giovedì 28 giugno 2018

Luigi Natoli: Don Calcedonio vende Carlo Magno. Tratto da: Fioravante e Rizzeri.


Il giorno dopo don Calcedonio uscì di buonora, e si recò al teatrino. Era commosso come se fosse costretto a strapparsi una costola o meglio il cuore. Guardò tutti i paladini messi in fila, che lo guardavano alla loro volta con gli occhi spalancati; e pareva irresoluto se scegliere l’uno o l’altro. Ne giudicava l’armatura, ne tentava le mosse, ne verificava le vesti. Chi era più bello? Orlando? Rinaldo? Carlo Magno? Fioravante no; quello gli serviva. Chi scegliere? Avevano tutti belle armature di nichel con ricami dorati, e sfolgoravano. Egli ne prese quattro, e li distese sul tavolato, poi su quattro pezzi di carta scrisse quattro numeri, li attorcigliò, li chiuse nel cappello, li scosse e li buttò in terra. Raccattò il più lontano; segnava il numero uno; corrispondeva a Carlo Magno. Trasse un sospiro dal petto: era proprio quello che desiderava. Avvolse il paladino in giornali, se lo cacciò sotto il soprabito e uscì. 
Andò al palazzo del duca di Terrabruciata, una duchea di recente formazione, il cui proprietario ricco a milioni aveva fama di essere un raccoglitore di scartoffie, che prendeva per codici antichi, di marmi tolti a vecchie fontane, che prendeva per greci o romani, di lame arrugginite che egli credeva scavate nelle terre sacre dell’antichità. Ma in compenso aveva una buona collezione di bardature, di stoffe, di strumenti, di cose appartenenti al folclore. Gli mancava un paladino per avere una collezione completa o quasi.
Don Calcedonio si presentò al signor duca, e scioltosi il pupo di sotto il soprabito, mostrandolo in tutto il suo splendore, gli disse: 
- Le piace?
- Ehm! non c’è male. Quanto?
- Non dico, ma la sola armatura m’è costata circa mille lire. 
- Troppo caro! 
- Io non ho fatto prezzo; vossignoria è buon giudice, e io vengo a offrire il mio paladino perché so che va in cerca di cose caratteristiche di regione…
- Siete contento di seicento lire?
- Ho detto che faccia vossignoria.
Don Calcedonio uscì dal palazzo con seicento lire e con gli occhi umidi di lagrime; e se ne andò all’ufficio dei piroscafi; poi tornò a casa, e ponendo sulla tavola il biglietto della cuccetta, disse alla moglie: 
- Prepara la roba, che stasera partirai… Per far questo ho dovuto vendere Carlo Magno. 
Gli tremava la bocca pronunziando queste parole. Donna Concettina, che stava per aprire le labbra per domandare donde avesse avuto il danaro, vide il tremore, capì, e, senza dire cosa alcuna, pianse anche lei. Ma don Calcedonio s’impermalì, gridando: 
- Ora finiscila!... Capisci? Finiscila! 
La sera andò a riaprire il teatro. Dopo venti anni, per la prima volta, rientrando in casa, non trovava nessuno. Aveva accompagnato a bordo la moglie, le aveva insegnato quello che dovesse fare per prendere il treno, le aveva detto anche di conservare bene il denaro (il che ella aveva fatto avvolgendo i biglietti in un fazzoletto e cacciandolo dentro il busto), l’aveva raccomandata a un cameriere di bordo, e se n’era andato a teatro, dove sarebbe rimasto quella sera più a lungo. Il sapere Lillì ammalata e gravemente gli aveva cancellata dalla mente ogni ragione di rancore. 
Se ne andò dunque al teatro, per vedere di dimenticare i nuovi dolori lavorando con le sue marionette. 
Quella sera aveva da rappresentare le avventure dell’altro figlio di Drusolina. Si sa che Drusolina andava dietro il leone, il quale non azzannava il piccino, ma lo portava con riguardo, e pareva volesse insegnare a lei la via da percorrere. Il leone tanto camminò che giunse dove la Senna si sfocia nel mare; e lì depose il bambino nella finissima rena, e accocolatosi accanto, parve aspettare. Da questo punto cominciò Don Calcedonio la sua rappresentazione...



Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. 
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936. 
Prezzo di copertina € 19,00
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