mercoledì 6 giugno 2018

Luigi Natoli: Francesco Ventimiglia divorzia da Costanza Chiaramonte... - tratto da: Mastro Bertuchello, Latini e Catalani vol. 1

- Licenziate le vostre ancelle, madonna, – disse messer Francesco; – perché ho bisogno di parlarvi.
Ella fece un gesto alle donne, che s’inchinarono e uscirono.
- Desideravo anch’io vedervi, – disse; – ma non potevo venire fino a Golisano, per turbare le vostre gioie domestiche.
Messer Francesco alzò il capo orgogliosamente:
- Mi fate spiare, a quanto sembra, dimenticando che sono io il signore di me stesso, e che non ho altri giudici sopra di me, fuor che Dio!...
- Non l’ho dimenticato, messere; tanto è vero che mi preparavo a mandarvi un corriere per sollecitare la vostra venuta... e discorrere...
- Meglio così: forse ci risparmierà discussioni e rimbrotti, pianti e rimproveri inutili!...
- Ora siete voi, messere, che dimenticare ch’io sono una Chiaramonte: e che i Chiaramonte non son usi a piangere... Parlate, ora vi ascolto.
Messer Francesco era un po’ sconcertato dalle parole e più dal tono di sua moglie, che forse mai gli era apparsa così regale come quella sera. Si raccolse un poco, e disse:
- Ascoltate, madonna. Sa Dio se mi duole dover parlare di cose che non fanno piacere; ma è necessario per voi e per me. Sono trascorsi cinque anni da che siamo maritati: ma Dio non ha voluto benedire la nostra unione... Ho tanto aspettato da voi, un figlio che mi succedesse: ma la fortuna avversa ha inaridito in voi le sorgenti della vita... Or io non posso lasciare con me spegnersi la stirpe dei Ventimiglia. I miei maggiori mi legarono un obbligo sacro di continuare la loro discendenza, a gloria del nome e del regno... ed io non posso mancare. Speravo che le nostre nozze ci avrebbero reso felici; esse invece son divenute fonte di amarezza, per voi e per me. È necessario perciò che riprendiamo la nostra libertà...
- Era appunto questo che volevo proporvi; perché troppo, messer Francesco, avete mortificato il mio amor proprio di donna e di moglie, tenendomi alla pari della vostra concubina... Domani io lascerò la vostra casa...
- Non basta...
- Che c’è altro?
- Forse non mi sono saputo esprimer bene, madonna Costanza. Una separazione non basta, se noi restiamo legati; è un divorzio che noi dobbiamo domandare tutti e due d’accordo...
- Sta bene, – disse madonna Costanza, pallida, ma senza dar indizio di turbamento.
Messer Francesco se ne stupiva.
- S’intende che restituirò tutta la vostra dote...
- Di questo vi intenderete coi miei, messere.
E così dicendo, madonna Costanza se ne andò con passo fermo, con altera nobiltà nella sua camera, dove si chiuse, lasciando il marito balordo per lo stupore. Egli aveva immaginato di dover sostenere una lotta, che probabilmente lo avrebbe eccitato; si trovava ora vinto dalla grandezza d’animo di Costanza, e indispettito di dover riconoscere di uscire da quel discorso umiliato, anzi avvilito. Ma poi pensò, per consolarsi, che quella magnanimità era forse freddezza d’animo: che madonna Costanza non l’aveva mai amato.
- Tanto meglio così; – conchiuse; – ciò mi risparmia rimorsi.
Il domattina madonna Costanza si fece portare in lettiga nel palazzo di suo zio, il vecchio Giovanni Chiaramonte. Nessuno seppe come ella avesse trascorsa la notte: il velo nel quale s’era avvolta nascondeva il pallore del volto, le occhiaie livide e le palpebre arrossate.
Nel palazzo non trovò che le donne e il giovane Manfredi, suo cugino. Giovanni Chiaramonte, suo zio, era partito con la spedizione capitanata da re Pietro, e che doveva coadiuvare l’impresa del re di Germania: l’altro Giovanni, suo fratello, era al seguito di questo re: Manfredi era ancor troppo giovine, e le donne erano imbelli. Nessuno poteva dunque prender le difese di lei. Alle donne, che vedendola così pallida e disfatta, le domandavano che cosa le fosse accaduto, rispose da prima brevemente e celando la verità; ma finì poi col confessare tutto tra i singhiozzi. La confessione suscitò orrore ed ira. Era un’infamia! Non doveva cedere, no! Bisognava che lo spergiurato non godesse la libertà che domandava!... Ah povera figlia! Quale sventura!...
Ma ella ricacciò indietro le lagrime. No! Aveva risoluto di rompere ogni legame. Era meglio. Che vendetta sarebbe mai stata quella di ricusare il suo consenso, se messer Francesco, potente com’era, poteva ottenere i divorzio anche senza l’assentimento di lei? Ora voleva vivere in pace, nell’ombra di un monastero.
- Dio farà giustizia del torto.
- Ma Dio, – disse Matteo Palizzi entrato in quel punto, – si serve degli uomini per compiere giustizia: e l’avrete... E ricordatevi, madonna Costanza, che io vi avevo aperto gli occhi per tempo... Prevedevo questo colpo... Ma intanto voi non potete disporre della vostra volontà, perché il capo della vostra casa è il conte di Modica, vostro fratello, che per ora è lontano. Non precipitate; aspettate che Giovanni ritorni. Spetta a lui decidere...
Tutte le donne trovavano saggio il suggerimento di Matteo. Sì, bisognava aspettare. Intanto ella poteva dimorare in casa loro. Ma su questo punto Costanza fu irremovibile.
- Me ne andrò al Monastero del Cancelliere. Desidero il silenzio, il raccoglimento, la pace del chiostro: per il resto aspetterò Giovanni.
Messer Francesco interpretò la partenza della moglie come la conferma del consenso al divorzio, e ne fu soddisfatto, perché gli rendeva più facile il compito. Egli iniziò lo stesso giorno, per mezzo di un uomo di curia, le pratiche presso l’arcivescovato. Voleva far le cose in fretta: condurre all’altare madonna Margherita e legittimare i figli; e ottenere per loro dalla benevolenza del re favori e grazie. Nel suo orgoglio di padre vedeva diffondersi in più rami, e ciascuno gagliardo e prosperoso, la stirpe dei Ventimiglia, e diventar la più possente di terre e di vassalli che fosse nel regno; più possente del re....



Luigi Natoli: Mastro Bertuchello - Latini e Catalani vol. 1
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1925. 
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