giovedì 21 marzo 2024

Luigi Natoli: Il Vespro siciliano narrato ai ragazzi del 1925. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie

 I.

Il 31 di marzo cade l’anniversario di un avvenimento che, sebbene siano trascorse tante centinaia d’anni, è rimasto vivo nella storia e nei ricordi del popolo.
È quello che vien detto il Vespro Siciliano. Ed ecco perché si chiama così.
La Sicilia era caduta in potere del re Carlo d’Angiò, un Francese, il quale vi teneva suoi governatori e sue milizie, che opprimevano le popolazioni con ogni sorta di arbitrio; le spogliavano di tutto, e commettevano crudeltà incredibili. Vi basti dire che in Augusta, dopo aver saccheggiato e bruciato la città, fecero macello di tutti i prigionieri. Un orrore!
E più ne commettevano, più diventavano insolenti e crudeli; e le cose erano arrivate a tal punto, che non si potevano più tollerare. Molti signori erano stati costretti a fuggire e si erano ricoverati alla corte del re Pietro d’Aragona: fra essi, ce n’erano due molto valenti, Giovanni da Procida e Ruggero di Lauria, i quali cominciarono a cospirare.

II.

Per antica usanza, i Palermitani andavano ogni anno, il martedì dopo Pasqua, fuori le mura della città, in una pianura presso la Chiesa di Santo Spirito: e lì, alzate le tende, apparecchiate le mense, fra canti e suoni, passavano allegramente la giornata.
Così fecero, sebbene martoriati, anche nel 1282, in cui il martedì cadeva il 31 marzo. E godevano un po’ di sollievo, quand’ecco venire i Francesi, che cominciarono a fare i prepotenti. Frugavano questo, per vedere se avesse armi nascoste; bastonavano quello; toglievano le vivande a un altro; offendevano e ridevano. E il popolo, paziente e zitto, inghiottiva fiele. In questo mentre, una giovane e bella sposa si avviava coi parenti alla chiesa. Vederla e venire in testa a un Francese, che si chiamava Droetto, di farle ingiuria, fu tutt’uno. Le andò incontro e le pose le mani in dosso. La sposa svenne: un giovane palermitano, allora, sdegnato, strappò a Droetto la spada, e l’uccise, gridando:
- Muoiano i Francesi!...
Fu questa la scintilla che fece a un tratto divampare l’incendio: tutti i Palermitani si slanciarono sui Francesi coi bastoni, coi sassi, con le stesse armi di questi; e quanti ce n’erano, tanti ne uccisero. In quel momento le campane sonavano l’ora del vespro.
I Palermitani, gridando sempre: “Muoiano i Francesi!”, rientrarono in città, la sollevarono, e proclamarono libertà e buon governo. Tutti i Francesi furono ricercati e spenti.

III.

E allora le altre città insorsero: dovunque si fece strage dell’odiato oppressore, che per diciassette anni aveva commesso violenze e crudeltà sulla popolazione.
Si racconta, che, per riconoscere i Francesi, li obbligassero a pronunciare la parola ciciri, ceci, che quelli non sapevano dire come i Siciliani.
Alla strage, dicono che solo un Francese scampasse: Guglielmo Porcélet, barone di Calatafimi, virtuoso e umano. Egli non fu molestato, anzi fu rispettosamente accompagnato a imbarcarsi coi suoi: e questo dimostra che la virtù è onorata anche nei momenti di grandi trambusti.
Ma la Sicilia, liberatasi dai Francesi, dovette sostenere una lunga e fiera guerra; perché re Carlo voleva riprendersela e punirla: se non che Giovanni da Procida e Ruggero di Lauria d’accordo coi baroni siciliani indussero re Pietro d’Aragona a venire con un esercito: e Carlo fu sconfitto a Messina. La guerra continuò sotto i successori; ma finalmente le vittorie dei Siciliani obbligarono i nemici a riconoscere l’indipendenza della Sicilia.

Senti la Francia ca sona martoria;
no, ca la Francia ’un veni ’cchiù ’n Sicilia.
Viva Sicilia ca porta vittoria,
viva Palermu, fici mirabilia!
Sunati tutti li campani a gloria,
spinciti tutti l’armi tirribilia;
cà pri ’n eternu ristirà a memoria
ca li Francisi arristaru ’n Sicilia.


Oggi queste cose non possono più accadere; la Sicilia nostra fa parte della grande patria: l’Italia; e l’Italia è una grande nazione, e nessuno oserà mai tentare di sopraffarla, o di strapparle una sola delle sue regioni.
E non siamo più a quei tempi in cui era possibile agli stranieri di dominare in casa nostra. Oggi ogni popolo è indipendente, ed è padrone di sé: e i popoli sanno che debbono considerarsi come fratelli; e che tutti debbono cooperarsi per vivere secondo giustizia, in pace, con amore, e lavorando per l’utile di ogni nazione e di tutti gli uomini.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 18,00
L'opera è la fedele trascrizione del volume pubblicato dalle Industrie Riunite editoriali siciliane (Palermo) nel 1925 ed è corredato dalle foto originali del libro. 
Copertina di Niccolò Pizzorno.
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