mercoledì 31 luglio 2019

Luigi Natoli: L'Abate Lanza. Tratto da: Suruzza e altre opere inedite per il teatro siciliano

L’Abate Lanza è una commedia dialettale dove Natoli esprime la potenza del dialetto siciliano come lingua e in cui regna il tipico intreccio della commedia degli equivoci. Il protagonista, Ottavio Lanza, è questa volta un eroe negativo, seduttore di donne, nobili e contadine, nubili o sposate o perfino suore… che spiega la motivazione del suo comportamento nel primo atto. E in seguito, tutto il suo gioco, abile e perfetto si snoda portando a un finale un po’ comico un po’ surreale. La commedia è ambientata nella Palermo del 1747, i nobili parlano un siciliano di alto livello, mentre la gente comune un siciliano popolare. La cornice è quella della nobiltà del ‘700, con le sue ipocrisie e le sue decadenze. 

D. OTTAVIO Chistu succedi quannu l’abati è un cadettu di nobili famiglia, destinatu a gudiri prebendi e viscuvati; chi cu tutti l’ordini sacri, resta cavaleri e galanti; pratica palazzi e munasteri cu libirtà, e nun havi mancu bisognu di jiri circannu l’occasioni. Ma si parrati di chiddi chi pi miseria si fannu abati e restanu abati, la cosa è diversa. Figghi di poviri burgisi o di poviri impiegati, nun hannu àutra ambizioni chi di trasiri in casi titolati comu aji, e macari comu aji cappellani, pi campari la vita. ‘Nsignanu un pocu di latinu, ‘a storia sacra, a duttrina cristiana; accumpagnanu ‘i signurini a passeggiu, in carrozza, s’intendi; dicinu ‘a missa nt’â cappella d’u palazzu; legginu ‘u romanzu ‘a la dama; componnu ‘u sonettu pi l’onomasticu d’u patruni, o pi ‘u felici partu d’a patruna, o p’a munacazioni d’a patruncina. Hannu tavula, lettu, serviziu... ma cu tuttu chistu nun sunnu chi sirvituri; stannu un pocu cchiù sutta d’u mastru di casa: fra ‘u cammareri e ‘u cucchieri maggiuri; e qualchi vota, servinu pi mercuriu galanti d’a signura duchissa o principissa... Quali fortuna vuliti ca cci pruissi ‘u tuppu?... 
 Io... È n’àutru paru di manichi. Appartengu a n’àutra categoria. Cu havi spiritu, una certa erudizioni, un aspettu gradevuli, audacia, sapi vutari li parti; resta apparentementi servu, ma in realtà diventa patruni di fattu. Basta sapiri dari ‘u primu passu, e conquistari l’animu d’un patruni, e megghiu ancora chiddu d’â patruna. Allura l’abatinu diventa ‘u favuritu e l’arbitru d’â casa; nun si movi fogghia senza consultallu, cumanna, spenni... e spissu risparmia a lu sô nobili patruni macari la fatica di fari figghi. E tutti cercanu di trasiri nt’ê sô grazii; tutti l’invidianu; diventa l’uguali d’î signuri; è circatu, accarizzatu, desideratu: e si nun insuperbisci, si sapi mantiniri l’apparenza di una inferiorità, senza essiri pi chistu servili, trova tutti li porti aperti, megghiu di l’abatini nobili. Un pocu di sapienti ipocrisia, intraprendenza, audacia a tempu e locu, e havi tuttu: ricchizzi, putenza, amuri, senza aviri nuddu pisu… 
Caru miu, ognunu havi dirittu a la sô parti di piaciri ‘nt’â la vita; pirchì tutti semu figghi d’Adamu; e si cci foru chiddi chi si pigghiaru per sé tutti l’agi e li gudimenti, e lassaru all’autri tutti ‘i duluri, è giustu chi cu’ po’, e comu po’, si ripigghiassi ‘dda parti di agi e gudimenti chi cci tocca. Ed è pi stabiliri st’equilibriu, chi Domineddiu detti l’imbecillità a li ricchi e lu talentu a li poviri. Cu’ nun nni sapi approfittari, furca chi l’adurca!


Luigi Natoli: Suruzza! e altre opere inedite per il teatro siciliano, con traduzione in italiano a fronte. 
Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Ibs
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica 


lunedì 29 luglio 2019

Luigi Natoli: Suruzza! e altre opere inedite per il teatro siciliano con traduzione in italiano a fronte


Gentili clienti e cari lettori,

con piacere Vi informiamo che Suruzza! il nuovo volume della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli è finalmente in vendita. 
Suruzza! è la seconda parte della raccolta di opere teatrali di Luigi Natoli, tutte assolutamente inedite e copiate dai manoscritti dell’autore. Mai lette da nessuno. 
Sono le opere teatrali in dialetto siciliano, dove troverete un Luigi Natoli totalmente nuovo, libero dagli schemi che nei suoi romanzi era spesso obbligato a seguire per il gusto e la cultura dell’epoca. Un Luigi Natoli che si esprime in dialetto siciliano, badando accuratamente di utilizzarlo a seconda dei luoghi. Nelle scene di paese si legge infatti un dialetto con accento “paisano”, mentre in quelle ambientate a Palermo il dialetto è espressamente palermitano. Per rendere fruibile l’opera a tutti, abbiamo corredato il volume della traduzione in italiano con testo a fronte.

Suruzza! e altre opere inedite per il teatro raccoglie:

Suruzza! – Dramma in quattro atti
L’Abate Lanza – Commedia in tre atti
L’umbra chi luci – Dramma in tre atti 
Quattru cani supra un ossu – Commedia in tre atti

Chi ha già letto Cappa di Piombo conosce Suruzza! perché è la traduzione in dialetto di Quannu curri la sditta! Ma non è uguale. Lo scrittore, durante il passaggio dell’opera dall’italiano al dialetto, ha elaborato i dialoghi, rendendoli più efficaci, ha cambiato in parte lo svolgimento della storia, portando il lettore a un finale davvero commovente. E siamo sicuri che tutti voi amerete Suruzza! che sorride da un antico ritratto in copertina, opera di Niccolò Pizzorno. Il dramma è ambientato in piccolo paese della Sicilia nel periodo post unitario, dove “regna” con il suo potere di strozzino Don Carru, che ha tra le sue vittime don Tomaso, padre di Giovannino e Carmela. Sarà Giovannino, rientrando in paese con il titolo di avvocato, a sventare le trame dell’avido Don Carru e fare giustizia ma in tutto questo c’è Carmela, la sorellina (suruzza) di Giovannino che con i suoi diciassette anni vive in un mondo di poesia e di amore per la famiglia. 
L’Abate Lanza è una commedia dialettale dove Natoli esprime la potenza del dialetto siciliano come lingua e in cui regna il tipico intreccio della commedia degli equivoci. Il protagonista, Ottavio Lanza, è questa volta un eroe negativo, seduttore di donne, nobili e contadine, nubili o sposate o perfino suore… che spiega la motivazione del suo comportamento nel primo atto. E in seguito, tutto il suo gioco, abile e perfetto si snoda portando a un finale un po’ comico un po’ surreale. La commedia è ambientata nella Palermo del 1747, i nobili parlano un siciliano di alto livello, mentre la gente comune un siciliano popolare. La cornice è quella della nobiltà del ‘700, con le sue ipocrisie e le sue decadenze. 
L’umbra chi luci è un dramma in tre atti ambientato in un paesino della Sicilia. Protagonista è Filippo Montoro, reduce della prima guerra mondiale che torna a casa cieco, e la moglie Agata, combattuta tra l’amore per il giovane marito e le pretese dell’amante Atanasio, che si rivela dall’inizio del primo atto. Un dramma il cui tema è particolarmente caro all’autore, con un finale a sorpresa, un vero colpo di scena. 
Quattru cani supra un ossu è una commedia in tre atti ambientata nella Palermo dei primi del ‘900. Un simpatico e ricco settantenne, don Pietro Scatorcio, si innamora della diciottenne Giulia Filipponi, che riesce a sposare grazie al matrimonio combinato dalla madre, donna Marana. Tutta la famiglia di Giulia prende di mira il lauto patrimonio di Pitrinu, ma anche l’amico don Nicola, uomo di chiesa, superiore della confraternita di San Giuseppe dei Poveri della chiesa di Santa Maria delle Grazie… E Giulia, nella sua giovinezza, aveva già dato il suo cuore a Orazio, nipote di don Pietro… Una commedia divertente, dal finale forse un po’ inaspettato, ma onesto. Una commedia dove si legge un Luigi Natoli mai letto: un Luigi Natoli comico!
Il volume è frutto di un lavoro lungo e complesso: abbiamo cercato le opere presso l’unica fonte certa, ovvero la Biblioteca Comunale. Abbiamo copiato i testi dai manoscritti dell’autore, che sono stati tradotti da Francesco Zaffuto. Abbiamo inserito diverse note, poiché l’autore, con grande naturalezza, cita nei dialoghi fatti, personaggi, modi di dire, che ci è sembrato giusto spiagare. Abbiamo fatto delle scoperte davvero interessanti, tutte meticolosamente indicate nella prefazione, corredata da alcune foto dei manoscritti e dei disegni con cui Natoli illustrava le sue opere, ed abbiamo trascritto per voi anche gli articoli sul Giornale di Sicilia dove si parla del successo avuto dalle varie rappresentazioni teatrali dell’autore o dalla sua lettura di Suruzza!  al Circolo di Cultura.

Il volume di 724 pagine che ha il prezzo di copertina di € 25,00  è acquistabile dal sito della casa editrice a questo link con lo sconto del 20%
Insomma, anche in questo volume c’è tanto per uno studioso, amante di Luigi Natoli e del teatro. Ma non soltanto, perché non si tratta di una lettura prettamente teatrale. Si ha l’impressione di leggere un romanzo del grande autore, uno di quei bei romanzi che tutti noi, suoi ammiratori, amiamo tanto. 
Potete acquistare il volume direttamente dal catalogo prodotti della casa editrice a questo link:
http://www.ibuonicuginieditori.it/catalogo_prodotti_i_buoni_cugini_editori/natoli-luigi-suruzza-e-altre-opere-inedite-per-il-teatro-siciliano.html
Disponibile presso le Librerie Feltrinelli, su Amazon e su Ibs. 

I Buoni Cugini editori




Luigi Natoli: Lettera di Clodomiro al babbo. Tratto da: Ricordi di Clodomiro mio figlio

2 ottobre 1916
...Credevo di non avere tempo di scriverti due paroline... Ora in un momento di tregua, profitto e ti scrivo un semplice rigo. Da due giorni e due notti si fa avanzata. Si combatte, si dorme quando si può al fresco. Questa sera pare ci sia la decisiva, e il mio battaglione è fra i destinati ad avanzare contro le posizioni di un forte.
Da qui, quindi, dalle alte Alpi Dolomitiche, in mezzo al fragore del cannone e della mitraglia, e da un angolo, ove passano i feriti e morti, ti invio il mio saluto, e il mio più bel bacio. Spero che io sia fortunato anche questa volta. Ma caso mai... niente lagrime! Niente pianti! Io vi penso sempre, fino all’ultimo. Grida con me: Viva la più grande Italia, W la libertà...





Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio.
Nella versione originale pubblicata nel 1920 e corredata dalle foto dell'epoca.
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Ibs
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio

Sul Col di Lana, giugno 1915
Mi recavo un giorno, mentre eravamo in attesa di andare all’attacco, ad attingere acqua, con un altro soldato del 50°. Dinanzi a noi erano due soldati del 91°. Siamo scorti, e una granata ci colpisce in pieno... Cado stordito, mi rialzo e trovo i tre soldati feriti; quello del 50° leggermente; i due del 91° agonizzavano. Ritorno col mio ferito, e chiamo soccorso per gli altri due. Andiamo sul posto con un medico, il quale ordina il trasporto all’infermeria di uno. L’altro lo si adagia a ridosso di un sasso, e si lascia lì in attesa della morte.

Da Caprile
Si entra subito in territorio austriaco. Si passa per la vecchia dogana, e ci incamminiamo per i boschi. Si attraversa un paese disabitato e quasi distrutto: Colaz.
Qui troviamo in una stalla una vacca, che portiamo via con noi. Nelle case deserte si fa provviste di coperte...
La notte si passa all’addiaccio, presso Andraz. Altro paese sulla strada delle Dolomiti.

Siamo in trincea.
Le trincee vanno dal Cordevole su pel costone di Salesei. La mia compagnia occupa la cima del costone e forma sul cocuzzolo di esso una specie di saliente a ferro di cavallo. Da tre lati abbiamo i tedeschi (qui c’è lo schizzo del saliente).
Qui vi sono delle posizioni terribili. Dinanzi c’è il paese Livinallongo. Vi sono gli austriaci. Andando fuori dalle trincee per un 100 metri, da un cocuzzolo si vede il paese e i tedeschi. Mi ci sono recato con un altro soldato. Abbiamo visto un carro con materiale accompagnato da alcuni soldati. Abbiamo sparato contro varie volte, e benchè a 1800 metri, le pallottole han dovuto passar molto da vicino, perché i soldati sono fuggiti sotto il carro a ridosso dei muri.




Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio
Nella versione originale pubblicata nel 1920 e corredata dalle foto dell'epoca. 
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Ibs
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio.

Nel secondo anniversario della nostra gloriosa e santa guerra fervente nella nostra vittoria e nel trionfo del diritto dalle trincee del S… a pochi metri dal nemico, invio gli auguri più fervidi di gloria e di felicità, a te, che serenamente e con cosciente fede, hai alla patria offerto i tuoi figli! Che tu sii fiero di ciò.
E ti sia conforto il sapere che i tuoi figli sono degni di te... che da te solo e col tuo esempio appresero a sacrificarsi se occorre per la giustizia e per il riscatto.
Evviva l’Italia! Evviva la guerra contro i tedeschi!
Ti bacio

                                                                                      
Clodomiro




Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio
Nella versione originale pubblicata nel 1920 e corredato dalle foto dell'epoca
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Ibs
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica


Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio

Serro nel profondo del cuore l’angoscia, respingo indietro le lagrime che fanno impeto agli occhi, per scrivere della mia creatura.
Potrei commettere ad altri questo ufficio, ma non voglio; perché a nessun altro Egli rivelò l’anima sua, fuor che a me, che Egli amò devotamente e con orgoglio, che direi soverchio se si potesse dar misura all’amore suo filiale. Voglio scrivere io, il Suo babbo, non soltanto per dire il cuor che Egli ebbe, ma per isfogo del mio cordoglio; e perché parmi che il Suo spirito debba gioire di questa mia testimonianza di dolore e d’amore.
Il frammento di bomba che nel piccolo cimitero di Staranzano scavò una fossa alla carne giovinetta, aperse una ferita insanabile nel cuor mio. Pure, in questa ferita, come in un sacrario, vive illuminata dalla luce purissima del voluto sacrificio l’immagine del mio Clodomiro; e più, contemplandola, si inacerba il rimpianto, più ella si ingrandisce agli occhi miei: perocchè dispogliata dalle materiali contingenze della vita, l’anima Sua mi si va sempre più rivelando diritta come una lama, tesa come un arco alla sua meta, austera nel concepimento del dovere, vigile e pronta al sacrificio, come quella di un confessore della fede…

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio. 
Nella versione originale pubblicata nel 1920 e corredata dalle foto dell'epoca. 
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
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giovedì 18 luglio 2019

Luigi Natoli: Suruzza! Una nota sulla traduzione a cura di Francesco Zaffuto.

Le quattro opere teatrali di Luigi Natoli in siciliano, trovate negli archivi, e venute alla luce  grazie al paziente lavoro di ricerca degli editori I Buoni Cugini di Palermo, sono di grande preziosità anche per l’uso fatto dal Natoli del siciliano. È un siciliano della fine ottocento parlato ancora abbondantemente a Palermo, e che Natoli ben padroneggiava come lingua madre. L’autore lo volle esprimere in tutta la sua forza espressiva e spesso curò nel dialogo l’inserimento di particolari modi di dire, proverbi e motti in uso.
Le opere teatrali in siciliano sono quattro:
due drammi, “Suruzza” e  “L’umbra chi luci”
e due commedie, “Quattru cani supra un ossu” e “L’Abate Lanza”.
Nei due drammi anche le indicazioni di scena sono scritte in siciliano, nelle due commedie il siciliano è usato solo nei dialoghi.
Il dramma “Suruzza” è ambientato in un paesino della Sicilia nel periodo post unitario, dove erano ormai lontani gli ideali risorgimentali ed avanzava uno strato sociale di avventurieri senza scrupoli, collusi con ambienti malavitosi e appoggiati da rappresentanti di istituzioni e da politici conniventi. Contro quella cornice diabolica e contro gli esponenti  corrotti si poteva  lottare, e l’invito ad una lotta coraggiosa fatta da Natoli era esplicito, ed era  possibile anche una vittoria. E vale anche per i nostri giorni. La cosa più crudele però resta la sorte, una sorte maledetta che a volte distrugge  i deboli e gli innocenti;  e Carmela, la giovane sorella del protagonista Giovannino (Suruzza) è la vittima di questa sorte e  il centro di questo dramma.
Nell’altro dramma “L’umbra chi Luci”, il nodo è il ritorno dei reduci dalla prima guerra mondiale. Su questo conflitto Luigi Natoli arrivò a scrivere uno dei suoi romanzi più poderosi “Alla guerra!”; e non fu solo un osservatore esterno di questa tragedia, ma ne venne colpito profondamente negli affetti.
In “L’umbra chi luci”, ambientato in un paesino siciliano, c’è chi torna orrendamente mutilato, c’è il racconto delle azioni e dei morti, ci sono quelli in attesa di partire, e tra questi ultimi c’è chi intende disertare. Il centro del dramma è l’infedeltà coniugale di Agata, moglie di Filippo Montoro, un reduce cieco di guerra; la donna, pur volendo tornare ad essere fedele al marito e dedicarsi alla sua cura, è ostacolata dal suo ex amante. In questo dramma Natoli accentua al massimo la dicotomia tra giusto ed ingiusto e pone nell’ingiusto chi non voleva sacrificarsi alla Patria.
  Nelle due commedie invece si rivela un Natoli insolito, pieno di spunti ironici e divertenti.
In “Quattro cani supra un ossu”, il commediografo palermitano costruisce, in un ambiente della vecchia Palermo, un insieme di personaggi tutti tesi ad approfittare di un ricco vecchietto che vuole testardamente restare arzillo. C’è chi vuole prosciugare le sue ricchezze dandogli in sposa la giovane figlia, e c’è chi ne vuole approfittare minacciandolo con le possibili punizioni dell’inferno. Il vecchietto  ondeggia, ma nel rondò finale vincerà, con uno Sciatara!, lo stato di fatto.
Dove Natoli esprime al massimo tutta la potenza del siciliano come lingua è “L’Abate Lanza”, in cui regna l’intreccio tipico della commedia degli equivoci;  l’eroe questa volta è un eroe negativo, ed è inusuale per il mondo narrativo di Natoli. Il protagonista Ottavio Lanza, seduttore di nobildonne, suore e villane, è ben chiaro nello spiegare la motivazione del suo comportamento; e lo fa subito nel primo atto. Poi nel corso della commedia si stenta a credere all’artifizio del suo gioco, che si combina sempre in suo favore. La commedia, ambientata in una Palermo del 1747, ci presenta uno stuolo di nobili che parlano un siciliano di alto livello, e villani che parlano un siciliano popolare; e il tutto nella cornice di un mondo settecentesco, decadente e pieno di vizi e ipocrisie. Il finale dell’Abate Lanza è rutilante e degno della migliore vaudeville. 
 Per incarico de I Buoni Cugini Editori, ho provveduto a tradurre in italiano queste quattro opere di Natoli, per permetterne la fruizione a chi il siciliano non lo conosce, ed anche ai tanti siciliani che della loro lingua ormai conoscono ben poco. Ho cercato il più possibile di essere aderente al testo e spesso ho lasciato la stessa costruzione delle frasi tipiche del siciliano.
Un’ultima considerazione sul dialetto che usa Natoli in queste opere. Si tratta sempre di un dialetto siciliano, ma piuttosto vario. Infatti ne L’abate Lanza usa un dialetto piuttosto colto e vario a seconda dei personaggi, mentre in Quattru cani supra un ossu, è piuttosto popolare e attinente a quello palermitano. In Suruzza e L’umbra chi luci identifichiamo un dialetto “paesano”. Infatti, più volte l’autore parla di “sceni paisani”
Spero che questa traduzione possa invogliare tanti lettori a cimentarsi nella lettura della versione originale.
 
Luigi Natoli: Suruzza! Raccolta delle opere teatrali inedite in dialetto siciliano, con testo in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 
Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile presso La Feltrinelli Libri e Musica
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Suruzza di Luigi Natoli al Circolo di Cultura. Dal Giornale di Sicilia del 25 aprile 1911

Sala affollatissima di pubblico eletto, di signore eleganti e intellettuali, di letterati, giornalisti, professori: sala di grandi occasioni al Circolo di Cultura, ieri alle 16 per la lettura della commedia siciliana “Suruzza” letta da Luigi Natoli.
Era naturale che “Maurus” noto per le sue storie e leggende, pei suoi romanzi così popolari, pei suoi articoli agili e nobili, destasse la curiosità del pubblico presentandosi sotto l’aspetto di autore drammatico siciliano. Autore, ahimè! non giovane; ma come autore siciliano... nuovissimo.
Egli cominciò con una prefazioncella per dichiarare i suoi intendimenti, e avvertire il pubblico che la sua commedia (egli si è piaciuto chiamarla così, umilmente, mentre è triste e drammatica) non ha niente che si rassomigli al teatro siciliano solito a recitarsi, tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta, con accompagnamenti di urli, contorsioni e deliri più o meno bestiali. È una commedia senza amori, senza adulterii, senza passioni violente; con una favola semplicissima; uno dei tanti, tantissimi casi comuni della vita dei piccoli paesi, dove un borgese arricchito con l’usura, stando fra i briganti e il governo, diventa commendatore, occhio destro dei prefetti, arbitro del comune; e rovina qualche parente, spogliandolo a poco a poco. Contro il quale si oppone il nipote, figlio del parente rovinato. I fatti privati si intrecciano e si fondono organicamente coi fatti della vita pubblica: così da presentare un quadro vivace e fedele della vita dei piccoli paesi.
Il terz’atto, in cui è riprodotto l’arrivo del deputato, gli sforzi del commendatore per festeggiarlo, le dimostrazioni e le controdimostrazioni è di una freschezza e una vivacità straordinaria.
La commedia è interessante e commovente: la povertà dignitosa del povero don Tomaso, la malattia della figlioletta, vittima della povertà, l’affetto tenero di Giovannino (il protagonista) per la sorella, tutto ciò ha una nota di dolore così intenso nella semplicità dei mezzi, che commosse il pubblico.
La commedia è in quattro atti. Quando si è detto che il pubblico ascoltò la lettura (il Natoli è un buon dicitore) di tutti e quattro atti, senza che nessuno si movesse, senza fiatare, prorompendo in applausi, che alla fine furono caldi e lunghi e reiterati, si è fatto l’elogio della commedia e del commediografo.
Bisognerebbe vederla sulla scena; ma quale compagnia la darà? Dove sono gli attori adatti?
In altra parte del giornale, intanto, diamo una primizia del bellissimo lavoro.


Luigi Natoli: Suruzza! Raccolta delle opere teatrali inedite di Luigi Natoli in dialetto siciliano con testo in italiano a fronte 
Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00
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Luigi Natoli: Suruzza!

Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00

Luigi Natoli fu scrittore e storiografo fecondo e poliedrico. La sua sterminata produzione letteraria spazia dalla pura narrativa alla poesia, critica letteraria, saggistica, storia e storiografia, con numerosi testi scolastici e moltissimi articoli pubblicati su quotidiani e periodici. Ovviamente in questo geniale oceano di scritture non potevano mancare le opere teatrali, ma rispetto ad altri suoi lavori, salvo alcune eccezioni, non furono mai date alle stampe o videro la luce delle scene. Questo volume contiene tutte le opere teatrali scritte in siciliano composte dal grande scrittore palermitano Luigi Natoli e precisamente: SURUZZA! – dramma in quattro atti L’ABATE LANZA - commedia dialettale in tre atti L’UMBRA CHI LUCI - dramma in tre atti QUATTRO CANI SUPRA UN OSSU - commedia in tre atti Nessuna di queste opere è mai stata pubblicata o apparsa in appendice alle pagi - ne del Giornale di Sicilia, come generalmente soleva fare l’autore, e sono sempre rimaste nella loro forma originale di manoscritti, appunti e bozze, oggi fedelmente ricopiati e proposti per la prima volta in assoluto al grande pubblico. Degli inediti di lusso che ci fanno conoscere un altro e nuovo aspetto di Luigi Natoli. Sono opere scritte con gran fatica, perché composte nel mare di difficoltà che avvilirono la vita del letterato e che contesero il loro esiguo spazio ai ritagli di tempo, a loro volta strappati ai suoi studi e attività, ma proprio per questo beneficiarono della massima libertà espressiva non essendo condizionata dalle vicissitudini quotidiane.

Il Natoli in questi lavori per il teatro, mette in atto una ricerca di linguaggio meticolosa, dal pensiero libero e universale che lascia da parte i collaudati meccanismi dell’opera del tempo, di quella siciliana in particolare, e si propone in veste contemporanea fino ad assurgere contenuti universali, nella grande tradizione del teatro che conta. È un siciliano della fine ottocento parlato ancora abbondantemente a Palermo, e che Natoli ben padroneggiava come lingua madre. L’autore lo volle esprimere in tutta la sua forza espressiva e spesso curò nel dialogo l’inserimento di particolari modi di dire, proverbi e motti in uso. (dall’introduzione di Francesco Zaffuto)

“Sono opere che non hanno niente che si rassomigli al teatro siciliano solito a recitarsi, tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta, con accompagnamenti di urli, contorsioni e deliri più o meno bestiali. Sono commedie senza amori, con adulterii, senza passioni violente;... tantissimi casi comuni della vita ... dove i fatti privati si intrecciano e si fondono organicamente coi fatti della vita pubblica: così da presentare un quadro vivace e fedele della vita dei piccoli paesi.” Da un articolo del Giornale di Sicilia del 1911.

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio

“Serro nel profondo del cuore l’angoscia, respingo indietro le lagrime che fanno impeto agli occhi, per scrivere della mia creatura.” Con queste parole cariche di composto dolore paterno, iniziano i ricordi che Luigi Natoli dedica alla memoria del figlio Clodomiro, morto nella primavera del 1917 in un campo addestramento reclute vicino Monfalcone. Proprio lui, volontario della prima ora, che in Francia aveva messo a repentaglio la sua vita per la libertà di quel popolo invaso dai tedeschi, e poi, sul Carso e sulle Dolomiti per la nobile causa Italiana, proprio lui non ebbe la fortuna di cadere nel fervore del combattimento! Lui che volentieri avrebbe versato il sangue per la libertà della patria, moriva, invece, vittima di un incidente in un poligono di tiro per la sua innata bontà e squisita gentilezza d’animo. La perdita di un figlio è un’esperienza devastante. È così innaturale da non avere una definizione e prostra il sopravvissuto in uno stato d’animo paragonabile a una morte interiore. Se poi fra i due c’èra stata anche un’unione ricca di affini intenti spirituali e materiali,  allora la perdita è del tutto insopportabile. Questo rapporto così intenso e ricco d’amore legava il padre Luigi, allo sfortunato figliolo e le ultime parole di Clodomiro furono, infatti, dedicate al dolore che avrebbe sofferto il padre per la sua morte. In tali condizioni d’animo è difficile, se non impossibile, scrivere della tragedia con tutte le derivanti implicazioni psicologiche, ma Luigi Natoli, riesce con misurato e ineguagliabile trasporto, a donarci delle pagine di pura liricità narrativa che consegnano per sempre il suo dolore alla memoria del figlio, senza retorica, senza autocommiserazione.
"Ricordi di Clodomiro, mio figlio" inaugura la collana Nel Bene e Nel Male. La collana raccoglie biografie, testimonianze, documenti che narrano la Storia nella sua assoluta verità. Affinché, "Nel Bene e Nel Male" nulla venga dimenticato. 
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
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venerdì 5 luglio 2019

Luigi Natoli: Squarcialupo. Quadro storico dell'opera a cura dello stesso autore.

Gli ultimi anni di re Ferdinando furono contristati dalla morte dell’unico maschio, Giovanni (1497), e poi della primogenita delle femmine, Isabella maritata al re di Portogallo, e del figlio di lei: poi della Regina (1504). Non gli rimaneva ora che la figlia Giovanna, sposa all’arciduca d’Austria Filippo il Bello, da cui era nato a Grand un figlio Carlo, il 24 febbraio 1500. Il Re fece riconoscere Giovanna erede degli Stati; e gli atti si intitolarono da lei e da Carlo. Ma alla morte prematura di Filippo, Giovanna, giudicata pazza, fu rinchiusa a Tordesillas, e Ferdinando riprese il potere fino alla sua morte, avvenuta il 23 gennaio del 1516. Carlo ereditava gli stati sotto la reggenza del cardinale Ximenes, dell’arcivescovo di Saragozza e del vicerè Ugo Moncada.
Questo vicerè d’altra famiglia dei Moncada di Sicilia, era venuto a reggere la Sicilia il 7 dicembre del 1509. Venturiero, valoroso capitano, superbo autocrate e nemico dei nobili. Nel 1511, non essendosi provveduto a pagare i soldati spagnoli che venivano da una infelice spedizione in Africa, questi, affamati, invasero le case dei cittadini di Palermo, che insorsero, e li massacrarono. Il tumulto fu sedato dall’intervento del conte di Golisano, Antonio Cardona, ben voluto dal popolo. Ma il Vicerè, che aveva provocato quel moto, infierì contro la popolazione, e fece prendere e impiccare i capi, fra cui un gentiluomo, Paolo Pollastra. Questo gli attirò odio, e altro più fiero ma ingiusto se ne attirò dalla nobiltà per la protezione accordata a Giovan Luca Barbieri. Questi aveva compilata un’opera di accertamento dei titoli, in grazia dei quali l’aristocrazia godeva feudi e benefizi, spesso non legittimi, e incitava per questo il Vicerè a spogliarne coloro, il possesso dei quali non risultava legittimo. La nobiltà colta occasione dalle scostumatezze, le illegalità, gli arbitrî, la rapacità del vicerè, che gli faceva metter mani nella roba altrui, e anche in quelle del fisco, reclamò contro di lui più per difendere il mal tolto, che per altro.
Non ostante i reclami, il Moncada, forte dell’amicizia di alcuni signori, era riuscito a farsi riconfermare per un secondo triennio; e sperava una terza ricompensa, quando gli giunse privatamente notizia della morte del Re. Costui la tenne occulta, non convocò, come doveva, il Parlamento, né depose l’incarico di reggere il governo, nelle mani del Gran Giustiziere, come era disposto. Ma la notizia della morte del Re veniva diffusa dal conte di Golisano, quel medesimo che aveva sedato il tumulto del 1511; il quale scelto come ambasciatore di Catania, sostenne in Parlamento che il Moncada era scaduto d’ufficio e i principali baroni, fra cui il conte di Cammarata, convennero con lui. Il Vicerè, disperando di riuscire, ricorse al Sacro Consiglio, nel quale aveva amici, e questo giudicò doversi applicare la prammatica di re Giovanni, che prescriveva che in caso di morte del sovrano il vicerè rimanesse in carica, fino alle disposizioni del nuovo re. Allora don Ugo sciolse il Parlamento, ma i baroni non si sciolsero: uscirono dalla città tutti insieme, e raccolti i procuratori dei comuni demaniali s’adunarono a Termini, e nel duomo acclamarono Carlo e Giovanna, e fecero redigere un atto notarile, il 5 marzo 1516.
Allora il Moncada si risolvette a far l’acclamazione dei nuovi sovrani; però mentre cavalcava per la città, avvenne un tumulto contro gli ebrei convertiti. La vista di don Ugo, mutò l’umore del popolo, che cominciò a gridare: fuori Moncada! Egli turbato si rinserrò nello Steri; e per ingraziarsi il popolo, sospese la riscossione di un gravoso donativo; obbligò Giovan Luca Barbieri a lasciar l’ufficio di Capitano Giustiziere, e preparò una frode. Infatti, essendo stato d’urgenza convocato il Consiglio Civico composto dai consoli delle maestranze, vi si diffondeva la voce dell’arrivo d’un messo reale. Il Pretore e i Giurati sospeso il Consiglio, accorsero per onorarlo, trascinandosi il popolo; ma il messo reale fu riconosciuto per un famiglio del Vicerè e le patenti regie, che confermavano il Moncada, furono per la prontezza di un popolano riconosciute false. Ne nacque più fiero tumulto: il popolo si armò, corse a piazza Marina ad assalire lo Steri con assi e artiglierie. Il Vicerè, travestito, ricoverò sulle galere del prossimo porto. Il conte di Adernò, Blasco Lanza e altri partigiani del Vicerè fuggirono; lo Steri fu saccheggiato. La folla risalì pel Cassaro, via principale, e giunse alla reggia, dove era allogato il Sant’Offizio, e tratto l’Inquisitore fra Cervera, lo menava a caval d’un asino alla Cala ad imbarcarsi.
Il Senato assumeva il potere.
Il conte di Golisano e gli altri baroni informati dal Senato, tornarono in Palermo e adunatisi coi giurati e coi cittadini, deliberavano di mandare Antonello Lo Campo ambasciatore a re Carlo nelle Fiandre, ad accusare il Moncada delle sue ribalderie, e a rilevare le rapine e le ingiustizie del Sant’Offizio.
Intanto si diffondeva per l’Isola il movimento contro i partigiani del Moncada, e anche contro i feudatari invisi. Il Moncada si era ricoverato in Messina, dove il 12 aprile gli proveniva la conferma regia per un altro triennio di governo: ma in una improvvisata adunanza parlamentare, erano stati eletti presidenti del regno il marchese di Geraci e il marchese di Licodia, e la loro nomina veniva ratificata dalla deliberazioni dei Consigli civici, non ostante don Ugo cercasse impedirle e suscitare disordini.
Secondo le richieste di Antonello Lo Campo, il re mandò a Palermo un certo Diego Langlar, per fare un’inchiesta che ebbe per effetto il richiamo di don Ugo e dei conti di Golisano e di Cammarata a Bruxelles. Dopo qualche giorno il Re annullò la conferma del triennio, diede al Moncada altro ufficio, e nominò Luogotenente Generale del regno il conte di Monteleone. Però trattenne a Bruxelles i due conti, di Golisano e di Cammarata quasi in ostaggio. Annullava gli atti dei due presidenti, rimoveva magistrati, ripristinava la riscossione del donativo, e concedeva generale amnistia, fuor che a venti.
Ettore Pignatelli, conte di Monteleone, calabrese, di nobile e antica schiatta, seguendo le istruzioni regie, rimetteva negli uffici gli antichi partigiani del Moncada. Questo fatto, l’esilio dei due presidenti a Napoli, e più di tutto l’assenza dei conti di Golisano e di Cammarata, dei quali si diceva fossero decapitati e imprigionati, tenevano Palermo agitata e sospetta. Di questo stato d’animo approfittò Giovan Luca Squarcialupo, giovane discendente da patrizia famiglia oriunda da Pisa, ma di scarsa fortuna. Costui vagheggiava nell’animo disegni di liberi reggimenti, come quelli di Pisa, e comunicatili ad altri giovani fidati e a popolani coraggiosi e pronti ai rischi, li adunò nel castello di Margana presso Vicari, dove si accordarono sul da fare. Dei nobili v’erano fra gli altri Baldassarre Settimo, Cristoforo Di Benedetto, Alfonso La Rosa, Pietro Spatafora. Si stabilì di assalire i giudici della Magna Curia e gli altri magistrati, strumenti già del Moncada e ora del Monteleone, il 23 luglio 1517, nel Duomo, durante il vespro di S. Cristina, patrona della Città.
Ma quel giorno la congiura fu rivelata al Luogotenente Generale, il quale turbato sospendeva la cavalcata festiva, e si chiudeva nello Steri con pochi soldati. Lo Squarcialupo e i suoi compagni appena udite le campane del Duomo, vi corsero e lo trovaron deserto: capirono di essere stati traditi, ma non desistettero. Ucciso Paolo Caggio, innocuo archiviario del Comune, corsero per la via Marmorea o Cassaro. Erano ventidue, ma poco dopo diventarono moltitudine, e gridando: muoiano gli assassini dei conti, investirono lo Steri. Il Pignatelli credette ammansirli con parole da una finestra, affermando che i conti erano vivi, ma non fu inteso. Era calata la notte, la folla era cresciuta, e suonavano le campane a stormo. Al chiarore delle torce lo Steri fu preso d’assalto; due giudici della Magna Curia furon precipitati dalle finestre: il conte di Monteleone, snidato, non ebbe torto un capello, ma disarmato, fu condotto e chiuso nella Reggia. La rivolta dilagò: ucciso Priamo Capozzo, giurista e poeta, cercato invano Blasco Lanza, ne fu bruciata la casa e vandalicamente distrutta la ricca biblioteca. La fuga salvò i partigiani più noti del Moncada. Il Sant’Offizio fu dato alle fiamme. Termini, Trapani, Catania, paesi minori insorsero; rinacquero antiche gare e fazioni e dappertutto uccisioni, incendi, rovine.
Lo Squarcialupo rifaceva il senato, e riprendeva il suo posto di giurato, il pretore Giovanni Ventimiglia mandava lettere a Catania e un’altra al Re, esponendo le ragioni dei fatti, e supplicandolo di rimandare i Conti. In fondo a tutto questo movimento c’era l’avversione allo straniero e l’aspirazione all’indipendenza.
Ma nell’ombra si tramava la controrivolta. Due fratelli Bologna, Nicolò e Francesco, la concepirono, s’intesero con Pompilio Imperatore, Pietro d’Afflitto, Alfonso Saladino e Girolamo Imbonetta, ed offersero al Luogotenente di ammazzare lo Squarcialupo e i compagni. Il Pignatelli ne gioì.
L’8 settembre convenivano nella chiesa dell’Annunziata a Porta S. Giorgio, lo Squarcialupo coi Bologna, coi seguiti, e vollero prima udir messa: ma mentre il sacerdote celebrava, a un segno del Ventimiglia, Nicolò Bologna si getta su Cristoforo Di Benedetto, e lo ammazza, Pietro d’Afflitto uccide Alfonso La Rosa, Pompilio Imperatore dopo un attimo di lotta abbatte Giovan Luca Squarcialupo. Allora Guglielmo Ventimiglia esce, e arringa la folla stupita: gli armati condotti dai congiurati escono gridando viva il re e muoiano i traditori: i partigiani di Giovan Luca pavidi si sbandano. Cominciano le uccisioni e durano fino a sera. Seguono bandi e leggi severe, si ricostituisce un nuovo senato, e si inviano lettere al Pignatelli, che era fuggito a Messina, per farlo ritornare.
La cospirazione di Giovan Luca Squarcialupo, nata da generosi sentimenti, si svolse con mezzi inadeguati e senza un fine determinato: egli ne fu biasimato, e i suoi uccisori lodati. Ma con questa dello Squarcialupo comincia la serie delle sommosse, delle cospirazioni, delle rivoluzioni contro la Spagna, segno di irrequietezza per la perduta indipendenza.
Il Luogotenente, a cose quiete, ritornato in Palermo, ordinò processi: i popolani furono impiccati; gli uccisori dei giudici furono alla loro volta precipitati dalle finestre dello Steri; i fratelli e lo zio di Squarcialupo decapitati, le loro case abbattute. Seguirono altri supplizi. Così egli annunziò al Re di aver salvata la Sicilia. Il Re lo nominò vicerè.
Ma non per questo la Sicilia ebbe pace e il Vicerè quiete…


Luigi Natoli: Squarcialupo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500
Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia, dal 02 febbraio 1924. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 24,00 - Pagine 684
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giovedì 4 luglio 2019

Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Quadro storico dell'opera.

Scoppiava la rivoluzione francese, che scuoteva dai cardini gli ordinamenti ancora medioevali della società, e gettava le fondamenta di un nuovo diritto pubblico. Le monarchie ne erano sgomente. La Corte di Napoli, assolutista, arrestò quel moto di riforme, che lentamente andava rinnovando lo Stato, più e meglio in Napoli, che in Sicilia, dove ostava la tenace resistenza dell’istituto parlamentare. La politica estera ondeggiò fra le paure, e le incertezze: si temettero moti interni; ogni aspirazione liberale fu detta giacobinismo; il sospetto guidò gli atti a una reazione. Tre giovani furono nel 1793 impiccati a Napoli, non rei che di innocua simpatia; ma più serio pericolo provocarono in Palermo altre condanne. Già erano entrate le dottrine rivoluzionarie con la massoneria che aveva logge in Palermo, in Messina, in Catania, in Siracusa e nei minori centri; onde vi furono arresti, prigionie, processi, le cui carte si trovano ancora nell’Archivio di Stato. Vittima più illustre però fu l’avvocato Francesco Di Blasi, cadetto di nobile famiglia, dotto, autore di opere pregiate, giurista, che imbevuto delle dottrine rivoluzionarie, attirati alcuni giovani, fra cui dei militari, tutti della borghesia e delle maestranze, cospirò per abbattere il Governo, e proclamare la repubblica in Sicilia, fidando più nella generosità delle idee, che nella sicurezza dei mezzi. Doveva la rivolta scoppiare nella Settimana Santa del 1795, reggendo la Sicilia l’arcivescovo Lopez y Rojo, successo al Caramanico, improvvisamente morto: ma un delatore, certo Teriaca, avvertì l’Arcivescovo e il Comandante delle Armi, generale Walmoden. Il Di Blasi e i compagni furono arrestati e sottoposti a giudizio: egli, torturato, non accusò che sé stesso. Fu condannato con Giulio Tenaglia, Benedetto La Villa e Bernardo Palumbo; egli ebbe mozzato il capo, gli altri furono impiccati, il 31 di maggio nel piano di S. Teresa, oggi Indipendenza, tra lo squallore della città, e sotto la minaccia delle artiglierie del Palazzo. Prima di andare al supplizio il Di Blasi scrisse due sonetti. Furono essi i primi caduti per le nuove idee nel regno di Sicilia. Gli eccessi e le carneficine del Terrore e più il vilipendio della religione avevano suscitato nel clero di Sicilia e nelle popolazioni un grande orrore pei “giacobini”, i quali erano rappresentati come belve, nemici delle cose più sante: donde l’odio aumentato dalla tradizionale avversione pei francesi, che strinse la Sicilia intorno al trono. Cosicchè, calati i francesi in Italia, e temendo il Re un’invasione, l’Isola non fu sorda alle richieste di uomini e di denari. I grandi feudatari levarono milizie, le città offrirono le somme che poterono. Né la pace segnata fra il re Ferdinando e la Repubblica francese nel 1796 dissipò i timori. Son note le vicende del regno di Napoli in quegli ultimi anni del secolo: la rottura della pace nel 1798, richiese nuovi sacrifici ai due Regni: si requisì l’oro e l’argento dei privati, che però non risposero tutti, pavidi di non esserne ricompensati. Riaccesa la guerra con la Francia, re Ferdinando occupò guasconescamente Roma; ma i suoi eserciti, furono sconfitti ed egli ritornò rapidamente a Napoli; imbarcatosi la notte del 23 dicembre sul Vanguardia , vascello della squadra inglese, con la famiglia, la corte, l’ambasciatore britannico e le opere d’arte più pregiate, salpò per Palermo. Dopo una tempestosa traversata, nella quale morì il figlioletto Alberto, vi giunse la notte del 25, improvvisamente. La notizia, diffusasi per la città, destò commozione. Accolto con applausi, sbarcò prima il Re, e il giorno dopo verso sera la Regina. I Sovrani subito si misero all’opera per fortificare la Sicilia e riconquistare il regno perduto, mentre a Napoli entravano i Francesi, e vi istituivano la Repubblica Partenopea.
La Sicilia, illudendosi di riconquistare con la sua fedeltà il Re, e vedere di nuovo risplendere l’antica reggia, fece ogni sforzo per aiutarlo. Si lasciò depauperare, ordinò tre reggimenti, costruì cannoniere, offrì milizie volontarie, come se quella guerra fosse stata cosa sua. La Corte ebbe con sé in quel tempo la nobiltà per calcolo, le plebi per ignoranza e le vane speranze di miglioramenti, il clero per interesse e fanatismo; i faccendieri per speculazione; ma nel ceto medio intellettuale v’erano molti che vagheggiavano nuovi ordinamenti liberi, ed erano avversi alla Corte, che lo sentiva. Del resto l’Isola non era tranquilla; e non solo per cagione della guerra, ma pei disordini che scoppiavano qua e là contro i giacobini veri o supposti; donde scene di barbarie disonorevoli, cui si abbandonavano le plebi fanatiche. Anche la nobiltà in qualche modo mutata, non fu servile; e quando la Corte abbandonò la Sicilia, non dissimulò il suo malcontento. 

Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1914
Pagine 851 - Prezzo di copertina € 25,00ù
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