Il palazzo reale di Messina sorgeva presso a poco
nell'area dove oggi si trova l'edificio della Dogana e dei magazzini generali;
e segnava il principio di quella magnifica e lunga fila di palazzi, edificati
lungo il porto dal vicerè Emanuele Filiberto di Savoia nel 1622, e rifatta dopo
il terremoto del 1783, della quale i Messinesi sono giustamente orgogliosi.
Una piazza piuttosto ampia si apriva dinanzi al palazzo; chiusa da una
parte da un cancello di ferro con sedili intorno e un palchetto, sul quale in
certe occasioni prendeva posto il magistrato della città. Lì presso c'era l'arsenale.
Anticamente
il palazzo era una roccaforte massiccia, costruita dai Normanni per difesa
della riviera, ed era noto col nome di “Castello a mare”: rovine dell'antica
fortezza erano visibili fino al secolo scorso. Era munito di sei torri, tre
delle quali dal lato del mare, tre da quello della terra.
Le prime trasformazioni, per ridurlo a sede del governo e
accogliervi i tribunali, le prigioni, cominciarono nel 1563, essendo vicerè
di Sicilia, don Garcia de Toledo.
I viceré e
i presidenti del regno che seguirono ne continuarono la trasformazione o la
devastazione, fino a Emanuele Filiberto, che nel 1623 fu l'ultimo dei devastatori, ma ebbe la scusante di dover
accordare l'architettura del palazzo con quella della Palazzata.
Tutte queste opere non gli avevan però tolto l'aspetto massiccio di
fortezza; ed esso conservava nel secolo XVII e fino a quando non fu distrutto,
le sue torri quadrate.
In mezzo alla piazza si elevava la statua bronzea di don Giovanni d'Austria,
modellata dal Calamech in onore del vincitore di Lepanto poco dopo il 1570;
quella stessa che, distrutto più tardi il palazzo reale, fu trasportata nella
piazzetta dell'Annunziata dove si trova tuttavia.
Delle strade si dilungavano di qua e di là della piazza: la strada nuova
o d'Austria, attraversata dalla strada della Giudecca o Cardines, e
quella della Darsena o dei Catalani, che sboccavano sulla piazza del duomo,
quella dei Verdi che s'adunava nella chiesa della Candelora, la grande strada
dei Banchi.
Dalla
parte opposta, oltre il lato orientale del Palazzo si distendeva il quartiere
di Terranova, abbattuto poi, un ventennio dopo, per la costruzione della
Cittadella.
Quando
don Gregorio giunse sulla piazza nella quale alcuni carpentieri si affrettavano
al lume delle fiaccole a rizzare lo steccato pel “giuoco del toro” alzando
gli occhi vide le finestre dell'appartamento di don Luigi dell'Hoyo illuminate,
ed entrando nel primo cortile, vide nell'oscurità errar delle ombre e luccicar
armi...
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