Matteo Palizzi sbarcò presso
Messina, nel giugno del 1348; Blasco corso con ottocento lance non potè
ricacciarlo, e la regina Elisabetta fingendo di seguirlo in Catania con
Ludovico, andava a Patti dove Matteo la raggiungeva, col quale si accordò. Indi
il Palizzi si recò a Palermo, accolto con feste dai Chiaramonte. Proposero di
abbattere Blasco Alagona, e fare strage dei Catalani, approfittando dell’odio
di razza per eccitare il popolo di Palermo. E al grido di viva Palizzi e Chiaramonte!
fu fatta strage degli stranieri. Il moto si estese a quasi tutto il Val
di Mazzara. Inutile e tristo vespro novello! Intanto Matteo, e i Chiaramonte
accozzato un esercito mossero per risollevare tutta l’Isola. Dovunque
andassero, da Termini a Randazzo, le città si rendevano, i Catalani erano
perseguitati, imprigionati, uccisi. I sopravissuti riparavano in Catania e
Matteo Palizzi entrava da trionfatore in Messina, dove la Regina, gli diede in
moglie Margherita, già aia di Ludovico, tedesca e vedova di un cavaliere di
Santo Stefano.
Blasco dal canto suo
provvedeva a difendersi, e chiamava i baroni catalani, coi quali accorrevano
anche i Ventimiglia, Enrico Rosso e altri, nemici giurati del Palizzi; adunava
milizie, altre ne assoldava che avevan nome “briganti”, e fortificava Catania.
Per singolarità del caso, il Re stava dalla parte latina, che in vero ne teneva
in non cale l’autorità, ma ne appariva tutrice; la parte catalana, che in
realtà gli era fedele, appariva invece come ribelle. Già qualche avvisaglia
preannunciava la guerra aperta; e temendone gli effetti, la Regina troppo tardi
cercò di impedirla. Invano, Matteo mosse contro Catania, bruciandone le messi;
ma per evitare i danni di un assedio, Blasco ordinò che si incontrasse in campo
aperto. Presso la Gurna di Paternò in un luogo detto Fontana Rossa, i due
eserciti vennero a battaglia, che fu aspra e feroce. E già la parte catalana,
non reggendo all’urto si scompigliava, e la latina si disordinava per far bottino,
quando Blasco piombò con la riserva che teneva appostata, e mutò la sconfitta
in vittoria. Matteo dovetti ritirarsi con gli avanzi dei suoi a Lentini...
La guerra civile
continuò con imprese da banditi, dall’una parte e dall’altra. Campagne
devastate, città e borghi saccheggiati, rapine e stragi, tra le quali si logoravano,
si esaurivano quelle forze, che avrebbero dovuto serbarsi alla salute della
patria. Privati rancori e insane ambizioni insanguinavano le città. Un certo
Lorenzo Murra, familiare dei Chiaramonte, poi crucciato contro di loro, tenne una
congiura e vi attirò i Ventimiglia e Matteo Sclafano. Trovò aderenti e si fece
nominare capitano del popolo che aizzò a uccisioni; poi all’annunzio di schiere
chiara montane, tradì i compagni, fingendo aver tramato tutto per cogliere i
Ventimiglia, che si salvarono con la fuga (gennaio 1351). A Licata un certo de
Vilis, catalano, cacciato, chiamò Artale Alagona figlio di Blasco, che accorse
e vi fece strage e rapina. Quelli invocarono Manfredi Chiaramonte, che non giunto a tempo per
fermare Artale, già in mare col bottino, lo fece assalire a Siracusa. Altri
torbidi vi furono a Castrogiovanni, una ribellione di vassalli ad Assoro,
contro Scalore degli Uberti, partigiano dei Palizzi, loro tiranno, che fu fatto
a pezzi dai villani. Scorrerie per terra, piraterie per mare; non v’era più
governo, non Parlamento. L’ombra sinistra della malcelata ambizione di Matteo
Palizzi si proiettava sulla Sicilia. Il povero Re, astutamente gittato da lui
fra i piaceri, logorava la malferma giovinezza; e, mentre Matteo arricchiva,
egli era costretto a pegnorare fin le gemme della corona....
Luigi Natoli: Il tesoro dei Ventimiglia - Latini e Catalani vol. II.
Quadro storico tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo inserito al termine del romanzo nella edizione I Buoni Cugini Editori.
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