Appena
pubblicato, ecco arrivare l’ultimo di Luigi Natoli: il titolo è impegnativo, Palermo al tempo degli Spagnoli, 1500-1700
(I Buoni Cugini editori, 296 pagine, 20 euro) ma lo stile è limpido e il saggio
quasi si trasforma in romanzo, se fosse un esordiente sarebbe di belle
speranze. Siamo però davanti all’inedito di uno dei più grandi scrittori
siciliani, ed è davvero meritoria l’impresa di questa piccola casa editrice che
ha scelto di pubblicare tutto Natoli in versione originale. Per Palermo al tempo degli Spagnoli abbiamo
la “ricostruzione fedele del manoscritto, senza data”: non resta che accogliere
fiduciosi un autore che mai delude, e non appena si comincia a leggere si
continua spediti fino alla fine.
Per
Gabriello Montemagno che ne ha pubblicato l’unica biografia, Luigi Natoli è
L’uomo che inventò i Beati Paoli: basta tanto per entrare di diritto fra i
grandi autori popolari, quelli che una volta piazzati nell’immaginario
collettivo mettono in moto dinamiche inaspettate, sempre difficili da
controllare. Natoli è autodidatta come tutti i grandi siciliani, di famiglia
repubblicana e anticlericale, autonomista che si firma William Galt perché
convinto che con uno pseudonimo straniero avrebbe avuto più fortuna. È un
grande lavoratore, deve mantenere una dozzina di figli ed è incalzato dal
bisogno: lo stesso rifiuta la commenda offertagli da Mussolini e la
rappresaglia scatta immediata. Natoli viene licenziato dal modesto posto di
insegnante, è messo a riposo “per incapacità”. Ma non è uomo da perdersi
d’animo.
Era
nato nel 1857, a 17 anni aveva cominciato a collaborare coi giornali e anche i
suoi romanzi escono a puntate sul Giornale di Sicilia: col nome di Maurus firma
la rubrica “Storie e leggende”, come William Galt firma i romanzi. E
Montemagno, che ha potuto raccogliere il racconto delle figlie, scrive come
tutti i momenti fossero buoni per lavorare. Capitava che il commesso inviato
dal giornale quasi gli strappasse i fogli di mano per correre in tipografia: ma
trentuno romanzi, centinaia di articoli storici, decine di volumi per le scuole
non bastano a dargli la tranquillità economica. Nel testamento datato 15 giugno
1937 – che si può leggere nel sito dei Buoni Cugini editori – Natoli scrive:
“Ho lavorato molto e non ho tratto dal mio lavoro che scarso profitto… del mio
lavoro non cercai la parte commerciale ma solo la gioia che mi procurava.
Perciò son povero”.
La
Sicilia al tempo degli Spagnoli risponde in pieno agli standard piuttosto
elevati della produzione di Luigi Natoli, anche questo inedito è stato “scritto
con gioia”. Il manoscritto non è datato: ma se consideriamo che i Beati Paoli
si muovono nel trentennio 1698/1728 e che la padronanza della topografia di
Palermo e degli avvenimenti, anche minimi, è uno dei caratteri identitari di
quelle pagine, facilmente questo inedito si inserisce in quella “età di Natoli”
che da metà Cinquecento si dilata per oltre due secoli. Stavolta non ci sono
ingiustizie da vendicare e complotti da sventare.
La
grande protagonista è Palermo, la città dalle molteplici personalità che
affascina lo scrittore mai stanco di rievocarne splendori e miserie. La
puntigliosa bibliografia finale mostra quanto lavoro ci sia dietro i brevi
capitoli dal tono brillante: la semplicità di Natoli è solo apparente, è la
stessa semplicità del pianista che dopo anni di studio improvvisa come se
niente fosse. E spesso la “gioia” dello scrittore si comunica al lettore,
nell’atmosfera serena che in fondo pervade ogni pagina si finisce per
sorridere.
Ad
esempio, l’anticlericale Natoli riepiloga le vicissitudini dei sedici
arcivescovi avuti da Palermo in due secoli ed elenca le proibizioni da loro
emanate: “stabilirono che le donne non dovevano sedersi in terra per
confessarsi, e obbedirono tutte quante”. Ma stavolta, nonostante i divieti
reiterati, “le vedove si sposavano a gloria di Dio”.
Amelia Crisantino
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