giovedì 25 giugno 2020

Luigi Natoli: Giovannello Chiaramonte. Tratto da: Il paggio della regina Bianca.


Dopo la caduta del padre, il fanciullo era stato strappato alle cure materne.
La madre, madonna Isabella, era stata costretta a chiudersi in un monastero; egli fu dato al capitano di Catania; parendo forse al vecchio duca di Montblanc, atto di crudeltà, imprudente, impolitico, far uccidere per mano del boia un fanciullo innocente.
Il capitano di Catania si condusse col piccolo orfano, come presso a poco, parecchi secoli dopo si condusse mastro Simon col Delfino di Francia. La sua educazione, o meglio la sua tortura doveva avere lo scopo di fargli dimenticare la sua origine e la tragedia che aveva distrutto la sua famiglia. Il capitano di Catania, che forse aveva dei peccati da farsi perdonare dal re, adempiva al suo ufficio con soverchio zelo: il che sollevò qualche rimostranza nei signori, che alla fine vedevano in quelle torture una offesa alla loro casta.
Dopo la partenza del vecchio duca di Montblanc pel trono d’Aragona, qualcuno suggerì a re Martino di addolcire il regime di educazione di Giovannello Chiaramonte. E allora il re lo diede alle cure di messer Guglielmo Ventimiglia, che nella sua qualità di parente, poteva dar colore più umano alla prigionia.
Al filo di ferro aveva sostituito un filo d’argento; ma la prigionia non mutava.
La fanciullezza di Giovannello era trascorsa tra rigori e paure; la adolescenza cominciava fra paure e rigori.
Il suo vigile zio gli consentiva la più grande libertà purchè non oltrepassasse le mura del castello. E fino a che Giovannello non ebbe toccato i quattordici anni, la corte poteva sembrargli abbastanza spaziosa, e i cavalli che oziavano nella scuderia gli davano sufficiente agio ad esercitarsi.
Ma quando l’adolescenza, che per lui fu precoce, cominciò a schiudere il suo petto a nuovi desideri, la vista delle campagne ampie e verdi, dei boschi folti, delle montagne che si succedevano con tinte azzurre sempre più tenui e sfumate, gli accendevano l’anima e fremiti nuovi gli martellavano le arterie.
Giovannello sapeva di esser un Chiaramonte; ma ignorava che suo padre era morto, decapitato come fellone e che sua madre era ancor viva, chiusa in un monastero a Girgenti. Una volta, che egli domandò allo zio che ne fosse dei suoi parenti, n’ebbe un così fiero rimbrotto, che tutto il giorno non osò dire una parola.
Perché mai messer Guglielmo lo rimproverava? perché non gli era lecito domandar conto dei suoi genitori? perché non se ne doveva parlare? Queste domande, che implicavano la tragica storia della sua casa, cominciarono a martellargli il cervello: egli intuiva che ci doveva essere qualche cosa di misterioso o di grave.
Come saperlo?




Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.

È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133) La nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera s.a.s. (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Sellerio (Viale Regina Elena, Mondello), Libreria Sciuti (Via Sciuti n. 91/f)

Luigi Natoli: La tragedia chiaramontana. Tratto da: Il paggio della regina Bianca


Il re non aveva fame, aveva appena assaggiato un pezzetto di cinghiale e bevuta una tazza di vino di Catania; e si era messo a guardare in alto, il bel soffitto a travi istoriati con festoni, armi, scene di caccia e storie cavalleresche, tra le quali occorreva frequentemente lo scudo dei Chiaramonte: i tre cuspidi d’argento su campo rosso.
- Per san Jacopo, messere, a guardare il soffitto si direbbe che io sono ospite di messer Andrea o di messer Enrico Chiaramonte!...
Nella sua voce c’era un lieve rimprovero. Messer Bernardo guardò anche lui e capì. Non aveva mai posto mente che quel soffitto era la glorificazione della potente famiglia distrutta dalla politica dei due Martini. Da abile cortigiano trovò una parola che lo tolse da ogni imbarazzo.
- Mio signore e re, non ho voluto distruggere questa testimonianza di una grande e illustre famiglia, perché quanto più visibili sono i gesti della sua grandezza, tanto maggiore sarà la gloria di vostra maestà che l’ha vinta e umiliata ai suoi piedi.
Re Martino sorrise a fior di labbra. Dinanzi agli occhi suoi si rinnovava la visione della tragedia chiaramontana.
Egli stava col padre a una finestra dello Steri; la piazza Marina era gremita di popolo che gli arcieri e i picchieri catalani a stento frenavano, perché non invadesse il palco sul quale il boia, appoggiato alla scure larga e luccicante aspettava le vittime.
Poi dalle prigioni del palazzo uscì il corteo. I confrati col cappuccio, le guardie, il carro; e nel carro, diritti, fieri, Andrea Chiaramonte e Antonio delle Favare suo segretario.
Il carro giunse ai piedi del palco. Andrea Chiaramonte, sebbene avesse le braccia legate dietro le reni, balzò svelto dal carro, senza bisogno d’aiuto, e montò la scala del palco, senza dar segno di commozione.
Guardò il suo palazzo: i suoi occhi si fissarono sulla finestra e cercaron gli occhi del duca e del re.
Martino sentiva ancora il lampo di quegli occhi, che esprimevano una minaccia lontana; e ne provava un turbamento indefinibile.


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.

È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Palermo), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Sellerio (Viale regina Elena, Mondello), Libreria Sciuti (Via Sciuti) 

martedì 23 giugno 2020

Luigi Natoli: Il ritorno di Matteo Palizzi. Tratto da: Il tesoro dei Ventimiglia.


Sul lido una comitiva di cavalieri e di servi aspettava che qualcuno sbarcasse. Lo avevano visto nel cassero della nave, lo avevano salutato con grandi segni di allegrezza, e ora parlavan fra loro, nell’aspettazione, comunicandosi impressioni e commenti.
Finalmente, buttata una lunga asse dal fianco della galera alla spiaggia, l’aspettato scese a terra, abbracciò e baciò alcuni di quei cavalieri, strinse la mano cordialmente ad altri; poi tutti inforcarono i cavalli, che i servi tenevan per la briglia, e s’avviarono, lasciando che i servi scaricassero i bauli. La strada da percorrere non era lunga: lo sprone, che dalla chiesetta della Catena, dove le galere s’erano attraccate, costeggiava la vasta piazza marittima, o Marina, e in fondo al quale torreggiava la mole del palazzo dei Chiaramonte, non ancora terminato.
L’arrivo di quel personaggio empiva così di gioia quelli che erano andati a riceverlo, che il volto di lui pallido e fosco, si illuminava a quando a quando di un sorriso. La cavalcata entrò nel palazzo chiaramontano, che per antonomasia era già indicato col nome di “Steri” (osterium).
Allora l’ingresso non era quello sconcio portone che vi fu aperto quando il nobile palazzo cadde in mano degli Inquisitori del Sant’Officio, e che ancora si vede. L’ingresso era nel lato meridionale, dalla parte della Dogana; e forse dove sono ora quegli ignobili antri in servizio di questa amministrazione. Aveva dinanzi un vasto piano, che da un lato era chiuso dalla Chiesa di S. Antonio e da vigne, dall’altro dalle mura del vecchio quartiere della Kalsa, ancora esistenti sebbene qua e là rotte da strade appena tracciate. La scala ascendeva da un ampio vestibolo, che metteva nella corte, per un’ampia arcata. La corte era a doppio ordine di portici, che durano ancora, ma non tutte le ali erano terminate; nè era ancora decorato di dipinti il soffitto del grande salone del piano superiore.
La comitiva, scavalcata e date le redini ai valletti accorsi, entrò in una vasta sala a pianterreno, le cui finestre davano nel portico. Aveva le pareti coperte di armature e di armi, disposte in bell’ordine; di bandiere, di arazzi che portavano in mezzo lo scudo del Chiaramonte, rosso con tre monti d’argento. Una grande tavola coperta d’una candida tovaglia era nel mezzo della sala: e sopra vi luccicavano vasi, boccali, coppe, piatti, tutto d’argento: e su grandi piatti montagne di paste e confetture e uccellame odoroso di spezierie. Quando tutti furono entrati, i valletti portarono i bacili d’argento e diedero l’acqua alle mani, poi servirono in tavola. Il sommesso bisbiglio delle prime portate si tramutò a poco a poco in un chiacchierio sonoro e confuso, sul quale però sebbene la voce non fosse più alta, dominava quella del personaggio.
E ben si conveniva a Matteo Palizzi, che dopo otto anni d’esilio e una condanna di fuor bando, ritornava in Sicilia, a malgrado della condanna; gesto che agli amici, ai vecchi partigiani, ai Chiaramonte suoi parenti pareva audace. Messer Matteo però non aveva giocato d’audacia; né senza la protezione della regina Elisabetta si sarebbe mosso da Pisa.
Tornava solo: Damiano o per travagli o per malattie che segretamente lo logoravano, e gli accrescevano i dolori e la collera dell’esilio, era morto in Pisa. Quella morte privava Matteo di un consigliere esperto e astuto, di una guida sicura e prudente, e accresceva il suo odio contro il baronaggio catalano, e segnatamente Blasco Alagona; al quale attribuiva la sua disgrazia, e addebitava la morte del fratello.
Le accoglienze e le testimonianze di affetto e di devozione lo rinfrancavano, e accendevano nei suoi occhi lampi di soddisfazione.
Ora lo investivano di domande. In Palermo erano giunte scarse e scarne notizie del suo arrivo a Messina: quale era la verità? Gli si era impedito veramente lo sbarco? Sì, era vero. La regina Elisabetta col piccolo re Ludovico e con Orlando d’Aragona, un bastardo del re Federico, era a Messina, e sapeva del suo arrivo. Segretamente però: perché il bastardo del re non era del partito della regina.


Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Copertine di Niccolò Pizzorno
Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Il Tesoro dei Ventimiglia – Pagine 525 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
A Palermo in libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour) Libreria La Vardera s.a.s. (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Sciuti (Via Sciuti), Libreria Sellerio (Viale regina Elena, Mondello)

lunedì 22 giugno 2020

La morte del duca Giovanni, fratello di re Pietro d’Aragona. - Tratto da: Il tesoro dei Ventimiglia (Latini e Catalani vol. 2)


Si segnarono con compunzione religiosa. Il duca Giovanni fratello del morto re Pietro e vicario generale per la minorità di Ludovico, era morto nell’aprile di quell’anno 1348, di peste, a Mascali. Era stato uno degli ultimi casi di quella fiera epidemia, che importata a Messina nel novembre dell’anno precedente, per sette mesi aveva fatto strage in Sicilia e s’era propagata nella penisola e per tutta Europa con violenza terrificante.
- Ero nella compagnia di ventura... Sapete bene: la Grande Compagnia...
La “Grande Compagnia di Romania” era stata condotta in Oriente qualche anno dopo la pace di Caltabellotta. Era composta di venturieri siciliani e stranieri, capitanata da un cavaliere templaro, messer Ruggero de Flor, e nella guerra del Vespro s’era battuta valorosamente. Ma fatta la pace con l’Angioino, diventava nel regno cagione di disordini, e re Federigo, non potendo scioglierla, se ne era sbarazzato consentendo che andasse a soldo dell’imperatore Andronico contro i Turchi, che minacciavano Costantinopoli; poi contro i despoti di Larta e Romania. Ruggero de Flor aveva respinto gli Slavi, ma, seguendo il costume dei venturieri aveva finito per combattere per suo conto, e aveva fondato fra Slavi e Greci una signoria latina, della quale però si era affrettato a offrire la sovranità al re di Sicilia, riconoscendola come vassallaggio della corona. Morto il templaro, la compagnia non si sciolse; il re vi mandò altre milizie, che continuarono a guerreggiare per consolidare il dominio; e occuparono Neopatria e molte terre della Morea. Indi, assalito e ucciso Gualtieri di Brienne duca di Atene, ne occuparono il ducato; e così ne sorsero i due ducati detti di Atene e di Neopatria. Ultimo investito era stato Giovanni marchese di Randazzo, che da essi aveva preso il titolo di duca, col quale era comunemente chiamato. La corona di Sicilia non ebbe nell’isola tanta obbedienza e tanto rispetto, come in quel lontano dominio, dove pareva che la distanza tenesse viva la fiamma del sentimento patrio e la dignità nazionale.
Mastro Mino fece col capo un gesto di compiacimento.
- Siete dunque soldato? Bravo! Fra armaiuolo e soldato c’è parentela stretta...



Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Copertine di Niccolò Pizzorno.


Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Il Tesoro dei Ventimiglia – Pagine 525 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
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venerdì 19 giugno 2020

Luigi Natoli: Matteo Palizzi incita Palermo contro gli Ebrei. Tratto da: Mastro Bertuchello


Si sparse per la città la notizia che gli ebrei avevano cospirato contro il re, e d’accordo coi partigiani del duca Giovanni, avevano introdotto nella corte una spia, che doveva avvelenare il re, l’infante e la regina. Questa notizia diffuse la costernazione nell’università israelitica, ed eccitò la collera dei cittadini. Alcuni, che alle vesti parevano scrivani o piccoli mercanti, più accesi degli altri andavan dicendo che troppi delitti commettevano gli Ebrei, e una città così devota alla santa fede, non doveva tollerare più oltre quei cani. Ma più violento di tutti, era un frate, lurido e di aspetto selvaggio che andava dicendo:
- Che cosa v’aspettate da costoro? Per trenta denari vendettero nostro Signore Gesù Cristo; quanto credete che possano stimare la vita di un re? Noi ci siamo attirata sul capo la maledizione di Dio!... Guardate quante calamità perquotono il regno! Quante se ne rovesciano sulla città!... Guerra, siccità, carestia, tempeste, fuoco... E tutto per la presenza di questi empi, che rubano i vostri bambini, per immolarli, e fabbricar col loro sangue il pane pei loro sacrileghi riti!... Dio vi punisce!... e vi punirà fino a che non metterete fine allo scandalo!... Bisogna estirpare la mala pianta del Signore!...
Questi eccitamenti aumentavano l’irritazione del popolino, nell’animo del quale i pregiudizi e l’odio religioso fermentavano propositi di vendetta: sicchè accolse con manfestazioni di gioia, nel pomeriggio, il banditore che annunciava pel domani il supplizio di mastro Jacob e della figlia Giuditta, condannati a essere strangolati e bruciati, come rei di negromanzia e di lesa maestà.
Mastro Bertuchello frammischiato nella moltitudine udì il bando e rabbrividì. Capiva che, a parte la cupidigia dei Palizzi, quei disgraziati eran vittime della amicizia con lui: e che la loro condanna serviva di pretesto a una persecuzione degli Ebrei, per saccheggiarne le case. Corse alla Giudecca; ma già i Proti erano stati avvertiti degli incitamenti. Essi si recarono la stessa sera al Palazzo del Comune per invocare la protezione del Pretore.
Quasi contemporaneamente mastro Bertuchello, segretamente, rivelava a messer Alighiero che era tutta una macchinazione dei Palizzi; che quel povero mastro Jacob era tanto negromante quanto lui, il pretore, era saraceno; che la Giuditta era una fanciulla innocentissima, vittima delle persecuzioni di Gerardo Valguarnera e di Antonello Palizzi, incapricciati dell’onore delle fanciulle ebree o cristiane; e che ne andava dell’onore della città a permettere che compissero scelleratezze.


Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.

Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
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Luigi Natoli: Matteo Palizzi e il disegno di guerra fra Latini e Catalani. Tratto da: Latini e Catalani vol 1 (Mastro Bertuchello)


- Bisogna metter subito mano al suo denaro! Noi abbiamo bisogno di denaro. Voi avete soltanto posto le fondamenta di una cospirazione per rovesciare il re; ma non basta sbarazzarsi del duca, finchè rimane Blasco Alagona, e intorno a lui il baronaggio aragonese, divenuto ricco spogliando i nostri... Voi sapete l’umore di questa città, che si è vista defraudare delle sue prerogative reali... Essa non è più capo del regno; gli Aragonesi han trasportato la sede reale a Catania; e la sommossa che scoppiò a Palermo contro i portieri i posatieri del re è un indizio del malumore che vi regna per questa diminuzione di dignità e di preminenza... Bisogna approfittare. Bisogna stringere intorno a noi i più grandi baroni della vecchia nobiltà siciliana. Bisogna che io apparisca agli occhi di tutti il difensore della stirpe latina, contro questi nuovi barbari piovuti dalle montagne della Catalogna coi mantelli di orbace e i piedi calzati di “zampitti”. Con noi abbiamo i Chiaramonte possenti nel contado di Modica, in Girgenti, in Palermo, in Caccamo; abbiamo Franceschello nostro cugino, Scalore degli Uberti, Iacopo Scordia, Santolo Villardita, i due Gangalandi... Ma non basta. Dobbiamo attirare anche gli altri: pacificare Manfredi Chiaramonte con Matteo Sclafani, per trarre anche costui, che è signore di un vasto stato... Voi sapete scrivere: da buon retorico componente una bella lettera, che faremo indirizzare da un qualche frate, ai baroni siciliani; agitate le misere condizioni della patria, impoverita, straziata da questi stranieri, che i nostri padri chiamarono qui compagni e non padroni... La cospirazione sta bene; ma bisogna che essa appaia come un tentativo della fazione catalana per sopraffare i baroni siciliani, spogliare le città demaniali dei loro privilegi, distruggere le nostre franchigie, annullare le costituzioni... L’odio, Damiano, bisogna seminar l’odio; il terreno è propizio ed è fecondo... Da che derivano i nostri mali? Da che la miseria? Da che le invasioni continue degli Angioini?... Dal mal governo di questi re catalani, circondati di baroni e signori catalani, incapaci di riportare una vittoria!... Guardate quest’ultima impresa del re Roberto; per sei mesi un pugno di uomini che si sarebbero dovuti disperdere con un soffio, tengono in poter loro Milazzo, e solo dopo sei mesi Blasco Alagona riesce a cacciarneli!... È modo di condurre la guerra, questo? E chi ha voluto la sconfitta delle navi siciliane a Lipari? Orlando d’Aragona, un bastardo del re Federico: Giovanni Chiaramonte e Andrea Tagliavia lo avevano dissuaso dall’attaccare battaglia! Ecco molti cavalieri nostri languire nelle torri del re di Napoli, e le nostre belle navi distrutte!... Ecco, Damiano, quel che bisogna dire e far penetrare negli animi!... Io ci ho pensato lungamente...
Parlando, Matteo aveva gli occhi sfolgoranti, e la sua persona si ingrandiva. Appariva chiaro sotto quel torrente di parole il superbo suo sogno: cacciati o soggiogati i catalani, detronizzato il re, sopra di chi la fazione vittoriosa avrebbe dovuto e potuto volgere gli occhi per instaurare una monarchia nazionale, se non lui liberatore della patria?
Damiano lo guardava con ammirazione. V’era nel tono della voce di Matteo, nell’energia del gesto, nell’aspetto una espressione di volontà violenta e senza scrupolo, che all’ammirazione faceva seguire la paura.
- Perdio! Matteo, tu hai una mente più vasta di quel che immaginavo!
Matteo ripetè:
- Bisogna seminar l’odio non soltanto contro Blasco e i Catalani, ma anche intorno al re... Mercanti e baroni debbono vedere in lui un tiranno, avaro e spoliatore.



Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.

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giovedì 18 giugno 2020

Luigi Natoli: Il ventre di Palermo. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700

E cosa mangiavano i nostri avi?
Diamo prima di tutto una capatina al mercato; ciò non è difficile, basta interrogare la meta, e nell’Archivio Comunale ce n’è quante se ne voglia. Mettiamo che voi volete mangiare, e vi aggirate nel mercato della “bocceria” della carne e della foglia, o in quello di Ballarò, e guardate. Volete un pane di frumento forte di sette once e mezzo? Eccovelo; non costa che sei grani; i vermicelli e i maccheroni di semola vi costano sette grani e due danari il rotolo; ma se sono di farina, li avete per quattro grani; i capponi e le galline li comprerete un tarì l’uno, ma le pollastre vanno da dodici grani a diciotto, un coniglio costa dieci grani; le pernici diciotto grani l’una e i colombi selvaggi dieci grani il paio; il maiale di ghianda sette grani e quattro denari il rotolo, la troia cinque grani e due denari; il capretto quattordici grani il rotolo e l’agnello dodici grani. La carne di daino, di caprio, di cinghiale dodici grani il rotolo (c’erano in quei tempi!); la carne bovina dieci grani, la salsiccia un tarì, le lepri due tarì il paio, le uova un grano, l’oca un tarì e dieci, ma un’anitra quindici grani; le gelatine di porco, di murene, di gronco non superano due tarì; dentici, spigole, triglie grosse e in generale i pesci “bianchi” due tarì e dieci grani il rotolo; le sardelle dodici grani, le aragoste un tarì e quattro grani; ma se cotte, un tarì e dieci, il formaggio fresco dodici grani, il pecorino otto grani; se poi volete il formaggio di Fiandra, dovete pagarlo due tarì, il “palmisano” (parmigiano) un tarì e dieci, perché vengono di “fora regno”; la ricotta di pecora nove grani, il vino sette grani il quartuccio; ma il moscato quattordici grani...

Luigi Natoli: Palermo al tempo degli SpagnoliOpera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133, Palermo), Libreria Sellerio (Viale Regina Elena, Mondello), Libreria Sciuti (Via Sciuti n. 91/F, Palermo) 

lunedì 15 giugno 2020

Luigi Natoli: Condanne. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700

Da quando si istituì la Compagnia dei Bianchi nel 1541, il condannato a morte era affidato a essa che lo prendeva, come si è detto, in consegna. La cappella, dove si chiudeva il reo, durava tre giorni, ma i Vicerè servendosi dell’arbitrio, assai spesso mandavano alla forca anche dopo un’ora del commesso delitto, non curando di seguire le norme prescritte dai capitoli e dalle prammatiche. Con la formula “de mandato principis” si accomodava ogni cosa e la giustizia procedeva allegramente. 
Il giorno del supplizio, che di solito aveva luogo un’ora prima dell’Ave, i Bianchi accompagnavano il reo, a piedi, fino al patibolo, e se era uno stradario, in un carro tirato da buoi, e non lo lasciavano se non quando avesse compiuto il triste destino. 
I supplizi erano spesso feroci, non si ispiravano a un alto concetto di giustizia, sia pure sbagliato; ma parevano dettati dalla paura e dalla vendetta. Il menomo fallo era punito colla morte; ma questa era circondata di efferatezze, quanto più il delitto pareva grave. 
Nel 1517 il Vicerè Monteleone fece buttare dall’alto dello Steri, dopo essere stati pugnalati, gli autori dello scempio dei giudici. Dal Capitano di città, don Orazio Brancaccio furono condannati a morte sei becchini perché, rivendendo la roba degli appestati, ne propagavano il contagio (1575). Dei sei, due furono attanagliati, e quattro trascinati a coda di cavallo e in piazza Marina ebbero tagliate le mani; poi tre furono strangolati a tre pali, il quarto appeso a un palo con una mezza strangolatura, un colpo di pugnale alla mammella sinistra, uno alla spalla e uno al petto, e lasciato morire e il domani fu squartato; gli altri due furono buttati dalle finestre dallo Steri e poi vennero bruciati. Il diarista che racconta questo orrendo fatto, incomincia così: “Un giorno bellissimo!” I commenti guasterebbero la incosciente coscienza di chi scriveva. 
Tenagliato, impiccato e squartato fu il medico greco Demetrio  Sebastiano, che nel 1624 propagava la peste, e che scampato una prima volta, pagò il delitto due anni appresso. I ladri che avevano tenuto per quattro giorni sequestrato nel giardino della Gancia il signor Angelo Maja, furono attanagliati e squartati. La serie continua. Nel 1568 furono impiccati un Paolo Aiello e un Gaspare Lo Coco, per avere ammazzato Laura la catalana che, a quanto pare, era una meretrice. Nel 1607 furono orrendamente suppliziati cinque ladri, che avevano ucciso un dottor Sbernia; e un Sicco fu non meno orrendamente messo a morte per avere ucciso il parroco di S. Margherita. 
Spesso la condanna colpiva il boia, come per esempio avvenne nel 1608, avendo “nefandato” un giovanetto. L’eccellente boia moriva per quello stesso peccato per cui egli aveva fatto morire. 



Luigi Natoli: Palermo al tempo degli SpagnoliOpera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli.
Argomenti trattati:
La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, Amazon Prime, www.lafeltrinelli.it e tutti i siti vendita online.
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Luigi Natoli: La za' Anna. Tratto da: La vecchia dell'aceto


La vecchia se ne andò trascinandosi sulle gambe. Il giovane cavaliere Giovanni Ventimiglia non avrebbe riconosciuto in quella vecchia più rugosa, più livida, più gozzuta, quella comare Giovanna che undici anni prima lo aveva accompagnato al palazzo di donna Elisabetta: né Giovanna avrebbe riconosciuto il figlio di Genoveffa Larina nel giovane cavaliere che comperava delle polverine nell’aromateria di don Saverio La Monica. Questi undici anni erano trascorsi cancellando ogni traccia del passato. Dopo le fiere nerbate ricevute dai servi di don Gastone, Giovanna paventando di essere pedinata, scoperta e nuovamente arrestata aveva creduto necessario e urgente mutare quartiere e nascondersi. Aveva trovato una stamberga in un vicolo dietro la chiesa del Noviziato, nel quartiere del Capo. Era un vicolo dei più miserabili e sudici della città, che da una parte aveva la muraglia, dall’altra poche e povere case, delle quali qualcuna soltanto s’innalzava a un primo piano, con un balconcino di legno infradicito dalle piogge. V’era sempre del fango per terra, d’inverno per le piogge, in tutte le stagioni per le acque sporche rovesciatevi dalle case. La stamberga di Giovanna era a metà del vicolo; vi si scendeva per uno scalino lubrico di fanghiglia: ella vi accomodò le misere masserizie e passò il primo giorno in casa, per le ammaccature ricevute, che le pareva di avere le ossa rotte. A una vecchia sua vicina disse di chiamarsi Vanna; quella, un po’ sorda, intese Anna; la chiamò za’ Anna, e così ne riferì il nome alle altre comari; nel vicinato, la chiamarono za’ Anna: essa non rettificò, trovando che la trasformazione del suo nome la aiutava a far perdere le sue tracce. Così Giovanna Bonanno divenne la za’ Anna del Noviziato.
Ella cominciò a uscire per domandare la limosina; ma spesso andava fuori porta d’Ossuna e ne ritornava col sacchetto pieno di erbe. Sospettosa com’era si chiudeva in casa, e non bazzicava nessuno; e questa sua vita e quelle erbe cominciarono a eccitare intorno e lei la fantasia dei vicini: si cominciò a supporre che fosse una fattucchiera, che facesse malìe e sortilegi; la supposizione divenne certezza; e questa fu la seconda trasformazione. L’essere creduta maliarda la circondò se non di rispetto, di paura e la liberò dalle beffe e dai tiri dei monelli, eccitati dalla sua bruttezza; le madri, temendo che la za’ Anna per vendicarsene, chiamasse in suo soccorso le “donne di fuori” queste donne misteriose e spaventevoli, peggio dei diavoli, le quali potevano “cambiare” i figli, li ammonirono, li castigarono, li imbottirono di paure; così che la za’ Anna fu lasciata tranquilla; ma le madri non mancavano la notte di metter fuori la scopa, rimedio infallibile per tener lontana la “donna di fuori”. Superstizioni e pratiche comuni, che le donnicciuole conoscevano senza essere fattucchiere, ma che nella opinione del popolino confermavano questa fama nella za’ Anna. E ad alimentarla concorreva ancora la vita chiusa e solitaria che ella faceva, in quella stamberga nera, tetra, squallida, dove la sera attraverso la porta socchiusa, spesso si vedeva lei dinanzi al fornello su cui bolliva una pentola, che pareva misteriosa; e il suo volto, ai mobili riflessi della fiamma, ora più ora meno vivace, prendeva espressioni strane e paurose.
Così erano passati undici anni, durante i quali Anna Bonanno era sempre più scesa in basso: come una che era stata fin dalla nascita una pezzente: vivendo di quel che raccattava andando tutti i giorni per le strade o alla porta delle chiese del suo quartiere o fuori la porta, negli orti presso S. Francesco di Paola o nei campi lasciati a pascolo. I suoi capelli eran diventati più bianchi, più sparuti; ed ella li raccoglieva in un piccolo mazzocchio sul capo: il suo volto era più grinzoso, la bocca più sdentata; l’aspetto più orrido e ripugnante; soltanto gli occhi piccoli, neri, serbavano qualche cosa dell’antica vivacità, e, talvolta, si accendevano di una improvvisa fiamma, come quando da una brace coperta di cenere, per uno sterpo secco o una foglia si sprigiona una vampata, che rapidamente lingueggia e si spegne.
Due sere dopo, Giovanna Bonanno se ne stava seduta sul suo giaciglio, con le mani intrecciate sulle ginocchia, pensando. La lucerna di terracotta illuminava il suo volto di una tinta rossastra e ne aumentava l’orrore. Aveva finito di mangiare alcuni tozzi di pane immollati in un po’ d’acqua e sparsi di olio e sale: la sua cena era di quella sera, chè la limosina era stata ben misera. L’annata precedente era stata scarsa, e la carestia s’era fatta sentire in quell’inverno, e se non indurito i cuori, certo li aveva resi un po’ egoisti e pessimisti. Ma Giovanna non era pensierosa di ciò, in fondo, per lei, era sempre carestia; se la giornata non fosse stata così piovosa, e le campagne così fangose da affondarvi, sarebbe andata a raccogliere erbe e avrebbe cenato meglio. Altri erano i suoi pensieri...


Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. La storia di Giovanna Bonanno, l’avvelenatrice passata alla storia come La vecchia dell’aceto.
L’opera è costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927.
Pagine 562 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, Amazon Prime, www.lafeltrinelli.it e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Palermo.

venerdì 5 giugno 2020

Luigi Natoli: Madonna Costanza Chiaramonte. Tratto da: Mastro Bertuchello. (Latini e catalani vol. 1)


V’era un’altra grande e illustre famiglia, antica nell’isola da quanto quella dei Ventimiglia, venuta anch’essa di Francia coi Normanni, e che durante la guerra del Vespro, aveva acquistato fama: quella dei Chiaramonte.
Non erano i Chiaramonte così ricchi quanto i Ventimiglia, nè così addentro nelle grazie del re; ma vantavano più alte e più antiche origini. Si dicevano discendenti da Carlo Magno; e la tradizione di questa discendenza, anni più tardi, il più possente della casa, avrebbe fatto dipingere sul soffitto del grande salone dello Steri.
Avevano una fanciulla in casa, Costanza, figlia di Manfredi I, orfana di recente, che il fratel suo Giovanni avrebbe voluto accasare col conte Francesco. L’unione di queste due famiglie significava avere il dominio del regno. Giovanni era più giovane di messer Francesco, ma più ambizioso. Aveva anche lui sostenuto incarichi del re presso la corte imperiale; aveva combattuto con valore contro gli angioini, mirava forse a più alti uffici, ai quali certamente il parentando coi Ventimiglia avrebbe dischiuso o agevolato la via.
Che il conte avesse già una corona di figli illegittimi e un’amante, non era cosa che potesse impedire un matrimonio. Chi non aveva allora figli naturali? Sopra di essi non pesava la vergogna che nei secoli posteriori segnò la loro nascita: i padri ottenevan per loro signoria e uffici; e non mancavano nobili case che avevano per capostipite un bastardo. Re Tancredi non ebbe forse sangue illegittimo? E messer Orlando d’Aragona non era un bastardo del re Federigo?
Messer Francesco poteva ben tenersi attorno i figli, e forse anche l’amante; ma doveva per obbligo al suo nome, ai suoi maggiori, prender moglie una gran dama.
Gli furon posti intorno amici, congiunti, servitori, per suggerire, insinuargli nell’animo questa necessità. Il vecchio servitore ebbe promessa di ricco dono, se giungeva a persuadere il suo padrone.
Nella Pasqua del 1322, in un torneo tenutosi nelle feste per la coronazione dell’infante Pietro, che re Federico si associava al trono, messer Francesco Ventimiglia vide a un palco, fra altre dame, la fanciulla dei Chiaramonte, Costanza.
Era così bella, così gentile, così affascinante, che messer Francesco non potè non ammirarla. Certamente ella sarebbe stata una degna contessa di Geraci. Avrebbe recato non soltanto la beltà e la ricchezza, ma anche lo splendore di un nome, che in quei giorni sopravanzava su tutti. Il suo orgoglio si destò: l’idea di quelle nozze, che da prima aveva scacciato come assurda, cominciò a sembrargli conveniente e possibile. Ci pensò sopra.
Messer Francesco domandò la mano di madonna Costanza, e giammai nozze suscitarono tanto consenso e tante invidie, quanto quelle, che salirono alla importanza di un avvenimento storico. Esse furono celebrate nel maggio di quell’anno con pompa regale.


Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.

Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Il Tesoro dei Ventimiglia – Pagine 525 – Prezzo di copertina € 22,00

lunedì 1 giugno 2020

Luigi Natoli: Messer Bernardo Cabrera. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca


Era messer Bernardo Cabrera, conte di Modica e grande giustiziere del regno di Sicilia.
Veramente egli si fregiava di ben altri titoli. Era in Spagna visconte di Cabrera e di Bas, conte di Ossuna, signore di Monclus, Hostalric, Arginon e Parafolls: piccole terre, parte ereditate, parte concesse dal re d’Aragona, del quale aveva in moglie una nipote.
In Sicilia aveva raccolto gli stati e gli uffici della nobile e gloriosa famiglia dei Chiaramonte, e diventava in breve il primo feudatario del regno.
Possedeva la contea di Modica, con le terre di Modica, Ragusa, Chiaramonte, Scichili, Monterosso, Giarratana, i casali di Durillo, Comiso, Spaccaforno, la torre e il porto di Pozzallo, le saline di Marsa e di Murro, il feudo di Daratre e ventidue tenimenti di terre; era obbligato al servizio militare per ventisette cavalli, oltre ai pedoni; e godeva di tali e tanti privilegi e prerogative, che il suo stato formava una specie di regno nel regno.
Oltre alla parentela col re Martino, i servizi resi da lui al re e al padre del re (il vecchio duca di Montblanc) in Spagna e nell’isola, avevano potuto far pesare a suo beneficio i favori particolari del monarca. Era stato infatti eletto grande giustiziere.
Era diventato così il personaggio più popolare e autorevole del regno, ed esercitava un grande ascendente sull’animo del giovine re; ciò lo faceva segno a gelosie, invidie e malcelate animosità.
Non era benvoluto; troppa arroganza era nei suoi modi; troppa crudeltà aveva mostrato durante il lungo e fiero duello fra il baronaggio dell’isola e i due Martini, venuti a conquistare il regno, e a gittarvi tutto un nuovo branco di hidalghi morti di fame e di piccoli signori che tremavan di freddo nei loro miseri castelli di Catalogna.
Ah! la Sicilia era ancor ricca; e baroni da spogliare ce n’erano ancora.
Messer Bernardo Cabrera non sarebbe diventato signore della più vasta e ricca contea del regno, se Andrea Chiaramonte non fosse stato decapitato perfidamente, sulla piazza Marina in Palermo, dinanzi al suo magnifico palazzo. Messer Bernardo Cabrera ebbe le spoglie del vinto signore, alla rovina del quale egli aveva lavorato.
La presa di possesso gli fu però contrastata dai vassalli. La memoria dei Chiaramonte era troppo viva, e i cuori ancor troppo devoti, per accettare, se non benevolmente, almeno senza ostilità il nuovo signore, che si presentava come un nemico.
I vassalli di Modica e delle altre terre, domandarono al re di dichiarar la contea terra demaniale: ma il re – che pur avrebbe guadagnato alla corona un paese ricco, – respinse la preghiera. I vassalli si ribellarono; Messer Bernardo non potè assicurarsi la signoria, se non invadendola con una schiera feroce di venturieri e di banditi, e impiccando sulla piazza di Modica quindici dei capi della rivolta, quasi tutti piccoli borghesi e maestri d’arte.
Quei quindici corpi neri, orribili, penduli dalle forche, sui quali volteggiavano sinistramente i corvi, e che il vento faceva svoltare, avevano diffuso il terrore, e soggiogato la ribellione.
Ciò era avvenuto sei o sette anni innanzi.
Messer Bernardo aveva poi compreso che bisognava usar qualche dolcezza; e un inverno rigido, nel quale un alluvione rovinò parecchie case di contadini, distribuì dei soccorsi, rifabbricò le case abbattute, e perfino assolvette qualche debitore. Salvo che ragioni di ufficio o viaggi in Spagna in servizio della corte, o repressioni di rivolte qua e là nell’Isola frequenti e violente, non lo tenessero lontano, egli abitava nella sua contea, alternando il soggiorno fra Ragusa e Modica.
Quell’anno il re gli aveva conceduto l’onore di accettare l’ospitalità nel castello di Modica; e v’era andato nei primi di maggio, per fuggire l’afflizione della corte rattristata dalla malattia della regina.


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.

È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour - Palermo)

Luigi Natoli: L'amore dei Palermitani per la famiglia dei Chiaramonte. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca


- Volevate bene, dunque alla casa dei Chiaramonte? – gli domandò.
- Io solo? ma tutta Palermo, figlio mio. Se togli i Catalani, cotesti pidocchiosi che son venuti ad arricchire in Sicilia, spogliandoci, a Palermo tutti serbiamo una devota memoria per quella gran casa. Di là avremmo dovuto trarre i nostri re… e non saremmo soggetti allo straniero!... Tu sei ragazzo, e non puoi capire certe cose; ma ti so dire, che quando decapitarono messer Andrea, non ci fu che la canaglia catalana che n’ebbe gioia. Sfido! don Bernardo Cabrera si pigliava la contea di Modica… un vero stato da re… don Guglielmo Raimondo Moncada le terre e i castelli su quel di Girgenti, don Galdo di Queralt Caccamo e gli armenti, il re i palazzi… Et diviserunt vestimenta mea, come canta il padre lettore il giovedì santo!...
- E il conte… ebbe paura il conte, quando lo portarono al supplizio?
- Paura? I Chiaramonte non eran gente da aver paura, caro figlio! T’hanno raccontato la guerra del Vespro? Il mio nonno fu alla battaglia di Falconara, e vide che gente gagliarda erano. C’era messer Giovanni il vecchio, cuor di leone e braccio di ferro. Che battaglia!... E l’assalto di Palermo del 1325? Genovesi, Napoletani, Catalani, tutti addosso alla città; ma c’era messer Giovanni per difenderla… E messer Manfredi? Oh non fu il miglior capitano ch’ebbe l’Imperatore Ludovico di Baviera? non gli conquistò tutta la Marca d’Ancona?... Il mio nonno me le raccontava queste storie. Noi siamo di Naro, figliol mio; e Naro era feudo dei Chiaramonte, e fu baronia di messer Matteo, padre di messer Andrea: noi siamo stati vassalli della nobile casa…  Adesso Naro è di messer Guglielmo Raimondo Moncada; ma io… Io vivo qui, in Palermo, libero e padrone di me; e Naro, fintanto che apparterrà a quell’usurpatore, non mi vedrà mai più!... Capisci ora se so tutte le storie della nobile casa?... Oh! cos’hai?
L’ultima domanda, fatta con tono di sorpresa e di interesse, era provocata dagli occhi del giovinetto, pieni di lagrime, che scendevano silenziosamente su le gote. Il pittore scese dal suo palco, e gli si accostò.
- Che cos’hai? ti senti male, forse?
Il giovanetto scosse il capo, vergognandosi d’essere stato colto in quell'istante di debolezza.


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.

È la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
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