Bel maggio quello
del 1401; ma a Modica faceva caldo, e sebbene il castello, l’antico castello
dei Chiaramonte sorgesse sopra l’alta rupe soprastante al quartiere di San
Giovanni, non vi alitava un fiato di vento.
Sotto l’azzurro cupo
del cielo l’aria pareva si fosse fermata. Gli alberi stavano immobili, colpiti
dalla luce viva e sfolgorante; le acque del torrente parevano lamine di
metallo.
Fuori nella campagna
circostante era un gran silenzio; nel borgo, silenzio. Ma non era ancora
mezzodì.
Nell’ampia sala da
pranzo, le cui finestre dominavano la vallata coperta di boschi, la tovaglia
candidissima su la quale trionfavano vasi d’argento e d’oro, aveva anche essa
una aspettazione piena di silenzio.
Il seggiolone di
quercia, dall’alta spalliera intagliata, coperto di cuoio verde e costellato di
borchie di bronzo dorato, era vuoto, dinanzi all’unico posto. Ma dinanzi alla
finestra v’eran due personaggi.
Uno era giovane, coi
lunghi capelli di un biondo rossiccio che gli cadevano, tagliati tondi, sulla
nuca e sulla tempia, di sotto a una berretta bassa, e larga di fondo.
Egli volgeva le
spalle alla sala, e non si vedeva in volto; ma dal panno della cioppetta
(specie di giubba) che gli scendeva al ginocchio, dalla grossa catena che gli
circondava il collo, dalla giarrettiera smaltata che gli cingeva il ginocchio
appariva un alto personaggio.
Ma più ciò appariva
dall’atteggiamento rispettoso dell’altro, che gli stava un po’ indietro, e a
capo scoperto.
Era un uomo di una
cinquantina d’anni, alto, vigoroso, coi capelli grigi sulle tempia, gli occhi
grigi nei quali era qualche cosa di felino, la mascella forte. Era
accuratamente raso, come voleva la moda dei tempi, e indossava la cioppa lunga
di seta segno che era un uomo di qualità; le maniche della camicia ricamate di
seta erano ai polsi tenute da grossi bottoni di filigrana d’oro.
L’uno e l’altro
calzavano scarpe di panno di lira (così detto perché veniva da Liria, città
spagnuola) insomellate, cioè, solate, con la punta acuta, e aperte sul
malleolo.
Dopo un istante il
giovane si voltò, guardò il suo compagno con una espressione di supremo
fastidio, e disse:
- Messer Bernardo,
mi annoio.
Il vecchio rispose:
- Vostra maestà
ordini quel che vuole per cacciar la noia, e metterò sossopra la contea e anche
il regno per contentarla; ma non mi trafigga l’anima con quelle parole, perché
mi paiono un rimprovero alla devozione che ho per la vostra Celsitudine.
Le parole avevano
significato umile e rispettoso; ma il volto del vecchio rimaneva duro e
impassibile, quasi astioso. Egli aveva assunto una specie di tutela sul re,
giovane, avido di piaceri, uscito da poco tempo dalla tutela del padre, che era
andato a cingere la corona aragonese.
Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca – Romanzo storico
siciliano ambientato nella Palermo del 1401, quando è appena tramontata la
grande epoca chiaramontana. L’opera è ricostruita e trascritta dal romanzo
originale pubblicato della casa editrice La Gutemberg nel 1921.
È
la presunta storia di Giovannello Chiaramonte, figlio di Andrea, che cerca di
risollevare la gloria del suo casato contro il gran giustiziere Bernardo
Cabrera, il re Martino e la regina Bianca di Navarra.
Pagine 702 – Prezzo di
copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line al sito lafeltrinelli.it, Amazon e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Via Cavour 133 (Palermo) e Libreria La Vardera - Via N. Turrisi 15 (Palermo)
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