Il palazzo reale, o castello regio, o, come ancora si chiamava
volgarmente, il Cassaro, offriva allora, dalla parte della città, un aspetto
assai diverso da quello che gli diedero bestialmente i viceré spagnoli dal
Secolo XVI in poi.
Nel 1159, sebbene dai due Ruggeri, il conte e il re, avesse subito modificazioni tali da distinguervisi il
Castello dal palazzo, palatium, serbava
nelle sue linee generali l'aspetto massiccio e formidabile di rocca. Aveva alle
estremità due torri, una detta Pisana, ed è ancora in piedi, con le sue arcate, la sua torricella
laterale – è quella stessa su cui si trova
la Specola; l'altra, all'estremità opposta, dominando il burrone sotto il quale
scorreva il fiumicello di Kemonia, detta Greca; ora scomparsa, ma pure non
difficilmente riconoscibile. Fra l'una e l'altra torre si stendeva come una
specie di cortina merlata, con portici, costruita o trasformata o rabellita da
Ruggero II, e si chiamava la Gioaria. Coloro che han veduto il sipario del
teatro Massimo, dipinto dallo Sciuti, sapiente ricostruttore di ambienti,
possono formarsi un'idea di quello che fosse il palazzo regio.
Nel 1159 il re, Guglielmo I faceva costruire un'altra torre, detta
Chirimbi, la quale però non modificava il prospetto principale dell’edificio.
Dinanzi al quale, presso a poco là dove è il monumento a
Filippo V si levava altra torre, forse avanzo di fortificazioni romane, che dal
colore dei mattoni, di cui era fabbricata, era detta Torre Rossa. Sorgeva isolata,
presso le mura che partendo dalla torre Greca, correvano a levante, sul ciglio
del burrone, signoreggiando la bassura, verdeggiante di orti e di vigne, fra
cui scorreva il Kemonia o Cannizzaro. Poco discosto dalla Torre Rossa, di
fronte alla Gioaria si levava allora un altro edificio, anch’esso circondato di
portici, con un vasto cortile o recinto, lastricato: forse antica basilica o
curia dei pretori di Roma, che il popolo chiamava volgarmente il Pissoto, e i
dotti Aula regia, e più tardi, caduta in abbandono, ridotta cava di pietre e di
colonne invasa dalle erbe, passò nelle memorie col nome di Sala Verde. Una
parte di questo edificio si trova anch’essa ritratta nel sipario dello Sciuti,
a sinistra dello spettatore.
Fra la Gioaria e il portico del Pissoto rimaneva uno spazio sufficiente,
come una piazza di cui i due edifici formavano due lati; un altro, il
meridionale era formato dalle mura; l’ultimo del tempio di S. Maria de Pietà,
antico tempio romano o romaico, che durò intatto, finchè nel 1648, al cardinal
Trivulzio non venne in capo di abbatterlo per dar luogo a un bastione da
minacciare il popolo. (Che il diavol lo riposi pel doppio sacrilegio, cotesto
barbaro settentrionale!)
Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1100, al tempo di re Guglielmo I e di Matteo Bonello. Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia, nel 1911. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.
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