sabato 2 giugno 2018

Luigi Natoli: Ode al tricolore italiano.


Segno tangibile del patto, espressione visibile della concorde volontà nazionale, simbolo vivente dell’unità della stirpe, il tricolore sventolò nella reggia, sulle barricate, sui campi di battaglia; accese negli animi le fiamme degli entusiasmi; fortificò i voleri della virtù del sacrificio; sorrise agli occhi dei moribondi; coperse le bare dei caduti; sfolgorò al sole nella gloria dei trionfi. 
Cari e santi colori! Quando la prima volta apparvero composti in vessillo, non furon dopo di principi; che non erano i colori e le insegne araldiche di una dinastia: ma furono eletti da popolo libero a consacrazione e simbolo di unione. Non fu bandiera di Reggio e di Bologna, non di Modena e di Ferrara; ma di quel primo nucleo, che sopra le rovesciate autonomie comunali, già cagion d’odi insani, precorreva nella unità della repubblica Cisalpina, l’unità della patria. 
E bandiera del regno d’Italia sventolò dall’Isonzo alla Beresina; ripiegata dopo Waterloo, riapparve nel ’21 sulle rive del Ticino, segnacolo di indipendenza nazionale; sfolgorò nella tempesta del ’48 da Palermo a Napoli, da Napoli a Torino; da Milano a Venezia; a Roma e a Bologna; sui campi, sulle barricate, sui bastioni. Caduta a Novara, si rialzò a san Martino. Fermata a Villafranca, Garibaldi la riportò in Sicilia, la piantò sul Volturno, la consacrò a Roma sulle insanguinate zone di Mentana. In poco più di mezzo secolo, “quanta virtù l’ha fatta degna di riverenza!”
Io non so per quali misteriose ricorrenze questi tre colori appaian congiunti insieme, nell’arte e nella storia, a lunghi intervalli di secoli. Virgilio li intreccia sul capo del morto Pallante, “primo eroe caduto delle tre Rome”; Dante ne veste la donna del Purgatorio: un re di Sicilia, di quella dinastia che nelle iscrizioni si intitolava re d’Italia, li trasceglie come colori regali, Siena li ha in una delle sue contrade; i congregati di Reggio li decretano come propri della repubblica Cisalpina; i Federati del ’21 li sostituiscono ai tre colori carbonari, e ne fanno il “santo segno” che ridurrà intorno a sé popoli da secoli divisi, quasi sempre rivali, spesso fratricidi; e, obbliosi di sé, li scoterà dalla ignavia; li guiderà ad essere un popolo solo, “uno d’armi, di lingua, di altar”. Cari e santi colori, a cui i Fati non prescrissero soltanto di unire un popolo, e incominciarne la nuova storia: ma di assurgere a significazione più alta, universale, quasi a continuazione della universalità di Roma. Perocchè essi staranno come il simbolo del nuovo diritto: il diritto delle nazioni a costituirsi e a vivere in libertà entro i confini, che Natura pose e la storia consacrò. 
E sempre essi staranno come espressione di questo diritto; che la loro purezza non è contaminata da sinistre memorie di violenze; e dall’alto del Campidoglio proclameranno al mondo, che eterna fiamma è il diritto, né si soffoca né si opprime per prevalere di forze; e una sola è la legge, entro la quale i popoli potranno vivere concordi e in gare feconde per attinger forme più alte di civiltà: ed è legge di giustizia.

Luigi Natoli
(www.ibuonicuginieditori.it)

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