Quando giunsero a Erice, poco lontano dal tempio,
la città era rumoreggiante per la prossima festa. Era detta “catagogia”, come
“anagogia” era chiamata la partenza della Dea. Nella “catagogia” si celebrava
il ritorno alla sua sede, lasciata per breve tempo, ma che pareva lungo, quasi
la Dea volesse abbandonare Erice. In ogni casa erano festoni di mirto e di
rose, e ardeva dinanzi ad una piccola immagine di Afrodite il fuoco, dentro
un’ara portatile o un tripode. Chi poteva, spingeva al tempio capre o pecore
per il sacrificio; portava in canestri le colombe o i frutti che la stagione
dava; e per tutto era un affrettarsi di cittadini e di schiavi, un andare e
venire, un tramestìo, un cicaleccio da non si dire. E attorno soldati, che
raccomandavano l’ordine, senza poterlo ottenere.
Cleone aveva condotto con sé dieci schiavi e cinque
ancelle, e aveva ordinato al suo navarca che con un numero di marinai libici si
unisse con lui nel pellegrinaggio. I soldati, schierati lungo la via del
Tempio, mormoravano parole piccanti alle donne; e alle belle raccomandavano
ridendo di rinchiudersi tra le jerodule. E il cammino procedeva tra una
fioritura di motti grassi e scurrili e di risate.
Il tempio sorgeva su una sommità isolata, e vi si
giungeva mediante un ponte steso fra le due cime, che pareva si contendessero
il primato. Era in un recinto di mura, e la porta ne era guardata da parecchi
soldati. Dietro di questa si allargava una vasta spianata, ad una estremità
della quale sorgeva il tempio. Non era magnifico, e nella costruzione
dimostrava il carattere arcaico; scoperto, ma tutto di marmi preziosi e bronzi
dorati, oro ed argento a profusione. V’erano candelabri ricchissimi, doni
offerti, “ex voto”, stoffe rare, statue e oltre l’ara, sopra un altare,
l’immagine della Dea, non quale si vede effigiata dallo scalpello greco, ma di
forme arcaiche, rigide, con un volto che incuteva spavento per la sua
immobilità ieratica, coperta di vesti e di monili preziosi.
Le jerodule cantavano un inno, e i sacerdoti
sacrificavano. Non vittime umane, come quando Erice cadde sotto i Cartaginesi,
ma pecore, capre ed altri animali, coronati di rose.
Cleone ed Egle erano da poco arrivati innanzi al
tempio, quando s’intese un grido:
- Vengono! Vengono!
Un movimento febbrile commosse la folla: tutti gli
occhi mirarono con ansia un gruppo che apparve volando nell’estremo orizzonte,
e che s’ingrandiva via via che s’avvicinava. Erano le colombe. Allora da mille
e mille bocche si levò un canto di ringraziamento: le jerodule, i sacerdoti,
unirono il loro inno; tutto il monte parve animarsi, fumare e cantare; e su
quel canto svolazzarono le colombe, si posavano sulle cornici, sulle
scannellature, sul frontone del tempio; alcune seguendo la colomba rossa,
immagine della Dea, penetrarono nel sacrario spaventate dall’immenso clamore.
Egle aveva tolto il bambino dalle braccia della
nutrice, e lo alzava verso la porta del tempio, quando ad un tratto impallidì…
Luigi Natoli: Gli Schiavi. Romanzo storico siciliano ambientato nel 103 a.C. al tempo della seconda guerra servile. Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Sonzogno nel 1936.
Pagine 195 - Prezzo di copertina € 22,00
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