giovedì 3 novembre 2016

Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. - Quadro storico.

Palermo, 1799.

Riaccesa la guerra con la Francia, re Ferdinando occupò guasconescamente Roma; ma i suoi eserciti, furono sconfitti ed egli ritornò rapidamente a Napoli incalzato dai Francesi. Non stimandosi poi sicuro a Napoli, imbarcatosi la notte del 23 dicembre sul Vanguardia, vascello della squadra inglese, con la famiglia, la corte, l’ambasciatore britannico e le opere d’arte più pregiate salpò per Palermo. Dopo una tempestosa traversata, nella quale morì il figlioletto Alberto, vi giunse nella notte del 25, improvvisamente. La notizia, diffusasi per la città, destò commozione. Accolto con applausi, sbarcò prima il Re, e il giorno dopo verso sera la Regina. I Sovrani subito si misero all’opera per fortificare la Sicilia e riconquistare il regno perduto, mentre a Napoli entravano i Francesi, e vi istituivano la Repubblica Partenopea.
Capitò in questa il cardinale Fabrizio Ruffo, che propose ai Sovrani di riconquistare il Regno risalendo dalle Calabrie. Non voleva esercito: diceva che l’avrebbe trovato per via, e poco denaro gli sarebbe bastato. Fu nominato Vicario generale e Commissario nelle Calabrie, e il 27 gennaio 1799 partì da Palermo, con otto uomini e uno stendardo e sbarcò nelle Calabrie. Ben presto accorse gente armata fedele alla monarchia e bande brigantesche, e si formò un esercito, che attraversò le Calabrie vincendo le poche resistenze.
Non è compito nostro narrare le vicende di questa spedizione, né la occupazione delle isole da parte degli Inglesi, e i supplizi di Procida, dove fu mandato il giudice Speciale, disonore della Sicilia. La caduta della Repubblica Partenopea, per la imperizia, e la incapacità dei suoi reggitori, le capitolazioni conchiuse dal Ruffo, e disdette dalla Corte, e i supplizi di uomini onorandi, che affrontarono il patibolo con eroica grandezza, da ricordare i più celebrati dell’antichità, sono noti. Diremo solo che in quel momento la Sicilia, illudendosi di riconquistare con la sua fedeltà il Re, e vedere di nuovo risplendere l’antica reggia, fece ogni sforzo per aiutarlo. Si lasciò depauperare, ordinò tre reggimenti, costruì cannoniere, offrì milizie volontarie, come se quella guerra fosse stata cosa sua. La Corte ebbe con sé in quel tempo la nobiltà per calcolo, le plebi per ignoranza e le vane speranze di miglioramenti, il clero per interesse e fanatismo; i faccendieri per speculazione; ma nel ceto medio intellettuale v’erano molti che vagheggiavano nuovi ordinamenti liberi, ed erano avversi alla Corte, che lo sentiva. Del resto l’Isola non era tranquilla; e non solo per cagione della guerra, ma pei disordini che scoppiavano qua e là contro i giacobini veri o supposti; donde scene di barbarie disonorevoli, cui si abbandonavano le plebi fanatiche.
Anche la nobiltà in qualche modo mutata, non fu servile; e quando la Corte abbandonò la Sicilia, non dissimulò il suo malcontento...
Luigi Natoli. 
 
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