Caio Cecilio Pulcro, cittadino romano e
latifondista, una mattina di gennaio, fresca, nitida, rallegrata da un bel sole
che pareva annunziasse una primavera anticipata, era disceso dalla sua villa,
in riva quasi all’Achitio, per sbrigare i suoi affari con gli edili, ed ora
entrava nel Foro. Lo precedevano gli antiambulatori, schiavi che avevano
l’incarico di battistrada, e il nomenclatore, che lo annunziava; e lo seguivano
circa trenta altri schiavi, alcuni dei quali portavano la lettiga, con cui era
venuto in città. Alla sua sinistra, ma un po’ indietro, veniva Atenione,
schiavo che godeva di una mezza libertà, ed occupava nella casa di Caio
Cecilio, di cui possedeva la fiducia, l’ufficio di attore, che era una specie di
intendente.
Caio Cecilio Pulcro era ricco. Discendeva da una
famiglia che da circa mezzo secolo si era trapiantata in Sicilia. Un suo avolo
si era arricchito, durante la prima guerra punica, con la fornitura dei viveri
all’esercito romano. Accorto, intuendo quello che, cessate le guerre con
Cartagine, sarebbe diventata la Sicilia, vi aveva acquistato alcuni terreni. I
suoi discendenti li avevano accresciuti con ogni mezzo lecito ed illecito. Il
padre di Caio Cecilio, diventato latifondista, s’era risoluto di trasferirsi in
Sicilia, dove già una folla di Romani, patrizi e cavalieri, vi si era gettata
come uno stormo di corvi sopra una carogna, traendosi dietro una folla di
clienti e parassiti.
Cresciuto nella ricchezza, l’aveva aumentata. Non
era stato indegno del suo avolo, di cui aveva in più la superbia e la crudeltà.
In una delle sue infrequenti gite a Roma, aveva contratto matrimonio con una
giovane sabina, Tazia Flammea, e ne aveva avuti un maschio, Manlio Cecilio, che
ora toccava i vent’anni; e una femmina, Cecilia, che ne aveva sedici.
Oltre la villa dell’Atichio, dove trascorreva si
può dire tutto l’anno, possedeva una bella casa a Lilibeo, ma vi passava, e non
sempre, due mesi: dicembre e gennaio. Vi giungeva trasportato in lettiga dai
servi cappadociani, e seguìto da una scorta armata per la poca sicurezza delle
strade, infestate da ladroni, quasi sempre impuniti. Erano infatti schiavi
addetti alla pastorizia, e lasciati dai padroni ignudi, i quali ricorrevano a
quel mezzo per vestirsi. Ad uno d’essi, che una volta s’era lamentato di non
avere un cencio di che coprirsi, Caio Cecilio aveva risposto cinicamente:
- O che forse non passano viandanti per le strade?
I pastori approfittarono del consiglio; ma Caio
Cecilio, per poter percorrere quella distanza di venticinque stadi, che
intercedeva tra la villa e la città, prendeva le sue precauzioni.
La villa di Caio Cecilio Pulcro, come la sua casa,
era piena di ricchezze.
Doveva ancora passare qualche secolo perché i romani superassero in raffinatezza i popoli stessi dell’Oriente. Cacio Cecilio Pulcro,
sebbene nato in Sicilia, dove il padre aveva finito con lo stabilirsi
definitivamente, non era diverso dagli altri Romani che vi piovevano
continuamente. La grossolanità l’aveva
nel sangue. Le sue case dovevano superare in lusso e in fasto non solo quelle
appartenenti ai Romani, ma anche a Siciliani; e a Lilibeo ve n’erano di ricchi…
Luigi Natoli: Gli Schiavi. Romanzo
storico ambientato nella Sicilia del 103 a.c. al tempo della Seconda Guerra
Servile. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato
con la casa editrice Sonzogno nel 1936. Le note aggiuntive dell’editore sono poste
allo scopo di far capire maggiormente al lettore il grande lavoro di
ricostruzione del periodo storico del romanzo svolto dall’autore.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 387 – Prezzo di
copertina € 22,00
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