E quella era la giornata,
finalmente!... Intanto arrivavano altri
cavalieri, e infine Giovan Luca Squarcialupo, che contò i convenuti: erano
ventidue.
- Orsù, – disse: – col
nome di Dio e della gloriosa santa Cristina, andiamo.
E la cavalcata si mosse
verso la città.
Entrarono dalla Porta
Nuova, come una comitiva di amici; la porta era aperta, i gabellieri al loro
posto, tranquilli; nessun indizio di sospetti. Poiché non era ancora l’ora del
vespro, Giovan Luca entrò coi compagni nella vicina chiesa di San Giacomo, che
era deserta. E là concertarono ancora quale dovesse essere l’opera di ognuno e
di tutti. Piombare nel Duomo, con le armi in pugno, sorprendere il duca di
Monteleone, impadronirsene, uccidere chi osasse resistere, e i giudici che
tanto odii avevano suscitato: insignorirsi del potere, ma non ripetere la
sciocchezza commessa l’anno innanzi, quando fu cacciato don Ugo.
Ed ecco il campanone del
Duomo sonare a Vespro: e ogni colpo rimbombava nel cuore di ognuno, e farlo
balzare. È l’ora. Si scambiano uno sguardo; e taciti, pensosi di quel che fra
un istante avverrebbe scendono verso il Duomo. La grande porta è spalancata; il
sole illumina il bel prospetto e ravviva la patina dorata distesa dal tempo sulla
pietra e sul marmo. Si sente il canto snodarsi lento e solenne; in quel
momento, pensano, il luogotenente si è seduto nel soglio. Entrano, corrono
verso l’abside maggiore, tra i fedeli stupiti di quella irruzione a mano
armata; ma quale delusione! V’erano i canonici, v’era l’arcivescovo; non c’era
né il luogotenente generale, né i magistrati, né il senato.
Come? Perché?
Un sagrista, che al
vederli entrare armati, s’era messo a gridare: – Sono qui! Sono qui! – cercando
di fuggire; raggiunto, spiegò loro che il duca aveva saputo che volevano
ammazzarlo, e non era uscito dallo Steri. Questa risposta stupefece tutti:
l’aveva saputo? Da chi? c’era un traditore dunque fra loro? Giovan Luca guardò
con occhi lampeggianti d’ira i suoi compagni – Chi è il Giuda? – gridò.
Ma tutti protestarono
vivacemente e fieramente. Il traditore non era fra loro: essi erano tutti lì
pronti a ogni rischio, e Giovan Luca aveva torto ad offenderli. Ma Vincenzo Di
Benedetto, fratello di Cristoforo, si diede un pugno sulla testa, e sclamò:
- Ah il gesuato! Il
gesuato!... deve essere stato lui!...
E raccontò che due giorni
innanzi si era confidato con un frate dell’ordine dei Gesuiti, il quale si
doleva di quel che facevano i giudici e i partigiani di don Ugo, che ancor
rimanevano; e lui lo aveva creduto uno dei nostri, che sarebbe stato utile per
levare il popolo: ciò che il frate aveva promesso.
- Non ho tradito, ho avuto
forse troppa fiducia, se credete che io sia colpevole, punitemi! Ma non mi dite
traditore.
Giovan Luca si rattristò.
Certo la confessione di Vincenzo Di Benedetto così spontanea e sincera, lo
purgava dall’accusa di tradimento: ma la sua facilità a confidare il giorno e
l’ora della rivolta, aveva mandato a monte la sorpresa e compromessa la
riuscita. Ah! avere quel frate nelle mani. A ogni modo il dado era tratto:
bisognava andare innanzi, alla vittoria o alla morte. Uscendo dalla chiesa,
Giovan Luca, levando in alto la spada, gridò:
- A morte i traditori!...
Cittadini, all’armi!
E i compagni ripeterono il
grido. Ma nessuno uscì dal Duomo per seguirli, e la gente che si affacciava
sulle soglie delle botteghe e delle case, o che andava per le vie, guardava
meravigliata, non sapendo che fosse, Vincenzo di Benedetto agitava la spada,
gridando, e gli altri con lui, invano:
- Viva il re! Muoiano i
traditori!...
Scesero per la via
Marmorea: soli, senza seguito, il popolo guardava e li lasciava passare, senza
neppure secondare quel grido. Era una cosa inconcepibile: mastro Iacopo se ne
sdegnava: apostrofava gli imbelli, che stavano a vedere, come fossero a uno
spettacolo; li sferzava con male parole:
- E che? siete sordi? Che
aspettate, che vi impicchino, figli di cani? Siete diventati dunque tante
carogne, che non vi sentite fremere il sangue? Il re di Fiandra fa morire i
Conti, quei Conti che andavano là per difendervi, e voi ve ne state con le mani
alla cintola? Puh! Vili!
Ma nessuno si moveva: quei
ventidue cavalieri percorrevano la via Marmorea, gridando, come anime sperdute.
Avessero almeno trovato una resistenza! Ma dove erano le milizie spagnole? Dove
il luogotenente generale?
In verità il duca di
Monteleone aveva perduto la testa. Sapendo che i congiurati dovevano calare
dalle campagne, non aveva per prima cosa ordinato la chiusura delle porte della
città; non aveva chiamato le fanterie spagnole del Castello a mare: si era
invece chiuso coi giudici, coi più odiati partigiani di don Ugo, nello Steri:
abbandonando così la città a quei ventidue che, ironia! non trovavano seguito e
potevano essere schiacciati in mezz’ora.
I congiurati proseguivano,
chiamando il popolo alle armi, quando da una viuzza videro uscire un dabben
uomo, archiviario del comune, Paolo Caggio, che al grido e alla vista,
spaventato si diede a fuggire. Vincenzo di Benedetto, che ardeva più degli
altri di menar le mani, lo rincorse e lo uccise. Povera vittima incolpevole, e
inutile, l’archiviario versò il primo sangue, solo perché Vincenzo di Benedetto
aveva bisogno di mostrare che non aveva tradito! Ma quel sangue non fomentò le
ire: destò compianto; e non diede seguito ai congiurati, che percorsero tutta
la via Marmorea, uscendo nel quartiere della Loggia; giunsero fino alla Chiesa
della Catena, senza aver altri che li seguisse che un giovinotto novizio dei
Dominicani, che doveva esser più tardi il loro storico: Tommaso Fazello.
Luigi Natoli: Squarcialupo – Opera inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1517, quando Giovan Luca Squarcialupo, patriota, sognò e realizzò anche se per poco, un governo repubblicano. L’opera, mai pubblicata in libro, è costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 24,00 - Pagine 684
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