martedì 5 maggio 2020

Luigi Natoli: La taverna dello zu' Saverio il Tripposo. Tratto da: La vecchia dell'aceto


Alla Guadagna, sulla sponda del fiume Oreto, presso il ponticello di pietra, c’era, ombreggiata da un gruppo di pioppi, una taverna campestre. Una casa a pianterreno, con un piccolo spazio di terreno vuoto dinanzi sul quale lo zu’ Saverio il “Tripposo”, così detto perché il vaiuolo gli aveva bucherellato il viso come una trippa, disponeva nella buona stagione tre o quattro tavole, banchi e scranne. La taverna aveva due stanze: la seconda delle quali gli serviva da camera, e, occorrendo, da sala riservata per gli “amici” che avevano qualche “discorso” da fare. Per comodo dei quali, la stanza aveva una porticina, che dava sui folti canneti, che, fra gli alberi formavano una fitta muraglia verde dietro la taverna, e si prolungavano lungo le due sponde del fiume, ristretto in quel punto come un ruscello o un canale.
Il sito era pittoresco, anche per lo sfondo verde. Oltrepassato il ponticello, si dilungava una viottola, fra campi aperti; a poca distanza della quale sorgeva una chiesetta, dedicata alla Madonna della Grazia, volgarmente chiamata della Guadagna, e a cui era addossato un edificio, specie di canonica, una volta sede di una Congregazione, già venuta meno nel 1787. Più in là, a monte, sorgeva un antico palazzetto trecentesco, di stile ogivale, mezzo rovinato; antica villa dei Chiaramonte, che paurose leggende popolari avevano fatta denominare la Torre dei Diavoli. In fondo, in giro, la chiostra dei monti, ed il convento di S. Maria di Gesù, biancheggiante alle pendici del Grifone, e più in là il villaggio della Grazia, su quelle dell’Orecchiuta. Un ampio e vasto scenario che si godeva dallo spazio davanti la taverna. Il fiume, in quei pressi, s’incassa fra due ripe alte, di tufo giallastro, nelle quali si aprono grotte scavate in tempi immemorabili, alcune delle quali gli antichi ridussero probabilmente in sale da bagno; vedendosi in alcune di esse, di forma semicircolare, dei sedili lungo le pareti.
La taverna era meta nei pomeriggi dalla primavera all’autunno di artigiani e “galantominicchi”, che vi andavano a bere un vino chiaretto della contrada dei Ciaculli o di Misilmeri; e, secondo la stagione, a mangiarvi qualcuna delle pietanze popolari, o manicaretti stuzzicanti la sete. Ma ciò non toglie che la taverna fosse d’inverno abbandonata: soltanto gli avventori erano scarsi. Questa era la clientela comune, manifesta, insospettabile: ma la taverna del “Tripposo” aveva altra clientela, che, apparentemente non aveva nulla di diverso dall’altra; mangiava, beveva, giocava alla morra o al “tocco”, o sonava la chitarra e cantava canzoni e arie popolari; ma quando non c’era gente entrava nella seconda stanza e si chiudeva in conferenze come un corpo diplomatico o un sinedrio segreto; e quando la gente non se ne andava, essa si allontanava alla spicciolata, prendeva la via della città, ma per svoltare ad un tratto, quando era fuor della vista, gittarsi fra i canneti, e giungere all’usciolo di dietro della taverna, dove entrava non veduta.


Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. La storia di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come La vecchia dell'aceto. 
L'opera è ricostruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927 
Pagine 562 - Prezzo di copertina € 22,00 
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Elaborazione grafica: Maria Squatrito 

Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

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