giovedì 6 dicembre 2018

Luigi Natoli: Le feste di Coe. Tratto da: Gli schiavi


Quel giorno erano le none del 651 di Roma (5 febbraio 103 a.C.); e Cecilio, ricevuti gli auguri della famiglia e degli schiavi della casa, con preghiere ai Lari e doni, preparava un gran banchetto, dato a ventisei fra ricchi cavalieri romani e proprietari siciliani ai quali voleva mostrare il nuovo triclinio che aveva fatto costruire. Costruire non è proprio; chè egli lo aveva solo rivestito di marmi: gialli, rossi e verdi, e ornare di pitture e di statue che erano una vera bellezza. Inoltre l’aveva arricchito di tre tavole di marmo nero con intarsi di avorio, con letti di bronzo dorato, coperti di materassi e di drappi ricchi, che destavano meraviglia. 
Prometteva anche una sorpresa. 
I ventisei invitati giunsero un quarto d’ora prima dell’ora assegnata da Caio Cecilio nei suoi inviti, che era l’ora sesta, corrispondente alle nostre dodici, ora fissata per il pranzo. Non v’erano donne: chè erano rimaste nel gineceo; schiave sì, ed erano le flautiste e danzatrici, che a suo tempo entrarono in sala coi giocolieri, i mimi e gli atleti. 
Il cuoco fece prodigi, sfoggiò una fantasia straordinaria nell’ideare le varie tavole, ossia portate, e una abilità non meno straordinaria nel cucinare vivande complicatissime. Oltre agli antipasti, fra i quali v’erano delle uova di pasta, in cui si trovavano dei tordi lardellati con rosso d’uovo, servì un maialetto intero, che pareva ancor vivo, roseo con le setole bianche; sparato il quale, come se avessero voluto macellarlo lì per lì sulla tavola, ne erano uscite dal ventre salsicce e mortadelle. 
I commensali applaudirono. I Sicilioti esclamarono:
- Tu hai certo un maestro in cucina siciliota, perché non ci sono che essi capaci di fare queste pietanze!
- Hai detto bene. Il mio maestro di cucina è di Siracusa; ed è il primo cuoco di Sicilia. Io spendo molto per i miei pasti: vi basti sapere che egli ha ai suoi ordini un esercito di servi, dal fornaio al dulciario, che gli ubbidiscono in tutto.
Intanto lo struttore (18) serviva le portate, secondo la scelta dei commensali; e i dapiferi (19) somministravano da bere; le flautiste sonavano e le danzatrici ballavano voluttuosamente. 
Or in quel mese, secondo l’usanza remota nelle città di origine greca, e l’usanza si era propagata anche in quelle sicule, cadevano le antiche feste di Coe, un ramo forse o una derivazione delle Tesmoforie, che si celebravano in onore di Demetra (20). Le Coe onoravano Dioniso con un gran banchetto popolare, nel quale ad ogni convitato si dava una misura colma di vino; e aveva un premio chi la vuotava per primo. La festa aveva perduto il suo primo carattere religioso, e si era trascinata come usanza popolare. Dopo la conquista romana non si era ridotta che a banchetti privati, qua e là. Caio Cecilio Pulcro, per dare uno spettacolo ameno ai suoi ospiti, aveva pensato di adattarla alla sua festa domestica; non però offrendo un banchetto al popolo, sibbene ai suoi servi, tra i quali doveva aver luogo la gara. Aveva per questa fatto preparare delle tazze ampie; e si prometteva di ridere, per una sorpresa che si riserbava di fare ai servi ed ai suoi commensali. 
La tavola dei servi, lunga e improvvisata con assi, era stata preparata dinanzi all’ergastolo. Questo sorgeva in fondo ad un orto, all’estremità di un viale; era un vasto edificio, poco elevato, con scarse e piccole finestre munite di sbarre, con una porta massiccia, coperta di una lamiera di bronzo. Dinanzi ad esso si stendeva un largo spazio vuoto. Dalla parte opposta all’altra estremità del viale, sorgeva un altro edificio, assai più bello, con un piccolo portico, i muri rivestiti di stucco e dipinti, del quale si riconosceva subito l’ufficio: era il bagno; Caio Cecilio Pulcro vi aveva trovato una polla d’acqua e l’aveva utilizzata, facendo costruire le sue terme, in proporzioni ridotte, ma con aula, vasca natatoria, frigidario, calidario, spogliatoio; insomma tutti i comodi. Tanto per andare all’ergastolo quanto per andare al bagno, bisognava percorrere un largo viale, fiancheggiato di cipressi e di siepi di rose, che tagliava in due l’orto, e finiva su quell’altro viale, ai cui estremi sorgevano i due edifici, formando un gigantesco T. Il punto dove il viale maggiore si inseriva nel minore, si allargava in una esedra, con un sedile per tutta la sua curva, e sulla spalliera del sedile, come sopra uno stereobate, un colonnato, a una sola fila, che offriva una bella vista a chi dalla casa guardava l’orto o percorreva il grande viale. 
Levate le mense, Caio Cecilio Pulcro invitò i suoi amici a seguirlo nell’orto. Immaginando che ivi avrebbe trovato la promessa sorpresa, i commensali si rovesciarono con lieto tumulto nel largo viale; erano tutti avvinazzati, qualcuno barcollava e si appoggiava al compagno non meno traballante; Caio Cecilio camminava reggendosi con le mani sulle spalle di due servi. Quando giunsero dinanzi alla tavola degli schiavi, questi si levarono in piedi gridanto:
- Vita lunga e felice a Caio Cecilio Pulcro! Gli dei ti colmino di favori, Caio Cecilio Pulcro!...



Luigi Natoli: Gli schiavi. Romanzo storico siciliano ambientato al tempo della dominazione romana e delle guerre servili.
Pagine 387 - Prezzo di copertina € 22,00
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Sonzogno nel 1935
Disponibile presso Librerie Feltrinelli e in tutti i siti di vendita online
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

Luigi Natoli: La dominazione romana in Sicilia. Tratto da: Gli schiavi


Nel lungo duello con Cartagine, durato circa un secolo, Roma, insignoritasi dell’isola, se n’era fatta una base per tenere a freno i popoli dell’Africa. La folla dei Romani e degli Italici vi si era accampata come un popolo dentro un popolo, del quale sentiva la superiorità nel vivere civile. Altrove Roma, dove assoggettava popoli barbari o di civiltà inferiore, colonizzava, trasformava, latinizzava; ma in Sicilia, dove trovava Siracusa, Acroganto, Catana, Centuripe, Tauromenio e altre città ricche, splendide, altamente progredite; dove, fiera e rozza com’era, aveva tutto da imparare, attese ad abbassare il livello dei cittadini. E li spogliò. I Siciliani ricchi si dettero ad imitare i nuovi padroni. Considerata come ager publicus, proprietà dello Stato, i conquistatori si diedero ad accrescere le loro terre con la frode e con i ladroneggi, in una gara di rapacità e di invidie. Ma la coltivazione richiedeva un gran numero di braccia; quelle dei Siciliani richiedeva molta spesa; quelle degli schiavi costava assai meno. E Roma inviò in Sicilia grandissimo numero di prigionieri di guerra, altre migliaia ne fornivano i pirati, che facevano continue scorrerie nelle coste dell’Asia e dell’Africa, e anche in quelle della Sardegna e della Sicilia, rapivano i giovanetti e le fanciulle e andavano a venderli a Delo, grande mercato umano. In Sicilia se ne faceva anche allevamento, facendo accoppiare gli schiavi, poiché era legge che i figli procreati dagli schiavi fossero proprietà del padrone. 
Così la Sicilia era popolata da pochi ricchi, Romani i più, e da molti poveri, che erano Siciliani, e da schiavi non siciliani quando venne al mondo Caio Cecilio. Cresciuto nella ricchezza, l’aveva aumentata. Non era stato indegno del suo avolo, di cui aveva in più la superbia e la crudeltà. In una delle sue infrequenti gite a Roma, aveva contratto matrimonio con una giovane sabina, Tazia Flammea, e ne aveva avuti un maschio, Manlio Cecilio, che ora toccava i vent’anni; e una femmina, Cecilia, che ne aveva sedici. 
Oltre la villa dell’Atichio, dove trascorreva si può dire tutto l’anno, possedeva una bella casa a Lilibeo, ma vi passava, e non sempre, due mesi: dicembre e gennaio. Vi giungeva trasportato in lettiga dai servi cappadociani, e seguìto da una scorta armata per la poca sicurezza delle strade, infestate da ladroni, quasi sempre impuniti. Erano infatti schiavi addetti alla pastorizia, e lasciati dai padroni ignudi, i quali ricorrevano a quel mezzo per vestirsi. Ad uno d’essi, che una volta s’era lamentato di non avere un cencio di che coprirsi, Caio Cecilio aveva risposto cinicamente:
- O che forse non passano viandanti per le strade?
I pastori approfittarono del consiglio; ma Caio Cecilio, per poter percorrere quella distanza di venticinque stadi (7), che intercedeva tra la villa e la città, prendeva le sue precauzioni. 
La villa di Caio Cecilio Pulcro, come la sua casa, era piena di ricchezze. 


Luigi Natoli: Gli schiavi. Romanzo storico siciliano, ambientato al tempo della dominazione romana e delle guerre servili.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Sonzogno nel 1935
Pagine 387 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile presso Librerie Feltrinelli e in tutti i siti di vendita online.
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