Un avvenimento che fu
poi cagione di tristi conseguenze pel Regno, contristò Federigo in questo
tempo. Aveva Francesco Ventimiglia, ricchissimo conte di Geraci, presa in
moglie Costanza Chiaramonte; ma poco dopo innamoratosi di un’altra donna, la
ripudiava col pretesto di sterilità. Ella si rinchiuse in un monastero. Il
fratello Giovanni n’arse di sdegno e cercò vendicarsi. Scontratisi in Palermo
con i loro scherani, vennero alle mani; il Ventimiglia ferito ricoverò nella
reggia. Federigo, che l’aveva caro, esiliò il Chiaramonte, il quale si ribellò
e non ebbe vergogna di portare le armi di Roberto contro la patria: poi,
pentito andò in Germania, e capitanò le schiere di Ludovico il Bavaro, che lo
fece marchese di Ancona.
Roberto riprese la
guerra: e fu sul punto d’impadronirsi del Castello a mare di Palermo, per
tradimento, se i cittadini non avessero sventata la trama, e bloccavano il
castello; per cui le galere angioine dovettero lasciar l’impresa, e dare il
guasto altrove. Federigo sperava d’avere amico il nuovo papa Benedetto XII come
si era mostrato da cardinale, ma ne fu deluso; per cui si preparò a difendere
nuovamente il Regno. Ma la perdita delle Gerbe, rivoltatesi pel mal governo del
capitano che v’era preposto, lo addolorò; ed egli ormai stanco e travagliato
dalla gotta, desiderava riposo.
Nell’estate del 1337,
recandosi a Castrogiovanni (Enna) per passarvi l’estate, a Resuttana fu
assalito dal male: e temendo la morte volle far testamento. Lasciò Pietro erede
del regno e degli altri diritti; fece Giovanni, altro suo figlio, marchese di
Randazzo, Guglielmo, terzo suo figlio, duca d’Atene e Neopatria, Federico
d’Antiochia, conte di Capizzi; il primogenito del conte Francesco Ventimiglia,
anch’esso di nome Francesco, conte di Golisano; ed altre disposizioni diede. Trasportato
a Castrogiovanni, e peggiorando, disse voler morire in Catania; e vi fu portato
a spalla dai cittadini, che accorrevano al suo passaggio. Morì nell’Ospizio dei
cavalieri di Gerusalemme il 25 giugno 1337.
Ebbe solenni funerali,
fu deposto temporaneamente nel duomo di Catania, ma poi fu trasportato a
Palermo.
Federigo fu di animo
grande; buon capitano, accorto ma non profondo politico, seppe far fronte alle
grandi difficoltà, tenendo testa per quarant’anni al Papato, alla casa d’Angiò,
alla Francia, ai Guelfi d’Italia, alla casa Aragona, alle armi, alle scomuniche,
ai tradimenti; mantenendo l’indipendenza del Regno da abile nocchiero. I Siciliani
videro in lui il principe che difendeva l’indipendenza, e per quarant’anni gli
diedero sangue e averi; e con essi la forza e la costanza. Fu amico degli
studi, e studioso egli stesso; fece venire in Sicilia Arnaldo di Villanova,
celebre alchimista e filosofo, e con lui aveva in animo una riforma religiosa,
alla quale s’era ispirato nel proporre un ordinamento generale della scuola, il
primo che si vedesse. Fu legislatore sapiente, il quarto dopo Ruggero II,
Guglielmo II e l’imperatore Federico. Ma sventuratamente lasciava tre mali; un
successore inetto, un baronaggio strapotente, la guerra ancora accesa.
La stella della dinastia
aragonese tramontò con lui, per non risorgere più.
Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 - Mastro Bertuchello.
Antefatto storico tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo di Luigi Natoli. Ed. Ciuni anno 1935, pubblicato in anteprima al romanzo per far meglio comprendere al lettore il quadro storico dell'epoca.
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