Pietro II (figlio di Federigo d'Aragona) non ereditò
nessuna delle virtù paterne; non fu guerriero, né legislatore, né reggitore.
Vivendo il padre si lasciò dominare da Eleonora sua amadre e da Elisabetta di
Carinzia sua moglie, salendo sul trono, da questo dominio passò sotto quello di
Matteo Palizzi, figlio di quel Nicolò illustre per la difesa di Messina.
Protetto dalle due regine, costui era divenuto familiare nella corte, si era
insinuato nell’animo di Pietro, e vi aveva acquistato potere. Il Re,
inaugurando il suo regno, lo fece conte di Novara e maestro razionale, fece
Gran Cancelliere Damiano, fratello di lui, uomo di Chiesa, più dotto, più abile
di Matteo, però meno ambizioso, volitivo, avido, violento e senza scrupoli.
Essi ripresero i disegni di Maione (26), e divenuti i consiglieri del Re, ne
fecero il loro strumento, ma gettarono il regno nella miseria e nella guerra
civile e fecero perfino richiamare dall’esilio Giovanni Chiaramonte. Allora
Francesco Ventimiglia lasciò la corte, dove copriva l’ufficio di Gran
Camerario, e si ritirò nei suoi vasti feudi. La qual cosa i Palizzi spiegarono
al Re come segno di ostilità, e lo spinsero ad invitarlo a Catania pel
Parlamento. Il Ventimiglia, per tre volte non si arrese all’invito, e mandò
invece a Catania il suo primogenito Franceschello, ma il re lo fece
imprigionare. Il conte Francesco allora si ribellò; diciotto terre sue vassalle
lo seguirono, e con esse i feudi di Federico d’Antiochia. Il Re convocò la
Magna Curia, di cui faceva parte Matteo, la quale il 30 dicembre del 1337
condannò il conte di Geraci per tradimento. Mosse allora il Re, coi Palizzi, e
con forte schiere contro il conte, il quale, abbandonato da molte delle sue
terre, si fortificò nella rocca di Geraci. Era per convincersi ad aprire le
porte al Re, purché i Palizzi non fossero entrati, quando il vescovo di Cefalù,
fra Roberto Campolo, con fiere rampogne lo distolse: allora il conte, lacerata
la lettera che aveva scritta, rimandò l’araldo regio. Il Re ordinò l’assalto e
al conte, rimasto solo, non restò altro scampo che la fuga: ma inseguito dai
cavalieri del re, spronando fieramente il cavallo, questo come impazzito
precipitò da una rupe, sfracellando il conte. Tutta la famiglia del conte fu
arrestata e mandata in vari castelli: scampò solo Arduino. Federico d’Antiochia
si sottomise e se n’andò in esilio.
Di questa impresa Pietro
celebrò esagerato trionfo in Catania, pretaratogli dai Palizzi, che ebbero gran
parte dei beni confiscati ai Ventimiglia.
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