lunedì 30 novembre 2020

Luigi Natoli vola in Bulgaria con l'opera teatrale inedita in dialetto siciliano l'Abate Lanza, tradotta e pubblicata in bulgaro


Grazie alla traduttrice Daniela Ilieva l'opera inedita in dialetto siciliano di Luigi Natoli "L'abate Lanza" (fa parte del volume "Suruzza!" che raccoglie tutte le opere teatrali in dialetto siciliano) è stata tradotta in bulgaro e pubblicata in Bulgaria da una casa editrice impronunciabile per noi italiani, ma che ringraziamo di cuore anche a nome dell'illustre autore, che da lassù sarà ben felice di avere dei lettori bulgari. 




Una gioia immensa per noi editori, che dall'antico manoscritto dell'autore abbiamo ricostruito l'opera inedita in siciliano... vederla tradotta in Bulgaro è incredibile.
Ringraziamo Daniela Ilieva e tutti i lettori bulgari che si interessano a Luigi Natoli e alle sue opere. 


Il volume "Suruzza!" edito I Buoni Cugini editori, raccoglie tutte le opere teatrali di Luigi Natoli in dialetto siciliano, ovvero: Suruzza!, L'abate Lanza, L'umbra chi luci, Quattru cani supra un ossu. Sono tutte opere inedite, in quanto ricostruite e copiate dai manoscritti dell'autore, con traduzione in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto e note esplicative a cura dell'editore.
Pagine 729 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it. Si può prenotare con messaggio w.a. al 3894697296 oppure scrivendo alla mail ibuonicugini@libero.it.
On line su Amazon e Ibs
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Via Cavour 133, Palermo


martedì 24 novembre 2020

Luigi Natoli: Squarcialupo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1517.

Giovan Luca Squarcialupo apparteneva a una di quelle famiglie pisane, che esercitando traffici e tenendo banchi, avevano acquistato ricchezza e nobiltà. Era giovane. Pochi anni innanzi aveva preso moglie; ma dieci mesi dopo era rimasto vedovo. Viveva quasi appartato, badando al banco, e coltivando lo spirito con la lettura. Era stato alunno di un dotto umanista, che gli aveva fatto prendere amore ai grandi scrittori latini; ed egli leggeva con preferenza Livio e Virgilio. Ma leggeva anche certe cronache manoscritte della repubblica di Pisa, e altre del regno normanno e svevo di Sicilia e del Vespro. A
bitava nella strada della Loggia dei Pisani, proprio quella che anche oggi conserva l’antico nome. Molte famiglie della “nazione” pisana stavano da quella parte, e nella strada di san Francesco: e gli Squarcialupo venivan da Pisa, e avevano il loro banco nella Loggia. Allora la strada si prolungava, perché la via Marmorea o Cassaro finivano a Sant’Antonio: e dovevan passare cinquant’anni all’incirca, perché fosse prolungato fino alla chiesa di Porto Salvo, tagliando strade, e abbattendo case. 
Parlava col volto acceso da una fiamma interna, che rendeva calda e appassionata la parola. Tristano, sebbene avesse gran premura di andarsene, ne rimaneva talvolta preso, e lo ammirava: e gli pareva che Giovan Luca si ingrandisse, e si illuminasse di una luce nuova. Non era più quel pensoso, che pareva sdegnoso di parlare, o parlava breve e a sentenze: pareva qualcosa fra l’oratore e il condottiero; un sovvertitore di popolo e un dominatore. Certamente aveva un’idea, che non rivelava ancora, forse era l’idea madre, dalla quale si generavano tutte le sue azioni, anche caute, quasi saggiature; ma che al momento opportuno, si sarebbero svolte in tutta la loro pienezza. Con tutto ciò appariva agli occhi di Tristano come un uomo nuovo. 
Attendeva a preparare i modi e i mezzi per attuare quel suo vecchio disegno di riscossa per cacciare lo straniero, e istituire un governo democratico, come quello che fece la gloria di Pisa. Era l’idea accarezzata fin da quando cominciò a leggere le pagine di Livio, maturatasi col progredire negli studi umanistici, fattasi assillante in quei rivolgimenti, e allo spettacolo delle violenze e delle ladronerie del vicerè don Ugo. Che quelli non fossero tempi di repubblica, che questa repubblica vagheggiata da lui era un anacronismo, sfuggiva alla esaltazione del suo spirito, che lo illudeva di speranze e di sogni eroici.
- Ebbene, non si può estendere a tutta la Sicilia, e fare del regno una grande Repubblica? Questo è il mio sogno; ma forse voi non ne vedete tutta la bellezza, perchè le vostre idee sono diverse dalle mie, quanto alla forma del governo. Noi siamo stanchi; il malgoverno è giunto al suo estremo limite, oltre il quale non vi è pazienza umana che possa sopportarlo. Tollerarlo ancora è un delitto; bisogna spezzare le catene: bisogna ricordarsi del Vespro, se non vogliamo che questa nostra terra precipiti in un abisso dal quale non potrà più rilevarsi.  

Luigi Natoli: Squarcialupo. Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1517, quando Giovan Luca Squarcialupo, patriota, sognò e realizzò anche se per poco, un governo repubblicano. L’opera, mai pubblicata in libro, è costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924.
Pagine 684 – prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it. Puoi acquistare inviando un messaggio w.a. al 3894697296 oppure inviando una mail a ibuonicugini@libero.it. Sarai subito contattato per completare l'ordine. Consegna in tutta Italia a mezzo corriere. 
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lunedì 23 novembre 2020

Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri, parla l'autore. Tratto da: Fioravante e Rizzeri, romanzo ambientato nella Palermo del 1920

(Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 16 dicembre 1936)
 
Quanti hanno letto il magnifico libro dei “Reali di Francia”?
Il trovarlo sui muriccioli, stampato Dio sa come, o nelle case dei contadini e degli umili, che se ne fanno assidua lettura, disdegna le anime gentili di comprarlo o di guardarlo. Né si trova dai librai. Essi vi hanno bensì l’ultima “creazione” moderna, che è morta prima di nascere, ma che rechi la cantafera di una qualche signora, piuttosto un libro che ha novecento anni addosso, quanti ne ha la “Divina Commedia”.
Perché i “Reali di Francia”, nella  veste che lor diede Andrea da Barberino, rimontano al trecento, e sono citati fra i testi classici, e costituiscono per noi la nazionalizzazione della materia epica francese, che sarebbe per il nostro cantafavole italiano.
Che narrano i “Reali di Francia” infatti?
Narrano la storia come da Costantino imperatore romano derivasse per naturale discendenza tutti i principi illustri che governarono la Francia da quell’epoca fino a Carlo Magno, e con loro i valorosi che li accompagnarono e che ne furono il più bello ornamento. Orlando, che è il maggiore eroe, e diventò l’immagine del valore, della cortesia e della fede, che riassume il sentimento nazionale francese, nasce per i “Reali” in Italia, e in una grotta in Sutri, dove lo partorì Berta moglie di Milone conte di Anglante, e sorella di Carlo Magno, fuggendo l’ira di costui. Così egli è italiano non soltanto per discendenza, ma anche per nascita; italiano e cittadino romano. E l’orifiamma, la gloriosa insegna che si trasmette da re a re, e che evidentemente è il vessillo, in cui Costantino fece scrivere le famose parole “In hoc signo vinces”, e che forma il centro della storia, è pur esso italiano.
Fioravante e Rizzeri sono come Buovo d’Antona e come Orlando una parte dei “Reali”, e, come quelli, la più popolare. Non è il caso di investigare se Andrea da Barberino abbia attinto ad altri poemi, di cui era ricca la Marca Trivigiana e di cui si servivano i cantafavole nelle piazze; chi ha la pazienza di leggere lo studio che precede il “Fioravante”, nella Collezione dei testi di lingua, e gli studi sulla Epopea francese e sull’ “Orlando” di Pietro Raina, e i maggiori scrittori della storia letteraria d’Italia, può farlo; per noi il romanzo di Andrea da Barberino è tutto; noi non facciamo dell’erudizione; prendiamo quello che con tanta grazia e ingenuità narra lo scrittore toscano; e se di una cosa ci maravigliamo, è appunto che esso non sia letto oggi più dei romanzi gialli.
Io lo lessi giovanotto e ricordo che non potevo, se non difficilmente tralasciare la lettura; lo rilessi ora, e provai il medesimo diletto al racconto delle avventure subite e affrontate da Fioravante e da Rizzeri suo compagno e maestro, primo paladino di Francia e uomo senza macchia e senza paura. Comincia Fioravante con una monelleria, che lo spinge a lasciare il tetto paterno del re Fiorello; e di là si partono le sue avventure. Liberazione di giovanette, uccisione di nemici della fede, perdita di armatura rubatagli da un ladrone, prigioniero del re di Scondia, innamoramento con Drusolina, il suo valore come incognito e via via quello che gli succede da re, le persecuzioni di sua madre Biancadoro, che voleva dargli moglie, le avventure di Drusolina, che sola abbandonata, dà alla luce due gemelli, uno dei quali le viene rubato, e il duello dei due fratelli che non si conoscono, tutto ciò frammezzato di tanti episodi forma il romanzo, che spira un senso di giustizia e solleva gli animi nelle regioni del sogno. I nomi delle contrade non si sa dove trovarli, le distanze di parecchie migliaia di chilometri si percorrono in un tempo irrisorio, gli eserciti sono così innumerevoli da superare il numero degli abitanti delle città che li armano... Che importa? Siamo nelle sfere del sogno, nel quale ci piace navigare.
Qualche volta, passando per una stradetta, sopra una porta, vedo pendere un cartellone con dipinti in quadri alcuni episodi di quello che si rappresentava la sera nel teatro delle marionette; e vi leggevo i nomi di Fioravante e di Rizzeri. La storia di Andrea da Barberino si era rifugiata lì: Fioravante e Rizzeri erano tramutati in teste di legno, come tutti gli altri campioni del valore e della fede; ma anche in quelle vesti che destano in noi un sapore di cose nuove. In un quadro v’erano due guerrieri, che abbassavano le armi e un leone fra loro in atto di separarli; in un altro, una folla di popolo e una regina condotta al rogo: i cavalieri erano vestiti con le armature del cinquecento, con un salto di mille e duecento anni. Non importa nulla. Pel popolo abituato a quel teatro e pel puparo, ossia per l’ “oprante” tutte queste differenze sparivano nell’antico, in cui tutto accadeva senza distinzione di tempo, di luoghi, di costumi: ma l’onda di poesia che scaturiva anche da quelle piccole teste di legno era possente e riecheggiava nelle anime semplici degli spettatori.
Ora anche adesso questo giornale si ispira alle avventure di Fioravante, e lo riproduce attraverso un “oprante”; e intreccia l’antico con il moderno; e le avventure di Lillì fanno contrasto con quelle di Drusolina, e quell’onesto puparo sembra foggiato con l’anima dei suoi pupi. C’è riuscito? È quello che vedrà il lettore. Ma se non è immodestia dirlo, coloro che mi hanno seguito attraverso i diciotto o venti romanzi, da me pubblicati su questo giornale, sanno per prova che un certo interesse so trovarlo.
 
Maurus o Willam Galt

Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. Romanzo ambientato nella Palermo del 1920 ricostruito e trascritto dalle puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936, con premessa dell’autore tratta da un articolo dello stesso Giornale pubblicato il 16 dicembre dello stesso anno. È ispirato alle storie di Buovo D’Antona nell'Opera dei pupi, nello specifico del re Fioravante e del suo scudiero Rizzeri, che riproduce attraverso l'oprante, don Calcedonio, a cui contrappone i problemi creati dalla giovane Lillì nella vita di tutti i giorni.

Prefazione di Francesco Zaffuto
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 308 – Prezzo di copertina € 19,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (spedizioni in tutta Italia a mezzo corriere); è possibile ordinare con messaggio w.a. al 3894697296 oppure alla mail ibuonicugini@libero.it.
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venerdì 20 novembre 2020

Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla Preistoria al fascismo. Avvertenza dell'autore.

Le vicende di questa STORIA sono tali e tante che mi obbligano a premettere un’avvertenza.
Circa vent’anni or sono l’editore Remo Sandron mi invitò a scrivere una STORIA DI SICILIA, ma la Sua morte interruppe le trattative.
Doveva poi assumerne la pubblicazione la Casa Editrice Optima di Roma, ma in seguito, non fu più possibile per ragioni indipendenti dalla mia volontà.
Intanto io andavo limando ed elaborando il testo, effettuando modifiche e variazioni secondo nuove pubblicazioni di documenti.
Avevo quasi perduto la speranza di veder pubblicato il mio lavoro, quando spontaneamente l’editore Ciuni mi chiese di esaminare il testo. Egli mi pregò di togliere ciò che non era veramente necessario, al fine di rendere l’opera più svelta e interessante, e di aggiornarla sino al fascismo, poichè in origine la STORIA si arrestava al ‘60.
Avverto qui che, per non interrompere la narrazione col richiamo a piè di pagina delle fonti, ho soppresso le note, riportando in fondo al libro una vasta bibliografia a cui rimando il lettore.
E prima di chiudere quest’avvertenza, mi è gradito obbligo ringraziare la gentile Signora Luisa Ciuni Saracinelli che, con amore e pazienza, ha cooperato nella correzione delle bozze, e ha compilato – lavoro in verità non lieve! – gli indici dei nomi di persone e di luoghi.

Luigi Natoli
Palermo, Natale di Roma del 1935 XIII

Luigi Natoli: Storia di Sicilia (dalla preistoria al fascismo) – Il volume, è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata con lo pseudonimo di Maurus dalla casa editrice Ciuni nel 1935, e si divide in sette parti: Libro Primo (dalla preistoria alla conquista bizantina) Libro Secondo (dai Bizantini alla conquista Normanna) Libro Terzo (dalla nascita del Regno di Sicilia al Vespro siciliano) Libro Quarto (la Sicilia sotto gli Aragona) Libro Quinto (dai re di Casa d'Austria alle guerre di successione) Libro Sesto (Il dominio dei Borboni) Libro Settimo (Il Risorgimento). Il volume si conclude con la Bibliografia delle principali fonti consultate dall'autore e dall'Indice analitico dei luoghi e delle persone. In tutta l'opera Luigi Natoli padroneggia la materia con grande perizia storiografica e con la competente erudizione del grande letterato senza mai annoiare il lettore, analizzando i fatti con imparziale lucidità e con un linguaggio moderno, facendone un testo di riferimento ancora attuale e di facile consultazione. La copertina, di Niccolò Pizzorno, raccoglie alcuni dei personaggi "perno" della Storia di Sicilia, sullo sfondo degli stemmi delle principali famiglie nobili siciliane e della Trinacria. 
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 509 – Prezzo di copertina € 24,00
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giovedì 19 novembre 2020

Luigi Natoli: Disgrazie. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700. Opera inedita.

E la sventura cadeva spesso sulla città. Non è una bella cronaca questa; e non se ne può fare addebito a nessuno, o tutto al più se ne può fare addebito alla mancanza di previgenza. Io non parlerò delle carestie che affliggevano Palermo, perché erano una cosa abituale, ma voglio dire di quei disastri o accidenti che afflissero la città nostra. 
E prima di tutto ci si presenta la rovina della casa di Giorgio Bracco il 30 di maggio del 1527. Si ballava nel salone allegramente per le nozze di Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci, con Elisabetta Moncada nipote del Bracco, e vi era il Vicerè Ettore Pignatelli. A un tratto si levò un urlo e tra la polvere e il fracasso scomparvero gl’invitati. 
Il pavimento, cadendo al peso enorme, s’era sfondato e aveva sepolto gli invitati e schiacciati quelli che stavano nel pavimento di sotto. Rimase una piccola parte di esso, dove stavano il Vicerè e gli sposi. I morti furono duecento; le feste delle auspicate nozze si mutarono in lutto. 
Il 27 di settembre del 1557 una nuova disgrazia piombò sulla città. Nelle mura occidentali, in prossimità della chiesa dell’Itria, sorgente nel luogo stesso dell’attuale chiesa della Pinta, v’erano aperte delle buche per dove entrava l’acqua del fiumicello Cannizzaro, che percorreva quella via chiamata poi di Porta di Castro. Da quelle buche i contrabbandieri si servivano per passare a tempo di vendemmia, l’uva...

Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700. Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
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martedì 17 novembre 2020

Luigi Natoli e la morte di tre baronesse: Caterina La Grua, baronessa di Carini. Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue

Appena il barone fu solo, cinse la spada, infilò i guanti di cuoio, tolse un mantello ampio e grave,
il cappello e chiamò:
- Il mio cavallo e quattro uomini montati.
Il lacchè sgranò gli occhi per la maraviglia; dove il signor barone voleva andare a mezzanotte, con quella scorta armata? Trasmise l’ordine; tosto nel palazzo silenzioso si intese uno strepito d’arme, un rumore di sproni per la scala, per l’atrio.
Poco dopo cinque cavalli facevano risonare la via silenziosa del loro trotto serrato, alla luce rossa di una fiaccola recata in mano da uno dei servi.
Parevano a quel fosco e sanguigno chiarore cinque fantasmi, usciti dal regno della morte per far vendetta di un misfatto.
Ella correva dietro al suo sogno, cercandolo tra le nubi dorate che erravano nel cielo; quando un frequente scalpitare di cavalli distolse gli occhi suoi.
Guardò giù nel piano; un gruppo di cavalieri che ella non distingueva ancor bene, saliva già la collina; uno di essi andava innanzi, incitava il cavallo, come per infondergli lena; il cavallo incurvava la nobile testa sul petto fumante, ed allungava il passo su lo scosceso sentiero che serpeggiava fra le rupi.
Donna Caterina guardava con sospettosa curiosità; chi potevano essere quei cavalieri? E quale urgenza li pungeva? E che venivano a cercare nel castello? Quando furono più vicini, il cavaliere che andava innanzi levò la testa in su. Donna Caterina trasalì; un fremito ghiacciato serpeggiò per le vene; le gambe le tremarono; stette come inchiodata dal terrore nel balcone.
Aveva riconosciuto suo padre...
I cavalli erano arrivati su la spianata; il signor barone, veduta la figliuola, aveva cacciato gli sproni nei fianchi del cavallo, levando il pugno minaccioso verso di lei. ella vide i cinque cavalieri svoltare l’angolo, e poco dopo sentì risonare i ferri sul selciato della corte. Allora fece uno sforzo, entrò nella sala, e si appoggiò alla spalliera di un seggiolone: in quel momento la porta si aprì con fracasso; il barone don Vincenzo, seguito da un bravaccio, balzò nella sala come l’avvoltoio su la colomba.
Si fermò innanzi alla figliuola, incrociando fieramente le braccia sul petto, e guardandola quasi per scoprire sul suo volto le tracce degli ultimi baci peccaminosi.
Ella tremava, pallida, atterrita, non osando levare gli occhi su quelli del padre, sul cui aspetto aveva letto chiaramente la sua condanna.
Stettero un minuto così, in silenzio, l’uno di faccia all’altra; il bravo, bieco e triste, se ne stava aspettando, su la soglia dell’uscio. Donna Caterina si sentiva venir meno; perché la sala non sprofondava, inghiottendola? Perché non moriva ella in quel punto, per sottrarsi alla vergogna, alla collera, al castigo?
Ah, ella lo sapeva bene, lo sentiva dentro di sé, perché era venuto il padre, ma furono quelle le parole che le vennero su le labbra, ed ella le disse forse per nascondersi la spaventevole risposta che le agghiacciava l’anima. E ripetè, senza sapere quello che si dicesse, fuori di sé:
- Perché siete venuto, signor padre?
- Sono venuto per ammazzarvi! – rispose il barone cupamente, e sguainò la spada.
Ella sentì lo stridore della lama uscente dalla guaina e un brivido gelato le corse per le vene: si buttò in ginocchio, giungendo le mani con una espressione disperata di preghiera e di dolore. Una rapida visione le passò innanzi agli occhi, la visione del peccato; morire senza un ultimo conforto, senza il conforto di Dio? Si risovvenne delle parole di frate Arcangelo, del tempo trascorso senza pregare, della chiesa fatta per lei un ritrovo d’amore, dello scandalo seminato, dell’infamia che pesava sopra di lei, della dannazione dell’anima... Una spaventevole visione infernale! Voleva farla morir così? Voleva dannarla a una disperazione eterna? Senza fine? Senza tempo?
- Signor padre!... – supplicò – signor padre, lasciatemi dunque confessare.
- Confessarti? – stridette con un sogghigno feroce il barone – confessarti?... domandi un confessore? E per quanti mesi non hai avuto bisogno di confessarti? Di’!
Le si accostò, sollevandole ruvidamente la testa e piantandole gli occhi negli occhi.
- Dillo! Quanti mesi sono che trascini il mio nome nel fango? Che ti abbandoni negli abbracci impuri di un mio nemico? Che insozzi la casa mia, che non conosce infamia?
Ella si coperse il volto con le mani:
- Oh abbiate pietà di me, abbiate pietà...  
Esterrefatta, disperata, non sapendo a qual partito appigliarsi, donna Caterina balzò in piedi, fuggendo verso le stanze. Il signor don Vincenzo le si slanciò dietro, bestemmiando, ella fuggiva verso la sua cameretta...

Luigi Natoli: – La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di leggende trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 310 – Prezzo di copertina € 21,00
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Luigi Natoli e la morte di tre baronesse: La Baronessa di Mongellino (Il caso di Sciacca) Tratto da: La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue

 
Il signor Girolamo Stetella, barone di Mongellino e capitano d’arme, ordinato dal Vicerè per comporre il dissidio tra i Luna e i Perollo, dormiva ancora, nella sua dimora, quando uno degli algozini precipitosamente e rovesciando i servi, irruppe nella camera. 
La baronessa, destata di soprassalto, si alzò sui gomiti, spalancando gli occhi ancor sonnolenti; nel disordine della mossa camicia, cadendo, denudavale il petto bianco e marmoreo.
Il barone stese le mani su la spada. 
- Che cosa c’è? Che cosa c’è?...
- C’è, magnifico signor capitano, che il conte don Sigismondo entra in Sciacca con una folla di uomini d’arme... un vero esercito!...
- Il conte?... un esercito?... Per San Girolamo, questa è tracotanza!... Su, radunate la Corte, io mi vesto.
Mentre l’algozino usciva, il signor Capitano balzava dal letto, infilava le brache, le calze, il giustacuore; e la signora baronessa, pallida ma ferma, in camicia innanzi a lui, lo aiutava, gli abbottonava il giustacuore, gli porgeva la spada, gli legava i nastri; e intanto dalla strada saliva un rumore sordo, il brontolìo d’una minaccia cupa, simile al gorgoglio dei cavalloni, quando alti e spumosi si avanzano verso il lido.
Sentirono quel brontolio arrestarsi innanzi alla casa, circondarla, investirla; poi crescere, come per nuovi rumori che si aggiungevano ai primo; si distingueva un vocìo confuso, aspro, collerico, misto a suono d’armi, a rotolare di carri. Poi su quel tramestìo, si sentì chiaro e distinto lo strepito dei catenacci e delle stanghe che sprangavano di dentro la porta.
Il barone di Mongellino era rimasto in mezzo alla camera col cappello in mano e gli orecchi intenti, turbato da quel rumore che si ostinava intorno alla sua casa; la baronessa che s’era gittata indosso una veste, stava ancora col braccio teso, infilato in una manica, guardando il marito.
- Ma che cosa mai succede?
Il barone non rispose; si appressò a una finestra, e guardò: impallidì, e senza poter frenare un moto di spavento, gridò:
- Ma che vogliono da me?
Allora aperse l’uscio e chiamò gli ufficiali della sua corte. Accorse lo scrivano pallido e tremante, balbettando:
- Magnifico signore, siamo presi!... siamo presi!
Difendersi!... Era una bella parola. Come difendersi dalla furia di quei demonii? Gli algozini, gli schivani, i servi, si erano difesi alla meglio; ma Giorgio Comito e i suoi Albanesi avevano sfondato la porta, ed avevano invaso la scala.
Altro scampo non era rimasto che abbandonare la casa, e, trascinando il barone e la baronessa, ritirarsi nella torre che sorgeva accanto.
Da una finestra della torre il barone di Mongellino assisteva al saccheggio della casa sua. I ribaldi erano entrati nell’ufficio, manomettendo i processi e le informazioni. Allora più che il timore della vita, potè il suo onore di capitan d’armi e di giudice, e appoggiate le mani al davanzale cominciò a gridare:
- Lasciate!... lasciate stare!... Badate a voi sarete tutti impiccati... È uno sfregio a Sua Maestà... Che cosa dirà l’Imperatore? Siate buoni... Quelli sono processi... Ritornate a casa; non mi costringete a punirvi... io son qui per la giustizia... In nome di sua Maestà l’Imperatore, andate, sgombrate... Ma che città è questa? Ma non ci sono giurati? Ma non c’è alcuno?... Ma voi siete diavoli?
Ma quelli sghignazzavano, e mentre rompevano i forzieri, intascavano le somme, saccheggiavano e devastavano ogni cosa, e laceravano e bruciavano i processi, gli rispondevano:
- Toh! Senti come canta! Ah! ah! e per la giustizia dell’Imperatore che l’illustrissimo è a Sciacca?...
E si precipitaron per le scale, brandendo gli archibugi, stringendo le scuri, scotendo in alto le picche, in tumulto, investendosi, urtandosi, per arrivare più presto. 
La torre era alta, quadrata, solidamente sbarrata per di dentro; dalle finestre, dalle feritoie, dai merli, gli algoziri cominciarono a tirare sugli assalitori coi pochi archibugi che possedevano. Gli scrivani, inesperti al maneggio delle armi gittavan dall’alto sedie, banchi, tegoli, tutto ciò che capitava nelle loro mani: il barone di Montellino, costernato, cercava di ammansare gli assalitori, predicando dalle finestre, che egli era il rappresentante dell’Imperatore; ma la ciurmaglia, inferocita dalla resistenza, esasperata dalle percosse, copriva la voce del Capitano con urli e imprecazioni. Qua e là rosseggiavano intanto le vesti e le armi per le ferite; Giorgio Comito aveva ricevuto un sasso sulla fronte, e così lordo di sangue come era, gridava ai suoi: 
- Ma che ci fate costì, con le mani tra le brache? Sfondatemi quella porta, vigliacchi! Che vi fareste ammazzare come galline! 
Allora i colpi di scure risuonarono più spessi e più vigorosi su la porta; e dall’alto la pioggia rinfittì, ma per poco; i difensori non avevano più munizioni; cedevano; la masnada di Giorgio Comito si accorse che la difesa cessava, e levò un urlo di gioia feroce. Alcuni trovato un trave, con quello percossero sì vigorosamente la porta, che tutta la torre ne tremò. Al secondo colpo i gangheri si staccarono; al terzo le pesanti imposte, fracassate, precipitarono con orribile fragore.
Il signor Gerolamo, con la spada in pugno, pallido ed esterrefatto stava nella sala fra alcuni algozini. Gli scrivani s’erano appiattati qua e là; alcuni avevano tentato di fuggire dalle finestre, buttandosi da grande altezza. La baronessa accanto al marito, bianca ma, aveva sentito il rimbombo dei colpi di trave, e indovinato tutto. A ogni colpo sentiva stringersi il cuore in una morsa ghiacciata; poi sentì il fracasso della porta caduta, il grido di gioia feroce degli assalitori, il tumultuoso montare per la scala.
Quattro o cinque ceffi si presentarono all’ingresso della sala, armati di picche e spade. Allora il barone, voltosi agli algoziri e ad Antonio Margeri, che gli stava a lato, gridò:
- Se s’ha a morire, almeno vendichiamoci!...
E si precipitò innanzi, roteando la spada, e stornando i colpi che gli assalitori vibravano. Ma dalla scala montavano e montavano ancora altri e più inferociti, spingendo quelli che c’erano avanti; due o tre caddero feriti mortalmente dal signor Gerolamo; un algoziro cadde con la fronte spaccata; in breve la stanza fu piena di uomini, il pavimento rigato di sangue e sparso di armi; scoppiò qualche colpo d’archibuso; la stanza s’empì di fumo.
In mezzo all’urto delle armi, tra il disperato difendersi e il feroce assalire, tra i rantoli dei feriti e le bestemmie dei combattenti, la baronessa di Mongellino, bianca e serena, con una spada in mano, cercava di parare i colpi al marito. 
Giorgio Comito si fece innanzi, gittandosi come una belva addosso al barone; le due spade scintillarono, guizzarono, sibilarono; Giorgio Comito con una mossa abilissima disarmò il barone; questi mandò un grido di rabbia, quegli un grido di gioia, ed allungò una stoccata.
Molte lame nel punto stesso balenarono contro il petto del barone di Mongellino; ma nel vibrare non i muscoli forti dell’uomo incontrarono...

Luigi Natoli: – La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di leggende trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 310 – Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it. (consegna in tutta Italia a mezzo corriere) Prenota con messaggio w.a. al 3894697296 oppure manda una mail a ibuonicugini@libero.it: sarai subito ricontatto per l'acquisto.
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Luigi Natoli: La morte di tre baronesse: donna Aldonza Santapau (Il caso dei Santapau) Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue

Fra i giardini si allungava il sentiero bianchiccio, in fondo al quale si alzava la chiesa di Sant’Antonio, col suo campanile acuminato, che sorgeva dolcemente fra gli alberi sonnecchianti.
Era la chiesa dove egli, Antonio Barresi, era andato a sposare donna Aldonza; ed era là che ogni mattina andavano a sentir messa. Placida e chiara chiesuola, dove le labbra delicate di donna Aldonza avevano per la prima volta strette quelle del marito desideroso. Oh, qual folla di ricordi e di sentimenti non si riversò nell’animo di lui, in quel momento, contemplando la lontana chiesuola, silenziosa e tranquilla nella pace di quella notte luminosa!... Strinse la testa fra le mani, mentre ruggivagli la passione nel cuore. Ah, quelle notti d’amore, al chiaro della luna che penetrava nella camera del castello, come un fascio d’argento! Ella, tutta bianca, sotto il mite splendore della luna, coi capelli spioventi sulle spalle, sorridente, affascinatrice dritta in mezzo alla camera, attendeva il marito... Il signor Antonio la rivedeva così; e mentre la memoria gli dipingeva il passato vivamente, egli stringevasi le mani disperatamente; ed ululava il dolore cupamente dentro l’anima sua, come lupo affamato nelle notti invernali. 
Abbandonò la finestra, preso da un subitaneo impeto di odio per quel paesaggio così tranquillo, mentre gli dibattevasi nella tempesta della gelosia; con passi concitati, sospinto da una bramosia di sangue che lo accecava, uscito dalla stanza, attraversò un corridoio e aperse un uscio che vi era in fondo; ma si fermò sulla soglia. Dalla finestra penetrava un quadrato di luce tenera sul pavimento verdognolo: e in mezzo a quella luce, dritta e bianca donna Aldonza, con le mani abbandonate sul grembo, stava contemplando il paesaggio; stava così, come l’aveva veduta egli nei giorni della felicità. 
Ella era così assorta, che non sentì l’entrar del marito, e il signor Antonio non si muoveva, assorbito com’era da quella visione che lo riconduceva ai suoi giorni di gioia e d’amore. Un nodo di pianto gli saliva alla gola e lo soffocava; tremò di commuoversi; volle vincere sé stesso, volle dimenticare quel passato per non vedere che la miseria presente; ma nello sforzo un singhiozzo ruppe dal suo petto. 
Donna Aldonza trasalì spaventata, voltossi, e visto il marito così sconvolto, rimase pallida e senza moto, né seppe profferire parola. 
Stettero entrambi in silenzio nella camera illuminata dai riflessi, che s’irradiavano dal quadrato di luce descritto dalla luna sul pavimento: nella quasi oscurità il letto appariva di una bianchezza dubia e velata; qua e là gli smalti delle maioliche e le dorature di un mobile mandavano dei tenui lampi di luce; e in mezzo alla camera immobili, silenziosi, donna Aldonza e il signor Antonio si guardavano: ella tutta inondata di luce, egli immerso nell’ombra, ma gli sfolgoreggiavano di ira, di amore, di gelosia gli occhi e l’acciaio delle armi. 
Finalmente ella disse: 
- Che è dunque tutto questo che accade, signore?
Egli, al suono di quella voce, si riscosse; le visioni del passato sparvero come fiammelle spente a un tratto da un soffio di vento: fece uno sforzo sopra di sé, diede alla sua voce una calma terribile, e rispose:
- A che cosa pensavate voi, per non sentire che io ero entrato?
- Non capisco, don Antonio.
- Vi piace il chiaro di luna?... Vi ricordate quando, le sere di estate, andavamo a sederci nella grotta della cisterna? È un pezzo, donna Aldonza, che non facciamo una di queste passeggiate. Venite, non vedete come è bella la serata, e come splende la luna?... Venite: qui io ardo, e le tempia mi scoppiano... Ah dell’aria, dell’aria!...
La prendeva per un braccio, stringendola convulsamente; ella lo guardava spaventata, cedendo senza volerlo, mentre egli la trascinava via dalla camera.
- Prendetevi il velo, donna Aldonza;... la vostra salute è così preziosa... Se voi vi ammalaste, come farei io?
Ella si coperse, resa stupida da un terrore ignoto, e uscì col marito. attraversarono i corridoi in silenzio, scesero le scale, giù nel vestibolo sonnecchiavano due schiavi alti e robusti, due saraceni dal nero volto bieco e feroce. Egli li svegliò e si fece seguire. 
La grotta della cisterna era scavata nel masso, giù sotto una delle ali del castello, umida e fresca. Nel mezzo era una cisterna, sormontata da una forca di ferro che sosteneva la carrucola. 
Appena entrato nella grotta, il soffio dell’aria fredda percosse donna Aldonza, si che un brividore la fece tremare. Il magnifico signore sorrise sinistramente...

Luigi Natoli: – La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di leggende trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 310 – Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it. (consegna in tutta Italia a mezzo corriere) Prenota con messaggio w.a. al 3894697296 oppure manda una mail a ibuonicugini@libero.it: sarai subito ricontatto per l'acquisto.
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Luigi Natoli: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di storie e leggende medievali.

Riproduzione fedele del volume "Storie e Leggende" di Luigi Natoli pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892, a cui è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini. 
A nessun componimento della nostra letteratura popolare è toccata la sorte di avere tanti  e così diligenti illustratori e imitatori, come a quel tragico poemetto, che corre sotto il nome di Baronessa di Carini; al quale l'orrore del fatto, unico forse nella letteratura del popolo, la pietà  verso la vittima, il grado e la notorietà  dei personaggi e soprattutto la incomparabile bellezza della forma rappresentativa conferirono una meritata celebrità. 
Così scriveva Luigi Natoli di questo dramma familiare, ma forse non tutti sanno che oltre alla novella intitolata La baronessa di Carini composta nel 1892 e ispirata al poema popolare di Salamone Marino, ben 18 anni dopo, il fecondo narratore palermitano con lo pseudonimo di Maurus, scrisse una nuova e meravigliosa novella: La signora di Carini, questa volta basandosi sugli studi del Pitrè, e poi ancora un'attenta analisi con ricostruzione storica del poemetto siciliano del XVI secolo. Tutto questo riproponiamo oggi nello splendore delle edizioni originali insieme ad altre leggende e grandi tragedie familiari come, quella dei nobili Barresi e Santapau, e quella altrettanto famosa fra le potenti famiglie dei Perollo e de Luna, che lasciò memoria durevole nella tradizione popolare e passò alla storia come L'orrendo caso di Sciacca. Ogni leggenda è seguita dal "contesto storico" tratto da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" dello stesso autore - Ed Ciuni anno 1935. 

Indice dell'opera:

Il piede del Crocifisso
Fuga d'amore
Un eroe
L'esodo
I Santapau
Il caso di Sciacca
La Baronessa di Carini
La Signora di Carini
Un poemetto siciliano del secolo XVI
"Storia" La Baronessa di Carini (Musa siciliana)
Una corsa
Il re della Bocceria
Sinan Bassà

Luigi Natoli: – La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di leggende trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 310 – Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it. (consegna in tutta Italia a mezzo corriere) Prenota con messaggio w.a. al 3894697296 oppure manda una mail a ibuonicugini@libero.it: sarai subito ricontatto per l'acquisto.
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mercoledì 11 novembre 2020

Luigi Natoli: La processione usciva dal duomo... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento

Quando Agata riuscì sul Cassaro, quasi di fronte alla Cattedrale, passava il Senato. Quello era uno spettacolo che riempiva d’orgoglio ogni buon Palermitano.
Precedevano quattro guardie urbane a cavallo in divisa rossa, con le piume bianche nei cappelli, e con le sciabole sguainate; poi i musici, a cavallo anch’essi; indi i contestabili, con ampi cappelli a tegolo, la cappa, il bastone, e dietro il mazziere, con voluminosa parrucca a riccioli, toga, e la magnifica mazza d’argento su la spalla. Poi le due carrozze del Senato, ampie e torreggianti sulle cinghie di cuoio; tutte oro, con pitture e ornati graziosissimi e l’aquila del comune dipinta sugli sportelli, superba nella sua corona regale; con le tendine di seta rossa, a frange d’oro; e pennacchi di candidissime piume in alto. Il cocchiere, seduto sull’alta serpe, sopra una gualdrappa con l’aquila d’argento massiccia, troneggiava, tenendo le redini dei magnifici cavalli; e dietro sul predellino tre staffieri, in livrea rossa, col nicchio in testa, impalati, sostenuti.
Nella prima carrozza c’era il pretore, il priolo, ossia il primo dei senatori, e gli altri senatori, nella ricca toga rossa col tocchetto in testa, le parrucche spioventi, magnifici; nella seconda, il sindaco, il capitano, i giudici della corte pretoriana; il maestro cerimoniere.
Altre guardie urbane fiancheggiavano e seguivano le due carrozze, che andavano al passo, e dietro a esse un vero esercito di lacchè, staffieri e schiavi, tutto il servitorame privato del pretore e dei senatori, del capitano, che, come si sa, erano nobili.
Lo spettacolo era veramente magnifico per la grandiosità dell’apparato, la ricchezza delle decorazioni; per tutta quella seta, quell’argento, quell’oro profuso largamente; ma più ancora per la maestà veramente regale del suo insieme, manifestazione del sentimento particolare dei cittadini, pei quali poche città al mondo potevan gareggiare in nobiltà con Palermo.
La grandiosità del Senato e della sua pompa era il segno dell’orgoglio cittadino; e al suo passaggio il popolo dimenticava le proprie miserie, ed era assai lontano dal pensare allo sperpero del pubblico denaro del quale sovente quelle bianche mani signorili erano colpevoli verso il popolo. Ogni popolano sentiva in se stesso quella magnificenza.
Per quanto era lungo, il Cassaro era pieno di gente, che vi formicolava in disordine, non contenuta in due ale dalla truppa, che non era ancora uscita dalle caserme. Tutti i balconi eran pieni di signore, di uomini, di ragazzi: in quelli della Conversazione grande, al palazzo Cesarò, c’era il fiore della nobiltà, donne specialmente. Su, dietro le logge coperte dei monasteri dei Sette Angeli, del Salvatore, di Montevergini, del Cancelliere e giù giù della Martorana, di S. Caterina, delle Vergini si travedevano bende bianche e occhi neri e irrequieti.
Allo scenario maraviglioso di tutta questa folla, che sul grigio delle case, dall’aspetto spesso triste, metteva le gamme più varie, più delicate o più brillanti di colore, non mancava quel giorno che l’azzurro caldo e profondo del cielo di giugno e il sole ardente e vivificatore.
E qual rumore per la strada! Rumore di ruote e scalpitìo di cavalli, schioccar di fruste, grida di cocchieri e di volanti, di portantini, o di acquaiuoli, gironzolanti, con una specie di barile pensile dietro le spalle, e un arnese di latta dipinta, coi bicchieri e l’ampolla dell’anice; e come fondo, o nota ferma, quel vocìo confuso di migliaia di voci sommesse, che pare il sordo brontolio del mare, e, al di sopra di questo e degli altri rumori, lo scampanio del duomo e delle altre chiese.
A un tratto s’udì uno scoppio di mortaretti. La processione usciva dal duomo. Quattro tamburinai, vestiti con zimarre o specie di pallii con maniche ampie, suonavano all’unisono in grossi tamburi di legno, con un fracasso assordante; e dietro a loro uno stendardo e poi a due a due una congregazione, coi confrati in sacco, cappuccio e mantellina. Qualcuno nella folla andava indicando le varie compagnie che si seguivano una dopo l’altra, ciascuna, col suo stendardo alla testa, il suo cappellano e il suo superiore alla coda; quali con torce, quali con lunghi bacoli sormontati da un emblema d’argento.
- Questi sono i facchini di San Euno, i pescatori di San Pietro e della Kalsa, i muratori, i fallegnami... i semolai, i pastai, i sarti.... Questa è la compagnia di Belliverdi (Valverde)... la compagnia del Sacramento.
Ultime venivano le compagnie aristocratiche: della Pace, della Carità, dei Bianchi. L’ordine era fissato da un cerimoniale, per evitare contestazioni di preminenze che non mancavano mai, e che talvolta terminavano con uno scambio di colpi di torcia... o di spada. Sotto il sacco penitenziario c’era sempre il coltello, o lo spadino.
La nota più gaia e più commovente era però data dai fanciulli: v’era quelli del R. Collegio Carolino, di nobili con tre quarti di nobiltà, diretto dai padri Gesuiti; ma già troppo lisciati e impettiti nella loro piccola boria di portatori di gran nomi; invece i fanciulli degli Spersi bianchi e turchini, e le fanciulle “dell’Ospedale” – cioè le trovatelle – vestite di bianco con la loro aria candida e furba nel tempo stesso, sorridenti, di quella festa, mettevano una certa giocondità nell’animo.
Poi venivano i conventi. La festa della processione era arrivata a Piazza Bologni, fra lo scampanio delle chiese, quando nella folla corse un fremito: essa ondeggiò, si riversò indietro, come sospinta: una voce si propagò: “La truppa, la truppa!...” Erano infatti le truppe, che, sicure dalla pioggia, uscivano per far ala e rendere gli onori al Sagramento e al vicerè che lo seguiva.
A mano a mano che scendevano giù per Toledo si dividevano in due ali, formando una siepe, che conteneva la folla, lasciando libero il passo alla processione. 

Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna in tutta Italia a mezzo corriere) Puoi ordinare anche con messaggio w.a. al cell. 3894697296 oppure inviando una mail a ibuonicugini@libero.it. Sarai subito ricontattato per la definizione dell'acquisto. 
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Luigi Natoli: La festa del Corpus Domini. Tratto da: Calvello il bastardo

 
Il 6 giugno di quell’anno cadeva la festa del Corpus Domini. A Palermo era una di quelle che si celebravano con tutta la pompa possibile, e con l’intervento di tutte le autorità: per cui chiamava una folla enorme nel Cassaro e nelle strade che di solito soleva percorrere. Essa segnava il principio dell’estate; e per un’antica consuetudine quel giorno si indossavano i vestiti della stagione. La giornata però non appariva propizia: densi nuvoloni di un color fosco, con riflessi sulfurei, correvano pel cielo, allargandosi e diffondendosi, e dando alla luce un color tetro e sospetto. 
Si temeva la pioggia, con grave dispiacere dei buoni palermitani, così avidi di spettacoli, perché li avrebbe privati del piacere di vedere il Senato e Sua Eccellenza il Vicerè in gran gala, con tutto il seguito delle alte magistrature, le guardie, gli alabardieri di palazzo; la truppa schierata lungo Toledo... Ma forse il maggior dispiacere era quello di non potere far mostra dei vestiti nuovi, ai quali sarti e sarte lavoravano da un mese, per contentare i clienti. Potere indossare un vestito nuovo è pel Palermitano un godimento al quale volentieri sacrifica anche ciò che gli è più necessario alla vita. Chi oggi si reca a un pubblico passeggio, non distingue il piccolo industriale, il commesso del magazzino, il bottegaio dal signore, giacchè lo spirito democratico, cancellando nel diritto le distinzioni di casta, si è risoluto in pratica nello scimmiottare ridicolosamente le classi più elevate, almeno in apparenza. Un povero diavolo che guadagna due lire al giorno, che abita una stamberga malsana, e si nutre di fagioli, spende metà del suo guadagno in vestiti, cravatte e in andare in carrozza; giacchè, uscendo dal vicoletto remoto e sudicio in cui abita, e mostrandosi al passeggio in abbigliamento irreprensibile, si crea la innocente illusione di farsi credere un signore, e di poter occhieggiare le signorine.
Nei tempi dei quali discorriamo la separazione profonda dei ceti, la loro diversità giuridica, staccava nettamente anche nelle fogge del vestire le classi cittadine; e al vestito si poteva facilmente riconoscere la professione o il mestiere di ognuno.
Ma in tutti era la stessa passione di apparir da più; in tutti la stessa vanità di parere, di sfoggiare in vestimenta, oltre le condizioni della propria borsa. Nessuna maraviglia, dunque, se si ricercavano le occasioni per questa mostra di vanità, e se, poi, le carestie e le altre calamità pubbliche trovavano la massa del popolo nella più grande miseria.
L’ora della processione si avvicinava, e il cielo pareva avesse sospeso la minaccia di piovere. Il marito di Orsola pensò che era tempo di uscire. Chiusero la porta a chiave e si avviarono verso il Cassaro, attraversando uno di quei vicoli che dalla via maestra di Porta di Castro menano al piano del Palazzo.
Per le strade c’era quell’animazione giuliva che è il segno visibile di una giornata di festa solenne: “civili” e popolani si recavano a prendere un posto, quali in mezzo alla strada, quali in qualche balcone di amici o di conoscenti, sul Cassaro, o nella via dei Cintorinai, o altrove, secondo l’itinerario della processione. La folla era frequentemente ributtata di qua e di là della strada da una sedia volante più o meno ricca, preceduta e seguita da volanti e staffieri, o da una pesante carrozza che si dondolava sulle cinghie, tirata almeno da due cavalli, dalle bardature sfolgoranti di placche e di borchie d’argento. I volanti che precedevano, correndo dinanzi ai cavalli, facevano sgomberar il passo, con quella inciviltà che il disagio del loro ufficio e la maggiore nobiltà della livrea accrescevano. I pedoni si scostavano rispettosamente, molti si scappellavano e s’inchinavano; ma quando un tariolo si cacciava fra loro, con uno schioccar frequente della frusta e il gridare del cocchiere, allora eran moccoli e minacce. In quelle carrozzelle non potevan esservi che uomini di penna o piccoli borghesi.

Luigi Natoli: Calvello il bastardo – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. 

L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna in tutta Italia a mezzo corriere) Puoi ordinare anche con messaggio w.a. al cell. 3894697296 oppure inviando una mail a ibuonicugini@libero.it. Sarai subito ricontattato per la definizione dell'acquisto. 
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Luigi Natoli: Differenze sociali alle udienze del Vicerè. Tratto da: Calvello il bastardo

Naturalmente chi non aveva alcun titolo nè ufficio pubblico di qualche levatura, si vedeva passar dinanzi quelli da più di lui: e non ci voleva una grande perspicacia per indovinare, nell’anticamera, quali fossero i poveri diavoli destinati ad aspettar lunghe ore per essere ricevuti, e aspettare talvolta inutilmente. Si vedevano al volto triste e rassegnato, all’aspetto dimesso e umile, quasi timoroso dinanzi al sussiego sprezzante di quei lacchè diritti, impalati, sotto le bianche parrucche, nella ricca livrea gallonata e ricamata, più di quella di un ministro dei nostri giorni; o al cospetto di quei signori, che col nicchio sotto il braccio, lo spadino dall’elsa d’oro, passeggiavano con quell’aria di grandezza, che davano trenta o quaranta titoli facendo risuonare i ciondoli attaccati alle catene degli orologi, pendenti dall’uno e dall’altro taschino della lunga sottoveste di raso bianco. C’era qualche monsignore, in abito lungo, pavonazzo, il volto rubicondo,
  fresco raso; con la croce d’oro sul petto; e per contrasto qualche povero prete di campagna, con la mantellina una volta nera, or fatta verde dal sole e dalle piogge, e il cappello spelacchiato; l’uno e l’altro forse a caccia di qualche beneficio; quegli per comprar, probabilmente, qualche paio di mule per la carrozza, questi per disfamarsi. Una povera donna veniva a chiedere grazia pel marito, gittato sulle galere per aver bestemmiato, in una giornata di miseria e di fame. Ma v’era una dama profumata, nelle sete fruscianti, che veniva ad accaparrarsi la benevolenza del signor vicerè per un giovane cavaliere che aveva dato una buona stoccata a uno zio, e si trovava in Castello... a spassarsela col castellano, in attesa di un giudizio, che avrebbe avuto tutti i riguardi al grado e alla riputazione del nobile casato.
Ogni tanto la porta si apriva; una persona usciva, si voltava verso l’interno, si profondeva in un grande inchino, e se ne andava, attraversando l’anticamera con la soddisfazione di chi è passato dinanzi agli altri, segno certo della sua importanza; e allora un altro si staccava dai vari gruppi, senza bisogno di essere chiamato, sicuro del proprio diritto, stabilito e sancito dal cerimoniale e dalle prammatiche. Qualche volta avvenivano delle contestazioni.

Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna in tutta Italia a mezzo corriere) Puoi ordinare anche con messaggio w.a. al cell. 3894697296 oppure inviando una mail a ibuonicugini@libero.it. Sarai subito ricontattato per la definizione dell'acquisto. 
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mercoledì 4 novembre 2020

Lettera di Clodomiro Natoli al padre Luigi. Tratto da: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.

 

2 ottobre 1916

...Credevo di non avere tempo di scriverti due paroline... Ora in un momento di tregua, profitto e ti scrivo un semplice rigo. Da due giorni e due notti si fa avanzata. Si combatte, si dorme quando si può al fresco. Questa sera pare ci sia la decisiva, e il mio battaglione è fra i destinati ad avanzare contro le posizioni di un forte. 
Da qui, quindi, dalle alte Alpi Dolomitiche, in mezzo al fragore del cannone e della mitraglia, e da un angolo, ove passano i feriti e morti, ti invio il mio saluto, e il mio più bel bacio. Spero che io sia fortunato anche questa volta. Ma caso mai... niente lagrime! Niente pianti! Io vi penso sempre, fino all’ultimo. Grida con me: Viva la più grande Italia, W la libertà...

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio. Nella versione originale pubblicata nel 1920 e corredata dalle foto dell'epoca. 
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it. Puoi ordinare con un messaggio w.a. al 3894697296 sarai subito contattato per la conclusione dell'acquisto.
Disponibile su Ibs, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour, Palermo)

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.

 
Serro nel profondo del cuore l’angoscia, respingo indietro le lagrime che fanno impeto agli occhi, per scrivere della mia creatura. 
Il frammento di bomba che nel piccolo cimitero di Staranzano scavò una fossa alla carne giovinetta, aperse una ferita insanabile nel cuor mio. Pure, in questa ferita, come in un sacrario, vive illuminata dalla luce purissima del voluto sacrificio l’immagine del mio Clodomiro; e più, contemplandola, si inacerba il rimpianto, più ella si ingrandisce agli occhi miei: perocchè dispogliata dalle materiali contingenze della vita, l’anima Sua mi si va sempre più rivelando diritta come una lama, tesa come un arco alla sua meta, austera nel concepimento del dovere, vigile e pronta al sacrificio, come quella di un confessore della fede…
Potrei commettere ad altri questo ufficio, ma non voglio; perché a nessun altro Egli rivelò l’anima sua, fuor che a me, che Egli amò devotamente e con orgoglio, che direi soverchio se si potesse dar misura all’amore suo filiale. Voglio scrivere io, il Suo babbo, non soltanto per dire il cuor che Egli ebbe, ma per isfogo del mio cordoglio; e perché parmi che il Suo spirito debba gioire di questa mia testimonianza di dolore e d’amore. 

Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio. 
Nella versione originale pubblicata nel 1920 e corredata dalle foto dell'epoca. 
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
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