martedì 31 dicembre 2019

Buon anno da... Luigi Natoli

Comincia un nuovo anno. Ogni cuore lo saluta come l'incominciamento di una vita nuova; e spera che non soffrirà i dolori dell'anno trascorso. Questo augura a sé e agli altri. 
Un proverbio dice: Anno nuovo, vita nuova. Ma che vuol dire questa vita nuova?
Vuol dire che devi esaminare quello che hai fatto durante l'anno scorso; devi riconoscere i tuoi mancamenti; proporti di correggerti, e mantenere saldamente i tuoi propositi. 
Sei stato ozioso? Lavora: la prima nobiltà dell'uomo è il lavoro. La prima medicina dell'anima è il lavoro. Chi lavora con zelo e con assiduità non ha il tempo di contrarre cattive abitudini. La zappa adoperata sempre non prende ruggine.
Hai sciupato tempo? Rifletti, con maggior assiduità, del tempo che hai perduto. 
La buona massaia, quando sloggia, prima di entrare nella casa nuova, la spazza, la lava, toglie i ragnateli e le fuliggini, la imbianca. 
Così devi fare tu, col nuovo anno. La casa che tu devi ripulire e mettere a nuovo è il tuo cuore. Devi toglierne tutte quelle manchevolezze e quelle cattive abitudini che vi riconosci. E se hai nutrito rancore e ti sei inimicato contro qualcuno, devi amarlo. 
Così tu potrai dire veramente di cominciare una vita nuova. 

Luigi Natoli

lunedì 23 dicembre 2019

Buon Natale da... Luigi Natoli

Pace ed amore fraterno. Gesù venne al mondo per fondare una religione nuova: una religione per la quale tutti debbono riconoscersi come fratelli, figli di un Dio padre Celeste, misericordioso e previdente. Tutti debbono amarsi, aiutarsi, tollerarsi, perdonarsi a vicenda: non odii, non guerre; una umanità nuova. E questo ricorda la festa di Natale. 
Festeggiala dunque col cuor puro. Come con Gesù nacque una società nuova, così nasca dentro di te un mondo nuovo. 
Questa notte Gesù par che ci dica: 
- Un anno muore, ma nel suo seno si è gittato il germe di un nuovo anno: io chiudo un tempo e ne apro un altro; come dalle ombre e dagli squallori dell'inverno la natura esce rinnovata, così esce rinnovato il genere umano dagli errori antichi: e così tu dovrai rinnovarti. 

Luigi Natoli

venerdì 6 dicembre 2019

Luigi Natoli: Don, mastru, zu’… le classi sociali della vecchia Palermo. Tratto da: La vecchia dell'aceto.


Il don non si dava ai maestri, tanto meno ai bottegai di grascia o di frutta, o a gente minuta. C’era tutta una scala di prefissi per indicare la classe o la sottoclasse a cui apparteneva la tale o tal’altra persona. I facchini di piazza, gli spazzaturai e simili non ne avevano nessuno; e gli si dava del tu, senz’altro, i fruttivendoli, i pizzicagnoli e in generale tutti i bottegai o venditori ambulanti di frutta, ortaggi; i carbonai, i friggitori e simili avevano il prefisso zu’ che significava zio, vocabolo di rispetto; per cui il popolino dava loro del “vossia”; i cocchieri, specialmente se padronali, premettevano al nome, ordinariamente, gnuri o su’, signore o sior; gli artigiani volevano, e ci tenevano, tanto di “mastru”; ma i sarti, i cappellai, i mercanti, i piccoli scritturali, i commessi degli uffici, gli algozini, tutta la gente che stava fra i mestieri, e le professioni liberali, gli impiegati regi del Senato e della Tavola o pubblico banco, i magistrati volevano il don come i “galantuomini”. “Galantuomini” erano appunto gli avvocati, i medici, i magistrati, gli impiegati, quelli che vivevano di rendita, il ceto medio, insomma che rappresentava anche la cultura e che si teneva distinto dal popolo, e dalla gente di bottega, fossero anche gioiellieri o mercanti; “gente di banco” o “mezzacanna”.
Zu’ Rosario aveva una clientela di “mezzi galantuomini” col don; era la sua aristocrazia; se non che questa clientela, che portava il nicchio e i capelli lunghi raccolti e annodati dietro la nuca con un nastro, e vestivano la “giamberga”, e avevano il diritto di portare spada, come tanti cavalieri, era di una specie singolare, che si rivelava subito alla inclinazione del nicchio sopra un orecchio, alla curva sprezzante della bocca, alla guardatura che parea dicesse: – “ehm! badate a parlar bene, con me non si scherza”; – dall’andatura con un dondolamento delle spalle come per farsi largo. Compare Vanni non era né zu’ Vanni, né mastro Vanni, né don Giovanni. Poteva essere un boaro, un campagnolo, o poteva più ordinariamente non esercitare nessun mestiere. Ma sfoggiava anelli e catene e ciondoli e fazzoletti di seta; portava in tasca il rosario e il coltello, e aveva il gesto volitivo e lo sguardo imperioso. Si incontrava nei mercati e dovunque si facessero traffichi, negli studi dei notari, nelle pubbliche vendite. Lo zu’ Rosario li conosceva uno per uno, li salutava con una certa confidenza rispettosa, e faceva loro credito, senza litigare e senza insistere pel pagamento.

Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. Parla di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come "la vecchia dell'aceto". 
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927. 
Pagine 562 - Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica e in tutti i siti vendita online
Disponibile su Ibs 
Disponibile su Amazon
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

mercoledì 4 dicembre 2019

Luigi Natoli o William Galt?

Quando sulle colonne del Giornale di Sicilia apparve una biografia di questo preteso inglese, con un elenco di opere... che non esistono; nessuno sospettò che si trattasse di una burla, e che uno scrittore inglese di questo nome non esisteva che nella immaginazione di chi l’aveva creato. Ma dopo le prime dieci puntate di Calvello gli uomini colti, capirono che il romanzo non poteva essere di un inglese; e che la conoscenza della storia, del costume, della topografia di Palermo nel 700, della vita e dell’anima siciliana in quel tempo, era così profonda, che l’autore, per quanto camuffato da suddito di S.M. britannica, non poteva essere che siciliano.
E a poco a poco, crescendo l’ammirazione pel romanzo, si venne a questa conclusione, che di uomini i quali conoscessero così profondamente le cose siciliane non ve ne erano che due: Giuseppe Pitrè e Luigi Natoli; e che, trattandosi di un lavoro di fantasia, e non di erudizione e di scienza, William Galt non poteva essere che Maurus o Luigi Natoli.
Perchè egli abbia voluto incarnarsi in un personaggio esotico, non sappiamo. Non si domanda a uno scrittore perchè abbia assunto questo o quell’altro pseudonimo; talvolta si può indovinare. Forse, William Galt ha voluto godersi da incognito lo spettacolo del grande successo del suo romanzo. Il quale egli scrisse per una prova e per una dimostrazione.
Volle dimostrare che l’ingegno italiano può, se vuole, sostenere vittoriosamente il confronto con quello straniero in un genere di letteratura che i sopracciò dell’arte guardano spesso con ingiustificata diffidenza; e che si può scrivere un romanzo di appendice, interessante per intreccio di avvenimenti, e anche per situazioni drammatiche di effetto, che nel tempo stesso sia opera d’arte.
Opera d’arte nella creazione dei caratteri umani, reali, determinati, varii, opera d’arte nel dialogo; nella descrizione efficace e pittorica; nella rappresentazione viva, evidente, maravigliosa; opera d’arte nella forma; in quel giusto senso di misura, che è pur difficile mantenere in una tela vasta e varia. 
I suoi romanzi storici sono lo specchio delle sue doti: in essi vi è fantasia mobile e varia del poeta, l’osservazione dello psicologo, l’erudizione dello storico e la potenza efficace dello scrittore. Ecco perchè piacciono e piaceranno!"
Gli editori de La Gutemberg (Palermo 1913)

Luigi Natoli: Il casotto delle vastasate. Tratto da: Calvello il bastardo.


Quella sera, sabato, si recitava al Casotto delle Vastasate una delle tre commedie popolari più fortunate e più originali: il Cortile degli Aragonesi. Bisognava sentire Marotta, il celebre comico creatore della parte di ‘Nofrio, e Giuseppe Sarcì, biondo e femineo d’aspetto e di voce, nelle vesti di Lisa e il Montera nei panni di don Litterio il notaio messinese, e il Corpora sotto le spoglie di Caloriu il Ciancianese. 
Che risate!... La recita diurna aveva riempito la cassetta; non un posto vuoto: e di gente ne era rimasta fuori, e non si era mossa da lì, aspettando la recita notturna, per prendere i posti migliori, e rifarsi della lunga attesa. Laura stava alla finestra con un vaso intimo in mano, mentre il Barone, fradicio di un liquido che non era nanfa, minacciava con la canna in pugno, e Lisa gridava, e ‘Nofrio si sganasciava dalle risa. La folla batteva le mani, rideva, urlava, fischiava, si abbandonava a una ilarità tempestosa che faceva tremare la baracca.
Il Casotto era lontano: giù a Piazza Marina, quasi un miglio di strada. Era il teatro popolare, o, come si diceva anche, nazionale, dacchè la Sicilia era una “Nazione” per sè, e il dialetto era considerato come lingua nazionale.
Poiché i Signori avevano per loro i teatri di Santa Cecilia e di Santa Lucia, alcuni popolari avevano verso il 1780 fondato un teatro per loro; ed avevano costruito una grande baracca, nella piazza Marina, nella quale recitavano commedie in dialetto, spesso improvvisate, e delle quali i personaggi principali erano i facchini di piazza.
Facchino, in dialetto, si dice vastasu, vocabolo prettamente greco; vastasate si chiamarono quelle commedie, e Casotto delle vastasate il teatro.
Attori e commedie levarono grido.
Fino allora a Palermo non s’era mai visto nulla di simile. C’erano state vecchie commedie, recitate da comici di mestiere, nelle quali il tipo buffo siciliano era rappresentato dal solito Travaglino, o dal vieto Nardo; due maschere oramai insipide i cui lazzi e le cui buffonerie si ripetevan sempre gli stessi. Del resto le commedie non eran molte, e per riudirle bisognava aspettare qualche compagnia di comici randagi e disperati. Figurarsi dunque la sorpresa e il piacere di vedere sul palco non piú quelle maschere, ma personaggi vivi, che si vedevan ogni giorno: gli artigiani, i provinciali, e più i facchini di piazza col loro linguaggio, coi loro gesti, con le loro bestialità, i loro pettegolezzi, le loro baruffe, i loro piccoli intrighi! Un mondo nuovo!
E non eran mica del mestiere, gli attori; tutt’altro. Gente che di mattina attendeva ad altro ufficio, spesso in aperto dissidio con Talia: Giuseppe Marotta che era il capocomico, ed era un vero creatore di tipi, era portiere del giudice della Monarchia; Giuseppe Sarcì portiere dell’Imprese del Lotto; degli altri chi era operaio, chi sarto, chi povero azzeccagarbugli; e pure quanta verità, quanto sapore di arte spontanea in quei comici improvvisati!
Si capisce che la fortuna della Compagnia aveva acceso cupidigie ed emulazioni. Intorno al teatro del Marotta ne eran sorti degli altri; e altre compagnie si eran formate, ma invano: Marotta non ce n’era che uno, e don Biagio Perez che era il poeta comico della Compagnia, non aveva competitori.
Fra gli spettatori fortunati era un bel giovane di ventisei anni, non molto grande, di membra delicate, strette nell’uniforme dei fucilieri, turchina, a risvolte bianche…


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700. 
Nella versione originale riveduta e corretta dall'autore e pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913
Pagine 850 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Ibs
Disponibile su Amazon
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it