Allora non c’era la
stampa; i libri erano manoscritti o su pergamena o su carta bombicina, e
costavano molto per la borsa di un povero studente. Possedere una bibliotechina
era indizio di ricchezza. Non potendo acquistare i bei codici miniati,
Bertuchello se ne faceva le copie, la notte, al lume della lucernetta. In
questo modo si era formata una piccola biblioteca, la quale, oltre alle Glosse
di Accursio, al Digesto di Azzo da Bologna, alla Somma di S. Tommaso e agli
Otia imperialia di Giovanni di Tilbury, conteneva la Summa dictaminis trattato
di retorica di Giovanni di Bonandrea, e le Etimologie di Isidoro, alcuni
scrittori latini, quelli che allora eran più divulgati. Possedeva una Eneide di
Virgilio; le Metamorfosi di Ovidio, gli Officii di Cicerone, le favole esopiane,
qualche opera di Seneca, le Confessioni di S. Agostino, un Boezio, un
Quintiliano, la Metafisica di Aristotile. E inoltre qualche cantare romanzesco,
la storia di Tristano e Isotta, una raccolta di rime volgari, e la prima parte
di un poema, che aveva acquistato celebrità, ma che non correva ancora intero:
la Commedia di Dante. Egli aveva potuto trascriversi l’Inferno.
Questi libri, che
formavano il suo bagaglio letterario, aveva portato con sé a Geraci, e si erano
salvati dal saccheggio, perché li aveva nella casa paterna, e le soldatesche
del re, che cercavan danari o roba, non avevan saputo che fare di quegli
scartafacci.
A Palermo, nella sua
cameretta nel vicolo di S. Michele Arcangelo, Bertuchello li aveva schierati in
bell’ordine in una scansia che si era costruita da sé. Aveva certe sue idee da
“filosofo”, per le quali diceva che un uomo deve saper provvedere da sé alle
cose che gli sono utili: e che se c’erano maestri legnaioli e maestri leutari,
questa non era una ragione perché egli non potesse fabbricarsi da sé una
scansia pei libri, un banco per scrivere e un liuto per suonare nei momenti di
ricreazione. Anche la zimarra s’era cucita da sé, e si sarebbe tessute le
calze, se avesse avuto il tempo e gli strumenti.
Donne in casa non ne
aveva. Gli teneva compagnia un grosso gatto grigio, baffuto, con gli occhi
verdi. Gli era venuto un giorno in camera, che era ancora micino; e vi era
rimasto: egli l’aveva battezzato con nomignolo affibbiato dagli studenti a uno
dei lettori di Bologna, che aveva le mani come artigli e abitudini da predone:
messer Granfia.
Tra lui e il gatto
s’era stretta una grande amicizia, forse perché anche messer Granfia aveva
abitudini da filosofo. Quando Bertuchello sedeva al suo banco, per studiare,
messer Granfia gli si accoccolava su la spalla, e pareva leggesse anche lui. Le
notti d’inverno, gli scaldava le ginocchia, e gli si coricava ai piedi del
letto. Bertuchello gli faceva dei discorsetti, che mastro Granfia ascoltava
ammiccando con gli occhietti verdi, e rispondendo con delle capatine. A tavola,
mastro Granfia stendeva la zampa sul piatto di mastro Bertuchello e, tirava
tranquillamente la sua porzione di pesce o di carne, che mangiava sul desco, da
buon commensale.
Luigi Natoli: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol, 1)
Romanzo
storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno
d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e
Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani.
I due volumi (Mastro Bertuchello e Il tesoro dei Ventimiglia) sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
I due volumi (Mastro Bertuchello e Il tesoro dei Ventimiglia) sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere)
Disponibile on line su La Feltrinelli, Amazon e tutti i siti vendita online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica
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