Guglielmo
tacque; parve che un improvviso pensiero gli sorgesse nella mente, e lo
agitasse; la sua fronte si corrugò, le sue mascelle si serrarono, le sua nari
si dilatarono, una espressione di sospetto e d’ira.
Si alzò a un
tratto, e chiamò:
- Sinam!
Sinam!
Diha lo
guardava con malcelato spavento.
Un eunuco
apparve.
- Va a chiamarmi subito Ibu-Hamil.
- Va a chiamarmi subito Ibu-Hamil.
L’eunuco
partì rapidamente come comportava la sua floscia pinguedine.
Poco dopo
l’artefice del castello accorse, col volto raggiante, indovinando che il re
voleva dargli un guiderdone per la nobile opera fatta, e si inchinò, con le
mani sul petto, mormorando:
- Giusto e
glorioso principe e leone del paese dei Rumi, la mia anima e il mio corpo, come
due bovi aggiogati, sono pronti a fare il voler tuo...
Ma il re con
voce terribile, gli disse:
- Alzati, e
rispondi.
Ibu-Hamil
guardò il re con volto atterrito e stupefatto.
Guglielmo gli
domandò:
- Sei tu
capace di costruire un altro castello simile a questo, per magnificenza e
bellezza di sito e di ornati?
Ibu-Hamil
rispose con enfasi:
- Se tu lo
comandi, sì; e con l’aiuto di Allah, anche più bello! Non può forse un padre
aver figli più belli del primo?
- Ah sì? –
gridò Guglielmo con un impeto di furore; – tu puoi dunque oscurar la bellezza
di el Aziz? Ebbene, tu non costruirai più alcun castello... Sinam! Sinam!
L’eunuco
apparve un’altra volta.
- Conduci
Ibu-Hamil, conducilo nel vestibolo, dinanzi la fontana e troncagli il capo, e
seppelliscilo, lì; egli ha edificato, e nulla più dovrà edificare. L’anima sua,
rimarrà eternamente ligata all’opera sua. Va!...
Ibu-Hamil
pallido, piangente più pel dolore di quella che gli pareva ingratitudine che
per la morte, porgendo le mani, gridò:
- Oh signore,
perché mi punisci? E che ti ho fatto?...
Diha,
atterrita, tremante, gemette anche lei:
- Signore e
padrone!...
Ma Guglielmo
le piantò addosso gli occhi ferocissimi; ed ella abbassò i suoi e li nascose
fra le palme delle mani; egli stese il braccio imperiosamente; e Sinam,
afferrato Ibu-Hamil e sollevatolo fra le braccia, lo portò via dicendo:
- Di che
piangi? Questo è il volere di Allah!... Andiamo: non ti farò soffrire.
Guglielmo li
seguì con lo sguardo, poi tese l’orecchio, corse alla finestra, guardò giù,
vide dinanzi il grande arco un movimento di gente sbalordita, poi sentì levarsi
un mormorìo di pietà, e allora ritornò a sdraiarsi sopra i cuscini, e disse
soddisfatto:
- Ora nessuno
potrà avere un castello più bello di questo!
***
La piccola Diha era felice in quel lembo di paradiso, che
aveva la vegetazione lussureggiante delle oasi native.
Il terrore della morte di Ibu-Hamil era svanito sotto il
sovrapporsi di nuove sensazioni, e tra le carezze impetuose del re. Pure,
tutte le volte che scendeva nell'atrio provava una paura superstiziosa,
pensando che sotto quell'acqua limpida e serena, dormisse il sonno eterno il povero
artefice; e le pareva che il mormorìo della fonte fosse il lamentar sommesso dell’anima imprigionata nell'opera
sua.
A poco a poco anche questa paura s'andò spegnendo; non le
rimase che una vaga e lieve soggezione; alla quale però non era estraneo quel
non so che di misterioso che respirava l’atrio silenzioso e solitario.
Guglielmo non era rimasto
più di tre giorni in quell'asilo di pace. Pareva roso da un segreto fastidio di
tutte le cose; e forse in quel senso di fastidio si accorse che non facevan più
conto di lui. Nè il grande Almirante, né il Protonotaro,
nè il grande Giustiziere, nessuno dei grandi ufficiali del regno era venuto a
domandargli un ordine.
Egli
dimenticava lo stato e le cure che gli doveva, quando si
trovava in corte, e in contatto immediato coi ministri, che naturalmente gli
domandavano o ne sollecitavano gli ordini; ma lontano, nel silenzio di quel
castello e del parco, la solitudine gli parve abbandono, e l'abbandono
menomazione della sua autorità.
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