Filippo II ereditò dal
padre - don Giovan de Vega - la guerra con la Francia che si conchiuse col trattato di Castel Cambresì,
e vi aggiunse quella coi paesi Bassi insorti, e con l’Inghilterra che li
proteggeva. Despota chiuso, terribile, nemico di ogni libertà, invido
dell’altrui gloria, nei riguardi della Sicilia rispettò le costituzioni vigenti
e provvide con alcune prammatiche a migliorare gli ordinamenti. Le chiese però
frequenti donativi, che sempre più la impoverivano, pesando sopra il popolo,
mentre se ne esentavano le ricche chiese e i più ricchi monasteri e la nobiltà,
che cresceva sempre più nel fasto e nella cortigianeria. Egli lasciò governare
i Vicerè a loro talento, non rimovendoli se non quando si insinuavano nel suo
cuore i sospetti. Dei Vicerè che per lui ressero l’Isola, ricorderemo qualcuno.
Don Giovanni de la Cerda duca di Medinaceli, preferì feste, balli e cacce alle
noie del governo; protesse un bravaccio, Geronimo Colloca, e maritò le sue figlie
una al duca di Bivona, l’altra al duca di Montalto con feste pubbliche meravigliose.
Tentò un’impresa sull’isola delle Gerbe ma vi toccò una rotta, nella quale
perdette il figlio e caddero prigionieri molti cavalieri. Egli si salvò a
stento. Disgraziati riuscirono anche altri scontri contro il corsaro Dragut. La
carestia provocò un grave tumulto a Palermo, ma fu domato, e il capo, un certo
notaro Cataldo Tarsino, impiccato.
Il successore don Garsia
de Toledo, successogli nel 1565, trovò il Regno in preda dei malandrini, che
ricattavano e assassinavano, rubavando donne perfino nelle città; per cui si
diede con rigore e senza tregua a estirpare la mala pianta. Palermo dovette a
lui alcune opere pubbliche di abbellimento e il porto nuovo col Molo. Durante
il suo governo, Malta fu assediata dalla flotta ottomana, capitanata da Dragut,
ma per la difesa del Gran Maestro La Vallette, e pei soccorsi inviati dal
Vicerè, i Turchi ebbero grandi perdite, tra cui la morte dello stesso Dragut, e
dovettero abbandonare l’impresa. Maggiori sarebbero stati i risultati, se il
Toledo fosse stato sollecito.
In questo tempo avvenne
la riforma degli ordinamenti amministrativi e giudiziarii voluta da Filippo II,
per la quale fu meglio ordinato il Supremo Consiglio d’Italia, che in qualche
modo mitigò e corresse gli abusi dei Vicerè. Furono aboliti gli uffici del gran
Camerario, Gran Giustiziere, Gran Cancelliere, ridotti ora soltanto a nomi
pomposi, non essendovi più Corte a Palermo, e sostituiti a essi i tre
presidenti della Gran Corte, Patrimonio e Concistoro. Così sparì dalle
costituzioni l’ultimo avanzo delle grandi cariche normanne.
Luigi Natoli - Il capitan terrore.
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