Atenione era un un bell’uomo, nativo di
Cilicia, ridotto in servitù per cagione di guerra; aveva riputazione di
conoscere le virtù delle erbe, leggere negli astri e trarre gli auspici dai
segni animali, dalle piante, dai fenomeni meteorologici. Poiché era anche abile
nei conteggi, Caio Cecilio, lo abbiamo veduto, ne aveva fatto un attore, il che
gli dava una certa libertà, per lo meno una condizione di privilegio. Ma egli
non ne abusava; era verso gli altri schiavi umano, e quando poteva, risparmiava
loro i castighi. Gli schiavi gli volevano bene, e lo avevano in conto di
medico, consigliere, aruspice; sicchè automaticamente egli, mentre era
l’intendente di Caio Cecilio, era diventato il capo ed il pastore di quella
mandra.
Atenione aveva assistito alla flagellazione
senza dar segno di riprovazione o di sdegno ma chiudendo nel profondo petto uno
spirito di ribellione. Prima che cessasse il supplizio, era andato in casa e
aveva preso del vino generoso e dell’olio; poi nell’orto aveva raccolto foglie
di centaurea minore, di cavolo e ramoscelli di cipresso; e così provvisto aveva
raggiunto i servi nell’ergastolo.
Intorno a lui si erano accalcati gli
altri servi, e cominciarono a parlare ed a
ricordare altri supplizi, e di servi morti sotto le verghe, e di impiccati e di
crocifissi. Ognuno aveva la sua storia: si rifacevano dal giorno in cui erano
caduti in schiavitù; chi per debiti, chi perché prigioniero di guerra, chi
perché sorpreso dai pirati e venduto. Ma v’era chi, essendo nato da schiavi, in
casa, un “verna” e perciò servo fin dalla nascita, aveva più storie da
raccontare. E da tutte quelle storie affiorava un rancore gonfio del desiderio
di vendetta contro i padroni inumani. Ognuno ricordava la sua condizione di
quando era libero in patria: erano mercanti, artieri, maestri di scuola,
capitani di milizie di terra o di naviglio; uomini che avevano esercitato
uffici pubblici; avevano fatto leggi, avevano amministrato giustizia; qualcuno
aveva anche posseduto schiavi, e protestava che non era stato così inumano e
crudele come quei cavalieri romani, nuovi arricchiti. Fra quei discorsi
serpeggiava uno spirito di ribellione, ma nessuno osava di approfittarne, come
se qualcosa di più forte soffocava sotto il suo peso ogni energia...
Luigi Natoli: Gli Schiavi.
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