giovedì 15 giugno 2017

Luigi Natoli: Cagliostro medico. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure. Interamente ricostruito dalle puntate pubblicate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914


Le malattie son dentro; s’annidano nelle viscere, nel sangue, nei nervi, in tutto quello che è celato ai nostri occhi, e di cui non possiamo avere la visione precisa. Ma l’anima di chi è ammalato vede e sa dove il corpo è ammalato e di che; bisogna dunque, più che l’invisibile del corpo, leggere nell’anima, domandare all’anima la sede delle sofferenze, ricercare nel suo muto linguaggio la rivelazione di ciò che è celato ai nostri sensi limitati. 
Questo io facevo. Mi bastava guardare fisso negli occhi l’ammalato perché una luce si facesse nella mia mente, e io vedessi il suo male, e acquistassi la sicurezza di vincerlo. Questa sicurezza passava dal mio spirito in quello dell’ammalato: egli se ne andava con la medicina da me somministrata, pienamente certo di guarire. 
Ho detto che io somministravo le medicine; di fatto io non davo le ricette scritte; poiché queste costituivano già un segreto, non era conveniente né utile metterle in mano di uno speziale, che avrebbe potuto servirsene per fabbricare specifici a suo benefizio: i quali, oltre al danno materiale, me ne avrebbero recato uno morale molto maggiore, giacchè somministrati a caso, senza conoscer veramente la natura del male, cui io adottavo la medicina, avrebbero con l’insuccesso e anche, forse, con la morte, messo in discredito i miei rimedi e me. Io mi provvedevo delle erbe, degli estratti, delle polveri, di tutto ciò che era necessario; fabbrica­vo da me, coi processi alchimici l’olio di zucchero; componevo le me­dicine, in forma di beveraggi o di pillole, la cui formula, per ciò, rimaneva un mio segreto.
Il che per altro ne aumentava il valore. Se la gente avesse saputo che, per esempio, in quelle pillole mira­colose c’entrava della polvere di radici di cicoria, di indivia, di calcitropia,  o anice o aloe, o altre cose così semplici e di niun costo, avrebbe perduto la fede nella mia medicina, e l’avrebbe disprezzata. Il mistero del segreto invece le dava maggior credito e mi permetteva di farla pagare ai ricchi un prezzo veramente favoloso. I ricchi pagavano pei veramente poveri, ai quali som­ministravo gratuitamente i medicinali.
A nessuno domandavo un compen­so per le mie visite. Naturalmente i veri poveri rimuneravano la mia gene­rosità con benedizioni sincere; i bor­ghesi, per la natural albagia spagnola, non volendo parere ingrati o pitocchi, mi ricambiavano con regali  di polli, salsicce, formaggi, vini, stoffe, sicchè non spendevo più nulla per il mio vitto quotidiano; i ricchi, i signori, si di­sobbligavano magnificamente con regali di gioielli e di argenteria.
Nella preparazione dei medicinali non mi facevo aiutare da nessuno, sal­vo che un po’ da Lorenza. Io li preparavo di notte.
Io non avevo bisogno di interrogare gli ammalati per capire qual fosse la loro malattia; se rivolgevo qualche domanda era per seguir l’usanza dei medici, e per dare una soddisfazione agli ammalati stessi: ma in verità mi bastava guardarli fissi, perché la natura delle loro sofferenze mi si rivelava come in un libro. Era una specie di divinazione, che stupiva anche me stesso. Così non sentivo il bisogno di ricorrere a medicine: invocavo l’ispirazione del cielo, imponevo le mani sul capo dell’ammalato, gli dicevo: 
- Va tu sei guarito. 
Come avvenisse non so; il fatto è che se ne andavano veramente guariti. Ciò aveva del miracoloso; il popolo diceva che io ero un santo o un mago. Ma un mago non invoca Dio, e non compie opere di carità. Io oltre a guarire i poveri, davo loro dei soccorsi di danaro; dunque ero un santo!... 
Voi non potete immaginare la folla che assediava la mia casa; empiva l’ingresso, la corte, il vestibolo, il salone. Centinaia di sventurati privi d’ogni soccorso. Io li ascoltavo a uno a uno, senza perdere una parola; entravo nel laboratorio per un istante e ne ritornavo con una quantità di medicine, che dispensavo, dando a ciascuno la sua e ripetendogli quel che egli aveva riferito del suo male. La mia memoria era veramente prodigiosa. 
Donde e come nascesse non so, ma ero animato da uno spirito di carità straordinario. A una povera donna, venuta a implorare il mio soccorso, perché aveva il marito in prigione per debiti, diedi il denaro per liberarlo. Questo e altri fatti simili e la mia generosità verso gli ammalati poveri, rialzarono la mia figura e davano un prestigio d’evangelo alle mie parole; cosicchè il mio apostolato per diffondere la massoneria egiziana, ed essere riconosciuto come il Gran Cofto, trovava un terreno favorevole.




Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Interamente ricostruito dalle puntate pubblicate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914
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