lunedì 12 giugno 2017

Luigi Natoli e i suoi eroi: Andrea Chiaramonte. Tratto da: Il paggio della regina Bianca.


Re Martino sorrise a fior di labbra. Dinanzi agli occhi suoi si rinnovava la visione della tragedia chiaramontana.

Egli stava col padre a una finestra dello Steri; la piazza Marina era gremita di popolo che gli arcieri e i picchieri catalani a stento frenavano, perché non invadesse il palco sul quale il boia, appoggiato alla scure larga e luccicante aspettava le vittime.

Poi dalle prigioni del palazzo uscì il corteo. I confrati col cappuccio, le guardie, il carro; e nel carro, diritti, fieri, Andrea Chiaramonte e Antonio delle Favare suo segretario.

Il carro giunse ai piedi del palco. Andrea Chiaramonte, sebbene avesse le braccia legate dietro le reni, balzò svelto dal carro, senza bisogno d’aiuto, e montò la scala del palco, senza dar segno di commozione.

Guardò il suo palazzo: i suoi occhi si fissarono sulla finestra e cercaron gli occhi del duca e del re. Martino sentiva ancora il lampo di quegli occhi, che esprimevano una minaccia lontana; e ne provava un turbamento indefinibile....

Andrea Chiaramonte, difensore della libertà del Regno...
Composti i dissensi in Aragona per opera di Martino, che in premio ebbe il titolo di duca di Montblanc, Maria fu da Cagliari trasportata a Barcellona, e poi nel castello di Montblanc, in attesa delle nozze, che avvenivano nel 1390 appena uscito il figlio Martino dalla pubertà. Di queste nozze dava avviso ai principi e in Sicilia, promettendo il suo non lontano arrivo. Ad agevolarlo, il destino s’incaricava di sgomberargli il terreno. Morivano infatti il conte di Geraci e Artale Alagona, e non molto dopo Manfredi Chiaramonte; il vicariato passava ai figli Antonio Ventimiglia, Blasco Alagona, Andrea Chiaramonte, e degli antichi vicari rimaneva il Peralta. Dinanzi alla minaccia dell’invasione, il 10 luglio 1391, i vicari radunarono a convegno i principali baroni nella chiesa di S. Pietro a Castronovo; giurarono alleanza per procurare l’onore e il servizio della regina Maria, la sua restituzione nel regno, e per respingere qualsiasi principe ed esercito straniero. Uno strambotto popolare serba la memoria del convegno, che cominciato con tanto fervore, finiva dimenticando i patti.
Astuto, raggiratore, fine politico, il duca di Montblanc mandava lettere a questo e a quel barone, in segretezza, con profferte di amicizia, lusinghe, persuasioni: inviava Galdo di Queralt e Berengario Crujllas abili negoziatori e guadagnava consensi fra i borghesi agiati; seminava la corruzione nel baronaggio, e ne fomentava l’egoistico tornaconto. Disgregando il baronaggio, il duca non temeva più una resistenza pericolosa, perché il popolo non lo impensieriva: che non c’era popolo, ma torme di servi nei feudi, e masse senza più coscienza nelle città, che si tenevano estranee alle mene dei baroni.
Raccolto l’esercito composto di milizie proprie e bande feudali, di nobili, di mercenari, di hildaghi spiantati, di masnadieri, di ladroni assolti da pene, e postolo sotto gli ordini del valoroso Bernardo Cabrera, avendo già distribuite ai principali cavalieri le alte cariche del Regno, uffici e privilegi, il duca di Montblanc, col figlio e con la nuora salpò da Port Fangos nei primi di marzo: il 22 approdò a Favignana, ed ivi ricevette l’omaggio di Guglielmo Peralta, Antonio Ventimiglia, del conte di Cammarata e di Enrico Rosso: a Trapani gli fecero onore molti dei baroni convenuti a Castronovo, dei quali congiunse le milizie feudali alle sue.
Solo non vi si recò Andrea Chiaramonte, che rimase a Palermo, dove l’umore non era favorevole ai due Martini.
La domenica delle palme l’esercito catalano si schierò sotto le mura della città, che, chiuse le porte, rifiutò d’arrendersi, onde il duca pose l’assedio dalla parte di mezzogiorno. Tra il reciproco bombardarsi, il duca dava il guasto alle campagne e avvenivano conflitti con danno dell’una e dell’altra parte. Nella generale defezione, quella resistenza pareva l’ultima difesa dell’indipendenza del Regno. Gli altri Vicari s’erano dati allo straniero: Andrea Chiaramonte rimaneva solo. Dopo un mese di assedio, crescendo la fame, l’arcivescovo di Palermo e uno dei Giudici andarono a pattuire la resa: Andrea fu assolto e tenuto buono e fedele vassallo: gli altri ebbero l’indulto. Così stabilito, Andrea il 17 di maggio presentavasi ai Reali, e ne era bene accolto. Ma il domani, ripresentatosi con l’arcivescovo per spiegare la sua condotta, il Duca perfidamente lo fece arrestare. Si imbastirono accuse che erano calunnie, e intanto si prese possesso della città, dove i Reali entrarono il 21, tra la freddezza del popolo. Il Duca nominò Bernardo Cabrera Grande Ammiraglio, e Guglielmo Raimondo Moncada, in premio d’aver venduta la patria, Grande Giustiziere.
Andrea fu sottoposto a giudizio, condannato a morte, e decapitato il 1 giugno 1392 nella piazza Marina, dinanzi al suo palazzo, donde il duca di Montblanc assisteva. La famiglia fu dispersa: i beni confiscati. I Chiaramonte scomparvero dalla storia.


Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca.
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