Palermo, 1325
A prevenire l’offensiva
che Federigo meditava, il papa Giovanni XXII si intromise per una pace più
durevole, e invitò gli ambasciatori di Sicilia, d’Aragona e di Napoli ad
Avignone, allora sede pontificia. Vi andarono quelli di Sicilia, ma non quelli
di Napoli, e così tutto sfumò. Avendo intanto Federigo aiutato i fuoriusciti
Ghibellini di Genova sotto i Guelfi, che protetti da Roberto, s’erano
impadroniti della repubblica, e fatto coronare re il principe Pietro, il che era
contro la pace di Caltabellotta, il Papa, che stava per l’Angioino, ne prese
pretesto per scomunicare Federigo, colpire la Sicilia d’interdetto, e
riprendere la quistione del titolo di “re di Sicilia” che Federigo aveva
riassunto. Riarse la guerra, e Roberto allestita una flotta di centotredici
galere, di cui trenta genovesi, col figlio duca di Calabria e il fior dei
baroni, lo mandò in Sicilia. Il 26 maggio 1325 il nemico sbarcò nelle campagne
di Palermo: s’accampò sotto le mura, distrusse il parco della Cuba, depredando
e bruciando, e poi diede l’assalto. La città era difesa da Giovanni
Chiaramonte, detto poi il Vecchio, che aveva con sé, tra i baroni, Matteo
Sclafano, Nicolò ed Enrico Abate, Giovanni Calvello, Simone Esculo e tutti i
cittadini animosi. Per tre giorni con ogni macchina e strumento di guerra
Genovesi e Napoletani si travagliarono in assalti, in punti diversi; e per tre
giorni furono con gravi perdite ributtati. E si vide in quei frangenti il
vecchio Chiaramonte, gottoso, farsi trasportare su una sedia qua e là sulle
mura, dove maggiore era il pericolo, a incoraggiare e dirigere la difesa.
Allora rinunziando agli assalti, il nemico cinse la città d’assedio, sperando
prenderla per fame: ma la notizia che sopravveniva a gran giornate Giovanni
Chiaramonte il giovane con altri baroni e buon nerbo di cavalli e di fanti,
persuase il duca di Calabria e gli altri capitani a togliere l’assedio, e a
contentarsi di dare il guasto alle campagne. E queste furono le imprese, né da
re né da capitano, ordinate dal re Roberto, per lungo corso di anni.
Quando alla calata di
Ludovico il Bavaro, si rianimarono i Ghibellini, Federigo si alleò col Tedesco,
che coronato imperatore a Roma il 22 gennaio 1327, perduto inutilmente un anno,
nell’aprile del 1328 fece deporre il papa Giovanni, ed eleggere un antipapa,
Nicolò V. Ma Federigo, non volendo accrescere le ire del Pontefice, non
riconobbe Nicolò; non negò però i suoi soccorsi all’Imperatore, e mandò con una
flotta Pietro; il quale dopo avere danneggiato il castello di Astura e compiute
altre operazioni, abboccatosi con l’imperatore di Pisa, ritornò in Sicilia, e
l’Imperatore in Germania, dileggiato del rumore fatto per una impresa andata in
fumo.
Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 - Mastro Bertuchello.
Antefatto storico tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo di Luigi Natoli. Ed. Ciuni anno 1935, pubblicato in anteprima al romanzo per far meglio comprendere al lettore il quadro storico dell'epoca.
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