Il baronaggio indigeno,
che si sentiva e si diceva latino,
era in gran parte d’origine normanna, francese e italiana: ma in quel formarsi
della monarchia si era così naturalizzato, che aveva finito per considerarsi
veramente indigeno. Possedeva grandi feudi, specialmente nella Sicilia
settentrionale e occidentale, e vantava i nomi dei Chiaramonte, dei Lancia, dei
Ventimiglia, dei Montaperto, dei Tagliavia, dei Rosso, dei Calvello, degli
Sclafano; ricca, magnifica, conservava la tradizione di quei cavalieri vissuti
nelle corti di Ruggero e di Federico imperatore. L’altro baronaggio venuto con
Pietro d’Aragona e durante il regno di Giacomo e Federigo, catalano, rude,
fiero, che contava i nomi degli Alagona, dei Moncada, dei Valguarnera, dei
Peralta, dei Galcerando, meno numeroso, arricchitosi dei feudi tolti agli
altri, era divenuto possente per la predilezione dei re, che erano di loro
razza. I dinasti aragonesi non ebbero virtù di fondere le due aristocrazie, le
tennero anzi divise, invide e gelose. E neppure seppero fondere con i naturali
delle città i borghesi e gli artigiani che venivano di Catalogna, i quali
formavano colonie con propri capi, per cui i Catalani vi furon tenuti sempre
come stranieri, e spesso chiamati barbari.
Durante la potenza del
Vespro, questo baronaggio, era cresciuto in potenza, a furia di concessioni e
di privilegi, e appannaggio pel servizio dell’armi , di cui era sempre
richiesto. La sua potenza cresceva a scapito di quella del Re, e a spese dei comuni
non solo feudali, ma demaniali, e l’interesse di difenderle a ogni costo, si sovrapponeva
ai giuramenti prestati, al dovere verso la patria, verso cui non si vergognavano
di attirare l’odiato nemico, se per suo mezzo potevano trarre vendetta di quelli,
che credevan torti. Per preminenza, autorità e nome i due baronaggi avevano
automaticamente fatto capo a due famiglie: i latini ai Chiaramonte; i Catalani
agli Alagona. Manfredi II Chiaramonte aveva le cariche di Gran Siniscalco del
regno e Capitan Giustiziere di Palermo; Blasco Alagona era Gran Giustiziere del
regno. Questa carica gli dava il diritto, morto il duca Giovanni, di prender le
redini dello Stato, ma i Latini che avevano dalla loro la regina Elisabetta,
s’adombrarono. E richiamò i Palizzi, ma venne solo Matteo, perché Damiano,
ammalato, morì prima di partire...
Luigi Natoli: Il tesoro dei Ventimiglia. - Latini e Catalani vol II.
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Quadro storico tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo di Luigi Natoli e pubblicato al termine del romanzo nella edizione I Buoni Cugini.
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