giovedì 26 aprile 2018

Luigi Natoli: La rivolta del popolo contro gli inquisitori. Tratto da: Squarcialupo.


Il tribunale del Sant’Offizio era stato in quegli anni allogato nella vecchia regia normanna, che, per l’abbandono in cui l’avevano lasciato i re aragonesi e i vicerè nel secolo precedente, era in più parte inabitabile. Quando alla metà del secolo i vicerè restaurato il palazzo regio ne fecero la loro sede, il Sant’Offizio passò al Castello a mare: lo Steri l’ebbero molto più tardi. 
La folla dunque corse al palazzo reale, dove non era ancora giunta la notizia della sommossa e della fuga del vicerè; e l’Inquisitore generale, fra Miguel Cervera se ne stava tranquillamente, quando il mugghio di quella tempesta lo fece accorrere alla finestra per vedere che cosa fosse: ma quando vide al suo affacciarsi tutta quella moltitudine eccitata coprirlo di contumelie e di minacce, avvilito cercò di mettersi in salvo, invocando nel tempo stesso l’aiuto dei famuli e degli addetti. Ma lo spavento aveva disperso tutti: e la folla, abbattuta facilmente la porta, si rovesciava nelle sale, come un fiume che inondi. 
- Dov’è fra Michele? – andavano gridando: e mettevano ogni cosa sossopra – Bruciate quei libracci! – Bruciamo tutto!... – Liberiamo i prigionieri! – Alle Carceri! Alle Carceri!...
Le grida s’incrociavano, chi ubbidiva all’uno, chi all’altro; una schiera frugava per trovare l’inquisitore, mentre altre accumulavano nel cortile libri, tavoli, sedie; e altre sfondavano le porte delle prigioni, e traevano fuori uomini e donne spauriti e non sicuri se non eran portati a morte, o liberati: ma come si accorgevano che eran liberi, pazzi di gioia e del desiderio di vendicarsi, si gittavano in quell’opera di devastazione. 
A un tratto si udì gridare trionfalmente: – “Eccolo! Eccolo!” – Avevano scovato fra Miguel nelle stalle; nascosto in un angolo della greppia e coperto di paglia. Un piede rimasto mal coperto lo aveva indicato. Tirato fuori, livido di paura, egli domandava mercè, e intanto minacciava i castighi eterni se lo molestavano. Ma quelli che lo tenevano, ridevano, e si apparecchiavano coi coltellacci a dargli un saggio delle torture che egli aveva inflitto, quando mastro Piededipapera si fece innanzi gridando: 
- Un momento! Ascoltatemi tutti! noi siamo cristiani, abbiamo un’anima, e non dobbiamo macchiarla di un sacrilegio, che appena il papa ce ne potrà assolvere: e non possiamo andare a Roma noi; buscarci l’inferno eternamente, andiamo! Non alletta nessuno: e daremmo una soddisfazione a questo degno sacerdote. Contentiamoci di mandarlo a raggiungere il suo compare don Ugo; e accompagniamolo anzi, con tutti gli onori che gli spettano. 
Fra Miguel guardava con occhio riconoscente l’oratore; che la folla ascoltava se questo diceva sul serio; qualcuno se ne sdegnava: perché voleva sottrarre alla vendetta quel tormentatore della città? Ma Piededipapera, sorridendo finemente sotto il naso, continuò: 
- Noi dunque, per rispetto all’olio santo con cui l’hanno unto, non gli torceremo un capello, anche perché li ha rasi; e per maggior rispetto lo vestiremo di vesti pontificali e lo faremo andare a cavallo!...
Ci fu chi indovinò e rise; e il riso si comunicò ai più vicini, senza che sapessero il perché. Mastro Piededipapera disse alcune parole all’orecchio dei più vicini, che sghignazzando corsero di qua e di là. la folla stava ora curiosa, e fra Miguel guardava con occhio smarrito, non capendo quel che si tramava. Ed ecco tornare uno tirando per la cavezza un ciuco, e un altro con una mitra, di quella che si mettevano ai penitenti del Sant’Uffizio, mezzo bruciacchiata. 
Allora si capì: una fragorosa risata scoppiò: fra Miguel intanto fu messo a cavallo dell’asino; si formò un corteo burlesco, e fra grida, sghignazzamenti, sberleffi, l’inquisitore generale, fu condotto per la via Marmorea. Ogni tanto una manata di fango lo colpiva, qualche torsolo gli rovesciava la mitra; gli schiamazzi crescevano; il frate smorto, roso dall’ira impotente, ma temendo che da un momento all’altro lo uccidessero, taceva. Ogni tanto mormorava: – “Jesus, abbiate misericordia del vostro servo!”
Il corteo guidato da mastro Jacopo giunse alla Cala, dove di solito le galere di Sicilia stavano all’ancora: ma quella volta non ve le trovarono: le galere avevan salpato per ordine di don Ugo, il quale approfittando che la folla era corsa altrove uscito dal suo nascondiglio era andato ad imbarcarsi ed aveva fatto prendere il largo. ma altre galere ce n’erano. Mastro Iacopo fece scavalcare fra Miguel, lo accompagnò sulla galera, e gli augurò il buon viaggio con un inchino burlesco. 
- Vossignoria se ne torni in Spagna, ora: che qui non è aria per i suoi polmoni!
E sbarcato, ordinò al capitano di portarlo via, se non voleva presa ed affondata la galera.


Luigi Natoli: Squarcialupo. 

Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori, nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1920. 
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: la rivolta contro don Ugo Moncada. Tratto da: Squarcialupo.


Quando c’erano gravi faccende da risolvere, il Senato convocava i cittadini a consiglio; e la campana della parrocchia di Sant’Antonio ne dava l’avviso. I cittadini accorrevano; ma né la corte, né le sale bastavano ad accoglierli, quando eran molti; e gran parte restava fuori, dinanzi la porta del palazzo, la quale, in quel tempo non era dove è ora, ma dalla parte opposta, su quella che oggi è la piazza Bellini. Questo inconveniente dava luogo a tumulti, per cui più tardi fu deliberato, che intervenissero soltanto i consoli delle maestranze, come legittimi rappresentanti del popolo; e si formò così un vero e proprio consiglio civico, che s’adunò più regolarmente, ebbe un capo detto sindaco, e attribuzioni proprie, fra le quali quella di sindacare l’opera amministrativa del Senato. Nel 1516 però questa riforma non era avvenuta, e al suono della campana di Sant’Antonio il popolo accorreva, come negli antichi comuni, dinanzi all’arengo. 
Quando mastro Iacopo giunse c’era già della gente: i più, artigiani; egli entrò dunque nella piccola corte, ascoltando i discorsi, dicendo la sua, gittando qualche barzelletta. A poco a poco l’atrio si empiva: la campana continuava a sonare e la gente veniva da ogni parte. Avevano aperto anche la porta della curia (quella che guarda a oriente e porta la legenda Pax huic domui) per dare maggior sfogo alla moltitudine. Su nelle stanze, il pretore, che era Lisi Bologna, parlava coi giurati e con parecchi signori. V’era della elettricità nell’aria; e si vedeva nei volti, nei gesti, in quella specie di aspettazione concitata che precede i grandi avvenimenti. 
- Ah! ah! don Ugo manda i suoi avvocati! – disse mastro Iacopo, vedendo entrare il magnifico Blasco Lanza. 
Il giurista attraversò la folla, gittando qua e là qualche sguardo preoccupato ma simulando un aspetto tranquillo e sicuro di sé, e forse anche un po’ sdegnoso. Egli confidava probabilmente nella sua doppia qualità di dotto ed eloquente uomo e di autorevole inviato dal vicerè; ma questa seconda qualità non aveva più ascendente sul popolo. Il consiglio o comizio aperto, cominciò la discussione se don Ugo potesse ancora esercitare il suo ufficio: il magnifico Blasco Lanza naturalmente sosteneva di sì, fondandosi sopra i capitoli di re Giovanni, che mutavano e correggevano il vecchio diritto, ed erano in pieno vigore: e con gran copia d’argomenti e sottigliezze giuridiche, dimostrava che don Ugo conservava la sua autorità, e poteva legalmente compiere tutti gli atti. 
Ma Giovan Luca Squarcialupo lo interruppe: 
- In nome di quale re egli eserciterebbe il suo ufficio?
- In quello di Carlo, acclamato con tutte le forme, re di Sicilia.
- Magnifico Blasco Lanza, voi dimenticate che fino a quando un re non giura personalmente o per suoi procuratori, di osservare la costituzione del regno, non può esercitare i suoi poteri reali: e questo non è stato abolito, messer Blasco. Il re è acclamato, ma non ha giurato; egli ancora non regna: e don Ugo non può governare in suo nome, e non può governare in nome del re morto!
Blasco Lanza alla obbiezione, che raccoglieva un mormorio di approvazione, fu pronto a rispondere, ricorrendo alle sottigliezze giuridiche e alla dialettica aristotelica; ma Giovan Luca lo interrompeva ogni momento, con negazioni, finchè, uscendo a un tratto dal campo della discussione, gridò con veemenza: 
- Blasco Lanza, voi, siciliano, difendete lo straniero! Voi tradite la patria!...
Queste parole sollevarono un tumulto: mastro Iacopo Piededipapera di tra la folla gridò: 
- Cacciatelo fuori! Se ne vada a Catania!...
E allora la folla cominciò a vociare, minacciosa.
- Fuori don Blasco! Fuori il dottore! Fuori il catanese!...
Si videro pugni e bastoni levati: Blasco Lanza sentì il pericolo; per istinto si trasse verso i giurati, come per cercar protezione. Il capitano di città, il signor Vincenzo Corbera, gli si pose dinanzi, facendo segno con le mani, come per raccomandare la calma, e il pretore e i giurati, che avrebbero voluto condurre le cose in modo da giungere a un accordo, cercavano anch’essi di placare l’eccitazione popolare. Ma la folla urlava: 
- Fuori il traditore! fuori il catanese!
Approfittando della confusione, il capitano di città fece uscire Blasco Lanza da una porticina, e di là, per una scaletta interna, giunse alla porta occidentale del palazzo; donde il giurista, salito a cavallo, si allontanò di galoppo, per portare a don Ugo la notizia dell’insuccesso e del pericolo corso. La folla non si avvide della sua scomparsa, che quando egli era orma fuor d’ogni violenza: ma invece di quetarsi, cominciò a prendersela col pretore e coi giurati che lo avevano fatto fuggire.


Luigi Natoli: Squarcialupo. 
Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori, nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1920. 
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: La chiesa dell'Annunziata. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891


Sul cui prospetto è incisa la data 1501; ma l’interno è più antico trovandosi mensione di essa nel 1345. – Sull’architrave della porta d’ingresso è scolpita una Salutazione; l’interno è di stile ogivale siciliano, a tre navi, divise da dodici colonne, sui capitelli delle quali sono scolpite le dodici Sibille. Il soffitto, di legno, diviso in 16 cassettoni si crede dipinto da Tomaso Vigilia, pittore palermitano del secolo XV, ma sotto restauri molto posteriori l’antico è scomparso. Notevole un antico trittico con S. Anna, la Vergine e S. Giovanni, con questa iscrizione: Jacopo Michele detto Gerardo da Pisa me pinse.

 Questa chiesa è storica perché vi avvenne l’8 settembre del 1517 l’uccisione di Giovan Luca Squarcialupo, che aveva tentato di scotere il giogo di Spagna per istituire una repubblica in Palermo. Convenuti qui i capi della rivolta, con altri nobili, furono da questi a tradimento uccisi. Da questo fatto venne il nome alla via. Il La Lumia opina che il fatto sia accaduto in altra chiesetta, che sorgeva accanto – dove fu posta recentemente una iscrizione apposita, e dove è il Reale Conservatorio di Musica...

Nota dell'editore: La chiesa dell'Annunziata oggi non esiste più, in quanto distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, mentre è ancora esistente l'iscrizione che ricorda l'uccisione di Giovan Luca Squarcialupo, da cui prende il nome la via. 


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Carlo Clausen nel 1891 in occasione dell'Esposizione Nazionale. 
Corredata degli inserti pubblicitari e cartina della città dell'epoca (allegata a fine volume) 
Pagine 218 - Prezzo di copertina € 19,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: Porta Nuova. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891


Porta Nuova (P. E2) Questa porta, di originale architettura, è costruita sul sito di una porta più antica detta del Sole; ha forma di arco trionfale, sormontata da un padiglione a guisa di piramide sostenuta da colonne di elegante loggiato. Dalla parte esterna è decorata da quattro grandi cariatidi, raffiguranti mori prigionieri.

Si credette che i disegni della porta fossero dovuti a Michelangelo e a Pietro Novelli, ma il vero è che architetto ne fu Gaspare Quercio. Essa fu elevata a ricordo dell’ingresso di Carlo V, reduce dall’impresa di Tunisi nel 1535, ma non fu compiuta che nel 1584; il Senato la chiamò Porta Austria, ma il popolo la battezzò Porta Nuova e questo nome le rimase. Rovinata nel 1667 da un fulmine fu rialzata sullo stesso disegno.
Nella stanza di mezzo al padiglione alloggiò Garibaldi nel 1860.


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Carlo Clausen nel 1891 in occasione dell'Esposizione Nazionale. 
Corredata degli inserti pubblicitari e cartina della città dell'epoca (allegata a fine volume) 
Pagine 218 - Prezzo di copertina € 19,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


lunedì 23 aprile 2018

Luigi Natoli: La Cappella Palatina. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891


Cappella Palatina dedicata a S. Pietro è, forse, il più prezioso gioiello dell’architettura siciliana, sorta dalla fusione degli stili e delle ornamentazioni gotici, bisantini ed arabi. I musaici del portico del 1506 furono rifatti nel 1800; ma il vestibolo è avanzo dell’antico portico; sei delle colonne sono di granito egiziano. A sinistra del portico, incastrata sul muro è una iscrizione trilingue (araba, greca, latina) che ricorda un orologio fatto nel 1142 da un artefice di Malta, con macchine e ruote congegnosissime.

Questa cappella fu cominciata a edificare nel 1129 dal re Ruggero II, finita nelle sue parti nel 1132, e consacrata nel 1140; però alcuni musaici sono dell’epoca aragonese. Il tempio, in forma di basilica a tre navi è lungo 23 metri, e largo 13; le ogive poggiano su due file di colonne antiche di granito e di cipollino con capitelli corinzi e compositi, cinque per lato; ma le colonne dell’arco principale della solea e quelle della protesi e del diaconico sono addoppiate. La solea s’alza su cinque gradini; e la croce è sormontata da una cupola alta 18  metri, nella quale s’aprono otto finestre. Il soffitto, di legno, elegantemente scolpito e adorno di rosoni contornati d’iscrizioni cufiche. Bellissino l’ambone, dalla parte della protesi, sorretto da colonnine; accanto al quale un importante candelabro alto 4 metri e mezzo, di marmo bianco con ornati e figure, opera del secolo XII. Il coro, di stile gotico lombardo è opera moderna. Le pareti sono in basso coperte di grandi tavole di marmo inquadrate in bei fregi a musaico, e in alto sono istoriati da pregevoli musaici su fondo d’oro, i cui soggetti sono cavati 34 dall’antico testamento, 7 dalla vita di Gesù, 5 da quella di S. Paolo e 9 da quella di S. Pietro. I più antichi musaici sono nel coro, che rimontano all’epoca di Ruggero, eccezione fatta della figura della Vergine, restaurata ai tempi nostri. In fondo all’abside maggiore vi è una grande figura del Cristo che benedice, tenendo in una mano un libro aperto, su cui in greco è scritto “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina fra le tenebre, ma avrà la luce della vita”. A giudizio di tutti questa cappella è un capolavoro dell’architettura medievale e, forse, la più bella del mondo.

Presso alla Solea, dalle due navi minori si scende in una specie di cripta, che la tradizione vuole sia stata la primitiva chiesa ove si fermò S. Pietro venendo dall’Africa. Sull’altare di questo sotterraneo si eleva il Crocefisso che ornava la Sala dei giudizi del Sant’Offizio. Vi è una Madonna delle Grazie, d’incerto autore, e due lapidi sepolcrali, una delle quali chiude il cuore e le viscere del vicerè Emanuele Filiberto di Savoia, morto nel 1624.

Nell’antisagrestia due bassorilievi in marmo; uno rappresenta il battesimo di Ferdinando II di Borbone, l’altro gli sponsali di Maria Cristina di Borbone con Carlo Felice duca di Genova, e quelli di Maria Amalia di Borbone con Luigi Filippo. Nella sagrestia è importante il tabulario, contenente diplomi greci, arabi e latini; fra essi l’atto di consacrazione della chiesa scritto in lettere d’oro sopra una lamina d’argento nel 1140. Notevole una preziosa cassetta araba d’avorio con iscrizione cufica, e un ostensorio del secolo XVII. La porta della sagrestia, che chiude l’archivio, è di bronzo con ornamenti dell’epoca normanna.



Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891

Corredata degli inserti pubblicitari e cartina della città dell'epoca (allegata a fine volume) 
Pagine 218 - Prezzo di copertina € 19,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891 edito da I Buoni Cugini editori.

In occasione dell'Esposizione Nazionale tenutasi a Palermo nel 1891, Luigi Natoli scriveva una guida della città capoluogo di Sicilia. Il libretto era stato concepito in funzione dei tanti visitatori che l'evento avrebbe portato a Palermo con l'intenzione di accogliere i viaggiatori fin dal loro arrivo in città, fornendo tutte le indicazioni utili per il soggiorno, già dalle prime pagine, a iniziare per l'appunto dagli alberghi, e poi di seguito i caffè, le trattorie, i mezzi di trasporto, dentisti, farmacie e tanto altro senza trascurare niente, latrine comprese. Ma il grande Luigi Natoli non poteva fare a meno di guidare i visitatori nella sua adorata Palermo, con l'immenso amore da sempre riservato a questa città. Descrive infatti la storia millenaria, la complessa topografia, e tutte le meraviglie artistiche e architettoniche con smisurata cultura, ricchezza di particolari e rigore narrativo, non senza polemiche ove era giusto farle. 
In questa ristampa noi editori abbiamo fedelmente rispettato il testo e inserito le stesse immagini che corredavano il libretto originale, riportando anche nelle pagine finali tutti gli inserti pubblicitari in appendice che danno al lettore d'oggi l'idea di un secolo glorioso tramontato con tante aspettative di progresso sull'imminente 1900. Si potrà godere di nomi, cose e prodotti ormai sconosciuti; di terminologie non più in uso, e soprattutto delle trasformazioni che ha avuto Palermo, perché ogni cosa è fissata nel limite temporale del 1891. 
Si pensi al teatro Massimo in costruzione, all'assenza dei fabbricati dell'era fascista, come il Tribunale o il Palazzo delle Poste, e alla ricchezza di splendide chiese e monumenti della zona del porto, molti dei quali abbattuti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale; ma sempre, su tutto e in ogni caso si potrà apprezzare la grande sapienza narrativa di Luigi Natoli con le sue innumerevoli spiegazioni. Una guida di gran lusso che ci siamo permessi di raffigurare in copertina, insieme con alcuni monumenti della sua amata Palermo. 


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891
Corredata degli inserti pubblicitari e cartina della città dell'epoca (allegata a fine volume) 
Pagine 218 - Prezzo di copertina € 19,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: Aspetto generale della città di Palermo. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891


La singolare disposizione delle vie principali e della via di circonvallazione che costeggiava le fortificazioni, ha reso assai facile dividere la città in sezioni, e agevole l’orientarsi per chi vuol fare un giro.
Essa è percorsa nel mezzo da due strade diritte e lunghe che si tagliano ad angolo retto: la via Vittorio Emanuele che scende verso il mare, e la via Macqueda. Il punto di intersezione forma una piazza detta volgarmente Quattro Cantoni (P. E4). La via Vittorio Emanuele è limitata a mare dalla Porta Felice (P E6) e all’estremità opposta da Porta Nuova;(P. E2) uscendo dalla quale la via, prendendo il nome di Corso Calatafimi, si allunga in linea retta fino a Monreale per circa cinque Km. La via Macqueda ha a mezzogiorno la Porta di Vicari o S. Antonino (P. C4) a tramontana la Porta Macqueda (P. G4) ora distrutta. Di là dalla porta di S. Antonino la strada, preso nome di via Oreto, continua diritta sino al fiume; di là dalla Porta Macqueda, coi nomi di via Ruggero Settimo e via della Libertà, va, sempre in linea retta per alcuni Km fino quasi alla Favorita. La via di circonvallazione, intorno alle mura di un tempo, parte dal mare, a mezzogiorno, col nome di via Lincoln sino a Porta S. Antonino, continua col nome di via Tukery (così fu detta dal valoroso Tukery, dei Mille, ivi ferito nel 27 maggio 1860) fino alla piazza dell’Indipendenza a ponente; tira giù col nome di corso Alberto Amedeo, e piegando a settentrione scende coi nomi di via Volturno e via Cavour fino alla piazza del Castello. Questa via di circonvallazione forma il limite delle sezioni interne, che erano comprese nella città murata e che sono quattro, per effetto delle due vie principali che le dividono: esse prendono nome da quattro edifici civili che vi sorgono: Palazzo Reale, Monte Pietà, Castellammare, Tribunali. Le sezioni esterne, che si allargano di qua e di là intorno alla via di circonvallazione, son due, divise dal Corso Calatafimi. Tutta quella parte di città esterna che si trova a sinistra di chi guarda il mare, forma la sezione Molo, quella che si trova a destra, sezione Oreto od Orto Botanico.



Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891
Corredata degli inserti pubblicitari e cartina della città dell'epoca (nella foto, allegata a fine volume) 
Pagine 218 - Prezzo di copertina € 19,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 




mercoledì 18 aprile 2018

Luigi Natoli: Il processo a Francesco Paolo Di Blasi. Tratto da: Calvello il bastardo.


Alle rivelazioni del Teriaca si erano aggiunte le confessioni spontanee o strappate di altri, i quali credevano di sfuggire alla morte accusando i compagni e rivelando il piano della congiura. Il reo principale e maggiore appariva don Francesco Paolo Di Blasi; e su di lui conversero gli sforzi del magistrato; ma per quanto il giudice Artale facesse per conoscere altri possibili complici e se vi fossero relazioni all’estero, non gli si cavò di bocca una parola.
Raccolti gli elementi della causa, il 15 maggio il tribunale assegnò il termine straordinario di difesa a dieci accusati: il Di Blasi, Benedetto La Villa, i due fratelli Giulio e Giovanni Tenaglia, Salvatore Messina, Gaetano Carollo, Bernardo Palumbo, don Gandolfo Bonanno, e maestro Francesco D’Anna e Nunzio Ruvolo; ordinò che altri si spedissero a Napoli, tra essi impunito il Patricola; sopra altri fuggiti pronunziò sentenza di bando e fra questi Corrado Calvello.
L’indomani, 18, si sarebbe discussa la causa; si affermava che la sentenza sarebbe stata di morte.  La discussione della causa ebbe luogo nel pomeriggio del 18. Il Di Blasi fu difeso dai giureconsulti Paolo e Gaspare Leone, gli altri da Felice Ferraloro.
Per impedire al popolo l’accesso furon posti sulla porta otto soldati con baionetta in canna. La discussione durò otto ore; la sentenza fu di morte per quattro: il Di Blasi, Giulio Tenaglia, il La Villa e il Palumbo; per gli altri fu di reclusione nelle orride fosse di Favignana, di Pantelleria, di Lipari. Al Di Blasi, come patrizio, la mannaia; la forca agli altri tre; l’esecuzione avrebbe avuto luogo il 20, nel piano di Santa Teresa.
Ma al Di Blasi era stata anche data altra pena: la tortura. La stessa sera della sentenza gli fu data la corda, e poichè i medici giudicarono che, per malattie, facilmente sarebbe soccombuto, gli fu mutato il genere di tortura, ed ebbe bruciate le piante dei piedi con lardo bollente. Francesco Paolo Di Blasi non tremò dinanzi alla corda, e non tremò dinanzi al fuoco. A mostrare il suo dispregio, denudò da sè stesso i piedi...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1915. 
Pagine 855 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

martedì 17 aprile 2018

Luigi Natoli: l'addio a Francesco Paolo Di Blasi. Tratto da: Calvello il bastardo.


Quel giorno parve che il governo fosse preso da una paura tremenda. Tutte le truppe furono tenute sotto le armi, nelle caserme; fu rinforzata la guardia nelle carceri e all’arsenale; a Castello a mare e al Palazzo; sui bastioni che guardano la Piazza S. Teresa, e dove è il giardino reale, furono posti dei cannoni, con le bocche rivolte al palco, caricati a mitraglia; altri cannoni furono appostati all’arsenale. L’esecuzione doveva aver luogo verso le quattro pomeridiane. Corrado sentiva battere le ore alle campane degli orologi con una impazienza mista ad apprensioni, a timori, a sospetti; il suo cuore pulsava con violenza e con un’ansia inquieta, che era in lui affatto nuova. La vista di quelle forche, di quella mannaia, orride macchine, alle quali pur era adusato in quei tempi di supplizi feroci e inumani, ora gli metteva dei brividori nelle vene. Pur si padroneggiava; la sua emozione si rivelava al pallore del volto e alla febbrile irrequietezza degli atti. Ciò che più lo stupiva era il fatto che nella piazza, sebbene si avvicinasse l’ora, non si vedesse la solita folla avida di quegli spettacoli di sangue, feroce e compassionevole nel tempo stesso.
La piazza era quasi deserta. Questa solitudine sconcertava il disegno di Corrado, che contava appunto su la folla per poterlo eseguire con minor rischio. Poche persone, e dell’infima plebaglia, circolavano per la piazza, incuriosite; e fra loro scorrevano degli uomini, con uno scapolare indosso, che andavan gridando:
- Per l’anima di questi poverelli.
Erano i confrati della Chiesa degli Agonizzanti, che ogni qualvolta si eseguiva una condanna capitale andavano per le strade, invitando, durante il tempo della triste funzione, con quel lugubre grido i pietosi a pregare per l’anima dei disgraziati, e a dare l’obolo per la celebrazione di messe in loro suffragio. A quel grido s’accompagnavano i rintocchi funerei delle campane.
Attraversata la piazza s’avviarono verso Porta Nuova, dove si erano accalcati i pochi curiosi, per vedere la lugubre processione. I condannati venivano a piedi; dinanzi andava don Francesco Paolo Di Blasi, fra due confrati della Compagnia dei Bianchi; dietro, venivano i suoi compagni di sventura, confortati anch’essi da Bianchi. Erano strettamente circondati da settanta algozini; e di qua e di là compresi in una doppia e fitta siepe di compagni d’arme, di birri, caporali, cavarretti; tutta la sbirraglia era sotto le armi. Per accostarsi ai condannati, bisognava rompere una triplice muraglia vivente ed irta d’armi. Corrado Calvello, che aveva già veduto l’apparato di forze, riconobbe la impossibilità del benchè lieve tentativo. Per veder meglio, montò sopra un sedile, dove stavano altri; confondendosi tra essi per non restar troppo in vista, e aspettò. Quando vide comparire don Francesco Paolo Di Blasi, non potè trattenere un grido di dolore. Il giureconsulto era irriconoscibile; magro, pallido, incanutito; tuttavia fermo e dignitoso. Udì e riconobbe egli quel grido? Sollevò il capo con vivacità, e il suo occhio errò su gli spettatori: vide due occhi umidi che lo guardavano, e una mano agitarsi in segno di supremo saluto; e un sorriso gli illuminò il volto...
L’esecuzione si svolse in quasi due ore. Prima fu decapitato il Di Blasi, poi furono impiccati il Tenaglia, il La Villa e il Palumbo; nessuno di loro tremò dinanzi alla morte; primi martiri della libertà iniziarono in Sicilia la lunga serie di cospirazioni e rivolte che dovevano abbattere la signoria borbonica; e mostrarono come si muore per un’idea. Quando i pochi curiosi cominciarono ad allontanarsi, il cadavere di don Francesco Di Blasi fu trasportato nella vicina chiesa dei teresiani scalzi, e deposto in una cappella, senza che alcuno dei parenti gli rendesse pietoso ufficio. Soltanto fu visto entrare in chiesa un giovane, seguito da due contadini, avvicinarsi alla bara, inginocchiarsi e recitare una breve preghiera.


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1915. 
Prezzo di copertina € 25,00 - Pagine 855
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Nella foto: lapide a Francesco Paolo Di Blasi in piazza Indipendenza a Palermo. 

Luigi Natoli: la compagnia dei Bianchi. Tratto da: Calvello il bastardo.

Questa compagnia, istituita nel 1541, e della quale potevano far parte solamente gentiluomini di provata nobiltà, aveva per ufficio di assistere fino agli ultimi istanti i condannati a morte, di qualunque ceto si fossero, di qualunque delitto rei. Pietoso ufficio che, bisogna dirlo, la nobiltà esercitava con vivo sentimento di carità, in un tempo in cui le condanne capitali erano frequenti; e con una generosità e con una scrupolosità rimaste leggendarie.
Essa aveva il pieno e completo governo del condannato, appena l’avvocato fiscale lo rimetteva in sue mani. Il governatore della Compagnia, o vogliam dire il capo di essa, affidava a quattro confrati l’ufficio di condurre nella cappella di conforto, di assistere e preparare a morir cristianamente il condannato, o, come dicevano, l'afflitto: uno dei quattro prendeva il nome di Capo di Cappella; e stabiliva tutto il da fare, riceveva la confessione segreta e gli ultimi desideri del condannato, e li trascriveva in un libro, detto Scarichi di coscienza, sul quale nessun occhio profano poteva posarsi.
I desideri dell’afflitto erano soddisfatti; le sue ultime volontà eseguite scrupolosamente; il segreto custodito gelosamente. Nei tre giorni, quanto ordinariamente durava la Cappella, il capo di cappella e gli altri confrati si alternavano l’ufficio: non lasciando solo neppur per un istante il condannato; intanto che il cappellano della Compagnia celebrava messe, confessava, amministrava i sagramenti, recitava l’uffizio e le preghiere per gli agonizzanti. Questa lunga agonia di tre giorni, che una malintesa pietà religiosa infliggeva al condannato, per alcuni veniva abbreviata a un giorno soltanto, non per pietà, ma per rigore e per fretta.


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1915
Pagine 855 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

mercoledì 11 aprile 2018

Luigi Natoli: Lorenza entra nella Massoneria. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure.


Cominciai con qualche allusione a destare la curiosità di Lorenza. Sulle prime essa mostrò qualche scrupolo: l’idea di un giuramento, di pratiche che parevano ai suoi occhi una contraffa­zione dei riti religiosi, le riusciva un po’ dura. Ma io la sapevo in verità poco religio­sa; o meglio sapevo che la sua religio­ne, come quella di tutte le donne di Roma e del Regno, era più formale che profondamente intesa. Quando ella aveva ascoltato  messa, e aveva recita­to le sue preghiere la sera e la mattina e s’era confessata a Pasqua, più per forza d’abitudine che per sentimento, credeva di essere buona cristiana cat­tolica. Ai miracoli e ai dogmi credeva per ignoranza e perchè glieli avevano insegnato, ma senza fervore. Del resto la sua morale era elastica, e la cosciente osservanza dei doveri, vacillava in lei al primo urto dei piaceri, per debolezza del suo spirito.
Vinsi dunque facilmente i suoi scrupoli, quando le dissi che v’erano molti cattolici nella loggia e perfino dei preti da messa; e che si sarebbe trovata in una bella e gradita società, dove sarebbe stata onorata.
Contemporaneamente, io persuasi l’abate Granier ad ammettere le donne nell’esercizio della libera muratoria, le logge avrebbero avuto grazia e signorilità dall’intervento di signore; e, pei fini dell’Ordine, la collaborazione delle donne sarebbe stata utilissima. 
Così un mese dopo, nel primo di giugno, Lorenza fu introdotta in Loggia, bendata. 
Ella rispose alle domande, secondo io le avevo suggerito; ma quando fu il momento di giurare, disse che avrebbe prestato il giuramento, purché non si violava la sua religione. L’abate Granier le disse con tono severo: 
- Voi dovete promettere di ubbidire, e non badare a questo; la Massoneria è la base della virtù. 
Allora essa, posando una mano sulla spada del Venerabile giurò; e il Venerabile prese la legaccia dell’ordine, che è una fettuccia sulla quale sono ricamate in oro le parole Unione, Silenzio, Virtù e gliela legò su la gamba sinistra, sopra il ginocchio, ingiungendole di dormir quella notte con la legaccia. 
Nel dover mostrare tutta la gamba – Lorenza aveva le gambe ben fatte – essa arrossì alquanto; ma arrossì di più quando il Venerabile le diede i cinque baci di rito; e quando, condotta in giro per la presentazione, dovette dare e ricevere il bacio di tutti i fratelli. Io credo però che dopo la prima ritrosìa, ella abbia preso gusto al giuoco.
In tal modo Lorenza entrò nell’ordine massonico, e cominciò a prender parte alle adunanze; e fui io il primo a far affiliare le donne alla massoneria militante e a trasformar le logge in miste.


Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. 
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914
Pagine 884 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: la vita del prigioniero. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure.


Da quando era entrato nel forte, ed eran quattro anni, dopo un processo laborioso, Giammaria era la prima persona con la quale discorreva; per quattro anni era stato relegato nel silenzio della segreta, guardato con disprezzo e terrore; oggetto di scherni e di crudeltà, contro le quali non poteva reagire. Nessuno doveva parlare con lui; neppure il barbiere, che una volta al mese radeva i prigionieri, non già per igiene o per decenza, ma perché la barba era segno di giacobinismo.

Aveva dovuto infingere una rassegnazione che non sentiva; ma era forse effetto della debolezza fisica, questa che gli pareva forza di rassegnazione.

La condanna era crudele; oltre alla segregazione in quella piccola, fetida, umida segreta, senza altro mobile che un banco di pietra sul quale era disteso uno schifoso pagliericcio; era obbligatorio il digiuno rigoroso per tre giorni della settimana: pane e acqua negli altri, una minestra di legumi nauseabonda le domeniche. La sua salute ne aveva sofferto; i suoi muscoli, la sua carne se ne erano logorati.

Egli non poteva sorreggersi con la speranza di una liberazione prossima o lontana che fosse.

Gli ultimi quindici giorni

L’arciprete don Marini e il suo coa­diutore, il padre don Filippo Scalini, per quei quindici giorni, a vicenda avevano tentato ogni via per ammolli­re il cuore di quell'uomo, che, per loro, era in preda del demonio. Egli pareva si fosse chiuso in un mutismo, che nè esortazioni, nè preghiere, nè mi­nacce e neppur torture eran valse a vincere. Gli avevan punto le carni, gli avevano storto le braccia per vedere se conservava la sua sensibilità e se quel mutismo fosse un effetto del colpo apo­pletico o di pravità d’animo; egli si era riscosso, aveva mandato un urlo che non aveva nulla di umano, ed era caduto nel suo mutismo. Soltanto i suoi occhi avevano conservato nella profondità dello sguardo, la loro elo­quenza; e spesso alle insistenti doman­de degli ostinati padri, esso si era illu­minato di una superiorità sdegnosa, o di una penetrazione così profonda, che quelli se ne erano sentiti imbarazzare.


Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. 
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. 
Pagine 884 - Prezzo di copertina € 25,00.
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Nella foto: La cella del conte di Cagliostro.