Rimasta sola, la duchessa stese le
braccia al cielo con un gesto disperato e deprecativo. Poi si mise a passeggiar
per la stanza, pensando a quel passato così lontano, che l’evocazione di quella
donna le faceva apparire recentissimo, abolendo quasi tutti gli avvenimenti
della sua vita in quei ventisei anni.
Ella rivide quella cameretta povera e
nuda, l’ampio letto, duro per le carni abituate alle mollezze, dove soffrì, per
l’unica volta in vita sua, i dolori della maternità, senza gustarne le gioie,
anzi sopprimendole, volontariamente. Non aveva provato nessun dolore nel
separarsi da una creatura, la cui apparizione l’aveva fatta rabbrividire di
spavento e di vergogna. Come era venuta? E perchè? Ricordava. A diciassette
anni l’avevano maritata al duca di Falconara, che ne aveva trentotto: un
bell’uomo, freddo, rigido. Dopo due anni di matrimonio infecondo era stato
chiamato in corte e poi in missione all’estero. Ella si era chiusa nel palazzo,
aspettando il ritorno del marito, pudica e fedele come Penelope; sorvegliata
per altro dalla vecchia suocera.
Ma erano così fredde le ampie sale del
Palazzo Falconara! Erano così vuote le giornate, e così desolanti le notti nel
letto vasto e deserto, dove i suoi sensi avevane intraveduto un mondo nuovo, ed
era germogliata una fioritura di desideri consapevoli! La vecchia suocera non
la lasciava mai sola, ma le faceva pesare la compagnia con interminabili
prediche morali sui doveri di una moglie, durante l’assenza del marito, e con
le lamentazioni sui tempi corrotti, talchè ella per sottrarsi a quel supplizio
desiderava giungesse presto la fredda e solitaria notte. Un bel mattino fu
trovata la suocera nel letto morta di accidente avuto nella notte. Se ne fecero
funerali sontuosi, e un corriere fu spedito al duca per annunciargli la
disgrazia.
Passati nove giorni di lutto stretto
rigoroso, ella, per tutelar meglio la sua reputazione se ne andò nella casa
paterna... E lì... Ricordava l’incontro con l’uomo fatale, sette mesi dopo. Il
duca non ritornava; quell’uomo era giovane, bello, elegante, valoroso e
appassionato... Come avvenne? Non sapeva; fu una specie di ubbriachezza; ma
certo, una notte, le sue mani tremanti apersero, senza far rumore, le vetrate
del balcone che dava sul giardino; e accolse quell’uomo; e... e così anche le
altre notti!...
Poi un bel giorno improvvisamente
trasalì; aveva sentito dentro di sé agitarsi qualcosa... Ah quale spavento!
quale odio fu quel piccolo essere germogliato in silenzio, che veniva a un
tratto ad avvelenare la sua felicità! Quali tentativi per spegnere quella nuova
vita accusatrice!... Indarno. Trionfava. Venne il tempo in cui non potè celare
le sue condizioni. Allora si confidò alla madre. Qual colpo per la povera
donna!... Bisognava nascondere agli occhi di tutti l’orribile colpa. La
ricondussero nel suo palazzo, relegandola in una camera, dando a credere che
fosse ammalata. Poi, perchè ogni cosa rimanesse nel mistero, si avvisarono di
mandarla nei suoi stati, col pretesto di mutar aria; in realtà per far
disparire ogni traccia...
Oh! come tutto pareva alla sua memoria
vivo e recente!...
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine settecento, dove l'eco della Rivoluzione francese porterà ai primi cenni delle logge che daranno vita alla Carboneria. Al centro Corrado Calvello, affiancato dal giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913
Pagine 856 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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