Re Martino sorrise a fior di labbra.
Dinanzi agli occhi suoi si rinnovava la visione della tragedia chiaramontana.
Egli stava col padre a una finestra dello
Steri; la piazza Marina era gremita di popolo che gli arcieri e i picchieri
catalani a stento frenavano, perché non invadesse il palco sul quale il boia,
appoggiato alla scure larga e luccicante aspettava le vittime.
Poi dalle prigioni del palazzo uscì il
corteo. I confrati col cappuccio, le guardie, il carro; e nel carro, diritti,
fieri, Andrea Chiaramonte e Antonio delle Favare suo segretario.
Il carro giunse ai piedi del palco. Andrea
Chiaramonte, sebbene avesse le braccia legate dietro le reni, balzò svelto dal
carro, senza bisogno d’aiuto, e montò la scala del palco, senza dar segno di
commozione.
Guardò il suo palazzo: i suoi occhi si
fissarono sulla finestra e cercaron gli occhi del duca e del re. Martino sentiva ancora il lampo di quegli
occhi, che esprimevano una minaccia lontana; e ne provava un turbamento
indefinibile....
Andrea Chiaramonte, difensore della libertà del Regno...
Composti i dissensi in Aragona per opera di
Martino, che in premio ebbe il titolo di duca di Montblanc, Maria fu da
Cagliari trasportata a Barcellona, e poi nel castello di Montblanc, in attesa
delle nozze, che avvenivano nel 1390 appena uscito il figlio Martino dalla
pubertà. Di queste nozze dava avviso ai principi e in Sicilia, promettendo il
suo non lontano arrivo. Ad agevolarlo, il destino s’incaricava di sgomberargli
il terreno. Morivano infatti il conte di Geraci e Artale Alagona, e non molto
dopo Manfredi Chiaramonte; il vicariato passava ai figli Antonio Ventimiglia,
Blasco Alagona, Andrea Chiaramonte, e degli antichi vicari rimaneva il Peralta.
Dinanzi alla minaccia dell’invasione, il 10 luglio 1391, i vicari radunarono a
convegno i principali baroni nella chiesa di S. Pietro a Castronovo; giurarono
alleanza per procurare l’onore e il servizio della regina Maria, la sua
restituzione nel regno, e per respingere qualsiasi principe ed esercito straniero.
Uno strambotto popolare serba la memoria del convegno, che cominciato con tanto
fervore, finiva dimenticando i patti.
Astuto, raggiratore, fine politico, il duca
di Montblanc mandava lettere a questo e a quel barone, in segretezza, con
profferte di amicizia, lusinghe, persuasioni: inviava Galdo di Queralt e
Berengario Crujllas abili negoziatori e guadagnava consensi fra i borghesi
agiati; seminava la corruzione nel baronaggio, e ne fomentava l’egoistico
tornaconto. Disgregando il baronaggio, il duca non temeva più una resistenza
pericolosa, perché il popolo non lo impensieriva: che non c’era popolo, ma
torme di servi nei feudi, e masse senza più coscienza nelle città, che si
tenevano estranee alle mene dei baroni.
Raccolto l’esercito composto di milizie
proprie e bande feudali, di nobili, di mercenari, di hildaghi spiantati, di
masnadieri, di ladroni assolti da pene, e postolo sotto gli ordini del valoroso
Bernardo Cabrera, avendo già distribuite ai principali cavalieri le alte
cariche del Regno, uffici e privilegi, il duca di Montblanc, col figlio e con la
nuora salpò da Port Fangos nei primi di marzo: il 22 approdò a Favignana, ed
ivi ricevette l’omaggio di Guglielmo Peralta, Antonio Ventimiglia, del conte di
Cammarata e di Enrico Rosso: a Trapani gli fecero onore molti dei baroni
convenuti a Castronovo, dei quali congiunse le milizie feudali alle sue.
Solo non vi si recò Andrea Chiaramonte, che
rimase a Palermo, dove l’umore non era favorevole ai due Martini.
La domenica delle palme l’esercito catalano
si schierò sotto le mura della città, che, chiuse le porte, rifiutò d’arrendersi,
onde il duca pose l’assedio dalla parte di mezzogiorno. Tra il reciproco
bombardarsi, il duca dava il guasto alle campagne e avvenivano conflitti con
danno dell’una e dell’altra parte. Nella generale defezione, quella resistenza
pareva l’ultima difesa dell’indipendenza del Regno. Gli altri Vicari s’erano
dati allo straniero: Andrea Chiaramonte rimaneva solo. Dopo un mese di assedio,
crescendo la fame, l’arcivescovo di Palermo e uno dei Giudici andarono a
pattuire la resa: Andrea fu assolto e tenuto buono e fedele vassallo: gli altri
ebbero l’indulto. Così stabilito, Andrea il 17 di maggio presentavasi ai Reali,
e ne era bene accolto. Ma il domani, ripresentatosi con l’arcivescovo per
spiegare la sua condotta, il Duca perfidamente lo fece arrestare. Si
imbastirono accuse che erano calunnie, e intanto si prese possesso della città,
dove i Reali entrarono il 21, tra la freddezza del popolo. Il Duca nominò
Bernardo Cabrera Grande Ammiraglio, e Guglielmo Raimondo Moncada, in premio
d’aver venduta la patria, Grande Giustiziere.
Andrea fu sottoposto a giudizio, condannato
a morte, e decapitato il 1 giugno 1392 nella piazza Marina, dinanzi al suo palazzo,
donde il duca di Montblanc assisteva. La famiglia fu dispersa: i beni
confiscati. I Chiaramonte scomparvero dalla storia.
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