mercoledì 27 giugno 2018

Luigi Natoli: Guglielmo I fa uccidere Ibu-Hamil, architetto de La Zisa. - Tratto da: Gli ultimi saraceni


Guglielmo tacque; parve che un improvviso pensiero gli sorgesse nella mente, e lo agitasse; la sua fronte si corrugò, le sue mascelle si serrarono, le sua nari si dilatarono, una espressione di sospetto e d’ira. 
Si alzò a un tratto, e chiamò: 
- Sinam! Sinam! 
Diha lo guardava con malcelato spavento. 
Un eunuco apparve. 
- Va a chiamarmi subito Ibu-Hamil.
L’eunuco partì rapidamente come comportava la sua floscia pinguedine. 
Poco dopo l’artefice del castello accorse, col volto raggiante, indovinando che il re voleva dargli un guiderdone per la nobile opera fatta, e si inchinò, con le mani sul petto, mormorando:
- Giusto e glorioso principe e leone del paese dei Rumi, la mia anima e il mio corpo, come due bovi aggiogati, sono pronti a fare il voler tuo...
Ma il re con voce terribile, gli disse: 
- Alzati, e rispondi. 
Ibu-Hamil guardò il re con volto atterrito e stupefatto. 
Guglielmo gli domandò: 
- Sei tu capace di costruire un altro castello simile a questo, per magnificenza e bellezza di sito e di ornati?
Ibu-Hamil rispose con enfasi: 
- Se tu lo comandi, sì; e con l’aiuto di Allah, anche più bello! Non può forse un padre aver figli più belli del primo?
- Ah sì? – gridò Guglielmo con un impeto di furore; – tu puoi dunque oscurar la bellezza di el Aziz? Ebbene, tu non costruirai più alcun castello... Sinam! Sinam! 
L’eunuco apparve un’altra volta. 
- Conduci Ibu-Hamil, conducilo nel vestibolo, dinanzi la fontana e troncagli il capo, e seppelliscilo, lì; egli ha edificato, e nulla più dovrà edificare. L’anima sua, rimarrà eternamente ligata all’opera sua. Va!...
Ibu-Hamil pallido, piangente più pel dolore di quella che gli pareva ingratitudine che per la morte, porgendo le mani, gridò: 
- Oh signore, perché mi punisci? E che ti ho fatto?...
Diha, atterrita, tremante, gemette anche lei: 
- Signore e padrone!...
Ma Guglielmo le piantò addosso gli occhi ferocissimi; ed ella abbassò i suoi e li nascose fra le palme delle mani; egli stese il braccio imperiosamente; e Sinam, afferrato Ibu-Hamil e sollevatolo fra le braccia, lo portò via dicendo: 
- Di che piangi? Questo è il volere di Allah!... Andiamo: non ti farò soffrire. 
Guglielmo li seguì con lo sguardo, poi tese l’orecchio, corse alla finestra, guardò giù, vide dinanzi il grande arco un movimento di gente sbalordita, poi sentì levarsi un mormorìo di pietà, e allora ritornò a sdraiarsi sopra i cuscini, e disse soddisfatto: 
- Ora nessuno potrà avere un castello più bello di questo!

***


La piccola Diha era felice in quel lembo di paradiso, che aveva la vegetazione lus­sureggiante delle oasi native.
Il terrore della morte di Ibu-Hamil era svanito sotto il sovrapporsi di nuove sensa­zioni, e tra le carezze impetuose del re. Pure, tutte le volte che scendeva nell'atrio pro­vava una paura superstiziosa, pensando che sotto quell'acqua limpida e serena, dormisse il sonno eterno il povero artefice; e le pareva che il mormorìo della fonte fosse il la­mentar  sommesso dell’anima imprigionata nell'opera sua.
A poco a poco anche questa paura s'andò spegnendo; non le rimase che una vaga e lieve soggezione; alla quale però non era estraneo quel non so che di misterioso che respirava l’atrio silenzioso e solitario.
Guglielmo non era rimasto più di tre giorni in quell'asilo di pace. Pareva roso da un segreto fastidio di tutte le cose; e forse in quel senso di fastidio si accorse che non facevan più conto di lui. Nè il grande Almirante, né il Protonotaro, nè il grande Giu­stiziere, nessuno dei grandi ufficiali del regno era venuto a domandargli un ordine.
Egli dimenticava lo stato e le cure che gli doveva, quando si trovava in corte, e in con­tatto immediato coi ministri, che naturalmente gli domandavano o ne sollecitavano gli ordini; ma lontano, nel silenzio di quel castello e del parco, la solitudine gli parve abbandono, e l'abbandono menomazione della sua autorità.




Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. 
Un inedito di Luigi Natoli pubblicato per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 05 agosto 1911. 
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