In salone dunque, ancor vivace delle
recenti pitture, don Francesco d’Aquino teneva la mattina del 6 maggio la
consueta udienza. Aveva oltrepassato allora la cinquantina, ma ne dimostrava di
più. Il ritratto, dipinto in quell’epoca, che si trova ancora nel Palazzo
reale, lo fa più vecchio d’una diecina d’anni. Giusto di membra, dal volto
rubicondo, con un bel naso adunco, simile a un rostro, aveva nell’insieme un
aspetto benigno e modi piacevoli; e pareva che le fortune gli avessero aperto
il cuore alla benevolenza verso coloro, che non potevano, come lui, sognare di
diventar gli amanti di una regina e i rappresentanti di un re.
Egli aveva saputo ingraziarsi la
cittadinanza; i nobili, per le sue maniere cerimoniose, da uomo galante che sa
conciliare il vivere del mondo con la dignità dell’ufficio; i letterati, per la
protezione che egli accordava alle manifestazioni dell’ingegno, forse a provare
che non indarno aveva fatto dipingere sul soffitto quell’allegoria, della quale
in buona fede credeva di poter essere l’incarnazione; il popolo, perchè non si
mostrava impulsivo e miscredente come il Caracciolo, nè vanesio e avverso alle
maestranze come don Marcantonio Colonna di Stigliano; e perchè aveva temperato
i rigori delle istruttorie processuali.
Stava il vicerè, in tutta la regalità
della sua carica, seduto presso una scrivania dorata con una posa un po’
accademicamente studiata, per sembrar maestoso e severo. In una anticamera
immediata stavano i gentiluomini di servizio, nell’altra anticamera il
maggiordomo che introduceva i sollecitatori. Fuori dall’anticamera, dinanzi la
porta, due alabardieri tedeschi, due lacchè di servizio, e poi la folla di
coloro che aspettavano di essere ammessi. La priorità non era stabilita
dall’ordine di tempo, secondo che ciascuno fosse venuto; ma dal grado, dai
diritti di preminenza, dai privilegi concessi da re e confermati da altri re a
beneficio di questa o quella famiglia patrizia, di quella tal magistratura, di
quella confratria o chiesa. Ah! di questi diritti la società di quei tempi era
così piena, e davano origine a tanti conflitti, che sembrano a noi curiosi e
anche ridicoli, ma che allora apparivano come serissimi, da trascinarsi perfino
in liti e in duelli.
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line al sito La Feltrinelli, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo) e Libreria La Vardera (Palermo)
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