata trascinata? Era stato necessario che si abbattesse un uragano, perché la Francia si ridestasse dalla sua obbliosa follia?
Uno strillone gli passò accanto gridando: 
- Il Tempo! Il bollettino del generale Joffre! La vittoria dei francesi! 
Percorse tutto il boulevard Rochechouart spinto da una curiosità di vedere, di osservare, di sentire quella vita nuova a cui la città pareva aprir gli occhi per la prima volta. Dappertutto la stessa rinuncia del passato; lo stesso silenzio di ogni voce di scettica gioia; le porte dei cabarets chiuse, gli stucchi delle decorazioni mortificati, senza luce, dietro le lampade spente; gli ultimi manifesti ancora incollati nelle tabelle stinti e logori dalla violenza degli acquazzoni; parevano i segni di una vita spentasi violentemente. 
V’era qualche cosa di triste e di opprimente nell’eroica rinuncia a quella che era parsa fino allora la sola ragione di vivere a Parigi. 
Benoist piegò pel boulevard Magenta. Non sentiva ancora la stanchezza di quella lunga passeggiata, così rivelatrice di nuove sensazioni. Udì i fischi delle locomotive della stazione dell’Est: e si ricordò di aver udito e letto dell’esodo degli stranieri che fuggivano da Parigi, e in così gran numero che non bastavano i treni. Le due stazioni dell’est e di Lione erano invase da queste moltitudini, che ogni giorno, da ogni parte della Francia, specialmente dal nord, si rovesciavano a Parigi per prendere i treni della Svizzera e dell’Italia. Erano tutti operai o piccoli impiegati, che scappavano dai grandi stabilimenti industriali, dalle miniere, dinanzi all’avvicinarsi della guerra; tutta povera gente strappata al lavoro, che aveva dovuto abbandonar la casa, la roba, forse anche il piccolo peculio, incalzata dalla paura; la cui miseria aveva sollevato un vivo sentimento di pietà e provocato i soccorsi del governo. 
Come spinto da uno spirito di fraternità pei sofferenti, pei miserabili, Benoist volle spingersi fino alla stazione. 
Era già notte: il cielo coperto di nubi, l’aria umida e grave. Le lampade elettriche spandevano intorno una luce lunare, che faceva taglienti le ombre nere. La piazza era  tutt’intorno trasformata in un vasto accampamento: erano le ultime torme di fuggiaschi, e la empivano tutta. A gruppi, a famiglie, seduti per terra, su povere valigie legate con la corda, su piccole casse, sui fardelli che erano una mostra di miseria, uomini e donne, vecchi e bambini, stavan lì in silenzio con uno squallore pieno di sgomento nel volto: con negli sguardi un desiderio prepotente di fuggire, di ricoverare nei loro paesi d’origine, che alcuni non conoscevano neppure. Pochi passeggiavano lenti, soffermandosi qui e là, barattando qualche parola. I portici erano così stipati, che non vi si poteva circolare; l’ampia sala dei bigliettai, le sale d’aspetto erano gremite dei fortunati che erano giunti pei primi; sopra alcuni sedili erano coricati e coperti di mantelli, gli ammalati: ve ne erano che battevano i denti per la febbre, altri gemevano. Dei vagiti di infanti, delle grida di bimbi irrequieti o affamati rompevano quella specie di lugubre silenzio che rattristava la piazza. 
Le carrozze, le automobili, gli omnibus eran costretti a rallentare la corsa, a procedere a passo d’uomo, guidati dalle guardie di città, che procuravano di mantenere un po’ d’ordine. 
Giunse un carro, preceduto da un’automobile, dalla quale scesero alcuni signori. Benoist vide che traevano pane e commestibili, latte, vino. Bisognava pure sfamare quella povera gente! 
La notizia che era arrivato quel carro, si diffuse in un baleno; tutta quella moltitudine che giaceva oppressa, si sollevò a un tratto con una specie di ardore, alla conquista del pane; la paura di arrivar l’ultimo, di non trovar più nulla, rendeva ognuno egoista: ognuno voleva passar prima, respingeva il vicino, rovesciava i fanciulli, gridando. Migliaia di grida insieme, migliaia di braccia si agitavano; un mareggiare di teste; uno spettacolo doloroso e ripugnante in un tempo.
 Le guardie di città cercavano di regolare la distribuzione; respingevano, raccomandavano, minacciavano di arrestare. Duravano una fatica enorme, per impedire che quel carro fosse saccheggiato. 
Benoist guardava. Quanta miseria!... e quanta abbiezione!... Era un altro quadro che la guerra gli offriva; un quadro assai diverso dal quello che Montmartre già quartiere della gaia scienza del piacere, gli aveva rivelato; era la fine del lavoro pacifico e produttivo, donde scaturiva il largo fiume della ricchezza della Francia; un cataclisma tellurico, sommergeva quella sorgente e arrestava a un tratto il corso di quel fiume. Tutta quella gente lacera, solcata dai disagi e dalla fame, avvilita dalla paura e dall’incertezza del domani, spinta verso l’ignoto che riceveva un pezzo di pane per carità; era per quella che aveva fino a ieri prodotto la ricchezza!...
Le locomotive fischiavano; pareva dicessero: “Ora vi porteremo via!” Dove? In Italia? In Svizzera? più lontano ancora? dove?
Benoist si aggirava, con le mani in tasca, col viso oscurato da una grande tristezza, fermandosi di tanto in tanto. Un vecchio, che sbocconcellava un pezzo di pane, rompendolo con le mani ossute, credendolo forse uno del comitato, lo salutò con un gesto della mano, che pareva anche un ringraziamento, e indicando il pane disse con un tono vago e indeterminato: 
- Eh! chi lo sa domani?...
Domani? che cosa era quel “domani”? l’ignoto. L’Ignoto in quell’ora tesseva la tela della storia futura, e nessuno poteva vederne la trama. 
Lentamente, si avviò per andare ad aspettar l’omnibus della Villette, per ritornarsene a casa; ma sull’angolo della rue de Valenciennes, si sentì chiamare da una voce arrochita: 
- Benoist!...
Si voltò vivamente: vide dinanzi a sé, sotto il candelabro d’una lampada, un uomo, il cui volto spariva sotto un cappello a cencio dalle ampie falde, e fra una barba incolta e una sciarpa di lana tirata fin sulle orecchie. Era sepolto in una specie di pastrano, nelle cui tasche affondava le mani. 
Benoist non lo riconobbe. 


Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico ambientato nella Parigi del 1914, all'inizio della Prima Guerra mondiale. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 ottobre 1914, è raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori nel 2014, a cento anni di distanza e in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale.
Il volume è arricchito dai disegni  di Niccolò Pizzorno.
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 31,00
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